In tema di giudizio relativo al risarcimento del danno da emotrasfusioni, promosso dal danneggiato contro il Ministero della Salute, l’accertamento della riconducibilita’ del contagio ad una emotrasfusione compiuto dalla Commissione di cui al Decreto Legislativo n. 210 del 1992, articolo 4 ed in base al quale e’ stato riconosciuto l’indennizzo ai sensi di detta legge, non puo’ essere messo in discussione dal Ministero quanto alla riconducibilita’ del contagio alla trasfusione o alle trasfusioni individuate come causative del contagio ed il giudice deve ritenere detto fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, in quanto, essendo la Commissione organo dello Stato, l’accertamento e’ da ritenere imputabile allo stesso Ministero.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 15 giugno 2018, n. 15734
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18202-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS) in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e’ difeso per legge;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 557/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/10/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;
RILEVATO
che:
1. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione contro il Ministero della Salute avverso la sentenza del 3 febbraio 2015, con la quale la Corte d’Appello di Napoli, in accoglimento dell’appello del Ministero e in riforma della sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Napoli nel giugno del 2012 nel giudizio introdotto da (OMISSIS), cui era subentrato il ricorrente in riassunzione a seguito del suo decesso, ha rigettato la domanda – accolta invece dal Tribunale – con cui, nel (OMISSIS), il de cuius aveva adito il Ministero e la Clinica (OMISSIS) (nei cui confronti poi la domanda veniva rinunciata dal qui ricorrente), per ottenere il risarcimento dei danni sofferti per aver riportato contagio di epatite C, a seguito di una trasfusione di sangue infetto praticatagli presso la detta clinica in occasione di un intervento chirurgico eseguito il (OMISSIS).
2. Al ricorso ha resistito con controricorso il Ministero.
3. La trattazione del ricorso e’ stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., n. 1, e non sono state depositate conclusioni scritte dal Pubblico Ministero, ne’ memorie.
CONSIDERATO
che:
1. Il Collegio preliminarmente rileva che nella struttura del ricorso, che prospetta tre motivi, si coglie, nell’ambito dell’esposizione del fatto, a partire dalla pagina 3 e sino alla meta’ della pagina 5 un’ampia attivita’ di riproduzione indiretta del contenuto della sentenza impugnata quanto all’accoglimento dei motivi di appello che porto’ la corte napoletana a ribaltare l’esito della decisione di primo grado.
Ne deriva che di tale riproduzione deve tenersi conto nello scrutinio dei tre motivi, nei quali la motivazione della sentenza di appello sottoposta a critica non viene evocata direttamente, ma, tuttavia, risulta percepibile leggendo le argomentazioni dei motivi sulla base di quanto nell’esposizione del fatto si e’ ampiamente riprodotto in via indiretta.
2. Con un primo motivo di ricorso si deduce “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” e, successivamente, dopo lo svolgimento di argomentazioni critiche anche “errores in iudicando: violazione di norme di diritto: articoli 24, 111, 32 Cost.”.
Le argomentazioni svolte nell’illustrazione, pur non evocandola, si correlano chiaramente alla ratio decidendi della sentenza espressa dalla corte partenopea con l’accoglimento del secondo motivo di appello: cio’, alla luce di quanto nell’esposizione del fatto del ricorso si e’ riferito aver deciso la sentenza impugnata a giustificazione dell’accoglimento del detto motivo di gravame del Ministero (ultime nove righe della pagina 3 del ricorso e prime tre righe della pagina 4).
2.1. La motivazione criticata e’ stata nella sentenza impugnata del seguente tenore:
“Col secondo motivo l’appellante censura la sentenza nella parte in cui il primo giudice ha ravvisato la condotta colposa del Ministero nel fatto che, pur avendo l’obbligo giuridico di controllare che il sangue utilizzato per l’emotrasfusione fosse immune dal virus HBV e che i donatori non presentassero alterazioni alle transaminasi, non eseguiva nessun tipo di controllo, ne’ dava attuazione alle prescrizioni di legge, ne’ vigilava sui centri trasfusionali, dimenticando che i fatti oggetto di causa sono riferiti ad un’epoca nella quale (1991) il Ministero della Salute aveva fornito alle Regioni ed alle strutture del SSN tutte le indicazioni e direttive necessarie per stabilire i protocolli medici in materia di utilizzazione del sangue per emotrasfusioni, assolvendo ai compiti assegnatigli dalla legge: fatto, questo, costituente un’oggettiva delimitazione temporale della responsabilita’ civile fondata sull’omissione, da parte del Ministero della Salute, di attivita’ funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l’ordinamento attribuisce il potere (qui concernente la tutela della salute pubblica). La censura e’ fondata posto che, all’epoca della trasfusione subita dal (OMISSIS), erano state gia’ emanate disposizioni legislative concernenti, per l’appunto, le attivita’ trasfusionali e i protocolli per l’accertamento della idoneita’ dei donatori di sangue e di emoderivati. In particolare, vanno qui ricordati la L. 4 maggio 1990, n. 107, il Decreto Ministeriale 21 luglio 1990, il Decreto Ministeriale 15 gennaio 1991 sulla disciplina per le attivita’ trasfusionali e per la produzione di plasmaderivati, per le misure dettate per escludere il rischio di infezioni epatiche da trasfusioni: sicche’ e’ da escludere la colpa del Ministero che, all’epoca della trasfusione in oggetto, aveva gia’ fornito tutte le indicazioni e direttive necessarie, con cio’ assolvendo ai suoi obblighi istituzionali di tutela della salute pubblica. La speciale normativa richiamata, invero, ha dettato linee-guida per il sistema emotrasfusionale italiano che risulta conforme ed in linea con gli standard internazionali; i test in uso sui donatori di sangue gia’ nel 1991 – secondo le direttive impartite dal Ministero della Salute erano gli stessi utilizzati in altri Paesi tecnologicamente avanzati. L’epoca del supposto contagio, quindi, ponendosi in un momento successivo alla scoperta scientifica del virus HCV (risalente agli anni 1988-1989) ed allorche’ i controlli sierologici erano stati resi obbligatori in Italia dal Decreto Ministeriale 21 luglio 1990, porta ad escludere omissioni colpose del Ministero in ordine alla mancata emanazione di direttive sulle modalita’ di donazione di sangue ed emoderivati, giacche’ proprio il citato decreto ha prescritto che i servizi di immunoematologia e trasfusione ed i centri trasfusionali previsti dalla L. n. 107 del 1990 (nell’ambito delle funzioni loro attribuite) hanno l’obbligo di effettuare su ogni singola unita’ di sangue e di plasma donato, oltre alla ricerca dell’antigene di superficie del virus dell’epatite B e degli anticorpi HIV – gia’ prevista da precedenti disposizioni -, anche la ricerca degli anticorpi anti HCV per il virus dell’epatite C e di verificare la determinazione del livello di ALT alaminanotrasferasi. Inoltre, lo stesso Decreto Ministeriale ha introdotto ed applicato misure dirette ad osservare precise modalita’ per la donazione di sangue ed emoderivati, mentre con il Decreto Ministeriale 27 dicembre 1990 sono stati introdotti i protocolli per lo svolgimento delle procedure di accertamento dell’idoneita’ dei donatori di sangue ed emoderivati. Deve, pertanto, escludersi la sussistenza di presupposti giuridici autonomi nelle ipotesi ai omissioni produttive di danni in soggetti assistiti dal SSN, ne’ possono richiamarsi – a sostegno della responsabilita’ del Ministero – compiti residuali di supervisione posto che quanto piu’ e’ elevato, nella gerarchia amministrativa, l’organo o l’apparato vigilante tanto piu’ generale e complessa e’ l’attivita’ oggetto di vigilanza che viene ad essere controllata nelle sue linee di fondo, soprattutto quando lo Stato ha, da un canto, esercitato il dovere di controllo e vigilanza complessiva attraverso l’emanazione di direttive e di norme, non potendosi attribuire ad esso anche un dovere di vigilanza quotidiana su tutte le strutture ed attivita’ mediche della nazione e, dall’altro, ha rimesso ad altri enti il controllo di qualita’ sui prodotti.”.
2.2. Il Collegio osserva che il motivo, la’ dove evoca il paradigma non piu’ vigente dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 in realta’ non trova corrispondenza nella illustrazione, la quale si articola in buona sostanza con argomentazioni in iure tendenti ad evidenziare che erroneamente e’ stata disattesa la responsabilita’ del Ministero. Tali argomentazioni colgono nel segno, al di la’ dell’evocazione dei parametri normativi indicati, la’ dove, al punto 2. della pagina 6 si sostiene che “il Ministero della Salute, nel caso in esame, e’ responsabile per comportamento omissivo in ordine ai suoi doveri istituzionali (oltre all’omissione di programmazione, indirizzo, coordinamento, sorveglianza e vigilanza in materia e di controllo e vigilanza nella produzione, commercializzazione e distribuzione del sangue) e cio’ indipendentemente dall’eventuale concorso di responsabilita’”.
2.2. La critica alla motivazione coglie nel segno con riferimento al profilo della responsabilita’ addebitabile all’autorita’ statale sotto il profilo della vigilanza sul settore della disciplina delle attivita’ trasfusionali a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 107 del 1990. Fermo che dalle norme di quella legge emergeva senza dubbio l’esistenza del potere statuale di vigilanza sull’intero settore, come si desumeva dalla norma dell’articolo 8, comma 4, in ordine al potere di coordinamento dell’Istituto Superiore della Sanita’, che necessariamente implicava controllo e, dunque vigilanza, dai compiti ad esso assegnati dall’articolo 9, lettera a), lettera d) e lettera e), e, in generale dalle previsioni di poteri ministeriali negli articoli 9, 10, 11 e 12, si deve rilevare che rappresenta motivazione erronea in iure quella con cui, senza considerare la specificita’ emergente da tali previsioni, la corte partenopea, contraddicendo la stessa logica della funzione di vigilanza, che e’ permanente, ha affermato che il dovere di controllo e vigilanza si era esaurito attraverso l’emanazione di quelle che chiama direttive, mentre e’ di tutta evidenza che esso, i forza del testo normativo richiamato, era appunto permanente e non poteva, del resto, che comportare anche il controllo su quelli che anodinamente la corte indica come enti che erano stati destinati all’attivita’ di controllo.
In questa logica, in relazione ad eventi di contagio verificatisi pur nel regime della L. n. 107 del 1990 e vigente il Decreto Ministeriale 21 luglio 1990 emanato sulla base della legge, la posizione permanente di controllore e vigilante dell’autorita’ statale sulla salute, ora individuata nel ministero resistente, e’ piu’ che sufficiente ad individuare il titolo di responsabilita’ a nulla rilevando del resto il rilievo della impossibilita’ di esigere la quotidianita’ del controllo e della vigilanza. E’ indubbio, infatti, che, pur nella impossibilita’ di pretendere tale quotidianita’ la posizione del Ministero, di fronte a fatti di contagio manifestatisi dopo la citata legge, esigeva, in ossequio alla posizione di vicinanza alla prova dello svolgimento della sua attivita’ di controllo e di vigilanza, una puntuale dimostrazione delle modalita’ di espletamento dell’uno e dell’altro.
La corte partenopea lo ha negato e tanto giustifica la cassazione della sentenza sul punto.
La corte di rinvio si asterra’, dunque, dall’escludere, in mancanza di precisi riscontri probatori sull’adempimento del dovere di vigilanza e controllo, la responsabilita’ del Ministero.
D’altro canto, gia’ in altra occasione e’ stata disattesa la postulazione dell’odierno Ministero tendente ad escludere la propria responsabilita’ dopo la L. n. 107 del 1990 con un ragionamento simile a quello svolto dalla sentenza qui impugnata.
Cass. n. 22045 del 2017 si e’ infatti cosi’ espressa, decidendo altro ricorso: “Entrambi i motivi, che pongono la stessa questione, sono – al di la’ della loro postulazione del tutto generica, per cui, emanate dallo Stato centrale disposizioni frutto di decentramento delle funzioni, automaticamente la sfera dell’agire della P.A. nelle articolazioni destinatarie del decentramento resti sottratta all’ingerenza statale e, quindi, all’operare del neminem laedere riguardo allo Stato (…) palesemente infondati, atteso che del tutto erroneamente attribuiscono alla L. n. 107 del 1990 il significato di sottrarre la posizione del Ministero al dovere di vigilanza, giustificativo della sua responsabilita’: e’ sufficiente osservare che le stesse sentenze del 2008 delle Sezioni Unite affermarono che “anche prima” di quella legge sussisteva quel dovere, cosi’ implicitamente reputando indiscutibile che esso – come, del resto si sosteneva per escludere la responsabilita’ dello Stato per essere le vicende anteriori – venne confermato dalla legge.”.
3. Con il secondo motivo, relativo a “nesso eziologico tra trasfusione e contagio”, si censura la motivazione con cui la corte napoletana ha accolto il terzo motivo di appello.
Essa e’ stata del seguente tenore:
“Parimenti fondato e’ il terzo motivo di gravarne col quale si sottopone a censura l’affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui risulterebbe provata la sussistenza del nesso eziologico tra la contrazione del virus dell’epatite C e l’emotrasfusione effettuata dal (OMISSIS) durante l’intervento chirurgico del (OMISSIS), cosi’ come confermato dal riconoscimento dell’indennita’ di cui alla legge… su parere positivo della C.M.O. ed esclusa la presenza di altre fonti di contagio quali l’uso di sostanze stupefacenti per via endovenosa o uno specifico comportamento sessuale a rischio o l’esposizione al contagio. La censura evidenzia l’errore del Tribunale che ha tratto la convinzione della sussistenza del nesso eziologico solo sulla “possibilita’ teorica” di idoneita’ della trasfusione alla trasmissione del contagio espressa dal CTU, senza tener conto dei fattori a rischio di cui era portatore il (OMISSIS)” quali la sua pregressa e grave patologia epatica, riferita anche al CTU. Invero, prosegue l’appellante, nelle ipotesi di malattie ad eziologia multifattoriale (come quella in esame, trasmissibile in via parenterale e parenterale apparente) “il nesso di causalita’ non puo’ essere oggetto di presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili”. I rilievi critici sono condivisibili. Ed invero, innanzitutto, va ricordato ancora una volta che la trasfusione ematica di cui si discute risale al 1991, cioe’ in un momento in cui erano state gia’ emanate le direttive di cui innanzi che lasciano presupporre che erano stati osservati i protocolli per la raccolta del sangue e per le trasfusioni e che erano stati eseguiti, dalle singole strutture o enti a tanto deputati, i necessari controlli sul sangue donato (di cui e’ riferito anche il numero identificativo della sacca). Inoltre, il Tribunale mostra di non aver preso in considerazione i significativi fattori di rischio presenti nell’anamnesi remota del (OMISSIS) segnalati anche dal CTU come, ad esempio, gli interventi odontoiatrici (v. la richiamata cartella clinica del ricovero del (OMISSIS) presso ii Policlinico dell’Universita’ “(OMISSIS)) e, soprattutto, la pregressa e ultraventennale ipertransaminasemia – conosciuta dal paziente stesso che ne riferi’ al CTU – curata con epatoprotettori accompagnata dall’accertata sieropositivita’, nel (OMISSIS), a tutti i virus epatici A, B e C; dato, questo, che smentisce quanto riferito dall’attore al CTU sul carattere “lieve” della malattia epatica da cui era affetto da lungo tempo. Puo’ quindi ragionevolmente escludersi che la singola emotrasfusione del (OMISSIS) sia la fonte del contagio con tutti e tre i virus essendo inverosimile che il donatore del sangue trasfuso fosse portatore di tutti e tre i virus epatici e che tale elemento sia sfuggito ai controlli di legge; oltremodo poco probabile e’ il fatto che tali controlli siano avvenuti nel cosiddetto “periodo finestra”, atteso che questo non e’ lo stesso per tutti e tre i virus e non puo’ sussistere contemporaneamente. Le ragioni della presenza di anticorpi verso tutti i tre virus epatici nel siero del (OMISSIS) non e’ stata oggetto di indagine ne’ ha avuto una risposta scientifica da parte del CTU (che si e’ limitato a riportare i dati contenuti nelle certificazioni mediche acquisite), sicche’ e’ logico trarre da tali lacune la conclusione di una diversa origine del contagio, correlabile ad abitudini di vita pregresse e a patologie insorte a prescindere dalla trasfusione del (OMISSIS). Proprio tale riferita e cronica patologia epatica porta anche a presumere che il (OMISSIS) si sia sottoposto molto spesso ad analisi del sangue al fine di controllare il suo stato di salute, esponendosi in tal modo ad altre possibili cause del contagio. Ad avviso della Corte, quindi, v’e’ una logica e significativa incertezza probatoria sulla genesi del contagio nel senso che, oltre alla mera possibilita’ dell’eziopatogenesi espressa dal CTU, manca una prova rigorosa ed incontestabile della sussistenza del nesso di causalita’ e che i dati fomiti dall’attore non lasciano affermare con certezza e con un rilevante grado di probabilita’ che egli abbia contratto il virus con l’emotrasfusione del (OMISSIS). Ne, da ultimo, prova rilevante e significativa di tale rapporto eziologico puo’ trarsi dal parere della CMO e dall’erogazione dell’indennita’ di cui alla L. n. 210 del 1992, attesa la indiscussa diversita’ oggettiva dei due istituti (indennizzo e risarcimento) e la ratio della L. del 1992 che si manifesta sia sul piano probatorio con la distribuzione del rispettivo onere, sia su quello dell’oggetto della prova da fornire a fondamento delle due domande. Invero il diritto all’indennita’ sorge per il solo fatto del danno irreversibile derivante da infezione post-trasfusionale (in una misura prefissata dalla legge) e risponde all’esigenza di solidarieta’ sociale verso persone colpite dall’infezione in un’epoca in cui essa non era nota (e da cui, quindi, non ci si poteva difendere), sicche’ l’accertamento del nesso causale avviene in maniera piu’ “elastica” e “generosa” facendo ricorso anche a presunzioni, laddove cio’ non e’ consentito nel giudizio in cui la pretesa risarcitoria e’ fondata su asserite responsabilita’ delle parti convenute e dove e’ richiesto un rigoroso accertamento della sussistenza del nesso causale tra condotta asseritamente illecita e danno subito. Alla stregua delle esposte considerazioni va, dunque, accolto t’appello e, in riforma, dell’impugnata sentenza, la domanda proposta da (OMISSIS) deve essere rigettata.”.
3.1. La critica a tale motivazione e’ svolta rilevando che le sue conclusioni sarebbero state contrarie: a) sia ad un accertamento svolto dai Sanitari dell’Azienda sanitaria Policlinico, presso l’Universita’ degli Studi (OMISSIS); b) sia all’esito dell’accertamento svolto dal Centro Medico di medicina Legale di (OMISSIS), sez. distaccata CMO di Napoli (a seguito del quale era stato corrisposto l’indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992); c) sia dal c.t.u. nominato dal Tribunale di Napoli in primo grado. Tutti tali accertamenti avevano rilevato il collegamento fra il contagio del de cuius e la trasfusione praticatagli presso la Clinica (OMISSIS).
3.2. Il motivo apparentemente parrebbe contestare e tra l’altro senza nemmeno indicare il paradigma dell’articolo 360 c.p.c. azionato, un accertamento in fatto svolto dalla corte di merito.
Senonche’, l’evocazione del risultato dell’accertamento svolto dal c.t.o. in realta’ palesa l’esistenza nella motivazione della corte partenopea di un errore di diritto sotto il profilo della erronea sussunzione di quell’accertamento come mero elemento probatorio liberamente apprezzabile al pari degli altri evidenziati in essa.
Ebbene l’errore di diritto si coglie riflettendo che l’organo che ha fatto quell’accertamento e’ un organo che l’ha reso quale organo dell’amministrazione della sanita’, come dimostra la previsione della ricorriblita’ in via gerarchica contro il suo deliberato proprio al Ministro della Sanita’, siccome prevede il Decreto Legislativo n. 2010 del 1992, articolo 5.
Ne segue che l’accertamento positivo e’ atto espressione di un riconoscimento dell’ascrivibilita’ del contagio alla trasfusione operato si’ dalla CTO, ma riferibile ed imputabile al Ministero e come tale da esso non discutibile.
Tanto avrebbe dovuto indurre la corte partenopea a rilevare che nel giudizio, pur avente ad oggetto la pretesa di risarcimento danni, il Ministero non avrebbe potuto in alcun modo mettere in discussione il tenore dell’accertamento stesso e cio’ per la semplice ragione che esso era un atto che risultava compiuto, quanto al suo espletamento, da un suo organo e che, pertanto, gli era riferibile.
La giurisprudenza di questa Corte ha, del resto, rilevato che “I verbali della Commissione medico-ospedaliera di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, articolo 4 – istituita ai fini dell’indennizzo in favore di soggetti danneggiati da complicanze irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati fanno piena prova, ai sensi dell’articolo 2700 c.c., dei fatti che la Commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essi contenuti costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale puo’ valutarne l’importanza ai fini della prova ma non puo’ mai attribuire loro il valore di vero e proprio accertamento. “: cosi’ Cass., Sez. Un. n. 577 del 2008. Ma tale affermazione e’ stata fatta con riferimento ad un giudizio nel quale l’accertamento veniva invocato contro un’A.S.L. e non contro il Ministero.
Analogamente, Cass. (ord.) n. 12009 del 2017 ha precisato che: “In tema di danni da emotrasfusioni, la sentenza di accertamento del diritto all’indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992, emessa nei confronti del Ministero della salute, non ha efficacia di giudicato nel successivo giudizio di risarcimento del danno promosso contro l’azienda ospedaliera, mancando il necessario presupposto dell’identita’ delle parti, ma assume valore di indizio, soggetto alla libera valutazione del giudice. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, reiettiva della domanda di risarcimento del danno da emoderivati infetti, proposta da un malato di epatite C contro un’azienda ospedaliera, per difetto di prova in ordine al collegamento causale tra l’insorgenza della patologia e le emotrasfusioni avvenute presso quell’ospedale, atteso che il ricorrente era stato anche sottoposto ad un lungo trattamento di dialisi presso altra struttura sanitaria e che la sentenza con cui, in un precedente giudizio, gli era stata riconosciuta l’indennita’ di cui alla L. 210 del 1992, non offriva elementi probatori su tale aspetto).” Cass. (ord.) n. 12009 del 2017). Ma anche qui la precisazione, sebbene relativa al giudicato sull’accertamento del C.M.O., concerne l’efficacia nei confronti di una parte diversa dal Ministero, cioe’ dallo Stato, di cui il Ministero e’ articolazione.
Non e’ senza rilievo, d’altronde, che questa Corte, fino da Cass., sez. Un., n. 584 del 2008 ha riconosciuto che l’indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992 dev’essere defalcato dall’importo del danno risarcibile dal Ministero, atteso che gli importi sono dovuti dallo steso soggetto e per il medesimo fatto lesivo.
Il motivo dev’essere, dunque, accolto per il rilevato vizio in iure della parte di motivazione che ha trattato come indizio e, dunque, ha posto in discussione nei confronti del Ministero l’accertamento della C.T.O., anziche’ rilevare che il Ministero non poteva porlo in discussione.
La sentenza e’ cassata sulla base del seguente principio di diritto: “In tema di giudizio relativo al risarcimento del danno da emotrasfusioni, promosso dal danneggiato contro il Ministero della Salute, l’accertamento della riconducibilita’ del contagio ad una emotrasfusione compiuto dalla Commissione di cui al Decreto Legislativo n. 210 del 1992, articolo 4 ed in base al quale e’ stato riconosciuto l’indennizzo ai sensi di detta legge, non puo’ essere messo in discussione dal Ministero quanto alla riconducibilita’ del contagio alla trasfusione o alle trasfusioni individuate come causative del contagio ed il giudice deve ritenere detto fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, in quanto, essendo la Commissione organo dello Stato, l’accertamento e’ da ritenere imputabile allo stesso Ministero”.
4. Il ricorso e’ accolto e la sentenza e’ cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli, comunque in diversa composizione, che provvedera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.