Se è dunque chiaro che, come recita il citato art. 135, le disposizioni del codice del consumo non escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico, non può dubitarsi che si possa invocare la tutela risarcitoria prevista in via generale dal nostro ordinamento con riguardo ai danni provocati in conseguenza dell’acquisto di un bene di consumo, anche se la normativa speciale contenuta nel codice del consumo non contiene alcuna previsione al riguardo; infatti si deve ritenere, conformemente alla dottrina dominante, che al di là dei quattro rimedi tipici previsti dall’art. 130 a tutela dei diritti del consumatore, il diritto al risarcimento del danno, in caso di difetto di conformità del prodotto acquistato, trova cittadinanza nell’ambito della vendita consumeristica in forza del primo comma dell’art. 135 e trova attuazione attraverso il richiamo contenuto nel secondo comma della stessa norma con riferimento alle disposizioni contenute nel codice civile in tema di contratto di vendita.
In conclusione, pur nel silenzio della disciplina del TU Consumo, si ritiene ammissibile la domanda risarcitoria per danni conseguenti alla non conformità del prodotto venduto; inoltre anche detta domanda deve ritenersi soggetta allo stesso termine di decadenza e di prescrizione previsto dal citato art. 132 TU Consumo e non a quello previsto dall’art. 1495 c.c. per la vendita in generale ed allo stesso criterio di imputazione della responsabilità.
Tribunale Roma, Sezione 16 civile Sentenza 3 luglio 2018, n. 15397
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
SEDICESIMA SEZIONE CIVILE
in composizione monocratica, nella persona del got. Vincenzo Giuliano, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile in primo grado, iscritta al n. 5506 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2014 e vertente
Tra
(…) (C.F. (…)), con l’avv. An.Sp.;
Attore
E
(…) S.r.l. (P.Iva (…)), con gli avv.ti An.Ro. ed Er.Qu.;
Convenuta
Nonché
(…) (…) (P.Iva (…)), con gli avvocati Fr.Ce. e Si.Fe.;
– Terza chiamata in causa –
Oggetto: vendita bene mobile registrato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La presente causa è stata instaurata successivamente al 04 luglio 2009, e, quindi, trovano applicazione le disposizioni della recente L. 18 giugno 2009, n. 69 (“Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, pubblicata sulla G.U. n. 140 del 19-6-2009 – Suppl. Ordinario n. 95 ed entrata in vigore il 4/7/2009), che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile. In particolare, trova applicazione il novellato art. 132, 2 comma, n. 4) c.p.c., ai sensi del quale la sentenza deve contenere la concisa esposizione “delle ragioni di fatto e di diritto della decisione” e non più anche “dello svolgimento del processo”.
Inoltre, trova applicazione anche il novellato art. 118, 1 comma, disp. att. c.p.c., ai sensi del quale “la motivazione della sentenza di cui all’articolo 132, secondo comma, n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione regolarmente notificato alla (…) S.r.l., il dott. (…) sosteneva: che nel 2010 aveva acquistato presso i locali commerciali della società convenuta una fornitura di mobili per l’esterno prodotti dalla società (…) (…) ( 4 divani, 4 poltrone e 4 pouff) dietro il pagamento del prezzo di oltre 20.000,00 Euro e che la decisione di procedere con tale acquisto era stata assunta dall’attore solo dopo l’assicurazione da parte del sig. (…) ( titolare della (…)), dell’impermeabilità dei predetti mobili ed in particolare dei cuscini che, nel caso di caduta dell’acqua piovana, non necessitavano di alcuna protezione; che tali cuscini, invece, due mesi dopo la consegna, si sarebbero imbevuti di acqua piovana pertanto la (…), informata dell’accaduto, si sarebbe subito attivata per la loro sostituzione con un tessuto impermeabile garantito per l’uso esterno dalla società produttrice; ciò malgrado, successivamente l’attore avrebbe nuovamente denunciato tali inconvenienti dovuti sempre alla mancata impermeabilità dei piccoli cuscini a corredo dei divani che sono stati puntualmente sostituiti dalla (…) sempre a proprie spese; ancora nel mese di agosto 2013, l’attore avrebbe denunciato alla (…) che i cuscini di seduta dei divani avevano dato gli stessi problemi di impermeabilità per cui nel mese successivo sarebbe stato concordato ed effettuato un sopralluogo presso l’abitazione del notaio (…) per verificare l’accaduto, con la partecipazione al sopralluogo anche del responsabile della società produttrice sig. (…) e che quest’ultimo, all’esito del sopralluogo stesso, avrebbe manifestato l’intenzione della (…), in via del tutto eccezionale, di sostituire i cuscini da seduta dei divani raccomandando le modalità di utilizzo degli stessi e consegnando al notaio il manuale d’uso e manutenzione dei cuscini. Assumeva, inoltre, l’attore che da tale manuale si sarebbe evinto che la merce acquistata era stata venduta dalla società (…) senza aver riferito che “i cuscini a seguito di ogni pioggia, devono essere sfoderati ed asciugati”; l’attore ha dunque eccepito la violazione di (…) dei principi di buona fede contrattuale, avendo la stessa convenuta indotto il notaio (…) ad acquistare beni “inidonei rispetto alla destinazione paventata”, che comporterebbe il risarcimento “morale ed esistenziale dei danni subiti, non solo per l’esborso effettuato per l’acquisto, ma anche per i disagi avuti negli anni” per cui aveva diritto di vedersi riconosciuto il risarcimento di tutti i danni patiti, sia patrimoniali che non patrimoniali da stress, come meglio indicati in citazione; oltre quelli patrimoniali per la sostituzione delle fodere avvenuta nel maggio 2014 per Euro 854,00 (cfr. fattura n. (…) (…) Srl per fornitura fodere cuscini ). Tanto premesso, l’attore concludeva come in epigrafe riportato.
Si costituiva in giudizio la (…) Srl con comparsa di costituzione e risposta e chiamata in causa della (…) SA, per eccepire la carenza di legittimazione passiva e contestare l’assunto attoreo evidenziando nel corso del giudizio che il notaio ha acquistato solo tre poltrone e tre pouff per l’importo complessivo di Euro 5.640,00 iva inclusa, come risulta dalla fattura n. (…) del 17 giugno 2010 mentre le altre tre fatture allegate dall’attore sono tutte intestate alla sig.ra (…), che non è parte nel presente procedimento, chiedendo il rigetto della domanda attorea sul presupposto che l’asserito danno morale preteso dall’attore è stato causato, solo ed esclusivamente dal negligente e non consono uso e manutenzione del mobilio, concludendo come in epigrafe riportato.
Si costituiva in giudizio (…) SA per contestare in toto le avverse difese senza accettazione del contraddittorio nei confronti del notaio (…), concludendo come in epigrafe riportato.
L’attore non estendeva la domanda nei confronti di (…), anzi, dichiarava di non accettare il contraddittorio nei confronti del terzo.
Instauratosi correttamente il contraddittorio, concessi i termini ex art. 183, VI comma, c.p.c. per il deposito delle memorie istruttorie, allegata ulteriore documentazione con la seconda memoria istruttoria e sentite le parti in contraddittorio tra loro ex art. 117 c.p.c., successivamente all’udienza del 20 marzo 2017 la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di legge, per il deposito di comparse conclusionali (60 giorni) e di repliche (ulteriori 20 giorni);
MOTIVI DELLA DECISIONE
Richiamato quanto esposto in precedenza, va rilevato che risulta pacifico fra le parti che l’attore nel 2010 abbia acquistato presso il negozio della società convenuta sita in (…) alla via (…), una fornitura di mobili per esterni della (…) SA e che il predetto mobilio veniva consegnato presso la di lui abitazione. Più esattamente il notaio (…) sostiene di aver acquistato il mobilio in questione ( 4 divani, 4 poltrone e 4 pouff) dietro il pagamento del prezzo di oltre 20.000,00, diversamente, invece, parte convenuta sostiene che l’acquisto riguardasse solo n. tre poltrone e tre pouff per l’importo complessivo di Euro 5.640,00 iva inclusa (cfr. doc. nr. come risulta dalla fattura n. (…) del 17 giugno 2010) mentre la restante fornitura dei mobili portata dalle altre tre fatture allegate dall’attore non sono riferibili all’attore in quanto intestate alla sig.ra (…), che non è parte nel presente procedimento.
Sul punto occorre rilevare come il dott. (…) ha correttamente documentato il preciso ammontare dell’esborso sostenuto per l’acquisto dei mobili in questione, allegando nella seconda memoria istruttoria le fatture ed i relativi pagamenti che il medesimo ha eseguito tramite bonifico bancario a favore della (…) Srl (cfr. doc.ti nn. 6, 7, 8, 9, 10 e 11 fascicolo parte attrice ) per un costo complessivo di Euro 21.474,00. E dunque, l’attore con la prova del diretto pagamento ha dimostrato di non essere terzo estraneo alla compravendita del mobilio né di aver agito per puro spirito di liberalità in favore della moglie, ma di aver adempiuto all’obbligazione di pagamento per il mobilio che egli stesso ha ordinato alla (…) seppure con l’interessamento della moglie convivente.
D’altro canto, la convenuta (…) accettando il pagamento del (…) ha avvalorato la tesi dell’autoregolamento di interessi privati e, quindi, il coinvolgimento delle odierne parti principali ex art. 1372 c.c. Insomma, in definitiva, deve rilevarsi che, contrariamente a quanto sostenuto dalla convenuta rispetto alla eccezione di carenza di legittimazione attiva riguardo la partita dei mobili le cui fatture risultano intestate alla sig.ra (…), sussiste nella fattispecie in esame quella condizione dell’azione che legittima l’attore ad agire consistente nella coincidenza tra chi propone la domanda e colui che nella domanda stessa è affermato titolare del diritto ( c.d. legitimatio ad causam attiva ) e tra colui contro il quale la domanda è proposta e colui che nella domanda stessa si è affermato soggetto passivo del diritto o, comunque violatore di quel diritto.
Per cui l’eccezione di carenza di legittimazione attiva è infondata poiché risulta espressamente riconosciuto che il rapporto contrattuale si era instaurato tra il notaio e la (…).
Passando ora all’inquadramento normativo da adottare, va rilevato che l’attore deve essere qualificato come consumatore – si tratta comunque di circostanza non contestata -, con tutto ciò che ne consegue in termini di disciplina da applicare; e quindi si deve far riferimento alla disciplina del D.Lgs. n. 206 del 2005 TU Consumo (art. 128 e ss), in quanto appunto si tratta di norma speciale, e non a quella prevista dagli artt. 1490 e ss. c.c. per la vendita in generale, che già di per sé costituisce norma speciale rispetto alla disciplina sull’inadempimento (art. 1218 c.c.) e sulla risoluzione del contratto (art. 1453 c.c.).
Orbene in base all’art. 129, 1 comma, è previsto che “il venditore ha l’obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita” ed accanto all’affermazione di detta specifica obbligazione, derivante direttamente dal contratto, è stata prevista una serie di presunzioni di conformità del bene al contratto, da intendere come regole minime di integrazione della volontà contrattuale, ferma rimanendo la possibilità per le parti di individuare altri specifici elementi.
Nel caso in esame, non risulta che l’attore abbia messo in discussione la conformità del bene rispetto al contratto di vendita né, tantomeno, che il prodotto fosse difettoso ma solo la circostanza di aver ricevuto un prodotto che non presentava le qualità promesse dal venditore.
Più precisamente, le lamentele del notaio (…), riguardano il fatto che il venditore sig. (…), abbia violato tutti i principi di buona fede nella contrattazione della vendita, fornendo notizie false e tendenziose sulla qualità dei divani in questione; di talché, risulta infondata l’eccezione sollevata dalla (…) sulla carenza di legittimazione passiva, trattandosi di responsabilità che investe esclusivamente la condotta personale del venditore nella contrattazione del bene e non di responsabilità del produttore che, come è noto, può essere chiamato a rispondere solo quando il prodotto è difettoso ossia quando il prodotto non offre la sicurezza che si può attendere, ne consegue che non poteva invocarsi la responsabilità del produttore. Né, tantomeno, può giustificarsi la chiamata in causa della (…) SA solo perché vi sia stato un contatto epistolare diretto tra la stessa azienda e la moglie del notaio (…).
Al riguardo, si osserva come da alcune semplici missive/mail con le quali il produttore di un bene riconosce all’acquirente il vizio della cosa dallo stesso creata impegnandosi, altresì, ad eliminarlo, non possa derivare un contratto autonomo di garanzia.
Tutt’al più, potrebbe concretizzarsi semmai, una situazione di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. in quanto è stato infranto un impegno di cooperazione, precedentemente assunto con le predette missive, per la soddisfazione di un’altrui aspettativa.
Nel caso di specie, invece, non risulta che vi sia stato alcun riconoscimento di responsabilità da parte della azienda produttrice né, tantomeno, alcun accordo tra le medesime parti per la sostituzione dei cuscini, ma semplicemente cortesia e gentilezza rivolta al cliente per sistemare in modo pacifico l’insorgenda vertenza, interessando l’attenzione del proprio venditore di zona per valutare l’opportunità della sostituzione dei rivestimenti cuscini e fornire al cliente le corrette modalità di utilizzo dei beni in questione. Difatti, l’attore ha confermato tali circostanze laddove nell’atto di citazione si legge “…la (…), avvertita di ciò, ha detto che si trattava di un tessuto impermeabile al 100% e che si sarebbe attivata per la sostituzione con un tessuto impermeabile, e così è stato” … ” l’anno seguente …. i cuscini 40×40 posti al di sopra dei divani, sono stati sostituiti”.
Il nodo cruciale cui verte la causa, infatti, non riguarda l’acquisto del prodotto della (…) o l’aver ricevuto in sostituzione altro prodotto difettoso, quanto piuttosto, l’inganno subito dal (…) al momento dell’acquisto del prodotto con informazioni distorte circa la resistenza dei cuscini rispetto all’acqua piovana.
Tale responsabilità è emersa dalla documentazione versata in atti ed in particolare dalla corrispondenza scambiata tra le parti, avendo il venditore attribuito ai cuscini delle qualità che in realtà non sussistevano ai sensi dell’art. 1497, 1 comma c.c., ossia rassicurando l’acquirente che nulla occorreva fare per la protezione dei cuscini, in quanto il tessuto e la fattura ostruivano il passaggio dell’acqua e consentivano di tenere i mobili all’aperto. La conferma di tale considerazione può oltremodo ricavarsi anche dalle implicite ammissioni contenute nelle difese della convenuta (…) Srl oltre che dal comportamento della stessa che riconoscendo la propria responsabilità nell’accaduto ha provveduto per ben due volte a sostituire i rivestimenti dei prodotti venduti senza alcuna riserva al riguardo.
Talché appare verosimile che il notaio (…), nel leggere il manuale d’uso fornitogli dal rappresentante del produttore (…), si sia accorto che il venditore aveva omesso di avvertirlo sulle reali modalità si uso del prodotto ovvero che i cuscini a seguito di ogni pioggia dovevano essere sfoderati ed asciugati. Per cui non v’è dubbio alcuno che la convenuta mancando di fornire correttamente le informazioni riportate nel manuale d’uso e suggerite da (…), è venuta meno all’obbligo di comportarsi secondo le regole della correttezza sancito dall’art. 1175 cod. civ. Al riguardo si condivide la sentenza indicata dalla difesa di (…) della Suprema Corte (cfr. n. 1485/2000) che ha affermato il seguente principio di diritto “nei contratti a prestazioni corrispettive i doveri di correttezza , di buona fede e di diligenza – di cui agli artt. 1337,1338,1374, 1375 e 1175 c.c. – si estendono anche alle cosiddette obbligazioni collaterali di protezione, di informazione, di collaborazione che presuppongono e richiedono una capacità discretiva ed una disponibilità cooperativa dell’imprenditore nell’esercizio della sua professione e, quindi, nel tenere conto delle motivazioni della controparte all’acquisto detti doveri ed obblighi impongono che l’imprenditore, anzitutto si preoccupi dell’esatta specificazione delle caratteristiche del bene compravenduto al momento della conclusione del contratto, rispondendo anche della negligenza dei propri agenti al riguardo”.
Ne consegue che la società convenuta si è resa inadempiente poiché “il venditore sarebbe oggetto ad un’obbligazione di risultato di consegnare il bene con le qualità promesse, con la conseguenza che in difetto di detta qualità egli risulterebbe inadempiente ai sensi dell’art. 1218 c.c.” a nulla rilevando che l’attore non abbia richiesto la risoluzione del contratto.
Al riguardo va opportunamente rilevato come il compratore, che abbia subito un danno a causa dei vizi della cosa, può rinunciare a proporre l’azione per la risoluzione del contratto o per la riduzione del prezzo ed esercitare la sola azione di risarcimento del danno dipendente dall’inadempimento del venditore, sempre che in tale caso ricorrano tutte le condizioni stabilite per l’esercizio di tale azione. Tale azione che presuppone di per sé la colpa di quest’ultimo, consistente nell’omissione della diligenza necessaria a scongiurare l’eventuale presenza di vizi nella cosa, può estendersi a tutti i danni subiti dall’acquirente, non solo quindi a quelli relativi alle spese necessarie per l’eliminazione dei vizi accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione della cosa, o al lucro cessante per la mancata rivendita del bene.
Si tratta ora di verificare se ed in quale misura sia possibile proporre una domanda di risarcimento danni e quale disciplina applicare, attesa la mancanza di disposizioni specifiche nel TU Consumo. Orbene l’art. 135 TU Consumo, il cui primo comma è di contenuto identico all’abrogato art. 1519 nonies c.c., prevede che “le disposizioni del presente capo non escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico” (1 comma) e che “per quanto non previsto dal presente titolo, si applicano le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita” (2 comma, non previsto nell’art. 1519 nonies c.c.). Alla luce del dato normativo (TU Consumo) si deve quindi ribadire che, ricorrendone i presupposti, deve essere sempre applicata la disciplina speciale contenuta nel TU Consumo; va pertanto esclusa la possibilità per il consumatore di scegliere di volta in volta la disciplina da applicare, secondo le convenienze del caso concreto, dovendo sempre trovare applicazione la disciplina speciale in materia di contratti di vendita di beni di consumo, salva la possibile integrazione con le norme del codice civile nel caso in cui manchi su un punto particolare una specifica regolamentazione.
Se è dunque chiaro che, come recita il citato art. 135, le disposizioni del codice del consumo non escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico, non può dubitarsi che si possa invocare la tutela risarcitoria prevista in via generale dal nostro ordinamento con riguardo ai danni provocati in conseguenza dell’acquisto di un bene di consumo, anche se la normativa speciale contenuta nel codice del consumo non contiene alcuna previsione al riguardo; infatti si deve ritenere, conformemente alla dottrina dominante, che al di là dei quattro rimedi tipici previsti dall’art. 130 a tutela dei diritti del consumatore, il diritto al risarcimento del danno, in caso di difetto di conformità del prodotto acquistato, trova cittadinanza nell’ambito della vendita consumeristica in forza del primo comma dell’art. 135 e trova attuazione attraverso il richiamo contenuto nel secondo comma della stessa norma con riferimento alle disposizioni contenute nel codice civile in tema di contratto di vendita.
In conclusione, pur nel silenzio della disciplina del TU Consumo, si ritiene ammissibile la domanda risarcitoria per danni conseguenti alla non conformità del prodotto venduto; inoltre anche detta domanda deve ritenersi soggetta allo stesso termine di decadenza e di prescrizione previsto dal citato art. 132 TU Consumo e non a quello previsto dall’art. 1495 c.c. per la vendita in generale ed allo stesso criterio di imputazione della responsabilità.
Dunque, una volta verificata l’ammissibilità della domanda risarcitoria, per mancata proposizione dell’eccezione di decadenza e/o prescrizione (pacificamente non rilevabile d’ufficio, in quanto nella disponibilità della parte interessata), la su individuata esigenza di uniformità deve riguardare anche il merito e i presupposti stessi della domanda risarcitoria, con la conseguenza che la responsabilità risarcitoria del venditore deve ritenersi caratterizzata dalla natura sostanzialmente oggettiva e deve prescindere dall’accertamento della colpa del venditore, così come previsto per gli altri strumenti di tutela contemplati dall’art. 130 dello stesso codice; quindi in questi casi, diversamente da quanto previsto dall’art. 1494 c.c., il risarcimento del danno deve ritenersi non regolato dai principi generali in tema di inadempimento contrattuale. L’obbligo risarcitorio a carico del venditore pertanto sussiste indipendentemente da ogni considerazione circa il criterio di imputazione della responsabilità e circa la conoscenza o conoscibilità dei vizi e/o difetti accertati; quindi è necessario e sufficiente che il consumatore provi, in base a conferente allegazione, l’esistenza dei vizi e dei difetti lamentati, delle conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre.
Tornando al caso di specie, va ricordato che in citazione l’attore ha allegato di aver subito, nel corso degli anni (2010 – 2014), danni e disagi a causa dei disagi arrecatigli dalla (…) per il mancato uso della terrazza per cui ha richiesto la condanna della convenuta al risarcimento dei morali e/o esistenziali nella misura di Euro 30.000,00 o maggiore o minore somma secondo equità oltre Euro 850,00 a titolo di rimborso di somme pagate per ovviare agli inconvenienti lamentati, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge (cfr. prima memoria 183 VI comma c.p.c. parte attrice). Come discorso di carattere generale, va ricordato che il creditore danneggiato deve allegare non solo l’altrui inadempimento, ma deve anche allegare e provare l’esistenza di una lesione cioè della riduzione di un bene della vita (patrimonio, salute, immagine, ecc.), di cui chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto del debitore inadempiente: in ciò appunto consiste il danno risarcibile; in difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto, in quanto il danno è ontologicamente differente ed ulteriore rispetto all’inadempimento (cfr. Cass. 5960/05). Conformemente ai principi generali in materia di risarcimento dei danni, va di sicuro esclusa l’ipotizzabilità di un danno in re ipsa, che diversamente verrebbe a coincidere con l’evento; l’evento è invece un elemento del fatto produttivo del danno ed ormai si può ritenere pacifico (Cass. SU 26972/08) che il danno, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., deve configurasi pur sempre come un danno – conseguenza e non come danno – evento. La domanda risarcitoria dei pretesi danni patrimoniali va accolta nei seguenti termini. Seguendo l’ordine delle domande attrici, va sicuramente accolta la spesa sostenuta dall’attore di Euro 850,00 per la fornitura a corpo delle fodere ( cfr. fattura n. (…) del 22/5/2014 della (…) Srl), essendo pacifico il fatto storico del problema ossia che il materiale fornito dalla (…) prodotto dalla (…) SA, diversamente da quanto sostenuto dal venditore, non era idrorepellente per cui necessitava seguire le istruzioni del manuale d’uso dei divani ( sfoderare i cuscini in caso di pioggia ), manuale che, tuttavia, la convenuta ha omesso di consegnare nei termini della consegna.
Nulla inoltre è possibile liquidare per il risarcimento del danno per il mancato uso del terrazzo in quanto non può considerarsi sussistente in re ipsa, per il solo fatto che il terrazzo sia inutilizzato dal proprietario per un certo lasso di tempo, ma al contrario, come ogni danno, deve essere provato. Sul punto si richiama anche quanto detto sul danno – conseguenza. Dunque la convenuta va condannata al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali, della complessiva somma di 850,00 Euro, oltre alla rivalutazione monetaria, in base ai noti indici Istat sui prezzi al consumo, per le spese di cui si è detto trattandosi di una perdita patrimoniale (cd danno emergente) che l’attore ha sofferto alla luce delle superiori osservazioni.
Non sono invece dovuti gli interessi compensativi, congiuntamente alla rivalutazione monetaria per il periodo compreso fra i citati pagamenti e la presente sentenza, in mancanza di prova del danno da ritardo.
Passando da ultimo alla domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali si pone prima di tutto il problema dell’ammissibilità del risarcimento del danno non patrimoniale nel caso, come quello che qui ci occupa, di inadempimento contrattuale. Alla luce dell’orientamento delineato da Cass. SU 26972/08 la risposta non può che essere affermativa, atteso che “il danno non patrimoniale, quando ricorrono le ipotesi espressamente previste dalla legge, o sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione, è risarcibile sia quando derivi da un fatto illecito, sia quando scaturisca da un inadempimento contrattuale”; anche successivamente (cfr. Cass. 24145/10) è stato ribadito che, in questi casi (ipotesi previste espressamente dalla legge o violazione di diritti della persona costituzionalmente garantiti) “….l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. porta ad affermare che …. vi è l’obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale …”. In relazione al richiesto risarcimento del danno non patrimoniale, si ritiene, in adesione a Cass. SU 26972/08, che lo stesso non è più automaticamente riconoscibile in difetto di adeguata allegazione e prova. Preliminarmente è necessario aprire una parentesi, ribadendo che il discorso che si farà con riferimento all’ambito extracontrattuale, vale, mutatis mutandis, anche nell’ipotesi di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale.
Orbene, superando precedenti impostazioni dogmatiche, la Cassazione è da ultimo tornata ad una impostazione del danno basata sulla tradizionale bipartizione fra danno patrimoniale, riconducibile nella previsione di cui all’art. 2043 c.c., e danno non patrimoniale, riconducibile nella previsione di cui all’art. 2059 c.c.. Con particolare riferimento alla categoria dei danni non patrimoniali, oggetto di specifico intervento chiarificatore della Suprema Corte a partire da Cass. 8827/03 e 8828/03 e successive sentenze ormai costanti, si osserva che in tale ambito vanno ricompresi non solo i danni conseguenti a reato o previsti da specifiche disposizioni di legge, ma anche quelli derivanti da lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti (cfr. Cass. 12124/03; Cass. 16716/03). Pertanto, conformemente alla tipicità della tutela offerta dall’art. 2059 c.c., il danno non patrimoniale è appunto risarcibile solo nei casi determinati dalla legge (art. 185 c.p. in caso di reato e specifiche disposizioni di legge, p.es. in materia di libertà personale, di riservatezza, di discriminazioni) ovvero nel caso di lesione di uno specifico diritto inviolabile della persona umana costituzionalmente protetto (cfr. Cass. SU 26972/08, che richiama e fa propri i principi di cui a Cass. 8827/03 e 8828/03): si noti al riguardo il dato normativo, in cui alla genericità ed atipicità dell’art. 2043 c.c. (“qualunque fatto doloso o colposo …”) corrisponde la tipicità dell’art. 2059 c.c. (“Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”). Dunque ai fini dell’ammissione a risarcimento, ex art. 2059 c.c., ciò che rileva è l’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona e costituzionalmente rilevante, dal quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica; quindi in tali termini si parla di danno non patrimoniale, indipendentemente dall’indicazione descrittiva e classificatoria che si voglia ancora fare con riferimento ad ipotetiche (tradizionali) voci o figure di danno (danno biologico, danno morale, danno esistenziale, danno d’immagine, ecc.).
Nel caso di specie l’attore in citazione ha allegato che aveva subito danni riconducibili alla tradizionale voce del danno biologo e del danno esistenziale, a causa dello stress dovuto alle vicende allegate. Al riguardo, rammentato che va esclusa la risarcibilità dei cd danni bagatellari (cfr. citata Cass. SU 26972/08; Cass. 1766/14; Cass. 2370/14), cioè di quelle situazioni che si configurano solo come stravolgimenti della quotidianità della vita, sostanziantisi in meri disagi, fastidi, disappunti, ansie e ogni altra espressione di insoddisfazione, costituenti conseguenze non gravi ed insuscettibili di essere monetizzate perché appunto bagatellari, si ribadisce che il presupposto generale per l’ammissibilità del risarcimento dei danni non patrimoniali, nei casi in cui ciò sia possibile alla luce di quanto detto, è costituito dalla gravità dell’offesa; infatti “… il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minino di tolleranza …”, con la precisazione che “… il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile …” e che entrambi i requisiti, cioè la gravità della lesione e la serietà del danno, “… devono essere accertati dal Giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico ….” (cfr. citata Cass. SU 26972/08 in motivazione; Cass. 21415/14). Tanto premesso, è allora evidente che tale pregiudizio può essere risarcito purché – è bene ricordarlo – sia oggetto di specifica allegazione e prova da fornire anche in via di presunzione (cfr. citata Cass. SU 26972/08: “il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza … che deve essere allegato e provato”): non è certamente sufficiente la mera elencazione di possibili voci di danno non patrimoniale per ritenere soddisfatto tale onere.
Nel caso di specie la domanda è assolutamente priva di qualsiasi prova del danno non patrimoniale asseritamente subito dall’attore per effetto delle problematiche riscontrate sul mobilio acquistato. Da ultimo si ribadisce che la riscontrata lacuna in ordine all’allegazione e prova di precisi elementi oggettivi, da cui desumere l’esistenza stessa del danno risarcibile, non può essere colmata ricorrendo all’equità, che infatti non può mai equivalere ad arbitrio da parte del Giudice: l’equità soccorre quando è difficile o impossibile l’esatta monetizzazione del danno, ma presuppone pur sempre la prova, in base a conferente allegazione, degli elementi costitutivi del danno stesso, oltre che dell’altrui responsabilità (cfr. Cass. 682/01; Cass.16202/02; Cass. 13761/04; 16992/05; Cass. 13288/07; Cass. 10607/10; Cass. 20990/11; Cass. 25222/11; Cass. 27447/11).
Alla luce delle risultanze di causa la domanda risarcitoria di parte attrice va rigettata in parte qua.
Va invece accolta la domanda ex art. 96, 1 e 3 comma c.p.c. svolta da (…) nei confronti della (…) Srl. in quanto le scelte operate nella specie dalla parte convenuta nei confronti del terzo chiamata in causa, costituiscono inequivocabili segni di condotta processuale temeraria sanzionabile a norma dell’art. 96 c.p.c. Ed infatti, appare chiaro, alla luce delle superiori osservazioni, che la chiamata in causa della (…), in relazione alla domanda attorea, risulta presentata in modo improprio dimostrando spregiudicatezza e in assoluta incoerenza con quanto sostenuto successivamente nelle proprie difese in merito all’intercorso rapporto commerciale con il notaio (…).
Riguardo ai criteri da adottare per la liquidazione del danno da responsabilità aggravata, reputa questo Tribunale appropriati i riferimenti al valore della controversia, all’elemento soggettivo della parte soccombente e alla durata del giudizio.
Tenuto conto di tutti i sopradetti elementi valutativi, che nella specie sono rispettivamente: il petitum sostanziale, vale a dire la condanna seppure parziale al pagamento del risarcimento danni patrimoniali, la colpa grave e la durata di oltre quattro anni del giudizio, dovendosi fare ricorso all’equità, reputa questo tribunale equo liquidare a titolo di condanna ex art. 96 primo e terzo comma c.p.c. a carico della (…) Srl la somma di Euro 2000,00.
Stante l’esito complessivo del giudizio, le spese di lite tra l’attore e la convenuta vanno compensate per metà, ponendo il residuo, liquidato in dispositivo, a carico della convenuta per il grado di soccombenza. Mentre, invece, vista la totale soccombenza della convenuta nei confronti del terzo, consegue la condanna della (…) Srl, in favore di quest’ultimo, alla rifusione delle spese del presente giudizio nella misura liquidata in dispositivo tenendo conto della natura e del valore della causa nonché del numero e del rilievo delle questioni affrontate, e facendo applicazione dei parametri basato sui nuovi parametri ministeriali 2014 d.m. Giustizia 10/03/2014 n. 55 rispondenti al compenso tabellare dei minimi con scaglione di riferimento da 5.201,00 a 26.000 (ex art. 4 comma 5);
P.Q.M.
Il Tribunale di Roma, in persona del Giudice Unico Dott. Vincenzo Giuliano, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al N. 5506/2014 R.G., così provvede:
– In parziale accoglimento della domanda del sig. (…), condanna la convenuta (…) Srl in persona del legale rapp.te p.t., al pagamento in favore del sig. (…) e a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali, alla complessiva somma di Euro 850,00 oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali, come meglio specificato nella parte motiva;
– Rigetta la domanda attrice quanto al resto;
– Condanna ex art. 96, 1 e 3 comma c.p.c., la convenuta (…) Srl in persona del legale rapp.te p.t., al pagamento di Euro 2.000,00 in favore della (…) SA;
– Compensa per metà le spese di lite tra l’attore e la convenuta (…) Srl e pone a carico della convenuta, per il grado di soccombenza, il residuo che liquida in Euro 1.816,00 per compensi professionali di cui Euro 450,00 per spese, oltre cpa e iva come per legge;
– Condanna la (…) Srl in persona del legale rapp.te p.t., alla rifusione, in favore della (…) SA, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.732,00 per compensi professionali – oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma il 6 giugno 2018.
Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2018.