anche ai sensi della L. n. 457 del 1978, articolo 31, lettera d), un intervento edilizio che comporti aumento di superficie non puo’ essere qualificato come ristrutturazione. La ristrutturazione edilizia mediante ricostruzione di un edificio preesistente venuto meno per evento naturale o per volontaria demolizione si attua, nel rispetto della L. n. 457 del 1978, articolo 31, comma 1, lettera d), attraverso interventi che comportino modificazioni esclusivamente interne dell’edificio preesistente, senza aumenti di superficie o di volume, in presenza dei quali, invece, si configura una nuova costruzione, sottoposta alla disciplina in tema di distanze (vigente al momento della realizzazione dell’opera) e alla relativa tutela ripristinatoria, dovendosi escludere che i regolarmente locali possano incidere, anche solo indirettamente con la previsione di soglie massime di incremento edilizio, sulle nozioni normative di “ristrutturazione” e di “nuova costruzione” e sui rimedi esperibili nei rapporti tra privati”).
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 9 gennaio 2019, n. 312
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19611/2014 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2879/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.
RILEVATO
che i signori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), condomini di uno stabile in (OMISSIS), hanno chiesto, sulla scorta di due motivi di ricorso, la cassazione della sentenza con cui la corte di appello di Roma, riformando la pronuncia del tribunale della stessa citta’, ha respinto le loro domande volte ad accertare che il fabbricato che i signori (OMISSIS) e (OMISSIS) (anch’essi condomini dello stabile di (OMISSIS), ma proprietari esclusivi del terreno con il medesimo confinante) avevano costruito in adiacenza allo stabile condominiale, per un verso, occupava aree e passaggi condominiali e, per altro verso, non rispettava la disciplina delle distanze;
che la corte di appello, in particolare, rilevava – sulla scorta dalla c.t.u. espletata in secondo grado; che, al momento della originaria realizzazione del fabbricato in contestazione (dalla stessa corte collocata nel 1995, con la precisazione che negli anni 1998/2000 sarebbe stata semplicemente sostituita la struttura base di acciaio con altra in cemento armato) l’immobile di (OMISSIS) era interamente in proprieta’ dei sigg. (OMISSIS), essendosi formato il condominio sul medesimo solo nel 1996, con le prime vendite delle unita’ immobiliari che lo compongono; donde l’insussistenza di qualunque problematica concernente l’occupazione di spazi comuni o la disciplina delle distanze;
che (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno depositato controricorso;
che la causa e’ stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del giorno 6 giugno 2018 per la quale il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte e le parti non hanno depositato memorie.
CONSIDERATO
che con il primo motivo di ricorso – rubricato in relazione all’articolo 360 c.p.c., con promiscuo richiamo al n. 3 (violazione degli articoli 24 e 111 Cost. e articoli 115 e 116 c.p.c.), al n. 4 (nullita’ della sentenza) ed al n. 5 (omesso esame di fatti decisivi) si propongono tre distinte censure, rispettivamente concernenti:
1) l’omesso l’esame delle note tecniche di parte;
2) l’omessa valutazione della c.t.u. di primo grado e l’omessa comparazione delle relative risultanze con quelle, di segno opposto, della c.t.u. di secondo grado (recepite dalla corte di appello, secondo i ricorrenti, in modo acritico);
3) l’omesso esame di fatti decisivi e la contraddittorieta’ della motivazione della statuizione relativa all’epoca di edificazione del manufatto contestato, con riferimento all’apprezzamento delle aerofotogrammetrie, dei provvedimenti adottati in sede penale, e della documentazione utilizzata dal c.t.u.;
che il motivo va giudicato inammissibile, perche’ in sostanza si risolve nella prospettazione di questioni di merito, censurando l’apprezzamento delle risultanze istruttorie operato dalla corte territoriale; le doglianze mosse dai ricorrenti non sono, infatti, in alcun modo riconducibili al paradigma fissato dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo, applicabile nel presente giudizio, riformato dal Decreto Legge n. 83 del 2012; ne’, sotto altro aspetto, la motivazione della sentenza gravata puo’ essere considerata inadeguata rispetto al “minimo costituzionale” che il giudice di merito e’ tenuto rispettare (SSUU. N. 8053/14); palesemente prive di attinenza al tema di lite, avente ad oggetto la tutela di ditti dominicali, vanno infine giudicate le argomentazioni sulla illiceita’ amministrativa del fabbricato;
che puo’ peraltro aggiungersi che – contrariamente a quanto lamentato con la doglianza sub 1) – la sentenza gravata da’ conto sia (pag. 4, secondo capoverso) del richiamo ad una consulenza tecnica di parte operato dal difensore degli odierni ricorrenti in sede di precisazione delle conclusioni (correttamente riferendolo, in mancanza di alcuna consulenza tecnica di parte depositato in secondo grado, alla consulenza tecnica di parte rese in primo grado), sia (pag. 6, righi 5 e 32) dell’esistenza di note tecniche trasmesse, nel corso delle operazioni peritali, dal consulente di parte al consulente d’ufficio nominato in secondo grado;
che parimenti puo’ aggiungersi che – contrariamente a quanto lamentato con la doglianza sub 2) – la corte di appello ha esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto la c.t.u. svolta in secondo grado maggiormente attendibile di quella svolta in primo grado, indicandole nel rilievo che la prima consulenza era “carente la descrizione dello stato dei luoghi (non apparendo chiara la situazione dalle fotografie delle sole aero fotografie)” (pag. 4, rigo 1) e la seconda era “non solo ampiamente argomentata e dettagliata, ma corredata dei esauriente documentazione (fotografie, aerofotogrammetrie ed elaborati grafici planimetrici) e non e’ stata contestata dalle parti” (affermazione, questa ultima, non in contrasto col fatto che il consulente di parte aveva trasmesso al c.t.u. note di osservazioni critiche sulla bozza di relazione peritale, trattandosi di note a cui lo stesso c.t.u. aveva risposto nel testo definitivo della sua relazione e quindi, in sostanza, di attivita’ interna al procedimento peritale);
che con il secondo motivo, riferito all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 457 del 1978, articolo 31 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, nonche’ degli articoli 873 e 877 c.c. e il vizio di omesso esame di fatti decisivi in ordine all’accertamento dell’epoca di completamento del manufatto;
che i ricorrenti, sotto un primo profilo, deducono che la sentenza si contraddirebbe laddove, a pag. 6, nel primo capoverso afferma che il manufatto in contestazione e’ stato completato nel 2002 e nella penultima riga afferma che esso e’ stato completato nel 2000; sotto un secondo profilo, censurano l’assunto della corte territoriale secondo cui l’ampliamento del fabbricato avvenuto negli anni 1998-2000 si sottrarrebbe alla disciplina delle distanze; sotto un terzo profilo lamentano l’omessa considerazione della circostanza che l’intervento di ristrutturazione era stato realizzato quando gia’ il condominio si era formato;
che il secondo dei suddetti profili di censura e’ fondato e assorbe gli altri;
che, infatti, la corte territoriale ha ritenuto che l’ampliamento del manufatto realizzato negli anni 1998/2000 non fosse soggetto alla rispetto della disciplina delle distanze, in quanto doveva essere qualificato come intervento di ristrutturazione edilizia, alla stregua della L. n. 457 del 1978, articolo 31, lettera d); al riguardo la corte territoriale argomenta che, ai fini della qualificazione dell’intervento edilizio come “ristrutturazione”, sarebbe irrilevante il mantenimento dei “volumi delle aree” (pag. 7, secondo rigo, della sentenza), essendo l’opera stata completata prima dell’entrata in vigore del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001;
che il ragionamento giuridico seguito dalla corte capitolina e’ errato, perche’ trascura il principio che, anche ai sensi della L. n. 457 del 1978, articolo 31, lettera d), un intervento edilizio che comporti aumento di superficie non puo’ essere qualificato come ristrutturazione (Cass. n. 17043/15: La ristrutturazione edilizia mediante ricostruzione di un edificio preesistente venuto meno per evento naturale o per volontaria demolizione si attua, nel rispetto della L. n. 457 del 1978, articolo 31, comma 1, lettera d), attraverso interventi che comportino modificazioni esclusivamente interne dell’edificio preesistente, senza aumenti di superficie o di volume, in presenza dei quali, invece, si configura una nuova costruzione, sottoposta alla disciplina in tema di distanze (vigente al momento della realizzazione dell’opera) e alla relativa tutela ripristinatoria, dovendosi escludere che i regolarmente locali possano incidere, anche solo indirettamente con la previsione di soglie massime di incremento edilizio, sulle nozioni normative di “ristrutturazione” e di “nuova costruzione” e sui rimedi esperibili nei rapporti tra privati”);
che pertanto, in definitiva, il ricorso va accolto limitatamente al secondo motivo, con cassazione della sentenza gravata e rinvio ad altra sezione della corte di appello di Roma, che si atterra’ al principio di diritto sopra enunciato e provvedera’ anche a regolare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile primo mezzo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza gravata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della corte di appello di Roma, che regolera’ anche le spese del presente giudizio.