In tema di revocatoria fallimentare, l’estinzione della precedente passivita’ come finalita’ ulteriore, rispetto alla causa tipica dei singoli negozi a tal scopo utilizzati, secondo lo schema del “collegamento funzionale”, conferisce alla complessiva operazione un carattere anormale, alla stregua di una “datio in solutum” qualificabile come mezzo anomalo di pagamento ai sensi e per gli effetti di cui alla L. Fall., articolo 67, comma 1, n. 2; ne deriva che siffatta qualificazione dell’atto estintivo rende superflua l’indagine in ordine alla prova della “scientia decoctionis”, competendo alla parte convenuta – nella specie raccipiens” – dimostrare, vincendo la relativa presunzione, la non conoscenza dello stato di insolvenza del debitore al momento dell’atto.
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Corte di Cassazione|Sezione 6 1|Civile|Ordinanza|5 settembre 2019| n. 22280
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29783-2017 proposto da:
(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 771/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 17/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La corte d’Appello di Trieste ha confermato la pronuncia del Tribunale di Pordenone con la quale e’ stata accolta la domanda proposta dalla Curatela del fallimento s.r.l. (OMISSIS) L. Fall., ex articolo 67, comma 1, n. 2, e in via subordinata articolo 67, comma 2, volta alla declaratoria d’inefficacia ed alla revoca dell’atto di compravendita immobiliare stipulato dalla s.r.l. (OMISSIS) e dalla s.r.l. (OMISSIS), quest’ultima in qualita’ di acquirente.
Il prezzo veniva pagato ma contestualmente la somma veniva bonificata a (OMISSIS) a pagamento di fatture insolute emesse da quest’ultima societa’ per pregressi rapporti commerciali intercorsi tra le societa’.
A sostegno della decisione, la Corte d’Appello ha affermato che la vendita in questione dissimula una datio in solutum non essendo stata censurata al riguardo l’affermazione della pronuncia di primo grado secondo la quale i legali rappresentanti delle societa’ si erano accordati per la cessione dell’immobile a pagamento delle fatture insolute, anche in relazione alle deposizioni testimoniali che hanno confermato la circostanza.
Quanto agli altri presupposti dell’azione la Corte rileva che la parte appellante non aveva superato l’onere di dimostrare che non vi erano segnali riconoscibili dell’insolvenza di (OMISSIS). Inoltre l’eccezione relativa alla espressa menzione nella relazione L. Fall., ex articolo 33, del curatore in ordine alla mancanza d’indizi d’insolvenza prima della stipula della compravendita, doveva ritenersi nuova, in quanto relativa 3 “- ad altro argomento e come tale inammissibile ex articolo 342 c.p.c.. Infine i riscontri delle prove testimoniali avevano faititrd emergere la piena conoscenza delle difficolta’ finanziarie e della carenza di liquidita’ di (OMISSIS).
E’, in conclusione, emersa una conoscenza concreta dello stato d’insolvenza da parte dell’appellante non contrastata dagli altri profili fattuali invocati dall’appellante.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la S.r.l. (OMISSIS). La Curatela fallimentare ha depositato controricorso.
Nel primo motivo viene dedotta la nullita’ della pronuncia ex articolo 360 c.p.c., n. 4 per motivazione perplessa ed incomprensibile in relazione alla novita’ dell’eccezione relativa al richiamo alla relazione L. Fall., ex articolo 33.
Il ricorrente osserva che non e’ comprensibile in particolare il riferimento “ad altro argomento” edil richiamo all’articolo 342 c.p.c. presumibilmente contiene un refuso e riguarda l’articolo 345 c.p.c. E’ possibile che la Corte abbia confuso l’istanza del Curatore ai creditori L. Fall., ex articolo 35, con la relazione ex articolo 33, ma rimane del tutto oscura la ratio dell’inammissibilita’.
Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell’articolo 345 c.p.c. perche’ erroneamente applicato. La corte d’Appello non ha rilevato la tardivita’ della produzione ma dell’eccezione qualificandola, pertanto, come eccezione in senso stretto, mentre la qualificazione giuridica corretta e’ di argomentazione difensiva. Il richiamo della relazione e’ stato utilizzato solo per confortare la tesi fin dall’inizio sostenuta della non conoscenza dell’insolvenza da parte della (OMISSIS).
Nel terzo motivo viene dedotta la violazione dell’articolo 67 per aver la Corte d’Appello confuso la conoscenza delle difficolta’ di liquidita’ con la conoscenza dello stato d’insolvenza.
I primi due motivi devono essere trattati congiuntamente in quanto logicamente connessi. Al riguardo il Collegio ritiene non condivisibile la proposta formulata dal relatore, rilevando che entrambe le censure sono inammissibili perche’ l’esame e l’eventuale accoglimento di esse sotto il profilo della corretta qualificazione della valorizzazione difensiva della relazione L. fall., ex articolo 33, risulta ininfluente rispetto al complessivo assetto delle rationes decidendi poste a base della pronuncia di rigetto.
Il rilievo di carattere processuale e’ del tutto autonomo e non condizionante le rationes di merito fondate sull’esame comparativo delle risultanze istruttorie e sull’accertamento di fatto relativo alla piena conoscenza della condizione economico finanziaria della societa’ successivamente fallita, incentrata su una circostanza, ritenuta non contestata dalla Corte d’Appello, e non attaccata nel ricorso, relativa al contenuto dei colloqui delle due societa’ relative all’effettiva finalita’ del negozio immobiliare. Ma l’inammissibilita’ si fonda anche su un altro rilevante rilievo.
La parte ricorrente ritiene decisivo l’impianto difensivo fondato sulla relazione L. Fall., ex articolo 33, perche’ pone a carico della Curatela fallimentare l’onere della prova della scientia decoctionis.
La premessa e’ tuttavia errata. Come puo’ desumersi dalla giurisprudenza costante di questa Corte, nella fattispecie dedotta nel presente giudizio, l’onere della prova si sposta sul contraente quando la transazione commerciale cela una datio in solutum.
Poiche’ tale qualificazione giuridica del negozio sub judice e’ frutto di un accertamento di fatto insindacabile e sostenuto da una motivazione tutt’altro che perplessa, risulta anche sotto questo profilo ininfluente il dedotto omesso esame della predetta relazione L. Fall., ex articolo 33, in quanto fondato su un errato criterio di ripartizione della prova. Si richiama al riguardo la pronuncia n. 12644 del 2011 cosi’ massimata:
“In tema di revocatoria fallimentare, l’estinzione della precedente passivita’ come finalita’ ulteriore, rispetto alla causa tipica dei singoli negozi a tal scopo utilizzati, secondo lo schema del “collegamento funzionale”, conferisce alla complessiva operazione un carattere anormale, alla stregua di una “datio in solutum” qualificabile come mezzo anomalo di pagamento ai sensi e per gli effetti di cui alla L. Fall., articolo 67, comma 1, n. 2; ne deriva che siffatta qualificazione dell’atto estintivo rende superflua l’indagine in ordine alla prova della “scientia decoctionis”, competendo alla parte convenuta – nella specie raccipiens” – dimostrare, vincendo la relativa presunzione, la non conoscenza dello stato di insolvenza del debitore al momento dell’atto”.
Il terzo motivo risulta, infine manifestamente infondato proprio alla luce del principio sopra illustrato e tenuto conto dell’approfondito accertamento di fatto svolto dalla Corte d’appello.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio che liquida in E 4000 per compensi, e 100 per esborsi, oltre accessori di legge.
Sussistono le condizioni per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater.