Al riguardo, si osserva che il danno da perdita di chance non consiste nella perdita di un vantaggio economico ma nella perdita della concreta possibilità di conseguirlo e deve essere provato dal danneggiato, anche in via presuntiva, in termini di “possibilità perduta la quale, oltre a rispondere ai parametri di apprezzabilità, serietà e consistenza, va accertata nell’an sulla base del criterio del ‘più probabile che non’ e stimata nel quantum con valutazione equitativa.
Corte d’Appello|Trento|Sezione 2|Civile|Sentenza|24 marzo 2020| n. 73
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI TRENTO
SECONDA SEZIONE CIVILE
riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Signori Magistrati:
Dott. Mario Bazzo Presidente
Dott. Ugo Cingano Consigliere
Dott. Raffaele Massaro Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di appello iscritta a ruolo in data 29/11/2018 al n. 293/18 R.G. promossa con atto di citazione notificato in data 19/11/ 2018
DA
PE.ST. nato (…), residente a (…), Via (…) (C.F. (…)) rappresentato e difeso dall’Avv. R.M.Ri. del foro di Trento, con domicilio eletto presso il suo studio in Sèn Jan di Fassa, Str. (…), come da mandato allegato all’atto di citazione in appello.
– APPELLANTE –
CONTRO
SOCIETA’ IN. – S.p.A. con sede in Ca. (P.Iva (…)) rappresentata e difesa dall’Avv. N.St. del foro di Trento, con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, Piazza (…), come da mandato allegato alla comparsa di costituzione e risposta in primo grado;
DE.RA. nato (…), ivi residente in Via (…) (C.F. (…)) rappresentato e difeso dagli Avvocati C.Pe. del foro di Trento e P.Ce. del foro di Bolzano, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Bressanone, Via (…), come da mandato allegato alla comparsa di costituzione e risposta in primo grado;
QU.GI. nato (…) ed ivi residente, Via (…) (C.F. (…)) rappresentato e difeso dall’Avv. M.Ro. del foro di Bolzano, con domicilio eletto presso il suo studio in Bolzano, Largo (…), come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta in primo grado;
FALLIMENTO F.LLI DE. S.r.l. in persona del Curatore (C.F. (…)) rappresentato e difeso dall’Avv. R.Ni. del foro di Trento, con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, Via (…), come da mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello;
AM. S.p.A. (già Ca. S.p.A.) con sede in Milano (C.F. e P.Iva (…)) rappresentata e difesa dall’Avv. G.Be. del foro di Trento,
con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, Via (…), come da mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta in primo grado;
– APPELLATI –
HE. SA con sede in Milano (C.F. (…)) rappresentata e difesa dall’Avv. P.Me. del foro di Verona, con domicilio eletto presso il suo studio in Verona, P.tta (…), come da mandato in calce alla copia notificata dell’atto di citazione per chiamata di terzo in primo grado
– APPELLATA/APPELLANTE INCIDENTALE –
OGGETTO: altre ipotesi di responsabilità extracontrattuale
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione datata 15/1/2016, ma spedita per la notifica il 26/4/2016, St.Pe. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Trento la Società In.Tu. – S.p.A., Ra.De., Gi.Qu. e la F.lli De. S.r.l., per ivi sentirli condannare in solido o in via concorrente o parziaria o alternativa al risarcimento di tutti i danni da lui subiti allorché, nella tarda serata del 24/3/2012, mentre stava camminando sul marciapiede di una strada comunale in quel di Ca., era inciampato e scivolato su di un grosso tubo, non visibile a causa della scarsa illuminazione, rovinando a terra e procurandosi la frattura del malleolo della caviglia destra, con conseguente lungo periodo di inabilità temporanea e postumi di carattere permanente.
Il successivo 27/3/2012, su sua richiesta, erano intervenuti sul posto i Carabinieri di (…), che avevano fotografato il tubo in questione. Successivamente, aveva potuto accertare che tale tubo era destinato al trasporto di acqua a servizio del cantiere installato poco lontano per lavori di ampliamento e riqualificazione della piscina di Ca., lavori commissionati da SI., eseguiti dalla F.lli De., sotto la direzione lavori di Ra.De., con responsabile per la sicurezza Gi.Qu..
Il procedimento penale instaurato avanti al Giudice di Pace di (…), per il reato di cui all’art. 590 c.p., si era estinto per condotte riparatorie, essendo stata versata prima del processo la somma di Euro 15.000,00 a titolo risartitorio. Vani erano stati, però, i tentativi di ottenere dai convenuti l’intero ristoro dei danni da lui subiti, quantificabili complessivamente in oltre 47.000,00 Euro.
Si costituiva la F.lli De. S.r.l. che ricusava ogni propria responsabilità, essendo il tubo sul quale era scivolato l’attore di proprietà della SI. e peraltro collocato su terreno di proprietà della stessa, facendo esso parte dell’impianto di innevamento; negava comunque che il tubo si trovasse sul marciapiede; eccepiva in ogni caso il concorso di colpa dell’attore e chiedeva la riduzione dell’importo eventualmente dovuto a titolo risarcitorio anche in considerazione dell’avvenuto versamento in sede penale della somma di Euro 15.000,00.
Si costituiva Ra.De., che chiedeva il rigetto della domanda contro di lui proposta, rilevando di essere stato solo Direttore dei Lavori e di non avere avuto, pertanto, alcuna responsabilità per ciò che riguardava la sicurezza del cantiere al cui servizio si asseriva essere stato il tubo in questione. Contestava comunque il quantum, eccependo il concorso di colpa dell’attore e chiedendo che si tenesse conto dell’importo di Euro 15.000,00 già versato in sede penale.
Si costituiva Gi.Qu. che a sua volta chiedeva il rigetto della domanda, assumendo di avere correttamente svolto il proprio incarico di responsabile della sicurezza del cantiere; eccepiva comunque il concorso di colpa dell’attore, contestando in ogni caso il quantum. Chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa, in manleva, il proprio istituto assicuratore.
Si costituiva la Società In. – S.p.A., che assumeva che il tubo in questione si trovava su di un prato e non sul marciapiede (peraltro inesistente in quel tratto di strada); negava altresì che il tubo fosse a servizio del cantiere che si trovava poco lontano; eccepiva comunque il concorso di colpa dell’attore e chiedeva che si tenesse conto, nell’eventuale liquidazione del danno, dell’avvenuto versamento della somma di Euro 15.000,00. Chiedeva a sua volta l’autorizzazione a chiamare in causa la propria assicurazione, per essere da questa manlevata in caso di condanna.
Autorizzate le chiamate, si costituivano Am. S.p.A. (per Gi.Qu.), che assumeva posizione analoga a quella del proprio assicurato, ed He. SA (per SI. S.p.A.), che contestava l’operatività della polizza, aderendo comunque alle domande ed eccezioni già formulate da SI.
La causa veniva istruita con acquisizione di documentazione ed espletamento di C.T.U. Medico-legale.
Con sentenza 13-18/10/2018 l’adito Tribunale, rigettate le istanze istruttorie delle parti, rigettava le domande proposte da St.Pe., che condannava alla rifusione delle spese processuali nei confronti di tutte le controparti, rigettando peraltro le domande di condanna ex-art. 96 c.p.c. formulate da SI. S.p.A. e Gi.Qu..
Osservava il Tribunale che, alla luce delle risultanze degli atti acquisiti in sede di procedimento penale (segnatamente sommarie informazioni di tale Ba., che al momento del fatto si trovava in compagnia del Pe., e informativa e rilievi dei Carabinieri, intervenuti sul posto su richiesta del Pe. medesimo, all’epoca peraltro Comandante del NORM Carabinieri di (…)), la dinamica del sinistro era da ricostruire nel senso che verso le ore 22,15 del 24/3/2012, dopo essere stato in un bar della zona, il Pe. stava facendo ritorno al parcheggio nel quale aveva lasciato in precedenza la propria auto; in quel frangente, uscito dai margini della strada comunale che stava percorrendo a piedi, era entrato nel prato adiacente, sul quale si trovavano dei tubi, su uno dei quali era scivolato, procurandosi lesioni alla caviglia destra. Il luogo ove erano collocati i tubi era stato rilevato e fotografato dai carabinieri, intervenuti sul posto tre giorni dopo, cosicché era evidente che l’incidente non s’era verificato né sul marciapiede (come esposto in atto di citazione), marciapiede peraltro inesistente, né sulla sedime della strada, ma, appunto, sul prato ove si trovavano i tubi.
In ordine alla collocazione dei tubi assumeva decisiva rilevanza un e-mail inviata da SI. ad Eu. a fini assicurativi; in tale e-mail si leggeva testualmente: “…l’ufficio tecnico della SI. che segue i lavori in piscina mi dice che i tubi in questione li abbiamo messi noi come società (SI.) e quindi per il sinistro non possiamo coinvolgere altre ditte e relative compagnie assicurative”. Tale e-mail non era stata contestata da SI. e dalla stessa emergeva “chiaramente la sola responsabilità della società SI. S.p.A. per l’infortunio e non la responsabilità degli altri convenuti citati: da un lato l’infortunio non avvenne all’interno del cantiere indicato dall’attore ma su un prato adiacente al cantiere, prato di proprietà della sola società ora menzionata; dall’altro (era) la stessa società convenuta a riconoscere nell’e-mail menzionata la propria responsabilità per il sinistro de quo” (pag. 7 sentenza).
Dopo avere affermato che la responsabilità della SI. era da ricondurre alle previsioni di cui all’art. 2051 c.c., il Tribunale osservava che doveva riconoscersi a carico dell’attore un concorso di colpa quantificabile nel 35%, giacché egli “conosceva bene la zona (vedi pag. 4 della memoria istruttoria di parte attrice) e sapeva quindi che la stessa non era illuminata. L’attore aveva già fatto il percorso contrario alla luce del sole verosimilmente dato che il medesimo andava a riprendere la propria autovettura (vedi dichiarazione del teste Ba.). Conseguentemente l’attore aveva già visto i tubi in questione. L’attore non camminò sulla strada ma su un prato in una situazione di completa oscurità privo di qualsiasi fonte di illuminazione” (pag. 7 sentenza).
Il Tribunale dava atto, quindi, del fatto che in sede penale erano già stati versati all’attore 15.000,00 Euro e poi, passando alla individuazione e quantificazione dei danni fatti valere dall’attore medesimo, osservava che, sulla base della non contestata C.T.U., risultava un’i.p. del 4%, senza incidenza sulla capacità lavorativa specifica; la temporanea era stata di 4 giorni al 100%, di 68 giorni al 75%, di 35 giorni al 50% e di 35 giorni al 25%. Secondo le tabelle in uso presso il Tribunale di Milano per il 2014, tenuto conto dell’età del Pe. alla data del sinistro (47 anni e due mesi), per l’i.p. al 4% era dovuto l’importo di Euro 3.449,55; per la temporanea poteva riconoscersi l’importo di Euro 120,50 al giorno, liquidandosi quindi per i quattro giorni di invalidità temporanea al 100% Euro 313,30; per i 68 giorni al 75% Euro 3.994,57;
per 35 giorni al 50% Euro 1.370,69 e per 35 giorni il 25% Euro 685,34: in totale, per i.p. e temporanea poteva riconoscersi il complessivo importo di Euro 9.813,45.
Per danno morale, ravvisandosi nell’accaduto gli estremi di reato, poteva liquidarsi importo pari ad un quarto “del danno tabellare” (pag. 9 sentenza) e quindi Euro 2.453,36.
Quanto ai danni patrimoniali, poteva riconoscersi, come da C.T.U., la congruità e pertinenza di esborsi per spese mediche per complessivi Euro 1.061,11.
Nulla poteva essere riconosciuto a titolo di mancato guadagno per non avere potuto il Pe. prestare lavoro straordinario, “in quanto tale entrata non è fissa ma è variabile a seconda delle esigenze di servizio” (pag. 10 sentenza).
Nulla poteva essere riconosciuto a titolo di danno da perdita di chance, per non avere potuto l’attore partecipare all’esame per il conseguimento del titolo di Maestro di sci, “perché il superamento di tale esame non può ritenersi certo né altamente probabile: da un lato l’infortunio non ha precluso all’attore la possibilità di sostenere detto esame in epoca successiva alla guarigione; dall’altro la valutazione della Commissione Esaminatrice nell’esame di maestro di sci notoriamente molto difficile e selettivo non può in tal caso prevedersi, trattandosi di valutazione discrezionale” (pag. 10 sentenza).
Nulla poteva essere riconosciuto per le spese di vitto, alloggio e viaggio per la partecipazione al corso di maestro di sci “in quanto da un lato detti esborsi non si ritengono spese inutilmente sopportate, mantenendo detto corso validità nel tempo, e dall’altro non sono provati documentalmente” (pag. 10 sentenza).
In conclusione, tenendo conto delle voci liquidate al 65% in considerazione del concorso di colpa quantificato nel 35%, oltre che di rivalutazione ed interessi sulla somma complessiva devalutata alla data del sinistro, risultava che il Pe. avrebbe avuto diritto di ricevere in tutto Euro 13.993,89 (pag. 13 sentenza), importo interamente coperto dalla somma di Euro 15.000,00 già a suo tempo versata in sede penale, cosicché la domanda avanzata in causa doveva essere integralmente respinta, con soccombenza del Pe. nelle spese processuali nei confronti di tutte le parti convenute e chiamate, non sussistendo peraltro i presupposti per la condanna ex-art. 96 c.p.c., non risultando che la causa fosse stata promossa con malafede o colpa grave.
Con atto di citazione notificato il 19/11/2018, ha proposto appello St.Pe., che chiede la parziale riforma dell’impugnata sentenza sulla base di due motivi: 1) Erroneità nella valutazione delle prove e delle risultanze processuali; violazione dell’art. 113, 115 e 116 c.p.c. e richiesta di riforma dei punti 1) e 2) della sentenza impugnata (1 rigetta le richieste istruttorie delle parti; 2 rigetta le domande attoree)”, motivo suddiviso in cinque paragrafi, aventi ad oggetto il nucleo centrale della controversia; 2) “Erroneità nella valutazione delle prove e delle risultanze processuali; violazione dell’art. 113, 115 e 116 c.p.c. e richiesta di riforma dei punti 3), 4), 5), 6), 7) e 8) sulla condanna alle spese di causa”.
Si sono costituiti tutti i convenuti e le due assicurazioni chiamate, che, eccependo l’inammissibilità dell’appello, ne chiedono comunque il rigetto perché infondato in fatto ed in diritto.
La chiamata He. ha peraltro proposto in subordine appello incidentale.
Concessa la sospensiva con ordinanza in data 12/3/2019, la causa è andata una prima volta in decisione all’udienza 2/7/2019 ed è stata poi rimessa sul ruolo con ordinanza in data 29/10/2019 con la quale, in accoglimento dell’istanza di ordine di esibizione proposta da SI. ed He. Assicurazioni, è stato ordinato ad I.N.A.I.L. e ad Al. S.p.A. di depositare in causa gli atti relativi a versamenti operati a titolo di indennizzo in favore di St.Pe. con riferimento al sinistro de quo.
Nulla ha depositato I.N.A.I.L., mentre Al. S.p.A. ha depositato copia della Polizza infortuni a suo tempo sottoscritta dal Pe., copia della denuncia di infortunio relativa al sinistro avvenuto in Ca. il 24/3/2012 e copia degli atti di liquidazione e quietanza per complessivi Euro 15.178,90 sottoscritti dall’appellante in data 29/1/2013.
Le conclusioni sono state quindi nuovamente rassegnate all’udienza del 14/1/2020, con concessione di termini ridotti per conclusionali (20 giorni) e repliche (20 giorni).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Le eccezioni di inammissibilità dell’appello non paiono fondate, giacché dall’atto di citazione emergono con sufficiente chiarezza quali siano le doglianze che si muovono con riguardo alla sentenza impugnata e le modifiche che a quest’ultima si chiede di apportare.
Ciò detto, occorre premettere, quanto alla posizione della Società Incremento Turistico Ca. S.p.A., che questa parte non ha proposto appello incidentale avverso la sentenza impugnata dal Pe., cosicché l’affermazione della sua responsabilità in ordine al sinistro de quo deve rimanere indubbiamente ferma, non potendosi non rilevare, comunque, che nella comparsa di costituzione e risposta della predetta parte non è contenuta alcuna contestazione in merito a tale affermata responsabilità e la parte medesima si limita, in via principale, a chiedere la conferma dell’impugnata sentenza.
D’altra parte, la SI. di nulla si duole in relazione a quanto motivato dal Tribunale in ordine al contenuto confessorio della e-mail inviata dalla stessa SI. al proprio broker a fini assicurativi, si che, appunto, la posizione della SI. non ha ragion d’essere ulteriormente esaminata, se non con riferimento al quantum, di cui si tratterà in prosieguo. L’adesione manifestata da SI., ma solo in subordine, all’appello incidentale (anch’esso subordinato) proposto dal suo istituto assicuratore He. non assume alcun rilievo, giacché la SI. si è costituita alla prima udienza di comparizione e non nei venti giorni prima della udienza fissata in atto di citazione in appello, cosicché, ove dovesse intendersi la predetta adesione quale appello incidentale, quest’ultimo risulterebbe inammissibile perché proposto fuori termine.
Ciò dunque premesso, si osserva che l’appellante Pe. ha proposto l’impugnazione oltre che nei confronti di SI. (e della sua assicurazione), anche nei confronti di tutti gli altri originari convenuti, dei quali il Tribunale, individuando come unica responsabile la suddetta SI., ha riconosciuto l’estraneità ai fatti: occorre dunque in primo luogo prendere in considerazione la posizione delle predette parti, con riferimento all’an, non senza considerare che comunque, per quanto in prosieguo si osserverà, le domande contro di loro proposte dovrebbero essere comunque rigettate sul quantum e dovendosi premettere che appare del tutto corretto quanto affermato dal Tribunale in ordine alla estraneità delle altre tre parti originariamente convenute, alla luce della ricordata dichiarazione confessoria di SI., che conteneva affermazioni sfavorevoli per la stessa SI. e chiaramente favorevoli sia per il Pe., sia anche per le predette tre altre parti convenute, che venivano sollevate d’ogni possibile loro responsabilità.
Ciò premesso, si osserva, quanto alla posizione del Fallimento F.lli De. S.r.l., che non v’è che da rilevare l’improcedibilità dell’appello, atteso che qualunque domanda di accertamento di crediti, anche derivanti da fatto illecito, nei confronti del fallito è devoluta alla competenza esclusiva del giudice delegato a norma degli artt. 52 e 93 L. F. (Cass. 4/10/2018 n. 24156. Cfr. anche Cass. 1/3/2017 n. 5255; Cass. 22/11/2017 n. 27756; Cass. 8/1/2016 n. 128; Cass. 26/6/2012 n. 10640).
Le spese di causa di questo grado fra questa parte e l’appellante possono essere integralmente compensate, giacché risulta che il Fallimento della F.lli De. S.r.l. fu dichiarato nel corso del primo grado di giudizio (sentenza di fallimento depositata il 12/12/2017: doc. 1 Fall. De.), ma la circostanza non fu dichiarata in causa, benché dopo la sentenza dichiarativa di fallimento si tenessero tre udienze (il 28/2/2018, il 18/4/2018 ed il 20/6/2018), si che il processo non venne formalmente interrotto e proseguì come se il fallimento non fosse intervenuto. Se l’avvenuto fallimento fosse stato dichiarato in causa, verosimilmente la F.lli De. non sarebbe stata citata in questo grado e l’appellante avrebbe potuto seguire ritualmente la procedura di insinuazione al passivo fallimentare: le spese del grado sarebbero state indubbiamente evitabili, ove l’intervenuto fallimento fosse stato diligentemente dichiarato in causa, cosicché si giustifica, appunto, l’integrale compensazione delle spese.
Quanto alla posizione del Direttore dei Lavori Ra.De., fermo quanto osservato in ordine alla sua estraneità ai fatti in forza della confessione resa a terzi dalla SI., non v’è che da rilevare che, anche ipoteticamente ammesso che il tubo sul quale scivolò l’appellante facesse parte del materiale utilizzato nel cantiere allestito a breve distanza dal luogo del sinistro (cantiere relativo a lavori commissionati da SI. alla F.lli De.), tuttavia il Direttore dei Lavori non sarebbe responsabile di alcunché, esulando la questione della custodia del cantiere e dei materiali ad esso riferibili e del rispetto delle norme antinfortunistiche dalle sue specifiche competenze.
Invero, la qualifica di Direttore dei Lavori, com’è pacificamente ritenuto in giurisprudenza, non comporta alcuna assunzione di posizione di garanzia in relazione al rispetto della normativa antinfortunistica, ove non sia dimostrato – e nella specie non è dimostrato – che il Direttore dei Lavori fosse dotato di poteri direttivi ed interdittivi in seno al cantiere o che si fosse comunque ingerito nella organizzazione del cantiere (cfr. Cass. pen. 14/11/2013 n. 1471; Cass. pen. 26/3/2003 n. 49462; Cass. pen. 25/6/1999 n. 12993; Cass. pen. 1/10/1993 n. 11593). Giurisprudenza che parrebbe andare in contrario avviso, ovvero Cass. pen. n. 21205/2012, in motivazione, in realtà, non detta un principio diverso, giacché, pur affermando, in relazione alla fattispecie concreta sottoposta al suo esame, che “il direttore dei lavori, per conto del committente, è si tenuto alla vigilanza sull’esecuzione fedele del capitolato d’appalto, ma proprio in relazione ai poteri di sospensione o interdizione dei lavori in caso di evidenza di pericolosità della organizzazione di cantiere, di violazione delle buone regole dell’arte e di disapplicazione di norme cautelari stabilite a garanzia della salute dei lavoratori o dei terzi, è anch’egli titolare di una posizione di garanzia”, a sostegno di tale assunto richiama espressamente, per condividerli e per fondarvi la propria decisione, i precedenti rappresentati da Cass. pen. 25/6/1999 n. 12993 e Cass. pen. 26/3/2003 n. 49462, ovvero proprio due dei precedenti che si sono più sopra ricordati e che dettano il principio di cui s’è detto, con ciò, dunque, confermando appieno il fatto che il Direttore dei Lavori risponde delle violazioni alla normativa antinfortunistica se ed in quanto sia provato un suo potere di intervento nell’organizzazione del cantiere: prova, nella specie, insussistente (e peraltro neppure dedotta, avendo la parte interessata fondato la propria domanda esclusivamente sulla qualifica rivestita dall’appellato De., dando in sostanza per scontata la sua posizione di garanzia non solo a fini edilizio – urbanistici ed a fini di corretta esecuzione delle opere commissionate da SI., ma anche con riferimento al rispetto delle norme di prevenzione degli infortuni).
L’appello riguardante la posizione del De. deve essere dunque rigettato già in ordine all’an, non prospettandosi quindi comunque nei suoi confronti alcuna questione di quantum (che, come accennato, sarebbe in ogni caso superata per quanto in prosieguo si esporrà).
Quanto alla posizione del Responsabile della Sicurezza del cantiere, Gi.Qu., fermo anche per lui quanto osservato in relazione alla dichiarazione confessoria di SI., sempre ipoteticamente ammesso che il noto tubo fosse riferibile al cantiere di cui s’è detto, risulta tuttavia, in primo luogo, che il sinistro, com’è pacifico, non avvenne entro l’area destinata a cantiere, in relazione alla quale, dunque, il Qu. era responsabile della sicurezza, ma si verificò in luogo poco distante da essa, luogo che, ovviamente, esulava dalle competenze e responsabilità della predetta parte; in secondo luogo, che il Qu. in data 21/3/2012 aveva effettuato un accesso ispettivo al cantiere, dando le opportune disposizioni, anche in ordine al deposito di legname, tubazioni e quant’altro, deposito per il quale era indicata un’apposita area all’interno del cantiere (che avrebbe dovuto essere circondato da recinzione) (cfr. “Verbale della visita in cantiere” in data 21/3/2012, doc. 2 Qu.), si che emerge per tabulas che quanto il Qu. doveva fare ai fini della sicurezza del cantiere era stato fatto, nel senso che, appunto, egli aveva impartito le opportune disposizioni, che stava ovviamente ad altri (in particolare al Capo Cantiere) porre concretamente in essere. Né, d’altra parte, poteva pretendersi che il Qu. fosse presente ogni giorno nel cantiere e se si tiene conto del fatto che l’incidente avvenne il 24/3/2012, a soli tre giorni dalle disposizioni impartite a seguito della visita di cui s’è detto, torna confermato che al Qu. medesimo nulla poteva comunque essere addebitato in relazione alla collocazione del tubo de quo sul prato di proprietà di SI. al margine della strada percorsa dal Pe., sempre, appunto, che tale tubo fosse riferibile al cantiere.
Anche l’appello proposto contro il Qu. deve essere, già in punto di an, rigettato; ciò che porta con sé, ovviamente, anche la posizione di Am., istituto assicuratore del Qu. medesimo (tutto ciò non senza considerare che l’appello deve essere comunque rigettato, come per tutti gli altri interessati, anche in punto di quantum, per la ragioni che più sotto si esporranno).
Venendo dunque all’esame dell’appello proposto da St.Pe. in ordine al quantum (questione che riguarda essenzialmente SI. e la sua assicurazione, ma che in definitiva, come accennato, finisce per riguardare anche tutti gli altri appellati), premesso che i cinque paragrafi in cui si articola il motivo sub 1), in quanto strettamente connessi, possono essere esaminati in unico contesto, deve in primo luogo osservarsi che non sussiste contestazione alcuna in ordine alle risultanze della C.T.U. ed in particolare in relazione all’accertata percentuale invalidante ed in relazione ai periodi di temporanea; né, per il vero, alcuna doglianza è stata proposta con riferimento alla quantificazione delle spese mediche operata dal Tribunale sulla base di quanto accertato dal C.T.U. (benché, infatti, l’appellante chieda per questa voce, in sede di conclusioni, la liquidazione dell’importo originariamente fatto valere, ovvero Euro 3.879,67, nulla espone a confutazione di quanto motivato dal primo giudice a giustificazione della riduttiva liquidazione operata: cfr. pag. 10 sentenza).
L’appello si incentra in sostanza nella richiesta di liquidazione dei danni secondo i criteri previsti dalle Tabelle in uso presso il Tribunale di Milano per il 2018; nella richiesta di liquidazione di un importo assai superiore per danno morale (importo in pratica pari alla somma già versata in sede penale); nella domanda di riconoscimento del danno da mancato guadagno, per non avere potuto prestare lavoro straordinario nel periodo di inabilità temporanea; nella richiesta di riconoscimento del danno per perdita di chance per non avere potuto partecipare all’esame per il conseguimento della qualifica di Maestro di sci e nel riconoscimento delle spese di viaggio e di albergo a suo dire inutilmente sostenute per la frequenza del relativo corso di istruzione. Il tutto, peraltro, escludendosi il concorso di colpa di esso appellante, a suo dire ingiustamente fissato dal primo giudice nel 35% (ciò che dovrebbe comportare l’accoglimento della domanda, pur tenendosi conto delle somme già prima del giudizio introitate: sul punto infra).
E’ da osservare che, sulla base delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano per il 2018, il danno non patrimoniale da inabilità permanente nella misura del 4%, quale riportata dall’appellante, in persona di quarantasette anni di età (qual era il Pe. all’epoca del fatto) è effettivamente liquidabile nella misura di Euro 5.406,00, così come espressamente richiesto dall’appellante, che non chiede peraltro alcun aumento per personalizzazione, nulla comunque deducendo ed illustrando sul punto.
Quanto alla temporanea, le predette tabelle prevedono la liquidazione di Euro 98,00 per ogni giorno di totale, importo aumentabile del 50%. In concreto il Tribunale ha posto a base del calcolo l’importo di Euro 120,50, sul quale per il vero l’appellante non deduce alcunché, non contestandone, dunque, la congruità; congruità, d’altra parte, evidente, attesa la lievità della lesione che comportò l’inabilità. Considerando, quindi, l’importo base sopra indicato, risulta per quattro giorni di inabilità al 100% la somma dovuta è pari ad Euro 482,00; per 68 giorni al 75% Euro 6.145,50; per 35 giorni al 50% Euro 2.108,75; per 35 giorni al 25% Euro 1.054,37, così in totale Euro 9.790,62.
Quanto alle spese mediche, s’è detto che deve rimanere fermo l’importo riconosciuto come dovuto dal Tribunale, che, come visto, non è oggetto di specifica doglianza. Occorre, però, precisare che l’importo in concreto liquidato dal Tribunale, ovvero Euro 1.061,11, è quello pari al 65% del dovuto, considerandosi il concorso di colpa nella misura del 35%, mentre qui occorre individuare la somma dovuta al 100%, quale risultante dai singoli importi riconosciuti dal Tribunale (pp. 9-10 sentenza), somma pari ad Euro 1.632,47.
In ordine al danno morale (o sofferenza soggettiva da reato), liquidato dal Tribunale nell’importo di Euro 2.453,36 (in concreto quale aumento percentuale per personalizzazione sulla liquidazione tabellare), si osserva che la sussistenza del danno stesso non è oggetto di specifica contestazione da parte di alcuno, cosicché il suo riconoscimento deve rimanere fermo, non potendosi non osservare, però, che la liquidazione in concreto operata in primo grado appare riduttiva, cosicché, tenuto conto del fatto che il lungo periodo di inabilità (anche se in massima parte solo parziale e per l’ultimo periodo di 35 giorni in percentuale ridottissima) costituì certamente motivo di non lieve sofferenza, attese le limitazioni alla vita quotidiana imposte dalla malattia, per questa voce appare equa la liquidazione di Euro 5.000,00 in moneta attuale, apparendo decisamente sproporzionata la liquidazione proposta dall’appellante ( Euro 15.000,00).
L’appellante lamenta pure l’omesso riconoscimento del danno da mancato guadagno, non avendo potuto espletare per il periodo complessivo di inabilità (asseriti sette mesi in tutto, in realtà circa cinque mesi) il servizio straordinario, che a suo dire comportava un introito medio mensile di Euro 350,00, come da prospetti-paga depositati. E’ da dire al riguardo che, se è ben vero che, come affermato dal Tribunale, quella per “straordinario” costituisce voce stipendiale solo eventuale, è vero anche che i prospetti depositati dimostrano che almeno in alcuni dei mesi degli anni precedenti e di quello stesso anno (2012), somme per lavoro straordinario erano state in effetti erogate all’appellante, si che v’è fondato motivo per ritenere che, ove non fosse intervenuto il sinistro de quo, l’appellante avrebbe certamente potuto espletare tale servizio anche nei mesi di forzata inabilità, con conseguente introito. Tuttavia, l’importo medio indicato in Euro 350,00 mensili non può essere preso in considerazione, non fosse altro perché l’appellante, lungi dal depositare tutti i prospetti stipendiali utili, si è limitato a produrre quello del mese di Dicembre 2011 nel quale lo straordinario fu liquidato in Euro 372,47;
per il 2012 ha depositato i prospetti di Gennaio (Euro 231,53), Febbraio (Euro 262,33), Marzo (Euro 201,36), Aprile (Euro 149,15), Ottobre (Euro 41,52), Novembre (Euro 311,62) e Dicembre (Euro 322,64): ciò che comporta una media mensile di Euro 270,40 circa, pur considerando i mesi di Aprile ed Ottobre 2012 come un solo mese, tenuto conto che nel mese di Marzo di verificò l’incidente de quo, che negli ultimi giorni del mese incise certamente sull’espletamento del servizio straordinario da liquidarsi nel mese successivo (in aprile fu infatti liquidato l’importo di Euro 149,15, inferiore alla media), mentre alla ripresa del servizio nel mese di Settembre lo straordinario fu eseguito solo in minima parte, tanto che in Ottobre fu liquidata la somma di soli Euro 41,52. L’appellante ha prodotto anche alcuni prospetti relativi al 2013 (Febbraio, Aprile, Maggio, Giugno e Luglio), per complessivi Euro 1.464,67, che comportano una media mensile di Euro 293,00 circa, ciò che conferma come l’importo medio mensile per straordinari fosse di certo inferiore a quello prospettato dall’appellante, attestandosi esso fra i 270,40 circa ed i 293,00 Euro, con media di Euro 282,00 circa.
Per questa voce può dunque riconoscersi l’importo complessivo di Euro 1.410,00, considerandosi l’importo medio mensile di Euro 282,00 solo per i cinque mesi in cui lo straordinario non fu effettuato, giacché i prospetti depositati dimostrano che già in settembre 2012 l’appellante era rientrato in servizio, prestando anche, sia pur parzialmente, lavoro straordinario (peraltro la inabilità temporanea fu incontestatamente pari a 142 giorni, pari a poco meno di cinque mesi, si che torna confermato come non possa essere liquidata la voce de qua per un periodo superiore ai cinque mesi).
Considerandosi dunque tutte le suesposte voci ed i relativi importi, la somma complessiva da riconoscersi in favore dell’appellante sarebbe stata pari, al 100%, in moneta attuale, ad Euro 23.530,38 (rivalutati ad oggi nella misura del 1,006% gli importi tabellari sopra indicati espressi in moneta 2018 corrispondenti ad attuali Euro 15.349,49, e rivalutando del 4,55%, con calcolo senz’altro più favorevole per l’appellante, dalla data del sinistro gli importi per spese mediche, attuali Euro 1.706,74, e straordinari, attuali Euro 1.474,15) importo, anche volendo considerare interessi legali e rivalutazione sulla somma devalutata con decorrenza dalla data del sinistro, totalmente coperto dalle somme introitate dall’appellante prima del giudizio per complessivi Euro 30.178,90, ovvero Euro 15.000,00 versati da SI. in sede penale prima del 20/11/2014 (cfr. Sentenza 20/11/2014 Giudice di Pace di (…), doc. 3 Fall. De.) ed Euro 15.178,90 corrisposti da Al. Assicurazioni il 29/1/2013, come da documentazione da quest’ultima versata in causa a seguito di ordine di esibizione emesso da questa Corte con ordinanza 29/10/2019. Irrilevante è il fatto che Al. abbia versato l’indicata somma sulla base di polizza infortuni con la stessa stipulata dall’appellante, posto che “l’assicurazione contro gli infortuni non mortali costituisce un’assicurazione contro i danni ed è soggetta al principio indennitario, in virtù del quale l’indennizzo non può mai eccedere il danno effettivamente patito. Ne consegue che il risarcimento dovuto alla vittima di lesioni personali deve essere diminuito dell’importo percepito a titolo di indennizzo da parte del proprio assicuratore privato contro gli infortuni” (Cass. 11/6/2014 n. 13233; Cass. S.U. 22/5/2018 n. 12565. Cfr. anche Cass. 4/3/2019 n. 6269).
Per completezza, è bene precisare che al 20/11/2014, data che si prende a riferimento in relazione al versamento della somma di Euro 15.000,00, l’importo complessivamente dovuto al Pe. per capitale, rivalutazione ed interessi era pari in totale da Euro 24.097,34, essendo il capitale devalutato al 24/3/2012 pari ad Euro 22.495,04 (indice di devalutazione 0,956 essendo l’indice attuale 102,7 e quello del marzo 2012 105,2, con indice di raccordo 1,071), cosicché è più che evidente che i versamenti avvenuti il 29/1/2013 per Euro 15.178,90 ed appunto il 20/11/2014 per Euro 15.000,00 coprirono più che ampiamente, per intero e con un eccesso di oltre 6.000,00 Euro, gli importi dovuti all’appellante.
Occorre altresì precisare, quanto al danno morale, che anche volendo liquidare lo stesso con il medesimo criterio seguito dal Tribunale (aumento di un quarto sul danno tabellare) la questione non muterebbe affatto, risultando l’importo liquidabile con tale criterio inferiore a quello qui riconosciuto (la somma sarebbe infatti pari ad Euro 3.799,15). Ma anche volendo applicare la percentuale massima prevista dalle tabelle (50%) l’importo astrattamente liquidabile sarebbe pari ad Euro 7.598,31, che a sua volta, pur superiore a quello qui ritenuto congruo, non assumerebbe concreto rilievo per ciò che in questa sede interessa, restando comunque l’importo globale liquidabile assai al di sotto della somma complessiva già introitata dall’appellante prima dell’introduzione della causa.
Infondato è il rilievo dell’appellante, secondo il quale la somma versata in sede penale nel Novembre 2014 avrebbe coperto unicamente il danno morale: la somma fu versata a titolo di condotta riparatoria, senza alcuna specifica imputazione, cosicché della stessa deve tenersi conto con riferimento a tutti i danni fatti valere dall’appellante medesimo (il quale, se i quindicimila Euro versatigli in sede penale fossero da imputare al solo danno morale, sarebbe allora esposto alla restituzione di diecimila Euro ricevuti in più per tale voce, ed i termini della questione nella sostanza non muterebbero).
Nulla più è dunque dovuto all’appellante, e ciò tanto più considerando un concorso colposo dell’appellante medesimo nella misura che può fissarsi nel 10% (eccessivo parendo il 35% stimato dal primo giudice), giacché, pur se, stando almeno alle fotografie in atti scattate dai Carabinieri intervenuti sul posto a tre giorni dal fatto, i tubi sui quali scivolò l’appellante non si trovavano in mezzo al prato, ma a distanza di pochi centimetri dal ciglio della strada, è vero anche che, data la scarsa o nulla illuminazione che caratterizzava il luogo, ordinaria prudenza avrebbe voluto che l’appellante si mantenesse entro i margini della strada e non superasse questi ultimi sia pur di poco, atteso che era ben possibile incontrare al di fuori del tracciato della strada ostacoli o buche non visibili e, così, esporsi al rischio di infortunarsi. Il risarcimento effettivamente dovuto all’appellante sarebbe dunque in concreto, in attualità, pari ad Euro 21.177,34, si che, appunto, a maggior ragione le legittime pretese dell’appellante medesimo hanno già trovato piena soddisfazione ancor prima dell’instaurazione dell’odierno giudizio.
In definitiva, peraltro, vuoi che si ritenga il concorso di colpa nella misura indicata, vuoi che si escluda tale concorso, i termini della questione non mutano, essendo stato il danno comunque ristorato nella sua totalità.
L’appellante, però, come visto, lamenta anche un danno da perdita di chance (danno da lui quantificato in 5.000,00 euro), per non aver potuto partecipare all’esame per il conseguimento del titolo di maestro di sci e si duole del fatto che questa voce sia stata dal primo giudice esclusa.
Al riguardo, si osserva che il danno da perdita di chance “non consiste nella perdita di un vantaggio economico ma nella perdita della concreta possibilità di conseguirlo e deve essere provato dal…danneggiato, anche in via presuntiva, in termini di “possibilità perduta” la quale, oltre a rispondere ai parametri di apprezzabilità, serietà e consistenza, va accertata nell’an…sulla base del criterio del ‘più probabile che non’ e stimata nel quantum con valutazione equitativa” (Cass. 20/11/2018 n. 29829. Cfr. anche, sulla nozione di “perdita di chance”, Cass. 11/12/2003 n. 18945; Cass. 28/1/2005 n. 1752; Cass. 6/8/2007 n. 17176; Cass. 20/6/2008 n. 16877; Cass. 12/8/2008 n. 21544; Cass. 14/3/2017 n. 6488).
Nella specie, il Tribunale ha già condivisibilmente osservato che, al di là del fatto che l’esame avrebbe potuto essere sostenuto anche in un secondo momento, non poteva comunque affermarsi con una qualche seria attendibilità che l’appellante avrebbe potuto davvero superare l’esame stesso, dipendendo ciò da una molteplicità di incognite, prime fra le quali le valutazioni proprie di chi avrebbe dovuto giudicare la prova dell’appellante medesimo (ciò che rende superfluo l’audizione come testi dei compagni di corso del Pe., i quali, riferendo delle qualità tecniche dell’appellante, esporrebbero giudizi e pur sempre loro soggettive valutazioni, non necessariamente coincidenti con quelle della commissione esaminatrice). In concreto, non vi sono elementi per poter affermare, sia pure con il criterio del “più probabile che non”, che l’appellante avrebbe avuto serie e consistenti probabilità di superare l’esame, peraltro notoriamente difficile ed assai selettivo anche per candidati ben più giovani del Pe..
Ma oltre a ciò, è da rilevare che l’appellante non ha in alcun modo dedotto se ed in qual modo l’eventuale conseguimento del titolo di maestro di sci si sarebbe risolto per lui in un vantaggio economicamente valutabile, se, ad esempio, tale titolo gli avrebbe consentito un avanzamento di carriera (egli era appartenente all’Arma dei Carabinieri) o se avrebbe comunque per lui determinato ulteriori introiti (e, se del caso, in quale approssimativa misura), cosicché, non solo non può affermarsi che la mancata partecipazione all’esame costituisse una perdita di chance nel senso precisato dalla menzionata giurisprudenza, ma neppure esiste in concreto alcun parametro cui eventualmente ancorare una ipotetica liquidazione, sia pure equitativa; liquidazione che risulterebbe, quindi, del tutto arbitraria nel difetto di alcun legame con elementi oggettivi che ragionevolmente potessero giustificarla.
Quanto alle spese asseritamente sostenute per partecipare al corso di preparazione all’esame di maestro di sci, spese, dunque, che sarebbero state inutilmente sostenute non avendo potuto l’appellante partecipare all’esame conclusivo, deve in primo luogo osservarsi che le spese stesse non sono state comunque inutilmente affrontate, giacché l’appellante, secondo quanto da lui riferito, ha regolarmente partecipato al corso, apprendendo gli elementi necessari, che restano dunque acquisiti al suo bagaglio tecnico (e che dovrebbero consentirgli di affrontare l’esame in un secondo momento).
In secondo luogo, è da sottolineare che, come dallo stesso Pe. dedotto, il corso de quo era indetto dalla Regione Campania e si tenne, dunque, fuori dalla Regione Trentino-Alto Adige, luogo di residenza e di lavoro del Pe. medesimo (che risiede in (…) e che all’epoca era Comandante il Nucleo Operativo Radiomobile Carabinieri di (…)), laddove le spese stesse non sarebbero state sostenute ove l’appellante avesse partecipato a corsi indetti in Trentino-Alto Adige, corsi che in questa Regione vengono regolarmente tenuti: le spese sostenute, dunque, non furono certamente necessarie, ma furono conseguenza di una libera scelta del Pe., che bene avrebbe potuto ottenere i medesimi risultati senza esporsi agli esborsi de quibus.
Per di più, come risulta dai capitoli di prova dedotti, il Pe. si sarebbe recato ed avrebbe soggiornato in più luoghi, che, però, non è dato sapere quale connessione avessero con il luogo di svolgimento del corso indetto dalla Regione Campania, corso che è dato presumere – in difetto peraltro di diversa indicazione da parte dello stesso Pe. – si svolgesse in Campania e in zone limitrofe, mentre vengono esposte spese sostenute per viaggi e soggiorni anche al Passo dello Stelvio in Alto Adige (capp. 33 e 34), al Passo Tonale in Trentino/Lombardia (capp. 35 e 36), a Bormio in Lombardia (capp. 37 e 38), al Sestriere in Piemonte (capp. 39 e 40) e all’Abetone in Toscana (capp. 43 e 44), si che dagli importi dedotti dovrebbero essere comunque detratti quelli appena indicati, che non paiono giustificati.
In definitiva, nulla è dovuto per le voci riguardanti l’esame di maestro di sci ed il relativo corso, ed in ogni caso gli eventuali importi riconoscibili per spese di viaggio e soggiorno dovrebbero essere congruamente ridotti rispetto alle richieste dell’appellante, oltre che decurtati del 10%, si che in definitiva nulla cambierebbe per ciò che qui specificamente interessa.
Da quanto detto consegue, dunque, che, pur rettificate alcune voci e pur riconosciuta la voce relativa al lavoro straordinario, peraltro nella ridotta misura indicata, l’appello non può essere accolto, risultando che in ogni caso il Pe. ha complessivamente ricevuto, a titolo di risarcimento e di indennizzo, assai più di quanto a lui complessivamente liquidabile in questa sede.
Quanto alle richieste istruttorie, deve osservarsi che le stesse non parrebbero essere state formulate formalmente in sede di conclusioni, nelle quali ultime, appunto, non v’è cenno di richieste istruttorie; tuttavia può considerarsi che le stesse siano state effettivamente articolate, posto che nel contesto dell’appello ad esse ci si riferisce in più punti (sia pure talora genericamente). Ciò detto, le richieste stesse non hanno ragion d’essere accolte, posto che la dinamica del sinistro è più che sufficientemente chiara e, anche in ipotesi ammesso che il tubo sul quale scivolò l’appellante non si trovasse oltre il margine della strada, ma ai limiti di esso, e si dovesse escludere il concorso di colpa dell’appellante medesimo, le conclusioni da raggiungere in questa sede, per quanto sopra esposto, non muterebbero, risultando in ogni caso che l’appellante aveva già ricevuto più di quanto a lui liquidabile anche considerando la responsabilità di SI. al 100%.
Quanto alle richieste relative al corso di maestro di sci ed al relativo esame, s’è già rilevato che i colleghi di corso dell’appellante non avrebbero certamente potuto supplire con le loro valutazioni quelle proprie della Commissione esaminatrice (ciò non senza considerare che in ogni caso difettano i presupposti per il riconoscimento del danno da perdita di chance e, comunque, per la sua eventuale liquidazione). In ordine ad altri capitoli di prova, gli stessi sono del tutto superflui, non essendo contestate le risultanze della C.T.U., mentre con riferimento alla asserita responsabilità anche di altri appellati, l’eventuale istruttoria risulterebbe comunque inutile, atteso che le domande proposte dal Pe. devono essere rigettate comunque in ordine al quantum.
Quanto alle spese di primo grado, che costituiscono per l’appellante voce complessivamente assai gravosa e delle quali si tratta nel motivo di impugnazione sub 2), deve osservarsi che non è stato in realtà proposto appello autonomo, giacché l’appellante si limita a chiedere la riforma della sentenza in punto di spese quale conseguenza della auspicata riforma nel merito (“…ritenuta..d’erroneità della decisione in punto risarcibilità delle diverse poste di danno, la sentenza andrà riformata anche in punto spese…”: pag. 26 appello).
L’appellante lamenta peraltro che erroneamente il Tribunale gli abbia rimproverato di non avere aderito alla proposta conciliativa dallo stesso giudice formulata, giacché la proposta stessa, a dire dell’appellante, non fu accettata in quanto l’appellante medesimo era “persona…conscia di avere subito dei danni gravi e rilevanti alla persona”, che non poteva quindi aderire “ad una richiesta di abbandonare il giudizio a spese compensate” (pag. 26 appello). Ma sul punto è da osservare che in ogni caso la condanna dell’attore alla rifusione delle spese processuali si fondava sul principio della soccombenza ex-art. 91 c.p.c. (“…venendo le domande proposte dall’attore nei confronti di tutti i convenuti rigettate integralmente…ecc.”: pag. 13 sentenza), mentre l’osservazione circa la mancata accettazione della proposta conciliativa stava solo a sottolineare come a maggior ragione la condanna alle spese fosse dovuta, essendo la causa proseguita immotivatamente. A ciò può aggiungersi l’osservazione che la causa non avrebbe dovuto essere neppure iniziata, giacché, com’è risultato chiaro in questa sede di appello (avendo l’appellante sempre taciuto di avere ricevuto indennizzo anche da parte della propria assicurazione contro gli infortuni), il Pe. aveva già ricevuto prima di promuovere la causa complessivamente oltre trentamila Euro, somma integralmente più che satisfattiva, anche volendo escludere il suo concorso di colpa. Non v’è dunque ragione per addivenire ad una riforma dell’impugnata sentenza in punto spese.
Il rigetto integrale dell’appello rende superfluo l’esame dell’appello incidentale subordinato proposto da He. assicurazioni.
Quanto alle spese del grado, si osserva che, compensate per le ragioni già esposte quelle fra l’appellante ed il Fallimento F.lli De., le altre non possono che essere poste a totale carico dell’appellante, pienamente soccombente nei confronti di tutti gli altri appellati. Il carico delle spese deve riguardare anche gli istituti assicurativi, atteso che il loro coinvolgimento anche in questo grado è stato determinato dall’impugnativa proposta dallo stesso Pe. (che peraltro ha anche svolto domanda diretta contro He.), mentre le chiamate in causa da parte degli appellati SI. e Qu. non sono state certamente avventate o pretestuose.
Si opera la liquidazione nei limiti minimi dei valori dello scaglione 5.200,01-26.000,00 Euro (alla luce dell’importo riconosciuto come effettivamente eventualmente dovuto al Pe.), tenuto conto che le questioni agitate in appello sono state in sostanza le stesse affrontate in primo grado, si che può presumersi che l’impegno professionale per i procuratori degli appellati sia stato piuttosto contenuto.
Dal rigetto della impugnazione consegue la sussistenza dei presupposti, nei confronti dell’appellante, per il versamento di un ulteriore importo per contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta ex-art. 13 comma 1 quater.
P.Q.M.
la Corte
definitivamente pronunciando dichiara improcedibile l’appello proposto da Pe.St. nei confronti del Fallimento F.lli De. S.r.l. e rigetta quello da lui proposto nei confronti di SI. Società Incremento Turistico Ca. S.p.A., Am. S.p.A., De.Ra., He. SA e Qu.Gi. avverso la sentenza n. 947/18 in data 13-19/10/2018 del Tribunale di Trento.
Dichiara interamente compensate le spese del grado fra l’appellante ed il Fallimento F.lli De.; condanna l’appellante a rifondere agli altri appellati le spese del grado che liquida, per ciascuno, in complessivi Euro 2.415,00, oltre 15% rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.
Dichiara che sussistono nei confronti di Pe.St. i presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione proposta ex-art. 13 comma 1 quater D.P.R. 30/5/2002 n. 115.
Così deciso in Trento il 3 marzo 2020.
Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2020.