la cancellazione dell’account dell’utente su una piattaforma di social network è prevista sia per giusta causa riconducibile ad un illecito contrattuale (così, ad esempio, nel caso di pubblicazione di contenuti minatori, pornografici, con incitazioni all’odio o alla violenza), ma anche soltanto in relazione alla possibilità che l’utente possa essere fonte di rischi per la community. Della disattivazione o cancellazione dell’account, l’utente ha conoscenza soltanto al successivo tentativo di accesso ovvero tramite la ricezione via email di una notifica. Non sussiste alcun obbligo di preavviso. Nell’ambito di un accordo di diritto privato la scelta di privare l’utente della piattaforma social rientra nel diritto di recesso, peraltro compiutamente regolamentato. Né ciò può realmente rappresentare una lesione ai diritti fondamentali ed inviolabili della persona, garantiti a livello costituzionale, ovvero di autodeterminarsi (art. 2 Cost.), di poter svolgere la propria attività politica in un contesto di uguaglianza e pari opportunità con gli altri esponenti di tutte le altre fazioni (art. 3 Cost.), di ambire (anche in forma professionale e remunerata) a cariche politico istituzionali (art. 4, 49, e 51 Cost.), di manifestare liberamente il proprio pensiero (art – 21 Cost.). Invero, trattasi di diritti,questi, certamente liberamente esercitabili in contesti diversi, pubblici e, comunque, idonei alla più ampia espressione della propria personalità nell’ambito di una leale competizione politica con la possibilità di condividere con gli appartenenti a quella certa corrente la propria ideologia.
Tribunale|Siena|Civile|Ordinanza|19 gennaio 2020
Data udienza 19 gennaio 2020
TRIBUNALE ORDINARIO DI SIENA
SEZIONE UNICA CIVILE
Il giudice designato,
nel procedimento promosso con ricorso ex artt. 669 bis e ss. e 700 c.p.c. ante causam, da
SE.FU., nato (…) e residente a (…) Via (…), codice fiscale (…), rappresentato e difeso – giusta procura in calce al ricorso dall’avvocato GU.GA. del Foro di Milano (…), elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC (…);
– Ricorrente –
Contro
Fa., numero di registrazione (…), con sede legale in (…), Irlanda (“(…)”) in persona dei legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli avv.ti Mi.Mo., C.F. (…), Ma.Lu., C.F. (…), Fi.Fr., C.F. (…) e Lu.To., C.F. (…) in virtù della procura speciale alle liti in atti, nonché dall’avv. Li.Pa. in forza dell’atto di nomina in calce alla comparsa di costituzione, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Mi.Mo., sito in Roma, via (…)
– Resistente –
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 16 gennaio 2020, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Il signor Se.Fu. ha depositato in data 6 novembre 2019 ricorso ex art. 700 c.p.c. nei confronti della società (…) per sentir accogliere le seguenti conclusioni:
– ordinare a (…) l’immediato ripristino del profilo personale del Ricorrente e della “pagina tematica” ad esso connessa denominata Se.Fu. Sindaco;
– a tal fine procedere, ai sensi dell’art. 669 sexies, comma 2 c.p.c., con decreto inaudita altera parte fissando l’udienza di comparizione delle parti avanti a sé ed assegnando al Ricorrente il termine per la notifica a controparte dei ricorso e del decreto;
– stabilire ed imporre a controparte, ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., il pagamento di una somma di denaro ritenuta di giustizia da versarsi in favore del Ricorrente per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento imposto in capo alle Resistente (c.d. “astreintes”);
– con vittoria di spese di lite nella misura ritenuta di giustizia oltre ogni onere di legge.
Ha dedotto il ricorrente che in data 9 settembre 2019, la società resistente avrebbe, ingiustificatamente e senza preavviso, soppresso due account telematici accesi dal signor Se.Fu. nella piattaforma web “(…)”, e tanto nonostante l’utilizzo dei predetti account fosse sempre avvenuto nel pieno rispetto delle regole di funzionamento previste dai gestore; che a fronte di diffida (…) non avrebbe fornito alcun riscontro.
Il ricorrente ha, pertanto, insistito nelle conclusioni indicate sottolineando, quanto al fumus, boni iuris, la violazione delle regole contrattuali da parte di (…) in uno alla violazione di diritti di rango costituzionale, quali la lesione al diritto di autodeterminarsi (art. 2 Cost.); al diritto di svolgere la propria attività politica in un contesto di uguaglianza e pari opportunità con gli altri esponenti di tutte le altre fazioni (art. 3 Cost.); al diritto di ambire a cariche politico istituzionali(art. 4, 49, e 51 Cost.); al diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21 Cost.).
Con riferimento al periculum in mora, ha denunciato il grave ed irreparabile pregiudizio legato all’illegittima condotta della resistente, causa inevitabile, in caso di prolungato oscuramento del profilo, di un’inammissibile privazione della possibilità di esprimere il proprio pensiero personale e politico attraverso uno strumento (il social network) oggi essenziale a tale scopo, con conseguente ingiustificata disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri esponenti politici di movimenti diverso dal suo.
Si è costituita in giudizio (…) resistendo nel merito al ricorso e chiedendone il rigetto.
All’udienza del 16.01.2020, udita la discussione delle parti, il Tribunale ha assunto riserva.
Il ricorso non merita accoglimento per quanto di seguito precisato.
Invero, salvo il limite di una delibazione necessariamente sommaria propria dell’odierna fase cautelare, appaiono carenti i presupposti, necessariamente ed unitariamente richiesti per la concedibilità dell’invocata cautela.
Sul fumus boni iuris.
L’utilizzo della piattaforma “(…)” è disciplinato da un contratto di diritto privato, ovvero dalle c.d. Condizioni d’Uso che disciplinano i termini di utilizzo del servizio e regolano il rapporto tra ciascun utente e (…). Le Condizioni d’uso di (…) prevedono che ogni persona possa aprire un account, comunemente detto “Profilo”.
Dunque accedendo a (…) e volendo aprire un proprio account, l’utente deve prima sottoscrivere un accordo col quale accetta le condizioni d’uso (“Le presenti Condizioni (precedentemente la Dichiarazione dei diritti e delle responsabilità) rappresentano l’intero accordo fra l’utente e (…) in relazione all’uso dei nostri Prodotti. …..” (art. 5) (v. home page (…)).
Segnatamente, nel caso che occupa, rilevano i seguenti articoli delle citate Condizioni d’Uso: art. 3.2 concernente gii impegni dell’utente nei confronti di (…) e della sua Community stabilisce (…) desidera che i propri utenti possano esprimere e condividere contenuti per loro importanti, ma senza pregiudicare la sicurezza e il benessere degli altri o l’integrità della nostra community. Pertanto, l’utente accetta di non adottare le condotte descritte qui sotto (o di agevolarne o supportarne l’adozione da parte di altri):
1. L’utente non può usare i nostri Prodotti per adottare condotte o condividere elementi:
Contrari alle nostre Condizioni, ai nostri Standard della community e ad altre condizioni e normative applicabili all’uso di (…).
Contrari alla legge, ingannevoli, discriminatori o fraudolenti.
In violazione o contrari ai diritti di altri soggetti…;
(…) può rimuovere o bloccare i contenuti che violano tali disposizioni…”; art. 4.2 delle Condizioni prevede che “in caso (…) stabilisca che l’utente abbia violato chiaramente, seriamente o reiteratamente le proprie condizioni o normative, fra cui in particolare gli Standard della community, (…) potrebbe sospendere o disabilitare in modo permanente l’accesso dell’utente al suo account”.
Gli artt. 3.2 e 5 delle Condizioni, poi, rimandano espressamente agli Standard della Comunità di (…) che descrivono “(…) gli standard in merito ai contenuti pubblicati su (…) dall’utente e alle attività dell’utente su (…) e sugli altri Prodotti di (…)” (v. doc. 6 ricorrente; doc. 2 resistente).
Gli Standard vietano, espressamente, contenuti che possano essere interpretati come “discorsi di incitazione all’odio” perché “creano un ambiente di intimidazione ed esclusione e, in alcuni casi, possono promuovere violenza reale”; definiscono i “discorsi di incitazione all’odio” come: “un attacco diretto alle persone sulla base di aspetti tutelati a norma di legge quali razza, etnia, nazionalità di origine, religione, orientamento sessuale, casta, sesso, genere o identità di genere e disabilità o malattie gravi.
Forniamo anche misure di protezione per lo status di immigrato. Definiamo l’attacco come un discorso violento o disumanizzante, dichiarazioni di inferiorità o incitazioni all’esclusione o alla segregazione”) vietano, poi, i contenuti che esprimono supporto ai gruppi coinvolti nell’odio organizzato.
Sotto il titolo “Persone e organizzazioni pericolose”, gli Standard chiariscono che (…) non ammette contenuti che “esprimono supporto o elogio di gruppi, leader o individui coinvolti in queste attività”.
Sotto il titolo rubricato “Violenza e istigazione alla violenza”, gli Standard chiariscono e avvisano che “Cerchiamo di impedire possibili atti di violenza offline … rimuoviamo qualunque contenuto che promuova o istighi seriamente alla violenza.
Provvederemo a rimuovere i contenuti, disabilitare gli account e collaborare con le forze dell’ordine qualora ritenessimo reale l’eventualità di seri rischi di danno fisico o minacce dirette alla sicurezza pubblica.
Cerchiamo anche di considerare il linguaggio e il contesto per distinguere le dichiarazioni casuali da contenuti che possano costituire una minaccia reale alla sicurezza pubblica o personale.
Per determinare se una minaccia è credibile, potremmo anche prendere in considerazione altre informazioni come la visibilità pubblica di una persona e i rischi per la sua sicurezza fisica”.
Gii Standard della Comunità, inoltre, prevedono espressamente che violazioni commesse da un utente possano comportare la rimozione di contenuti, la sospensione dall’utilizzo del Servizio (…) o la disabilitazione dell’account (sia temporanea che definitiva). In particolare “Le conseguenze per la violazione degli Standard della community dipendono dalla gravità della violazione e dai precedenti della persona sulla piattaforma.
Ad esempio, nel caso della prima violazione, potremmo solo avvertire la persona, ma se continua a violare le nostre normative, potremmo limitare la sua capacità di pubblicare su (…) o disabilitare il suo profilo”.
Tanto premesso, la società resistente ha compiutamente motivato e documentato il proprio ..buon diritto, di origine contrattuale, a procedere alla disattivazione della pagina e del profilo del ricorrente.
Documentalmente, risulta che il (…) ha pubblicato contenuti in violazione delle condizioni di policy: tra i molti, tutti allegati alla memoria difensiva della resistente, nell’aprile 2019, ha pubblicato un post offensivo per gli immigrati, in quanto chiaramente allusivo a condotte di rilevanza penale “attenti a non avere un’aria troppo felice per strada. Una “risorsa” potrebbe sentirsi in diritto di tagliarvi la gola”.
Contenuto ritenuto contrario all’art. 13 degli Standard della Comunità (hate speech basato sulla razza o etnia); nell’aprile 2017, ha postato un contenuto offensivo nei confronti di Al.Ce., che recita “(…) … ma vai a cagare”. Questo contenuto viola l’art. 13 degli Standard della Comunità (hate speech basato sulla razza, l’etnia o orientamento sessuale), (per tutti v. doc. 29 resistente).
In buona sostanza, non risulta allo stato una violazione contrattuale da parte di (…) né la società resistente può seriamente essere paragonata ad un soggetto pubblico nel fornire un servizio, pur di indubbia rilevanza sociale e socialmente diffuso, comunque prettamente privatistico.
Si ricordi ancora una volta che l’art. 3.2 delle Condizioni prevede espressamente che nel caso in cui “l’utente abbia violato chiaramente, seriamente o reiteratamente le proprie condizioni o normative, fra cui in particolare gli Standard della community, (…) potrebbe sospendere o disabilitare in modo permanente l’accesso dell’utente al suo account”.
E d’altra parte, (…) non è necessariamente tenuta, sulla scorta delle condizioni di contratto, a dare preavviso prima di intraprendere azioni per rimuovere contenuti o pagine che violano gli Standard della Comunità.
A tal fine, infatti, è previsto che “Le conseguenze per la violazione degli Standard della community dipendono dalla gravità della violazione e dai precedenti della persona sulla piattaforma. Ad esempio, nel caso della prima violazione, potremmo solo avvertire la persona, ma se continua a violare le nostre normative, potremmo limitare la sua capacità di pubblicare su (…) o disabilitare il suo profilo”.
In altri termini, la cancellazione dell’account dell’utente è prevista sia per giusta causa riconducibile ad un illecito contrattuale (così, ad esempio, nel caso di pubblicazione di contenuti minatori, pornografici, con incitazioni all’odio o alla violenza), ma anche soltanto in relazione alla possibilità che l’utente possa essere fonte di rischi per la community. Della disattivazione o cancellazione dell’account, l’utente ha conoscenza soltanto al successivo tentativo di accesso ovvero tramite la ricezione via email di una notifica. Non sussiste alcun obbligo di preavviso. Nell’ambito di un accordo di diritto privato la scelta di privare l’utente della piattaforma social rientra nel diritto di recesso, peraltro compiutamente regolamentato.
Né ciò può realmente rappresentare una lesione ai diritti fondamentali ed inviolabili della persona, garantiti a livello costituzionale, ovvero di autodeterminarsi (art. 2 Cost.), di poter svolgere la propria attività politica in un contesto di uguaglianza e pari opportunità con gli altri esponenti di tutte le altre fazioni (art. 3 Cost.), di ambire (anche in forma professionale e remunerata) a cariche politico istituzionali (art. 4, 49, e 51 Cost.), di manifestare liberamente il proprio pensiero (art – 21 Cost.). Invero, trattasi di diritti,questi, certamente liberamente esercitabili in contesti diversi, pubblici e, comunque, idonei alla più ampia espressione della propria personalità nell’ambito di una leale competizione politica con la possibilità di condividere con gli appartenenti a quella certa corrente la propria ideologia.
Sul periculum in mora.
Tanto ha immediate conseguenze anche sui secondo presupposto necessariamente richiesto ai fini di una valutazione di fondatezza dell’invocata cautela che, pur non necessitando di approfondimento già in ragione dell’assenza del fumus boni iuris, ad ogni buon conto, non è riscontrabile nel caso di specie, non essendo neppure specificato quali siano i danni subiti e subendi. Al ricorrente, invero, non è precluso, né potrebbe esserlo, come conseguenza dell’oscuramento del proprio profilo su (…), di adoperare altre piattaforme per la manifestazione, certamente libera ed ampia, del proprio pensiero.
Il ricorso, dunque, deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, nel rispetto dei parametri ex DM 55/14, applicati i valori minimi, tenuto conto della natura sommaria della causa e non liquidata la fase istruttoria.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda cautelare proposta da SE.FU. nei confronti di (…), così provvede:
I) RIGETTA la domanda;
II) CONDANNA il ricorrente alla rifusione, in favore della società resistente, delle spese processuali, che liquida in 1.823,00, oltre a rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, cap ed iva come per legge.
Si comunichi.
Così deciso in Siena il 19 gennaio 2020.
Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2020.