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Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 24 aprile 2018, n. 10111
In tema di intermediazione finanziaria, la disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 23, comma 6, in armonia con la regola generale stabilita dall’articolo 1218 c.c., impone all’investitore, il quale lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, nel quadro dei principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonche’ di fornire la prova del danno e del nesso di causalita’ tra inadempimento e danno, nesso che sussiste se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole; incombe invece sull’intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute.
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Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 24 aprile 2018, n. 10111
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere
Dott. MARULLI Marco – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18007/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 217/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 08/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/02/2018 dal Cons. Dott. DI MARZIO MAURO;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VITIELLO Mauro, che ha chiesto che la Corte di Cassazione, in Camera di consiglio, accolga il ricorso limitatamente al quarto motivo e decida la causa nel merito sulla base dell’anzidetto principio di diritto.
FATTI DI CAUSA
– Con sentenza dell’8 aprile 2014, la Corte d’appello di Perugia ha accolto l’appello proposto da (OMISSIS) S.p.A. nei confronti di (OMISSIS) contro la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Orvieto e, per l’effetto, riformando la decisione del primo giudice, ha respinto la domanda dell’ (OMISSIS) volta a conseguire la dichiarazione di nullita’ ovvero di risoluzione per inadempimento del contratto quadro stipulato con l’intermediario finanziario convenuto e dell’ordine di acquisto di titoli (OMISSIS) del 29 febbraio 2000, con condanna della dell’intermediario finanziario medesimo alla restituzione del complessivo importo di Euro 19.917,71, oltre accessori, nonche’, in subordine, la sua condanna al risarcimento dei danni a titolo di responsabilita’ precontrattuale.
A fondamento della decisione la Corte territoriale ha osservato:
-) che la “x” fuori casella apposta sull’ordine di acquisto andava riferita alla segnalazione di inadeguatezza dell’operazione, in particolare sotto l’aspetto degli obiettivi di investimento, segnalazione all’esito della quale il cliente aveva chiesto alla banca di procedere comunque all’operazione;
-) che, in ogni caso, anche ad ammettere l’incertezza in ordine alla riferibilita’ della segnalazione di inadeguatezza al menzionato profilo, cio’ che rilevava era l’avvenuta segnalazione dell’inadeguatezza dell’operazione con particolare riferimento al rischio d’investimento;
-) che il default dello Stato argentino era sfuggito alle principali agenzie di rating ed era stato determinato da una combinazione di eventi straordinari, tanto piu’, che all’epoca dell’investimento, il rating, B2, non destava particolare preoccupazione per il rischio dell’investimento, sicche’ appariva assurdo imputare alla banca di non aver previsto il default dell'(OMISSIS), essendo per altro obbligo dell’intermediario finanziario il solo avvertimento della rischiosita’ dell’investimento, risultante dalla segnalazione di inadeguatezza.
– Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per quattro motivi.
(OMISSIS) S.p.A. ha resistito con controricorso.
Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo, disattesi gli altri.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il ricorso contiene quattro motivi.
1.1. – Il primo motivo e’ rubricato: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articoli 21 e 23 (Tuf), articoli 28 e 29 Regolamento Consob 11522/98”.
Si sostiene nel motivo che, alla stregua della normativa richiamata in rubrica, l’intermediario finanziario deve fornire all’investitore specifiche informazioni sull’adeguatezza dell’operazione che questi intende porre in essere, sicche’ anche il modulo d’ordine da sottoscrivere non deve essere generico, bensi’ di volta in volta idoneo ad informare effettivamente il cliente e rendere note le avvertenze a lui fornite, al fine di consentirgli di effettuare scelte consapevoli, con l’ulteriore conseguenza che la Corte d’appello aveva errato nel ritenere somministrate le necessarie informazioni a mezzo della “spunta” sulla casella del modulo stesso concernente l’inadeguatezza dell’operazione, tanto piu’ che (OMISSIS) S.p.A. non aveva neppure dato la prova di aver accompagnato la sottoscrizione dell’ordine con informazioni specifiche fornite oralmente in ordine al motivo di inadeguatezza.
1.2. – Il secondo motivo e’ rubricato: “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”.
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe “omesso di esaminare e valutare i fatti, decisivi e determinanti per risolvere in senso diametralmente opposto la controversia”, ossia che esso (OMISSIS) era all’epoca ventenne caporale dell’esercito, inesperto di investimenti mobiliari e che il modulo d’ordine era estremamente generico.
1.3. – Il terzo motivo e’ rubricato: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ancora in relazione all’articolo 21 Tuf, articoli 28 e 29 Regolamento Consob 11522/98”.
Si sostiene nel motivo che i dati economici dell'(OMISSIS) erano conosciuti o quantomeno conoscibili dalle banche italiane e da tutti gli operatori del settore e che la sentenza era al riguardo contraddittoria laddove aveva ammesso che il default dell'(OMISSIS) si era verificato per una serie di eventi straordinari occorsi a partire dall’ultimo trimestre del 1997, tenuto conto dell’epoca dell’ordine di acquisto da parte di esso (OMISSIS).
1.4. – Il quarto motivo e’ rubricato: “Violazione o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in merito alla domanda di risoluzione contrattuale e risarcimento danni per violazione dell’articolo 21 Tuf e articolo 32 regolamento Consob 11.522/98. Nullita’ della sentenza per omessa pronuncia su un motivo d’appello”.
Assume il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe omesso di provvedere sulla domanda di risoluzione dell’ordine di acquisto per mancata informativa dell’esistenza di conflitto di interessi.
– Il ricorso va respinto.
2.1. – Il primo motivo, che e’ centrale nella costruzione del ricorso per cassazione, va respinto.
2.1.1. – Questa Corte si e’ in molteplici occasioni soffermata sul tema degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario finanziario in applicazione del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 21, in combinato disposto con gli articoli 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, esaminando l’argomento, e pervenendo ad esiti interpretativi univoci e consolidati, sotto due distinti aspetti che sono stati tenuti e che occorre tenere attentamente separati:
1) quello dell’identificazione della latitudine degli obblighi informativi medesimi;
2) quello dell’atteggiarsi del riparto degli oneri di allegazione e di prova in sede giudiziale ove l’investitore lamenti l’inadempimento di detti obblighi.
2.1.2. – Sotto il primo aspetto, quello della latitudine degli obblighi informativi di cui al citato articolo 28 ed al successivo articolo 29, non v’e’ dubbio che essi – all’infuori dell’ipotesi di cliente che sia effettivamente operatore qualificato, ove ne ricorrano le condizioni individuate da Cass. n. 18702/2016 – siano particolarmente estesi e penetranti, giacche’ diretti in generale a consentire all’investitore di operare investimenti pienamente consapevoli, avendo acquisito l’intero ventaglio delle informazioni, specifiche e personalizzate, che, di volta in volta, alla luce del parametro di diligenza applicabile, l’intermediario debba fornire in ragione dell’investimento prescelto, tenuto conto tanto delle caratteristiche dell’investitore, quanto di quelle del titolo verso cui si indirizza l’investimento, quantunque attuato nel contesto di un rapporto di sola negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini (Cass. n. 14884/2017; esclusa, ma nel quadro del successivo regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007, l’ipotesi della cd. execution only: Cass. n. 14884/2017), sicche’, una volta doverosamente acquisite le informazioni necessarie (Cassazione n. 8619/2017), l’intermediario deve esemplificativamente rendere edotto l’investitore del rating, della eventuale offering circolar e delle caratteristiche del mercato ove il prodotto e’ collocato (Cassazione n. 8619/2017), di eventuali situazioni di grey market (Cassazione n. 8314/2017), e se del caso finanche del rischio di default dell’emittente, sempre che resti apprezzabile da esso intermediario (Cassazione n. 12544/2017, e, riassuntivamente, Cass. n. 1376/2016), senza che un deficit informativo si possa giustificare sulla base della dimensione locale dell’intermediario medesimo e della non partecipazione diretta alla vendita dei titoli (Cassazione n. 8619/2017).
Dunque i menzionati obblighi informativi non sono certo soddisfatti dalla sola consegna del prospetto generale dei rischi degli investimenti in strumenti finanziari, ne’ da altre comunicazioni di tipo generico e standardizzato (Cass. n. 9066/2017: ma la strandardizzazione e’ invece espressamente condiderata dal regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007, articolo 27), ovvero dalla semplice sottoscrizione, da parte del cliente, della formula “operazione non adeguata per tipologia”, cosi’ come dalla previsione, da parte della banca, di una clausola “rischio paese” Cassazione n. 8314/2017), od altresi’ dall’indicazione contrattuale del massimo rischio contrattualmente previsto (Cass. n. 8089/2016).
Insomma, l’investitore deve ricevere una vera informazione, sicche’ gli intermediari devono dal canto loro fornire ai clienti – per usare la chiara formula adottata dal gia’ citato regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007, articolo 27, sebbene non applicabile ratione temporis alla vicenda in esame – “in una forma comprensibile, informazioni appropriate affinche’ essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole”.
L’eventuale violazione degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario finanziario assume inoltre rilevanza non solo in relazione alla stipula del contratto quadro d’intermediazione, che costituisce soltanto la cornice contrattuale delle successive operazioni di investimento, ma anche nella successiva fase applicativa: con la conseguenza che l’inadempimento degli obblighi informativi facenti capo all’intermediario puo’ giustificare tanto la risoluzione del contratto quadro che dei singoli ordini di investimento e disinvestimento impartiti alla banca. Infatti, gli adempimenti relativi agli obblighi informativi nei confronti del cliente posti a carico dell’intermediario finanziario prevalentemente nella fase anteriore all’effettuazione delle singole operazioni di investimento, costituiscono soltanto un aspetto particolare del piu’ generale obbligo di informazione che la legge pone a carico dell’intermediario stesso ed alla cui osservanza e’ informato l’intero svolgimento del rapporto, dalla fase anteriore alla stipula del contratto quadro fino all’esecuzione delle singole operazioni di investimento (Cass. n. 16820/2016; Cass. n. 12937/2017; da ult. v. Cassazione n. 3261/2018).
2.1.3. – Con specifico riguardo poi alla segnalazione di inadeguatezza di cui all’articolo 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998 (tema che conserva attualita’ solo in ragione del protrarsi di liti concernenti vicende temporalmente collocate in epoca antecedente al regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007), vale osservare che questa Corte ha gia’ avuto modo di segnalare che anche detto scrutinio si colloca entro l’ambito della pluralita’ degli obblighi informativi facenti capo agli intermediari finanziari (obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza, obbligo di informazione, obbligo di evidenziare l’inadeguatezza dell’operazione che si va a compiere), tutti convergenti verso un fine unitario, consistente per l’appunto nel segnalare all’investitore, in relazione alla sua accertata propensione al rischio, la non adeguatezza delle operazioni di investimento che si accinge a compiere (Cass. n. 1376/2016, ove viene analiticamente individuato il contenuto della segnalazione di inadeguatezza).
Il citato articolo 29, che pone la c.d. suitability rule, ossia la regola che impedisce agli intermediari di porre in essere operazioni inadeguate al profilo di rischio dell’investitore, si colloca in collegamento con la c.d. know your customer rule, dal momento che l’intermediario in tanto puo’ verificare l’adeguatezza dell’operazione, in quanto abbia precedentemente acquisito le informazioni concernenti il cliente. Ciascuna operazione di negoziazione, secondo la disposizione menzionata, puo’ essere inadeguata tanto per tipologia ed oggetto, quanto per frequenza o dimensione, ed ognuno di tali eventuali profili di inadeguatezza, ove sussistente, deve essere – con diverso approfondimento in dipendenza dell’attivita’ prestata dall’intermediario, secondo si tratti di attivita’ di gestione, ovvero di mera negoziazione o ricezione – trasmissione di ordini – indicato e spiegato all’investitore al menzionato fine di consentirgli in proposito una scelta consapevole. In particolare, l’inadeguatezza per tipologia ed oggetto va verificata in relazione alle caratteristiche proprie dello strumento finanziario, le quali si riflettono sul coefficiente di rischio dell’operazione; il profilo dell’adeguatezza per dimensione o frequenza riguarda invece il rapporto tra l’entita’ dell’investimento ed il portafoglio del cliente (in questi termini Cass. n. 17353/2016).
Non c’e’ dubbio dunque che il contenuto della segnalazione di inadeguatezza debba essere sufficiente in concreto, tale cioe’ da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente (cosi’ Cass. n. 20178/2014; Cass. n. 18140/2013; Cass. n. 22147/2010).
Dinanzi al rifiuto dell’investitore di fornire informazioni concernenti il suo profilo, poi, l’intermediario non e’ esonerato dalla valutazione di adeguatezza, che deve essere eseguita sulla base delle informazioni in suo possesso, quale ad esempio l’eta’, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse e abituali, la situazione di mercato (Cass. n. 18039/2012; Cass. n. 5250/2016). La segnalazione di inadeguatezza e’ inoltre dovuta anche se il cliente abbia in precedenza acquistato altri titoli a rischio, perche’ cio’ non basta a renderlo operatore qualificato ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob (Cass. n. 17340/2008). Ed ancora, ove pure l’investitore reso consapevole dalle informazioni ricevute insista per l’esecuzione dell’ordine, l’intermediario non e’ per cio’ solo vincolato ad adiempiere, potendo recedere “in presenza di ordini chiaramente rischiosi, idonei ad integrare gli estremi della giusta causa di recesso, ai sensi dell’articolo 1727 c.c., comma 1” (cfr. Cass. n. 7922/2015; Cass. n. 12262/2015).
2.1.4. – Chiaro ed univoco e’ anche l’orientamento della S.C. con riguardo alla forma della segnalazione di inadeguatezza.
L’articolo 29 in discorso non pone un requisito di forma concernente il contenuto delle informazioni che l’intermediario e’ tenuto a fornire all’investitore in ordine alle ragioni di inadeguatezza della disposizione di investimento (Cass. n. 18140/2013). La norma richiede cioe’ la forma scritta per l’ordine da parte del cliente, ma non con riguardo alla motivazione dell’inadeguatezza, la quale, considerato il principio generale della liberta’ di forme, ben puo’ essere fornita verbalmente: ed anzi nel quadro di applicazione di detta norma – a seguito del regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007 le informazioni, come si e’ accennato, “possono essere fornite in formato standardizzato” – discendera’ di regola da un individualizzato colloquio verbale, mirato ad un’effettiva spiegazione e reale comprensione dei termini e delle ragioni dell’inadeguatezza rilevata dall’intermediario (Cass. n. 17353/2016).
L’integrale esplicazione scritta del contenuto della segnalazione non e’ dunque obbligatoria “essendo sufficiente il riferimento alla circostanza dell’avere l’intermediario rivolto le avvertenze al cliente, ottenendone l’ulteriore richiesta di eseguire comunque l’operazione. Infatti, alla luce sia della lettera, sia della ratio della norma, ne’ la prima si presta ad un’interpretazione estensiva, ne’ la seconda la postula, considerando che la disposizione intende enfatizzare al cliente la rilevanza della sua decisione, nonche’ precostituire una prova per la banca, ma non impone nessuna forma con la quale veicolare le dovute informazioni” (Cass. n. 11578/2016). Proprio in ragione dell’insussistenza di una previsione che imponga all’intermediario, per cosi’ dire, di verbalizzare il contenuto delle informazioni somministrate al cliente in ordine requisito formale della segnalazione di inadeguatezza si giustifica l’affermazione secondo cui siffatta segnalazione e’ inidonea, in se stessa, ad assolvere agli obblighi informativi prescritti dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 21 e articolo 28 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, integrando la stessa un’affermazione del tutto riassuntiva e generica circa l’avvenuta completezza dell’informazione sottoscritta dal cliente (Cass. n. 11412/2012).
Ne’ un diverso orientamento sul punto potrebbe essere desunto da una frettolosa lettura di talune massime, o brani di decisioni, che, in effetti, non segnalano, come talora sostenuto in alcuni interventi di dottrina, alcun contrasto. Si trova ad esempio affermato che: “Tale dichiarazione puo’, ai piu’, comprovare l’avvenuto assolvimento degli obblighi di informazione incombenti sull’intermediario, sempre che sia corredata da una, sia pure sintetica, indicazione delle caratteristiche del titolo, in relazione al profilo dell’investitore ed alla sua propensione al rischio, tali da poterne sconsigliare l’acquisto, come nel caso in cui venga indicato nella dichiarazione che si tratti di titolo non quotato o emesso da soggetto in gravi condizioni finanziarie” (Cass. n. 4620/2015, ripresa da Cass. n. 1376/2016). Il che, evidentemente, non vuol dire che la segnalazione di inadeguatezza, redatta per iscritto, debba contenere una “sia pure sintetica, indicazione delle caratteristiche del titolo, in relazione al profilo dell’investitore ed alla sua propensione al rischio”, bensi’ che, se la contiene, com’era nel caso di specie, essa puo’ provare, in relazione alla circostanza ivi menzionata, e solo rispetto ad essa, l’adempimento dell’obbligo informativo.
2.1.5. – Passando all’esame del secondo aspetto, quello dell’atteggiarsi del riparto degli oneri di allegazione e di prova in sede giudiziale, occorre anzitutto richiamare la regola secondo cui, nei giudizi di risarcimento del danno, e’ onere dell’intermediario provare di avere agito con la diligenza richiestagli, ai sensi del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 23, comma 6, norma che, lungi dal comportare un’inversione dell’onere probatorio altrimenti discendente dall’articolo 2697 c.c., si pone in perfetta armonia e continuita’ con la regola generale stabilita dall’articolo 1218 c.c., che, in presenza dell’inadempimento, pone a carico del debitore la prova della sua non imputabilita’ (Cass. n. 17138/2016), non trovando applicazione tale norma solo al di fuori del campo della responsabilita’ contrattuale, ove il danneggiato intenda far valere la responsabilita’ extracontrattuale dell’intermediario per fatto altrui (Cass. n. 16616/2016).
Cio’ detto, con particolare riferimento agli obblighi informativi merita sottolineare che nessuna deroga sussiste rispetto alla regola generale che impone al creditore il quale agisca per l’inadempimento della controparte di allegare – ma certo non di provare – l’inadempimento. Con riguardo al riparto dell’onere di deduzione e probatorio, soffermandosi sul significato dell’articolo 23 citato, questa Corte ha affermato che, in materia di contratti di intermediazione finanziaria, allorche’ risulti necessario accertare la responsabilita’ contrattuale per danni subiti dall’investitore, va accertato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonche’, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Tuf) e prima ancora dal Decreto Legislativo 23 luglio 1996, n. 415, nonche’ dalla normativa secondaria, risultando, quindi, cosi’ disciplinato, il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonche’ fornire la prova del danno e del nesso di causalita’ fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito “con la specifica diligenza richiesta” (Cass. n. 3773/2009).
Spetta dunque in primo luogo all’investitore dedurre l’inadempimento consistente nella violazione degli obblighi informativi ai quali l’intermediario finanziario e’ tenuto, con conseguente collocazione a carico dello stesso intermediario finanziario dell’onere probatorio di avere esattamente adempiuto, nei termini previsti dalla normativa applicabile ed in relazione all’inadempimento cosi’ come dedotto.
Dopo di che grava sul cliente investitore l’onere della prova del nesso di causalita’ tra l’inadempimento e il danno: onere della prova la cui osservanza, versandosi in ipotesi di causalita’ omissiva, va scrutinata, in ossequio alla regola del “piu’ probabile che non”, attraverso l’impiego del giudizio controfattuale, e, cioe’, collocando ipoteticamente in luogo della condotta omessa quella legalmente dovuta, si’ da accertare, secondo un giudizio necessariamente probabilistico condotto sul modello della prognosi postuma, giudizio che ben puo’ muovere dalla stessa consistenza dell’informazione omessa (Cassazione n. 12544/2017), riguardata attraverso la lente dell’id quod plerumque accidit, se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole. Tale giudizio per sua natura non si presta alla prova diretta, ma solo a quella presuntiva, occorrendo desumere (nel rispetto del paradigma di gravita’, precisione e concordanza previsto dall’articolo 2729 c.c.) dai fatti certi emersi in sede istruttoria se l’investitore avrebbe tenuto una condotta, quella consistente nel recedere all’investimento, ormai divenuta nei fatti non piu’ realizzabile (Cass. n. 17194/2016).
Grava infine, ovviamente, sull’investitore la prova del danno.
Con speciale riguardo alle caratteristiche della deduzione di inadempimento dell’obbligo informativo, e’ stato ulteriormente specificato che essa deve necessariamente tradursi nella pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che la banca avrebbe omesso di fornire, dovendo il giudice, nello scrutinare siffatto inadempimento, attenersi ai fatti che l’attore ha posto a fondamento della domanda, senza poter, com’e’ ovvio, desumere la sussistenza dell’inadempimento dalla mancata offerta di informazioni che neppure l’interessato abbia lamentato di non aver ricevuto. E l’osservanza dell’onere di deduzione ha da essere sufficientemente delineata per una duplice ragione:
1) sia perche’ essa e’ necessaria al fine di consentire alla banca di provare il proprio adempimento, prova che va rapportata al ventaglio di informazioni che l’investitore ha lamentato di non aver ricevuto;
2) sia perche’ essa si collega all’onere della prova del nesso di causalita’ tra inadempimento e danno, gravante sullo stesso cliente, attraverso il giudizio controfattuale di cui si e’ detto.
Sicche’, a fronte della deduzione da parte dell’investitore scatta l’onere probatorio posto a carico dell’intermediario, il quale deve in tal caso provare di aver fornito, nei termini prima indicati, le informazioni dovute, ovvero che tali informazioni esulavano dall’ambito di quelle dovute.
Con riguardo all’assolvimento degli oneri probatori gravanti sull’intermediario, questa Corte ha altresi’ preso posizione sul rilievo della presa d’atto, da parte del cliente, della segnalazione di inadeguatezza, evidenziando, in continuita’ con il principio in precedenza esposto, che la sottoscrizione, da parte del cliente, della clausola in calce al modulo d’ordine, contenente la segnalazione d’inadeguatezza dell’operazione sulla quale egli e’ stato avvisato, e’ idonea a far presumere assolto – beninteso: non gia’ a ritenere provato – l’obbligo previsto in capo all’intermediario dall’articolo 29, comma 3, regolamento Consob n. 11522 del 1998; tuttavia, a fronte della contestazione del cliente, il quale alleghi quali specifiche informazioni furono omesse, grava sulla banca l’onere di provare, con qualsiasi mezzo, che invece quelle informazioni essa aveva specificamente reso (Cass. n. 11578/2016).
In breve, la sottoscrizione della segnalazione di inadeguatezza da parte del cliente non prova qualita’ e quantita’ delle informazioni date dall’intermediario, ma fa ritenere che questi abbia somministrato al cliente una informativa dal medesimo giudicata al momento, a torto o a ragione, soddisfacente. E, pero’, il cliente puo’ allegare in giudizio che l’informazione non vi e’ stata o non e’ stata completa, indicando le circostanze rilevanti non comunicate – e cosi’, a mero titolo di esempio tra i tanti, lamentare di essere stato informato dell’inadeguatezza dell’investimento per tipologia ed oggetto, ma non per dimensione e frequenza, quantunque si trattasse di un investimento sotto tale profilo sbilanciato -, dovendo in tal caso l’intermediario dimostrare specificamente il proprio adempimento.
Tale ricostruzione e’ ormai ferma, come emerge dalla massima secondo cui: “Nell’ipotesi in cui un investimento finanziario sia stato qualificato anche dall’intermediario come operazione inadeguata, l’assolvimento degli obblighi informativi cui quest’ultimo e’ tenuto, in mancanza della prova dell’osservanza delle cogenti prescrizioni contenute negli articoli 28 e 29 del regolamento Consob, n. 11522 del 1998, attuative dell’articolo 21 del Tuf, non puo’ essere desunta in via esclusiva dal profilo soggettivo del cliente, dal suo rifiuto di fornire indicazioni su di esso o soltanto dalla sottoscrizione dell’avvenuto avvertimento dell’inadeguatezza dell’operazione in forma scritta, essendo necessario che l’intermediario, a fronte della sola allegazione contraria dell’investitore sull’assolvimento degli obblighi informativi, fornisca la prova positiva, con ogni mezzo, del comportamento diligente della banca. Tale prova puo’ essere integrata dal profilo soggettivo del cliente o da altri convergenti elementi probatori ma non puo’ essere desunta soltanto da essi” (Cass. n. 19417/2017).
2.1.6. – Concorrono in definitiva a determinare il rigetto del motivo in esame, come subito si dira’, i principi, risultanti dalla giurisprudenza di questa Corte, che seguono:
“In tema di intermediazione finanziaria, la disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 23, comma 6, in armonia con la regola generale stabilita dall’articolo 1218 c.c., impone all’investitore, il quale lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, nel quadro dei principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonche’ di fornire la prova del danno e del nesso di causalita’ tra inadempimento e danno, nesso che sussiste se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole; incombe invece sull’intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute”;
“In tema di intermediazione finanziaria, nel quadro di applicazione dell’articolo 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, la segnalazione di inadeguatezza ivi contemplata al comma 3, laddove si riferisce ad “esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”, non richiede l’indicazione del contenuto delle informazioni al riguardo somministrate dall’intermediario; in tal caso e cioe’ in mancanza di indicazione del contenuto delle informazioni omesse, la sottoscrizione da parte del cliente della segnalazione di inadeguatezza non incide sul riparto del relativo onere di allegazione e prova, ne’ tantomeno costituisce prova dell’adempimento, da parte dell’intermediario, dell’obbligo informativo posto a suo carico, ma fa soltanto presumere che l’obbligo sia stato assolto, sicche’, ove il cliente alleghi quali specifiche informazioni siano state omesse, grava sull’intermediario l’onere di provare, con ogni mezzo, che invece quelle informazioni siano state specificamente rese, ovvero non fossero dovute”.
2.1.7. – Nel caso in esame, e’ allora agevole osservare, quanto alla denuncia di violazione di legge, che la doglianza prospettata non pone in alcun modo in discussione il significato e la portata precettiva delle norme richiamate nella rubrica del motivo, ma mira a censurare l’affermazione della Corte territoriale secondo cui la “spunta” era stata apposta accanto alla segnalazione di inadeguatezza, il che comportava l’assolvimento dell’onere probatorio gravante sull’intermediario finanziario.
Orbene, siffatta affermazione e’ viceversa conforme ai principi di cui si e’ dato conto, sicche’ la denunciata violazione di legge non ricorre, neppure sotto il profilo del vizio di sussunzione, dal momento che, come si e’ visto, la sottoscrizione della segnalazione di inadeguatezza fa reputare assolto l’obbligo informativo gravante sull’intermediario, mentre, nel caso di specie, non risulta affatto, salvo quanto subito dopo si dira’, che il dibattito processuale si fosse svolto con riguardo al contenuto dell’informativa fornita da (OMISSIS) S.p.A. nel segnalare l’operazione di investimento in obbligazioni (OMISSIS) come inadeguata: e che, in altre parole, l’ (OMISSIS), pur avendo sottoscritto la segnalazione di inadeguatezza, avesse poi allegato in giudizio di non aver ricevuto oralmente talune individuate informazioni circa il motivo dell’inadeguatezza.
Il solo dato di cui fa menzione nella sentenza di appello e’ il rischio di default dell'(OMISSIS) – non si sa, peraltro, se fatto valere dall’investitore quale elemento informativo omesso gia’ nel giudizio di primo grado -, ma, al riguardo, la Corte territoriale, con motivazione non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che all’epoca dell’investimento, in effetti collocato in epoca temporalmente antecedente di oltre un anno e mezzo rispetto al default, l’evento non fosse pronosticabile. E dunque non puo’ certo addebitarsi all’intermediario di non aver fornito informazioni di cui, secondo il giudice di merito, egli all’epoca legittimamente non disponeva.
2.2. – Il secondo motivo e’ inammissibile.
Trova nella specie applicazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo attualmente vigente. La nuova norma, valevole per i ricorsi contro sentenze depositate dall’11 settembre 2012, introduce nell’ordinamento il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. La riforma ha profondamente trasformato il n. in questione, assimilandolo ad una violazione di legge processuale per nullita’ della sentenza mancante della idonea motivazione, sotto il profilo dell’esistenza (assoluta omissione o mera apparenza) e della coerenza (irriducibile contraddittorieta’ e illogicita’ manifesta) (articolo 132, n. 4).
Le Sezioni Unite (Cassazione Sezioni Unite n. 8053/2014) hanno chiarito la portata della nuova disposizione, affermando, in particolare, che:
a) il ricorrente ha l’onere di indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato” da cui ne risulti l’esistenza (testuale, se emerge dalla sentenza; extratestuale, se dagli atti processuali), il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti, la decisivita’ del fatto stesso (come impongono l’articolo 366, comma 1, n. 6 e articolo 369, comma 2, n. 4);
b) l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio, ove il fatto sia stato comunque preso in considerazione;
c) il sindacato di legittimita’ sulla motivazione e’ ormai ricondotto a quello di violazione di legge, riguardando l’inesistenza della motivazione in se’, che risulti dal testo della sentenza impugnata, esaurentesi nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
Nel caso di specie, il ricorrente, lungi dall’individuare uno specifico fatto decisivo, nel senso di fatto storico, non ha fatto altro che sollecitare un nuovo apprezzamento degli elementi istruttori acquisiti al giudizio, e, in particolare, della sua condizione di scarsa consapevolezza del mondo degli investimenti finanziari e, ancora una volta, della genericita’ del modulo d’ordine.
2.3. – Il terzo motivo e’ inammissibile.
Nuovamente esso non ha nulla a che vedere con il vizio di violazione di legge, giacche’ mira semplicemente a porre in discussione la valutazione compiuta dal giudice di merito, il quale ha ritenuto che, all’epoca dell’investimento operato dall’ (OMISSIS), l’intermediario finanziario potesse segnalargli soltanto l’inadeguatezza dell’investimento, in ragione della sua rischiosita’, ma non il probabile default dell'(OMISSIS), che al momento non era prevedibile.
2.4. – Il quarto motivo e’ inammissibile.
E’ violato il principio di autosufficienza.
Difatti, ove si denunci la mancata pronuncia su motivi d’appello, e’ necessario riportarli in ricorso (Cass. n. 17049/2015, ove si sottolinea che detti motivi devono essere compiutamente riportati nella loro integralita’ nel ricorso; Cass. n. 21083/2014; Cass. n. 14561/2012), il che nella specie non e’ avvenuto.
E cio’ non consente di accedere alla soluzione, altrimenti condivisibile, indicata dal Procuratore Generale, il quale, muovendo dal motivo come sintetizzato nel ricorso, ha rammentato che, alla luce della giurisprudenza di questa Corte (viene ricordata Cass. n. 11876/2016), la negoziazione in contropartita diretta non importa di per se’ la sussistenza di un conflitto di interessi.
– Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.