In definitiva la presenza di irregolarità amministrative che rendono non commerciabile il compendio immobiliare in comunione, costituisce circostanza ostativa alla relativa divisione, anche qualora richiesta in sede giudiziale. La pronuncia giudiziale di scioglimento della divisione, invero, avendo funzione suppletiva di quella negoziale, incontra i medesimi limiti di quest’ultima; al contrario opinando, si finirebbe per attribuire alla prima una funzione elusiva delle norme imperative che governano la seconda. Ciò poiché la pronuncia giudiziale ha sempre natura costitutiva, con effetti traslativi vietati, nel caso di specie, dal combinato disposto di cui agli artt. 17 e 40 della legge n. 47 del 1985.
Corte d’Appello|Roma|Sezione 3|Civile|Sentenza|6 aprile 2020| n. 1913
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
SEZIONE TERZA CIVILE
così composta:
Dr. Giuseppe Lo Sinno Presidente
Dr. Michele Di Mauro Consigliere
Dr. Pierluigi De Nardis Consigliere Relatore
riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado d’appello iscritta al numero 1880 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2016, trattenuta in decisione all’udienza del giorno 21/05/2019, vertente
TRA
ST.CL. (c.f. (…)), ST.CL. (c.f. (…)), ST.FL. (c.f. (…)), MA.IV. (c.f. (…)), domiciliati in VIA (…) ROMA, presso lo studio dell’Avv. SC.FR. (c.f. (…)), che li rappresenta e difende
APPELLANTI
E
AL.ST. (c.f. (…)), e AL.CL. (c.f. (…)), domiciliati in Roma, VIA (…), presso lo studio dell’Avv. SA.SC. (c.f. (…)), che li rappresenta e difende con procura in atti;
APPELLATI
E
ST.PI. (c.f. (…)), domiciliato in Roma, VIA (…), presso lo studio dell’Avv. AI.FR. (c.f. (…)), che lo rappresenta e difende
APPELLATO
OGGETTO: appello contro la sentenza non definitiva n. 20875/13 e avverso la sentenza definitiva n. 5824/2015 emesse dal Tribunale di Roma.
FATTO E DIRITTO
I germani St. e Cl.Al. hanno adito il Tribunale di Roma per chiedere lo scioglimento della comunione sull’immobile di proprietà di essi attori per 6/18 indivisi e dei fratelli St.Cl., St.Fl. e St.Cl. per i 12/18 indivisi di nuda proprietà, gravati dall’usufrutto vitalizio in favore della madre Ma.Iv..
Nel giudizio (incardinato con il n. R.G. 66840/08) e stato convenuto anche il Signor Pi.St. (padre di Se., Cl. e Fl.St. e marito di Iv.Ma.) in quanto risultato catastalmente intestatario, benché privo di qualsiasi titolo, di due “capannoni” che insistono sul terreno.
Gli attori hanno quindi dedotto la comoda divisibilità del bene e chiesto, in ipotesi contraria, l’attribuzione della proprietà dell’intero cespite.
Si sono costituiti in giudizio i nudi proprietari e la usufruttaria, contestando le richieste degli attori e deducendo, in particolare:
– la non divisibilità del bene, con conseguente richiesta di attribuzione dell’intera proprietà ai contitolari della quota maggiore (vale a dire essi convenuti);
– il pregiudizio che sarebbe derivato dalla divisione alla Si. S.r.l. (società della famiglia St.), qualificata come “conduttore” del terreno;
– la estraneità dei fabbricati alla comunione, in quanto di proprietà di St.Pi..
Gli stessi hanno pertanto chiesto al Tribunale di “…respingere le domande dei Sigg.ri Al. e, previo accertamento e declaratoria della indivisibilità del terreno “de quo”, attribuire – ai sensi dell’art. 720 c.c. ai Signori Iv.Ma., Se. St., Fl.St. e Cl. St. (la prima come usufruttuaria e gli altri tre come nudi proprietari) anche la proprietà della quota di 1/3 del terreno attualmente di proprietà degli attori.”.
Si è altresì costituito il Signor Pi.St., chiedendo il rigetto della domanda svolta dagli attori “nella parte in cui si fa riferimento al fabbricato che è di piena esclusiva proprietà del Sig. Pi.St.”.
Veniva disposta consulenza tecnica avente ad oggetto la divisibilità del cespite (comprensivo dei fabbricati) e, in caso negativo, la determinazione del valore del bene.
Il consulente depositava un primo elaborato dal quale risultava la non comoda divisibilità del bene e un suo valore complessivo di Euro 550.000.
Il Tribunale riconvocava quindi il consulente, il quale, tuttavia ha reiterato il proprio convincimento sulla non comoda divisibilità del bene e ribadito il valore dell’immobile.
In data 11.10.2011 veniva riunita al giudizio la causa (iscritta al r.g. n. 72488/10) promossa da St.Pi. il quale ha chiesto l’accertamento dell’acquisto per usucapione dei capannoni edificati sul terreno de quo o, in subordine del diritto a ricevere i rimborsi e le indennità di cui all’art. 1150 c.c., invocando, in ulteriore subordine, la tutela ex art. 2041 c.c..
In data 21.10.2013 veniva pubblicata la sentenza non definitiva n. 20875/13 (sulla quale i convenuti hanno formulato riserva di appello) con la quale il Tribunale:
– ha respinto tutte le domande svolte da Pi.St.;
– ha accertato che oggetto della comunione e’ l’intero cespite immobiliare;
– ha disposto (con separata ordinanza) la rinnovazione della c.t.u.
E’ stato quindi nominato un secondo consulente (Dott. Ma.) che, contrariamente al primo, ha accertato la comoda divisibilità del bene “in due quote – pari a 1/3 e 2/3”, con la precisazione che il frazionamento potrà essere ottenuto in caso di positivo accoglimento delle domande di concessione in sanatoria e a seguito dell’ottenimento della autorizzazione paesaggistica.
Ha comunque stimato il valore del bene in Euro 1.197.000,00.
Le conclusioni del consulente sono state condivise dal Tribunale che, con la sentenza appellata ha così statuito:
“- dichiara esecutivo il progetto di divisione redatto dal c.t.u. nella relazione depositata il 18.6.2014;
– assegna a St. e Cl.Al. il lotto A, meglio descritto nella planimetria allegata alla ctu del 18.6.2014;
– assegna a Se. St., Cl. St., Fl.St. il lotto B gravato dal diritto di usufrutto a favore di Iv.Ma. con addebito dell’eccedenza garantita da ipoteca legale a favore di St. e Cl.Al. della somma di 17.916,17 Euro;
– dichiara la servitù di fognatura a favore del lotto B ed a carico del lotto A…”.
I signori Se., Fl. e Cl. St. e Iv.Ma. hanno impugnato le due sentenze del tribunale censurando i provvedimenti impugnati
(I) nella parte in cui hanno ritenuto che il primo ctu non avesse esposto le ragioni a sostegno del proprio convincimento sulla non divisibilità del bene,
(II) laddove non si sarebbe tenuto conto della violazione che la divisione del bene comporterebbe con riferimento all’art. 29 L. 52/1985,
(III) per la mancata considerazione della necessità dell’autorizzazione paesaggistica per procedere alla divisione,
(IV) per aver ordinato la – non richiesta dalle parti – demolizione delle opere abusive e non condonabili, (V) per aver ritenuto cessato il contratto di locazione dell’immobile de quo.
Hanno quindi concluso, per l’accoglimento dell’appello, instando in via istruttoria per la ulteriore rinnovazione della c.t.u.
Le controparti costituendosi hanno resistito all’appello.
All’esito dello scadere dei termini ex art. 190 c.p.c. si osserva che il secondo motivo di appello è fondato.
Con esso si sostiene che, come accertato dal c.t.u. “I capannoni oggetti di causa sono stati costruiti senza alcun titolo edilizio autorizzativo” aggiungendo che: “risultano presentate al Comune di Roma da Pi.St. numero tre domande di concessione edilizia in sanatoria ma non rilasciata alcuna concessione in sanatoria”.
Prosegue la relazione tecnica affermandolo, che: “da quanto accertato direttamente presso l’ufficio condono edilizio tutte e tre le domande di condono sono ancora ferme “inoltre” la domanda di condono numero 3/574178 del 28 aprile 2005 presentata ai sensi della legge numero 326/2003 per abuso costituito da ampliamento di 20 m quadri commerciali, non potrà essere accolta perché interessa un immobile posto in zona vincolata… anche la superficie dell’ufficio (14,75 m quadri netti) non può essere sanabile in quanto non compresa in nessuna domanda di condono… Ulteriore abuso non compreso in nessuna domanda di condono è la realizzazione un piccolo magazzino scoperto (circa 4 m quadri) posto sotto la tettoia ed in aderenza al capannone. Tutti tali abusi, non sanabili o non compresi in domande di condono, dovranno essere rimossi”.
Preliminarmente va osservato che l’appellante ha ritenuto che tali circostanze rendono indivisibili i beni, oggetti di giudizio, poiché a ciò osterebbe il comma uno bis dell’articolo 29 della legge 27 febbraio 1985 numero 52.
Al riguardo si deve evidenziare che, più propriamente, ai fini che qui ci occupano, i fatti dedotti violano l’art. 40. Co. 2, L. n. 47 /1985 avendo, viceversa, la normativa invocata nel motivo d’appello, rilevanza più sotto l’aspetto catastale.
Tale operazione ermeneutica deve ritenersi consentita alla legge in base ad una pluralità di ragioni.
Infatti confortano in ciò i principi in tema di interpretazione degli atti processuali il cui contenuto va desunto dal significato complessivo dei medesimi; il principio per il quale, fermi i fatti, iura novit curia e, in via dirimente, la circostanza che il divieto della norma richiamata deve ritenersi imperativo, inderogabile e tassativo e, quindi, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
Tanto precisato va rilevato che l’affermazione contenuta nella sentenza definitiva di primo grado secondo cui: “indipendentemente dalla natura ereditaria o meno della comunione, la suprema corte ha di recente evidenziato che dal tenore dell’articolo 40 della citata legge numero 47 del 1985 si ricava che gli immobili abusivi realizzati tra il 1 settembre 1967 e la data di entrata in vigore della stessa legge rimangono sempre divisibili, in quanto l’articolo 40, a differenza articolo 17, non fa menzione dello scioglimento delle comunioni, le quali possono quindi essere sciolte, anche se costituite da immobili privi di concessione edilizia” non è corretta.
Ciò proprio in riferimento alla giurisprudenza richiamata dal tribunale (Cass. n. 14764/2005) su cui sono tornate a pronunciarsi le sezioni unite della medesima affermando, al contrario, che:” Orbene, dal confronto tra la disposizione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 1, e quella della L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, risulta come soltanto nella prima gli “atti di scioglimento della comunione” sono espressamente contemplati tra quelli colpiti da nullità ove da essi non risultino le menzioni urbanistiche; nella seconda disposizione (la L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2), invece, nessun riferimento espresso vi è agli atti di scioglimento della comunione.
Questa mancata coincidenza tra il testo delle due disposizioni ha indotto in passato questa Corte ad affermare, facendo applicazione del canone interpretativo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, che la L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, – a differenza di quanto vale per l’art. 17, comma 1, della stessa legge (ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 1) – non è applicabile agli atti di scioglimento della comunione (Cass. Sez. 2, n. 14764 del 13/07/2005); sicché nessuna comminatoria di nullità esisterebbe per gli atti di scioglimento della comunione di qualsiasi tipo (anche comunione ordinaria) relativa ad edifici abusivi, non sanati, realizzati prima dell’entrata in vigore della L. n. 47 del 1985.
Le Sezioni Unite ritengono che vi siano validi argomenti per rivedere tale conclusione.
In primo luogo, sul piano della interpretazione letterale, va considerata la diversa struttura semantica delle due disposizioni normative.
Infatti, mentre il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 (come prima la L. n. 47 del 1985, art. 17, comma 1) individua gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici abusivi (o a loro parti), per i quali commina la sanzione della nullità, avendo riguardo al loro effetto giuridico (“trasferimento, costituzione o scioglimento di comunione”), la L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, invece, individua gli atti inter vivos per i quali commina la nullità avendo riguardo solo al loro “oggetto”, richiedendo cioè che si tratti di “atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali (…) relativi ad edifici o loro parti”, prescindendo dal loro effetto giuridico (il richiamo all’effetto giuridico degli atti, contenuto nella locuzione “esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù”, si rinviene nella disposizione solo con funzione eccettuativa, ossia per escludere, dal campo di applicazione della norma, gli atti costitutivi, modificativi ed estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù).
In sostanza, la L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, indica gli atti oggetto della comminatoria di nullità in modo ellittico e sintetico, attraverso l’amplissima formula “atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali (…) relativi ad edifici o loro parti”; tale espressione, sul piano logico-semantico, risulta comprensiva di tutti gli atti inter vivos aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici, qualunque effetto giuridico abbiano, eccettuati solo gli atti espressamente esclusi.
Pertanto, come – nella detta formula – devono ritenersi senza dubbio compresi gli atti di trasferimento o di costituzione di diritti reali aventi ad oggetto edifici o loro parti (anch’essi non espressamente previsti), così non vi sono ragioni per escludere – sul piano dell’interpretazione letterale – gli atti di scioglimento della comunione se e in quanto aventi ad oggetto edifici (o loro parti).
In secondo luogo, poi, sul piano della interpretazione teleologica e avuto riguardo allo scopo perseguito dal legislatore, va considerato che sia l’art. 46 che l’art. 40 disciplinano comunque atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici abusivi o a loro parti.
Non potrebbe comprendersi, allora, in mancanza di espressa previsione di legge, perché lo scioglimento della comunione di un immobile abusivo e non sanabile dovrebbe ritenersi consentito per il solo fatto che il fabbricato sia stato realizzato prima dell’entrata in vigore della L. n. 47 del 1985; considerato, peraltro, che le sanzioni amministrative della demolizione dell’edificio abusivo e dell’acquisizione di esso al patrimonio del comune valgono anche per i fabbricati realizzati prima della entrata in vigore della detta legge.
Tantomeno potrebbe comprendersi perché dovrebbe essere vietata la compravendita o la costituzione di usufrutto relativamente ad un tale immobile e dovrebbe invece essere consentito lo scioglimento della comunione, pur se trattasi di comunione non ereditaria.
In entrambi i casi si è dinanzi ad un immobile edificato illecitamente e non ricondotto a legittimità sul piano amministrativo. La omogeneità delle situazioni non consente, in mancanza di una espressa previsione normativa, di concludere per una diversità di disciplina.
In definitiva, va preso atto che la L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, sia pure attraverso un diverso percorso semantico, ha la medesima estensione applicativa dell’art. 46 del D.P.R. n. 380 cit. (e della disposizione che lo ha preceduto). Nulla autorizza a ritenere che la comminatoria di nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, abbia un ambito oggettivo diverso da quello della comminatoria prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 1; nulla autorizza a ritenere che gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi o loro parti siano esclusi, alle condizioni stabilite, dalla comminatoria di nullità, considerato che essi rientrano comunque nella classe degli atti contemplati nella disposizione di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2; nulla autorizza a ritenere che il legislatore abbia inteso prevedere una disciplina differenziata per gli atti di scioglimento di comunione aventi ad oggetto edifici, a seconda che la costruzione sia stata realizzata in data anteriore o successiva rispetto all’entrata in vigore della L. n. 47 del 1985.
Alla stregua di quanto sopra, deve concludersi che la L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, è applicabile anche agli atti di scioglimento della comunione” (S.U. n. 25021/2019).
In definitiva la presenza di irregolarità amministrative che rendono non commerciabile il compendio immobiliare in comunione, costituisce circostanza ostativa alla relativa divisione, anche qualora richiesta in sede giudiziale. La pronuncia giudiziale di scioglimento della divisione, invero, avendo funzione suppletiva di quella negoziale, incontra i medesimi limiti di quest’ultima; al contrario opinando, si finirebbe per attribuire alla prima una funzione elusiva delle norme imperative che governano la seconda. Ciò poiché la pronuncia giudiziale ha sempre natura costitutiva, con effetti traslativi vietati, nel caso di specie, dal combinato disposto di cui agli artt. 17 e 40 della legge n. 47 del 1985.
L’appello, pertanto, va accolto
I rimanenti motivi d’appello restano assorbiti.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura in dispositivo indicata.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da ST.CL., ST.CL., ST. e FL.MA.IV. nei confronti di AL.ST., AL.CL. e ST.PI. contro la sentenza non definitiva n. 20875/13, e contro la sentenza definitiva n. 1880/2016, rese tra le parti dal Tribunale di Roma, ogni altra conclusione disattesa, così provvede:
– Accoglie l’appello e per l’effetto annulla le sentenze impugnate;
– condanna AL.ST., AL.CL. e ST.PI. al rimborso, in favore di ST.CL., ST.CL., ST. e FL.MA.IV., delle spese, che si liquidano, quanto al primo grado, in complessivi Euro 10.343.00 oltre le spese di ctu e in in complessivi Euro 804,00 per esborsi ed Euro 8.066,00 per compensi, per il presente grado, oltre rimborso spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Roma il 19 dicembre 2019.
Depositata in Cancelleria il 6 aprile 2020.