in tema di azione revocatoria proposta nei confronti del fideiussore, poiché tale azione presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità, una volta prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale, gli atti dispositivi del fideiussore successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art. 2901, n. 1, prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (“scientia damni”). Infatti, l’acquisto della qualità di debitore del fideiussore nei confronti del creditore risale al momento della nascita del credito, ovvero quando è prestata la garanzia, ed a tale momento occorre far riferimento per stabilire se l’atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito. Ne consegue che tutti gli atti dispositivi posti in essere dopo la messa a disposizione del danaro da parte delle banche al debitore sono soggetti ad azione revocatoria, in quanto l’azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità, con la conseguenza che, prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse all’apertura di credito, gli atti dispositivi del fideiussore successivi alla messa a disposizione del danaro da parte della banca al debitore garantito e alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti all’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c., n. 1, prima parte, in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo, di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni), ed al solo fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento e non a quello successivo dell’esigibilità del debito restitutorio o del recesso dal contratto.

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Corte d’Appello|Bari|Sezione 2|Civile|Sentenza|21 settembre 2022| n. 1374

Data udienza 7 settembre 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI BARI

SECONDA SEZIONE CIVILE

composta dai seguenti Magistrati:

dott. Filippo LABELLARTE Presidente

dott. Matteo Antonio SANSONE Consigliere

dott. Alberto BINETTI Consigliere rel.

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello avente ad oggetto “azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.”, iscritta nel Ruolo Generale degli affari contenziosi civili, sotto il numero d’ordine 1082 dell’anno 2020

TRA

(…) e (…), entrambi rappresentati e difesi dall’avv. Ma.De., e presso lo stesso elettivamente domiciliati in Acquaviva delle Fonti (Ba), alla Piazza (…);

APPELLANTI

E

(…), Società Cooperativa, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Vi.Li. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Bari alla Via (…);

APPELLATA

NONCHÉ

(…) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, in qualità di mandataria della (…) S.r.l. (quest’ultima quale cessionaria dei crediti ceduti dalla (…) s.p.a.), rappresentata e difesa, dall’avv. Do.De. ed elettivamente domiciliata in Bari, alla via (…), presso il suo studio

APPELLATA

All’udienza collegiale tenutasi in videoconferenza il 15 aprile 2022, la causa è stata riservata per la decisione, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti nelle note autorizzate in atti, da intendersi qui richiamate e trascritte, con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione del 17 febbraio 2012, la (…) soc. Coop. conveniva in giudizio (…) e (…) dinanzi alla Sezione distaccata di Acquaviva delle Fonti del Tribunale di Bari, proponendo azione revocatoria ex art. 2901 c.c. nei confronti dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale del 13 novembre 2008 a rogito del Notaio (…), in cui il (…) aveva conferito un immobile di sua proprietà, costituito dalla porzione di fabbricato su due livelli sito in Acquaviva delle Fonti (BA) alla Via (…) n. 62, identificato in Catasto al foglio (…), subalterno 8.

Chiedeva, pertanto, la Banca attrice che il detto atto di costituzione del fondo patrimoniale, Rep. 25625, Racc. 9828, fosse revocato, con conseguente ordine di annotazione dell’emananda sentenza alla Conservatoria dei R.R. I.I. di Bari e al competente Ufficiale dello Stato Civile a margine all’estratto dell’atto di matrimonio dei deducenti, con vittoria di spese e competenze di lite.

A sostegno della domanda, la (…) assumeva di essere creditrice nei confronti della società (…) S.r.l. della complessiva somma di Euro 240.000,00 in forza di due mutui chirografari, entrambi garantiti da fideiussione prestata anche dal (…) (il quale era altresì socio al 50% della prefata società). Affermava, inoltre, che avendo la detta società mutuataria subito un atto di pignoramento presso terzi, la stessa Banca, avvalendosi di apposita clausola risolutiva prevista per l’ipotesi di simili eventi pregiudizievoli, aveva diffidato la stessa Società a pagare in un’unica soluzione le intere somme dovute; rimasta priva di esito positivo tale diffida, la (…) aveva, pertanto, chiesto ed ottenuto dal Tribunale di Bari, l’emissione del decreto ingiuntivo n. 234/2011, per la complessiva somma di Euro 192.717,60 in danno della società (…) e dei suoi garanti. Pertanto, la stessa Banca riteneva sussistenti le condizioni previste dall’art. 2901 c.c. ai fini dell’esperimento dell’azione revocatoria, ovvero quelle di cui agli artt. 1414 e ss. c.c. ai fini della declaratoria di simulazione del contratto, ovvero ancora quelle di cui all’art. 1418 c.c. ai fini della declaratoria della nullità del contratto.

Iscritta a ruolo la causa con il n. di R.G. 220/2012 (di seguito modificato col n. 91000220/2012, dopo la soppressione della Sezione Distaccata di Acquaviva delle Fonti del Tribunale di Bari), con comparsa di risposta del 18 settembre 2012, si costituivano in giudizio i coniugi (…)-Saladino, impugnando e contestando la domanda attorea.

Con comparsa del 5 dicembre 2013, interveniva volontariamente in giudizio, ad adiuvandum, la (…) S.p.A., sulla scorta di ulteriori ragioni creditorie vantate nei confronti della suddetta società, anch’esse garantite con fideiussione rilasciata dal (…). Insisteva, dunque, la Banca intervenuta, per la revocatoria dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale de quo.

All’udienza del 30 novembre 2019, in difetto d’ogni ulteriore attività istruttoria, le parti precisavano le rispettive conclusioni e, pertanto, la causa veniva riservata per la decisione dinanzi al Tribunale di Bari, con rinuncia ai termini di cui all’art. 190 c.p.c..

Con sentenza n. 444 del 31 gennaio 2020, il Tribunale di Bari accoglieva la domanda e dichiarava l’inefficacia, nei confronti della (…) e della (…), dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, condannando altresì i convenuti alla rifusione delle spese e competenze di giudizio sia in favore della Banca attrice che in favore della Banca intervenuta, così statuendo: “In accoglimento dell’azione revocatoria, accerta e dichiara l’inefficacia nei confronti di (…) e di (…) dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale del 13.11.2008, a rogito notar (…), rep. 25625, racc. 9828, registrato a Gioia del Colle il 14.11.2008, trascritto presso la Conservatoria dei R.R. II. di Bari il 17.11.2008 al n. 54391 di Registro Generale e 36630 di Registro Particolare; – ordina al Conservatore dei RR.II. territorialmente competente, con esonero da ogni responsabilità, di procedere alla trascrizione della presente sentenza ai sensi dell’art. 2652 c.c.; – ordina all’ufficiale di Stato civile di annotare la presente sentenza a margine dell’estratto di matrimonio dei sig.ri (…) e (…); – condanna i convenuti a rimborsare alla parte attrice le spese di lite che liquida in Euro 4.500,00 per onorario, oltre 15% spese generali, Iva e Cap come per legge; – condanna i convenuti a rimborsare a (…) le spese di lite che liquida in Euro 3.500,00 per onorario, oltre 15% spese generali, Iva e Cap come per legge”.

Avverso tale sentenza hanno proposto appello innanzi a questa Corte, con atto di citazione ritualmente notificato il 9 ottobre 2020, gli appellanti (…) e (…), chiedendo per i motivi di seguito indicati ed in riforma dell’impugnata decisione, l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita così provvedere:

1) accertare e dichiarare, per le motivazioni innanzi rassegnate, l’illegittimità della Sentenza n. 444/2020 emessa dal Tribunale di Bari, G.U. Dott.ssa (…), il 28.01.2020 e pubblicata il 31.01.2020 nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva in capo alla Sig.ra (…), condannandola altresì alla rifusione delle spese e competenze di lite, e nella parte in cui ha accolto l’azione revocatoria ex adverso spiegata. -2) conseguentemente, revocare e/o riformare e/o porre nel nulla la ridetta sentenza, dichiarando il difetto di legittimazione passiva in capo alla sig.ra (…), e, nel merito, rigettando l’azione revocatoria spiegata dalla Banca attrice, unitamente all’intervento della (…). -3) Condannare, per l’effetto, le Banche appellate, al pagamento delle spese e competenze relative al doppio grado di giudizio.

Si sono costituite in giudizio la (…) soc. cooperativa e la (…) S.p.A. chiedendo il rigetto dell’appello, perché infondato in fatto e in diritto, con vittoria di onorari e spese di causa.

All’udienza del 19 aprile 2022, l’appello è stato trattenuto per la decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Ciò posto, va anzitutto disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello avanzata dalle parti appellate, per violazione del canone di specificità di cui all’art. 342 c.p.c. La modifica dell’art. 342 c.p.c. ad opera del D.L. n. 83 del 2012 (conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012), lungi dallo sconvolgere i tradizionali connotati dell’atto di appello, ha in realtà recepito e tradotto in legge ciò che la giurisprudenza di legittimità aveva già affermato in relazione al testo precedente la riforma del 2012, e cioè che, nell’atto di appello, deve affiancarsi alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.

In questi termini si sono espresse le sezioni unite della Cassazione (nella sentenza n. 27199 del 2017), enunciando il principio di diritto secondo cui gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo novellato, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. Ciò premesso, l’appello in esame è conforme al requisito di specificità richiesto dall’art. 342 c.p.c., inteso nei termini innanzi predicati, avendo circoscritto il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono ed avendo formulato le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, si da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata.

Venendo al merito, con il primo motivo di appello si denuncia la violazione dell’art. 81 c.p.c., il giudice di prime cure non avendo tenuto conto della estraneità della Saladino rispetto ai fatti posti a fondamento dell’azione revocatoria. Secondo l’assunto dei deducenti, essendo le parti appellate creditrici nei confronti del solo (…), l’azione revocatoria del fondo patrimoniale non darebbe luogo ad una ipotesi di litisconsorzio necessario poiché non va ad incidere anche nella sfera del coniuge disponente non debitore; quest’ultimo, infatti, ancorché non proprietario dei beni costituiti in fondo patrimoniale, non è beneficiario dei relativi frutti destinati a soddisfare i bisogni della famiglia.

In particolare, gli appellanti censurano la parte motiva della sentenza con la quale il Tribunale aderisce all’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. sent. n. 1141/2020), per cui si riconosce che il coniuge non debitore disponente è da considerarsi litisconsorte necessario nel giudizio di revocatoria, in quanto beneficiario dei relativi frutti destinati a soddisfare i bisogni della famiglia. Tale assunto, a detta della parte, non appare convincente perché l’orientamento della Suprema Corte non appare univoco. Ed invero, con riferimento alla sent. 11582/2005, la stessa Corte ha statuito che l’azione revocatoria diretta a far valere l’inefficacia della costituzione di un fondo patrimoniale può incidere sulla sola posizione giuridica del coniuge debitore, restando l’altro coniuge estraneo all’azione e, dunque, privo di legittimazione passiva. La censura è infondata.

Secondo questa Corte, il giudice di prima istanza ha fatto buon governo, nella specie, del consolidato principio secondo il quale la natura reale del vincolo di destinazione impresso dalla costituzione del fondo patrimoniale in vista del soddisfacimento dei bisogni della famiglia e la conseguente necessità che la sentenza faccia stato nei confronti di tutti coloro per i quali il fondo è stato costituito comportano che, nel giudizio avente ad oggetto l’azione revocatoria promossa nei confronti dell’atto costitutivo, la legittimazione passiva spetta ad entrambi i coniugi, anche se l’atto sia stato stipulato da uno solo di essi, non potendo in ogni caso negarsi l’interesse dell’altro coniuge, quale beneficiario dell’atto, a partecipare al giudizio (Cass. sent. 21494/2011; Cass. sent. 1242/2012; Cass. sent. 19330/2017; Cass. ord. 5768/2022).

Peraltro, nel caso in cui, come quello in esame, l’azione revocatoria promossa dai creditori personali di uno dei coniugi abbia ad oggetto un fondo patrimoniale al cui atto costitutivo abbiano preso parte entrambi, il fondamento della legittimazione del coniuge non debitore è stato correttamente individuato nel fatto stesso di tale partecipazione e, quindi, nella indiscutibile configurabilità di un suo interesse, quale destinatario degli eventuali esiti pregiudizievoli conseguenti all’accoglimento della domanda revocatoria. Difatti, anche nell’ipotesi in cui la costituzione del fondo non comporti un effetto traslativo, come nel caso di specie, essendosi il coniuge riservato la proprietà dei beni, il conferimento nel fondo comporta l’assoggettamento degli stessi ad un vincolo di destinazione, con la costituzione di un diritto di godimento attributivo dei diritti e dei doveri di cui all’art. 167 c.c. e ss., il cui venir meno per effetto dell’accoglimento della domanda revocatoria rappresenta un pregiudizio di per sé idoneo a rendere configurabile un interesse del coniuge non proprietario a partecipare al giudizio.

Inoltre, recentissimamente, la Suprema Corte ha statuito che: “In tema di azione revocatoria del fondo patrimoniale, la natura reale del vincolo di destinazione impresso dalla sua costituzione in vista del soddisfacimento dei bisogni della famiglia e la conseguente necessità che la sentenza faccia stato nei confronti di tutti coloro per i quali il fondo è stato costituito comportano che, nel relativo giudizio per la dichiarazione della sua inefficacia, la legittimazione passiva va riconosciuta ad entrambi i coniugi, anche se l’atto costitutivo sia stato stipulato da uno solo di essi, spettando ad entrambi, ai sensi dell’art. 168 c.c., la proprietà dei beni che costituiscono oggetto della convenzione, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto costitutivo, con la precisazione che anche nell’ipotesi in cui la costituzione del fondo non comporti un effetto traslativo, essendosi il coniuge (o il terzo costituente) riservato la proprietà dei beni, è configurabile un interesse del coniuge non proprietario alla partecipazione al giudizio, in quanto beneficiario dei relativi frutti, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia” (cfr. ord. n. 5768/2022, su menzionata).

Con il secondo motivo di appello i coniugi appellanti censurano la parte della motivazione nella quale il giudice di prime cure non ha tenuto in debita considerazione la precipua funzione giuridica del fondo patrimoniale – la cui accezione di intangibilità è consacrata nell’art. 170 c.c. – da ritenersi, pertanto, non aggredibile ad opera di un creditore per crediti estranei ai bisogni della famiglia. Anche tale censura è del tutto priva di fondamento.

Dal momento che la asserita non revocabilità dell’atto dispositivo, posto in essere per soddisfare primarie esigenze familiari e non per frodare i creditori – nel senso di far prevalere le ragioni della famiglia rispetto alla conservazione della garanzia patrimoniale di un credito del quale, secondo la tesi prospettata dagli appellanti, il creditore conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia – deve essere parametrata con la destinazione e la funzione del fondo stesso, in quanto la sua costituzione implica la sottrazione alla regola della responsabilità patrimoniale generalizzata e globale ex art. 2740 c.c.: se l’essenza caratterizzante l’azione revocatoria consiste nel conservare la garanzia patrimoniale, non vi può essere dubbio che la costituzione del fondo in esame, rendendo i beni conferiti non aggredibili dai creditori, se non a certe condizioni (art. 170 c.c.), incida riduttivamente sulla garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei costituenti.

Sennonché, la revocabilità dell’atto non contrasta con la tutela delle esigenze della famiglia, aventi fondamento costituzionale, dato il carattere facoltativo del fondo e la rimessione della sua eventuale costituzione alla libera scelta dei coniugi che, in un contesto ordinamentale in cui le aree sottratte all’azione esecutiva sono eccezionali, create dalla legge e ben delimitate, è sottoposta alla possibilità di verificare, proprio mediante l’azione revocatoria, che non si traduca in lesione della garanzia spettante alla generalità dei creditori, quale componente dell’esplicarsi della libertà dell’iniziativa economica, pure presidiata da valori costituzionali (v. in senso conforme Cass. 7250/2013).

Passando alla verifica circa la sussistenza dei requisiti per l’esperimento dell’azione de quo, l’art. 2901 c.c. prevede espressamente la sussistenza di un elemento oggettivo (“eventus damni”) e di uno soggettivo (“consilium fraudis”).

A tal proposito, con il terzo motivo di appello, gli appellanti (…)-Paladino censurano la parte motiva della sentenza con la quale è stata accertata la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi, al fine dell’accoglimento dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c..

A fondamento della asserita assenza del presupposto soggettivo, gli appellanti evidenziano come sia errata la valutazione fatta dal primo giudice circa l’accertamento della volontà e consapevolezza del (…) di arrecare pregiudizio alle ragioni dei creditori tramite il conferimento di uno dei suoi immobili nel fondo patrimoniale.

Tale assunto è ricavabile non solo dalla ricostruzione cronologica degli eventi, dalla quale emerge come solo una parte dei debiti della società è sorta antecedentemente alla costituzione del fondo patrimoniale, ma anche alla luce della solida situazione economico-patrimoniale della società e del fideiussore (…), al tempo della costituzione del fondo. Pertanto, la prova della “scientia damni”, condizione essenziale per l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 2901 c.c., non è stata raggiunta.

Anche tale motivo è infondato.

In primo luogo, occorre premettere che è da condividersi l’accertamento effettuato dal primo giudice circa la fondatezza dei crediti fatti valere a sostegno dell’azione revocatoria proposta dagli istituti di credito nei confronti della società (…) e del (…), quest’ultimo in qualità di fideiussore, in forza del contratto di mutuo chirografario del 10.09.2007 dell’importo di Euro 100.000,00, nonché del contratto di mutuo chirografario dell’importo di Euro 140.000,00 del 20.10.2010, stipulati con la (…), e anche del credito vantato da (…), per l’importo di complessivi Euro 541.103,92, sulla base di diverse aperture di credito nonché delle fideiussioni con la quale aveva garantito i suddetti crediti, con gli atti del 13.4.2007, 3.4.2008 e 17.3.2009. In proposito, giova rilevare che gli Istituti di credito hanno allegato e provato in via documentale i crediti invocati, producendo i relativi contratti di mutuo, le comunicazioni a.r. di risoluzione dei contratti in forza della clausola risolutiva espressa prevista, e anche la richiesta di rimborso delle somme residue con decadenza del beneficio del termine.

Deve altresì sottolinearsi, tra l’altro, che l’avvenuta erogazione delle somme e la mancata restituzione non è stata contestata.

Premesso ciò, circa i requisiti dell’azione revocatoria:

quanto al primo, si deve evidenziare che – ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria – non è necessario che il debitore si trovi in stato di insolvenza, essendo sufficiente che l’atto di disposizione produca pericolo o incertezza per la realizzazione del diritto del creditore, in termini di una possibile o eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva.

Infatti, l’eventus damni ricorre non soltanto quando l’atto di disposizione determini la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma anche quando tale atto comporti una maggiore difficoltà ed incertezza nella esazione coattiva del credito. Ciò può verificarsi anche in caso di mera variazione qualitativa del patrimonio, tale da rendere più difficile la soddisfazione dei creditori.

Quanto al secondo elemento, è innanzitutto necessario che il debitore sia anche consapevole del pregiudizio arrecato dall’atto dispositivo in questione alle ragioni del creditore (cd. scientia damni).

In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che: ‘allorché l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, è necessaria e sufficiente la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, essendo l’elemento soggettivo integrato dalla semplice conoscenza – a cui va equiparata la agevole conoscibilità – nel debitore di tale pregiudizio, a prescindere dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l’azione, e senza che assumano rilevanza l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (c.d. consilium fraudis), né la partecipazione o la conoscenza da parte del terzo in ordine alla intenzione fraudolenta del debitore’ (Cass. Civ. n. 2792/2002; Cass. Civ. n. 7262/2000).

La giurisprudenza ha distinto a seconda che l’atto dispositivo sia anteriore o posteriore al sorgere del credito. Nel primo caso, è necessario che l’atto sia stato compiuto proprio in funzione del sorgere della futura obbligazione, allo scopo di precludere o rendere più difficile al creditore l’attuazione coattiva del suo diritto. Nel secondo caso, invece, è sufficiente la generica conoscenza – da parte del terzo contraente – del pregiudizio che l’atto a titolo oneroso posto in essere dal debitore possa arrecare alle ragioni dei creditori, non essendo necessaria la collusione tra il terzo ed il debitore.

Ciò posto, nella fattispecie in esame, come correttamente statuito dal primo giudice, ritiene questa Corte che vada confermata l’esistenza di tutti i presupposti richiesti dall’art. 2901 c.c., alla luce delle seguenti considerazioni:

1) appare innanzitutto sussistente la ragione di credito vantata dalle Banche, trattandosi di somme dovute e da ritenere accertate nell’ambito del giudizio di primo grado per le ragioni innanzi esposte, essendo stata fornita idonea prova documentale dei crediti vantati e in assenza di specifica contestazione da parte dei convenuti;

2) quanto all’eventus damni, è sufficiente evidenziare che con l’atto revocato ed in assenza di corrispettivo, trattandosi, tra l’altro, di atto a titolo gratuito, è stato vincolato l’unico immobile in proprietà esclusiva del disponente. Non risulta, inoltre, dedotta con precisone l’esistenza di un patrimonio residuo sufficiente a garantire il soddisfacimento delle ragioni creditorie, incombendo, tale onere allegativo, in capo al disponente.

Pur tuttavia, appaiono irrilevanti nella presente sede le considerazioni dedotte dal (…) sull’entità del suo restante patrimonio. Ed invero, quand’anche fosse dimostrato l’effettivo valore dello stesso, ciò non farebbe venir meno il pericolo di danno paventato. Infatti, il requisito dell’eventus damni è sussistente anche qualora si verifichi una variazione seppur meramente qualitativa del patrimonio, tale da rendere più difficile o incerta la soddisfazione dei creditori. Ebbene, nel caso in esame, non è contestabile che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale abbia comportato una variazione sia quantitativa del patrimonio (trattandosi, si ribadisce, di atto a titolo gratuito), sia qualitativa: è evidente che tale variazione rende quantomeno più difficoltoso il soddisfacimento del credito.

Ciò posto, ancora in via generale, si deve osservare che la Suprema Corte ha chiarito che in tema di azione revocatoria proposta nei confronti del fideiussore, poiché tale azione presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità, una volta prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale, gli atti dispositivi del fideiussore successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art. 2901, n. 1, prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (“scientia damni”). Infatti, l’acquisto della qualità di debitore del fideiussore nei confronti del creditore risale al momento della nascita del credito, ovvero quando è prestata la garanzia, ed a tale momento occorre far riferimento per stabilire se l’atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito (Cass. 3676/2011 e Cass. 22465/2006).

Ne consegue che tutti gli atti dispositivi posti in essere dopo la messa a disposizione del danaro da parte delle banche al debitore sono soggetti ad azione revocatoria, in quanto essa presuppone solo l’esistenza di un debito, e non la sua concreta esigibilità (cfr. Cass. sent. 762/2016), secondo cui “l’azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità, con la conseguenza che, prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse all’apertura di credito, gli atti dispositivi del fideiussore successivi alla messa a disposizione del danaro da parte della banca al debitore garantito e alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti all’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c., n. 1, prima parte, in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo, di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni), ed al solo fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento e non a quello successivo dell’esigibilità del debito restitutorio o del recesso dal contratto”.

Non può, quindi, non tenersi in considerazione il fatto che il fondo patrimoniale sia stato costituito in un lasso temporale per lo più coincidente con il sorgere dell’impegno di garanzia, sia con riferimento alle somme dovute in forza del contratto di mutuo del 10.09.2007 di ammontare pari a Euro 100.000,00 e, successivamente, per l’ulteriore importo di Euro 140.000,00 nei confronti della (…) e anche con riferimento alle obbligazioni nascenti a vario titolo negli anni 2008/2009 per un complessivo importo di Euro 541.103,92, nei confronti della Banca (…).

Del resto, è sufficiente la agevole conoscibilità da parte del debitore della astratta idoneità dell’atto dispositivo a ledere la garanzia patrimoniale del creditore, a prescindere dalla specifica conoscenza della sussistenza dei crediti e senza che sia richiesto alcuno specifico intento lesivo.

La tempistica dell’atto dispositivo del (…), volto a sottoporre a vincolo l’unico immobile in sua proprietà esclusiva, il contestuale negativo andamento dell’impresa (già nel 2009 risultava una perdita di esercizio pari a -205.841,00 Euro, della società dal medesimo (…) finanziata e garantita), nonché le deduzioni degli odierni appellanti circa le ragioni che hanno condotto i coniugi alla costituzione del fondo, consentono di ritenere, sulla scorta di presunzioni precise e concordanti, che alla data della costituzione del fondo patrimoniale nel 2008, i coniugi (…) potessero agevolmente rendersi conto della astratta idoneità dell’atto dispositivo a ledere la garanzia patrimoniale.

Tali circostanze, unitamente al fatto che il fondo patrimoniale è stato costituito a distanza di molti anni dal matrimonio e in concomitanza con il predetto progressivo deterioramento della situazione economico-finanziaria della società, lasciano fondatamente presumere che il (…) fosse ben consapevole dell’esistenza delle obbligazioni nei confronti delle Banche e, conseguentemente, del pregiudizio alla stessa arrecato con la costituzione del fondo.

Dai descritti elementi di prova, si ricava certamente la sussistenza dei profili oggettivi e soggettivi ritenuti necessari per l’accoglimento dell’azione revocatoria. Deve, quindi, trovare conferma la decisione del primo giudice e, per i motivi su esposti, l’appello va integralmente rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo si liquidano, ai sensi del d.m. 55/2014, in complessivi Euro 7.911,54 (di cui Euro 6.615,00 di compenso tabellare, Euro 992,25 per spese generali forfetarie (15%) ed Euro 304,29 per c.p.a. (4%)), oltre I.V.A., in favore della (…), in applicazione dei parametri medi di riferimento per le cause di valore indeterminabile di complessità bassa così specificati: “Fase di studio della controversia”: Euro 1.960,00; “Fase introduttiva del giudizio”: Euro 1.350,00; “Fase decisionale”: Euro 3.305,00; non avendo la causa in esame richiesto alcun adempimento istruttorio, si è ritenuto non considerarsi la voce relativa al compenso della “Fase istruttoria e di trattazione”. Stessa sorte seguono le spese in favore della (…) che si liquidano in complessivi Euro 7.911,54 (di cui Euro 6.615,00 di compenso tabellare, Euro 992,25 per spese generali forfetarie ed Euro 304,29 per c.p.a.), oltre I.V.A., in applicazione dei parametri medi di riferimento per le cause di valore indeterminabile di complessità bassa così specificati: “Fase di studio della controversia”: Euro 1.960,00; “Fase introduttiva del giudizio”: Euro 1.350,00; “Fase decisionale”: Euro 3.305,00; non avendo la causa in esame richiesto alcun adempimento istruttorio, si è ritenuto non considerarsi la voce relativa al compenso della “Fase istruttoria e di trattazione”.

Inoltre l’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115; tale comma stabilisce che: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

Pertanto, con la presente sentenza di integrale rigetto dell’impugnazione si dà atto dell’obbligo dell’ulteriore versamento del contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione medesima.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Bari, Seconda Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto, con atto di citazione notificato il 9 ottobre 2020 da (…) e (…) avverso la sentenza 444/2020 emessa in data 28 gennaio 2020 dal Tribunale di Bari, in composizione monocratica, nel giudizio n. R.G. 220/2012 (di seguito modificato col n. 91000220/2012, dopo la soppressione della Sezione Distaccata di Acquaviva delle Fonti del Tribunale di Bari),

– rigetta l’appello proposto e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;

– condanna gli appellanti, in solido tra loro, a rifondere la appellata (…) delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 6.615,00, oltre I.V.A., CAP e rimborso forfetario (15%) come per legge;

– condanna gli appellanti, in solido tra loro, a rifondere la appellata (…) S.p.A. delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 6.615,00, oltre I.V.A., CAP e rimborso forfetario (15%) come per legge;

– dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13 co. 1-quater dpr 115/2002, per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del co. 1-bis dpr n. 115/2002 a carico degli appellanti (…) e (…).

Così deciso in Bari il 7 settembre 2022.

Depositata in Cancelleria il 21 settembre 2022.

Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione revocatoria ordinaria di cui all’ art 2091 cc si consiglia il seguente articolo: Azione revocatoria ordinaria

Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione surrogatoria di cui all’ art 2900 cc si consiglia il seguente articolo: Azione surrogatoria ex art 2900 cc

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.