In materia di successione testamentaria, il legittimario che propone l’azione di riduzione ha l’onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonché quello della quota di legittima violata dal testatore. A tal fine, ha l’onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva oltre che proporre, sia pure senza l’uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibile e la susseguente riduzione delle donazioni compiute in vita dal “de cuius”.” Nel caso di esercizio dell’azione di riduzione, il legittimario, ancorché abbia l’onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata, senza che sia necessaria all’uopo l’indicazione in termini numerici del valore dei beni interessati dalla riunione fittizia e della conseguente lesione, può, a tal fine, allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva.
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Corte d’Appello|Napoli|Sezione 2|Civile|Sentenza|22 giugno 2022| n. 2874
Data udienza 18 maggio 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI NAPOLI
SECONDA SEZIONE CIVILE
in persona dei magistrati:
dott.ssa Rosaria Papa presidente
dott. Sergio Gallo consigliere est.
dott.ssa Maria Teresa Onorato consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile, in grado d’appello, n. R.G. 3891/2016, promossa da:
– (…), cf. (…), elettivamente domiciliata in Sarno (Sa) al Corso (…) presso lo studio dell’avv. An.Pe., dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura in atti
APPELLANTE
contro
– (…), cf. (…) e (…), cf. (…), entrambi elettivamente domiciliati in Poggiomarino (Na) alla via (…) presso lo studio dell’avv. Ra.So., dal quale sono rappresentati e difesi, giusta procura in atti
APPELLATI
nonché
– (…), cf. (…),
APPELLATO NON COSTITUITO avverso la sentenza n. 1665/2016 depositata il 9.6.2016, pronunciata dal tribunale di Torre Annunziata
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Avverso la sentenza n. 1665/2016, depositata il 9.6.2016, con la quale il tribunale di Torre Annunziata aveva rigettato le domande e condannato l’attrice alle spese del grado, ha proposto appello (…) deducendo a sostegno quattro motivi.
2. Si sono costituiti in giudizio (…) e (…) e hanno chiesto il rigetto dell’appello.
Non si è costituito (…).
3. Non è stato acquisito il fascicolo cartaceo del giudizio di primo grado mentre è in atti quello telematico. Non è stata svolta attività istruttoria ma la documentazione in atti consente a questa Corte di poter decidere.
4. Va ora, per ragioni di comodità, brevemente illustrato il tema centrale della vertenza.
(…) evocava in giudizio (…), Salvatore e Ciro per sentire dichiarare in via principale la nullità del testamento olografo del de cuius (…) pubblicato il 27.7.2000, aperta la successione di (…) e (…), disporsi la divisione dei compendi ereditari e in via subordinata dichiarare la nullità di tutte le disposizioni testamentarie che avevano escluso il coniuge (…) dalla quota di cui all’art. 543 c.c., dichiarare aperta la successione legittima di costei, formare le quote, dichiarare la nullità della disposizione testamentaria per violazione delle norme sulla donazione, integrare la quota spettante all’attrice e, in ulteriore subordine, ridurre la disposizione testamentaria e integrazione della quota spettante all’attrice.
Disposta consulenza grafologica, il tribunale, con la impugnata sentenza, rigettava tutte le domande dell’attrice condannandola alle spese del grado.
5. Preliminarmente, risulta superabile la censura circa la inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., per avere, in tesi, omesso l’appellante di indicare le modifiche delle parti della sentenza oggetto di impugnativa.
All’uopo la Corte osserva che l’atto di gravame è sorretto da una adeguata e corretta impostazione, dato che risultano bene esplicitate le parti della decisione attinte dagli specifici motivi di gravame, opportunamente evidenziate tramite il richiamo testuale dei passaggi della motivazione censurati.
6. Con il primo motivo, l’appellante deduce violazione ed errata applicazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c., motivazione apparente.
Il tribunale ha rigettato la domanda di nullità del testamento olografo di (…), pubblicato per notar (…) senza fornire alcuna motivazione richiamando unicamente le conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico di ufficio senza ulteriori specificazioni in ordine ai motivi di fatto e di diritto che hanno indotto il tribunale a ritenere la consulenza tecnica di ufficio pienamente condivisibile.
Tuttavia, l’attrice, oggi appellante, nominava un proprio Ctp che giungeva a conclusioni totalmente opposte affermando la natura apocrifa della firma apposta da (…) al testamento olografo e l’attrice successivamente ha sempre contestato le conclusioni della CTU chiedendone la rinnovazione ma sul punto il tribunale non ha mai motivato.
7. Con il secondo motivo, l’appellante deduce nullità del testamento olografo del 27.12.1999 ai sensi dell’art. 602 c.c., rinnovo della CTU grafica.
L’appellante, in particolare, chiede espressamente la rinnovazione della consulenza tecnica di ufficio tenuto conto degli esiti delle conclusioni del Ctp di parte attrice, il cui consulente ha affermato che il confronto tra la firma apposta sul testamento e quelle autografe, sulle scritture di comparazione, hanno svariate e significative diversità, tali da portare ad escludere il coinvolgimento del suddetto nella sottoscrizione del testamento impugnato.
Il tribunale di Torre Annunziata aveva dunque tutti gli elementi, di fatto e di diritto, per rinnovare la consulenza tecnica di ufficio.
7.1. I due motivi possono essere scrutinati congiuntamente e vanno rigettati in quanto infondati.
Occorre rilevare che secondo il granitico indirizzo della Corte di nomofilachia (Cass. n. 14638 del 2 luglio 2004), il giudice di merito che riconosce convincenti le conclusioni del consulente tecnico non é tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni che lo inducono a fare propri gli argomenti dell’ausiliare se dalla indicazione della consulenza tecnica possa desumersi che le contrarie deduzioni delle parti siano state rigettate, dato che in tal caso l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso. Di modo che, soltanto nel caso in cui i rilievi all’operato del consulente tecnico avanzati dopo il deposito della relazione si presentino specifici, puntuali e suffragati da elementi di prova, il giudice, che ritiene di uniformarsi al parere del consulente tecnico, non può sottrarsi al dovere di esporre le ragioni per le quali ha ritenuto infondati i medesimi rilievi (Cass. 12630/1995; 7716/2000; 3492/2002).
La Corte di Cassazione (Cass. 10688/08) ha ribadito tale indirizzo ermeneutico, avendo affermato che è consentito al giudice di limitarsi a condividere le argomentazioni tecniche svolte dal proprio consulente, recependole, qualora le critiche mosse alla consulenza siano state già valutate dal consulente d’ufficio ed abbiano trovato motivata e convincente smentita in un rigoroso ragionamento logico. D’altro canto, non è a sottacersi che sempre la Suprema Corte (Cass.282/2009) sia giunta ad affermare che non è necessario che il giudice si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le conclusioni tratte, risolvendosi in mere allegazioni difensive. Si tratta questo di orientamento che ha radici non recenti (Cass. 1642/1976), per la quale il giudice del merito, mentre deve indagare le ragioni per le quali ritenga di non poter condividere le conclusioni del consulente tecnico di ufficio, non è, invece, tenuto ad una specifica e particolareggiata motivazione nel caso in cui a quelle conclusioni aderisca, riconoscendole giustificate dalle indagini svolte dal consulente e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione. In questo caso, è sufficiente che egli dimostri, senza la necessità di un’analitica motivazione, di aver proceduto alla valutazione della consulenza tecnica e di averla riscontrata convincente, oltre che immune da difetti o lacune.
Inoltre, mette conto evidenziare, come da orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, che (Cass. n. 7341/2004) “Qualora il giudice di merito fondi la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, affinché i lamentati errori e le lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza è necessario che essi si traducano in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche e scientificamente errate, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali non possa prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del consulente e quella della parte circa l’entità e l’incidenza del dato patologico; al di fuori di tale ambito, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice.”
Sulla scorta dei suesposti riferimenti giurisprudenziali, questa Corte ritiene di non poter accogliere la censura di violazione ed errata applicazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c., giacchè le conclusioni cui è giunto il c.t.u., informate a parametri tecnico-scientifici, non risultano essere state adottate acriticamente dal giudice di prime cure, bensì a mezzo di specifico scrutinio, che postula la condivisibilità della relativa parte motiva della sentenza impugnata.
Ed invero il primo giudice ha richiamato espressamente le conclusioni del consulente tecnico di ufficio il quale in modo esplicito ha evidenziato la ragioni per le quali la sottoscrizione di (…) al proprio testamento olografo non è apocrifa (“…Si sono riconosciuti riferimenti letterali da poter essere comparati, per procedere, definire, ed addivenire ad una giusta conclusione sulla loro genesi grafica. In definitiva, dalla sintesi degli elementi di concordanza segnica affiorati, si evince che le grafie tra il testo della scheda testamentaria e la firma in calce ad essa e l’autografia, sono compatibili sotto il profilo grafodinamico. Il conforme moto esecutivo dei segni. Cosi come la loro ritmicità, l’entità e la distribuzione degli impulsi pressori, i gesti coattivi inequivocabili, e quant’altro, rappresentano il prodotto di imput grafici che sono ascrivibili alla mano di (…)”).
E nel contempo il consulente tecnico di ufficio aveva adeguatamente risposto ai rilievi del consulente di parte attrice, oggi appellante, per cui deve ritenersi che non sussistevano margini per disporre una eventuale rinnovazione della consulenza tecnica di ufficio.
Ció in conformità a quanto autorevolmente affermato dal Giudice di legittimità (Cass. n. 18410/2013) per il quale “Il giudice di merito, ove intenda disporre una nuova consulenza tecnica d’ufficio, è tenuto a motivare adeguatamente – in base ad idonei elementi istruttori o cognizioni proprie, eventualmente integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza – le ragioni che lo conducono ad ignorare o sminuire i dati risultanti dalla relazione del CTU già in atti, rispondendo tale esigenza a ragioni di economia processuale e dei costi del giudizio, oltre al rispetto del canone della ragionevole durata del processo, per la cui valutazione si tiene conto anche dei tempi necessari per l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio, che non possono risultare sprecati”.
Ne consegue che, sebbene (Cass. Ord. 18657/2020) “In tema di consulenza tecnica di ufficio, il secondo termine previsto dall’art. 195 c.p.c., comma 3, così come modificato dalla L. n. 69 del 2009, svolge, ed esaurisce, la sua funzione nel sub-procedimento che si conclude con il deposito della relazione dell’ausiliare, sicché, in difetto di esplicita previsione in tal senso, la mancata prospettazione al consulente tecnico di ufficio di rilievi critici non preclude alla parte di arricchire e meglio specificare le relative contestazioni difensive nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in sede di gravame, laddove tale accertamento sia stato posto a base della decisione di primo grado. “, non emergono dall’atto di appello contestazioni di tale tenore, dovendo, così, disattendersi, in considerazione di tutto quanto statuito, la richiesta rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio grafica.
8. Con il terzo motivo, l’appellante addebita alla sentenza violazione dell’art. 112 c.p.c. “mancata pronuncia sull’apertura della successione legittima di (…)” benché espressamente richiesto in atto di citazione.
8.1. Il motivo è privo di fondamento.
Dall’esame degli atti, giova precisare anzitutto che in primo grado l’attrice, odierna appellante, chiedeva, al punto n. 2) delle conclusioni del proprio atto di citazione, “in subordine, accogliere la domanda di cui alla premessa e per gli effetti dichiarare la nullità di tutte le disposizioni testamentarie che hanno escluso il coniuge (…) dalla quota di legittima prevista dall’art. 542 del Codice Civile e, per gli effetti, dichiarare aperta la successione legittima della medesima (…), formare le singole quote previa detrazione, rectius rendiconto, del valore acquisito a titolo di possesso sino ad oggi di tutti i beni detenuti dai fratelli germani in danno dell’istante pretermessa”.
A tal uopo, mette conto rilevare che il giudice di prime cure sia pervenuto al rigetto delle domande attoree in ragione del mancato assolvimento dell’onere probatorio della parte, statuendo, segnatamente, che “Pertanto, la mancata allegazione e descrizione dei beni relitti e delle donazioni indirette che formano la massa ereditaria, non consente di determinare la quota disponibile e la quota di legittima riservata alla madre e all’attrice, e ciò impedisce ogni valutazione della fondatezza della domanda, non avendo l’attrice allegato sufficientemente, e provato, i fatti costitutivi posti a suo fondamento. Pertanto, le domande di riduzione devono essere respinte… Il rigetto della richiesta di dichiarazione di nullità del testamento e il rigetto della domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie comporta, logicamente, anche il rigetto della domanda di divisione, mancando il presupposto della esistenza di beni comuni ereditari da dividere risultando valide le disposizioni del testatore”.
Di talché, l’omessa dichiarazione di apertura della successione di (…) costituisce il logico corollario della mancata dichiarazione/pronuncia di nullità delle disposizioni testamentarie censurate.
Sulla scorta di tali evidenze, la doglianza in esame è destituita di fondamento, non ravvisandosi, nella sentenza appellata, la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia del giudice di prime cure sul punto.
9. Con il quarto motivo di gravame l’appellante lamenta violazione ed errata interpretazione dell’art. 557 c.c. in comb. disp. con l’art. 2697 c.c., contraddittorietà della motivazione da parte del tribunale il quale ha rigettato la domanda di riduzione perché l’attrice non avrebbe indicato i beni trasferiti per testamento né avrebbe fornito la prova delle donazioni indirette a favore dei convenuti, oggi appellati.
Deduce di contro l’appellante di aver avanzato, in primo grado, domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni effettuate dal de cuius (…) subordinandola alla domanda di nullità del testamento olografo del 27.12.1999.
L’attrice nel costituirsi in giudizio ha prodotto dichiarazione di successione di (…) e il verbale di pubblicazione del testamento olografo presso il notaio (…) e nei detti atti risultava la descrizione di tutti i beni immobili oggetto delle disposizioni testamentarie di cui all’impugnato testamento.
I beni relitti erano stati oggetto delle medesime disposizioni testamentarie impugnate dall’attrice, oggi appellante, avendo leso il suo diritto di legittima.
Quindi il tribunale, in aderenza al costante orientamento dallo stesso seguito come richiamato in motivazione, avrebbe dovuto accogliere la domanda di riduzione almeno limitatamente ai beni immobili di cui alla dichiarazione di successione senza tener conto delle donazioni, non provate.
9.1. Detto motivo va disatteso.
Occorre premettere che l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui (Cass. n. 20830/2016) “In materia di successione testamentaria, il legittimario che propone l’azione di riduzione ha l’onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonché quello della quota di legittima violata dal testatore. A tal fine, ha l’onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva oltre che proporre, sia pure senza l’uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibile e la susseguente riduzione delle donazioni compiute in vita dal “de cuius”.”, è stato da ultimo ribadito (Cass. n. 18199/2020) “Nel caso di esercizio dell’azione di riduzione, il legittimario, ancorché abbia l’onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata, senza che sia necessaria all’uopo l’indicazione in termini numerici del valore dei beni interessati dalla riunione fittizia e della conseguente lesione, può, a tal fine, allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva. “.
Attesa la distinzione, operata dal giudice di prime cure, tra attività assertiva e attività asseverativa, questa Corte ritiene che l’azione di riduzione esperita non possa essere accolta, stante il mancato assolvimento, in modo compiuto, dell’allegazione dei fatti costituivi della medesima.
Occorre altresì precisare che, come correttamente motivato dall’impugnata sentenza, a tal uopo non si configura come sufficiente la deduzione/produzione della dichiarazione di successione di (…) e del verbale di pubblicazione del testamento olografo presso il notaio (…).
Del pari, l’onere che grava sulla parte ai sensi dell’art. 2967 c.c. non può assolversi né essere surrogato ricorrendo alla consulenza tecnica d’ufficio. Tale assunto trova conferma, coerentemente a quanto oggetto di scrutinio degli anzidetti motivi d’appello, nel consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, per la quale (Cass. ord. 19631/2020) “La CTU non può essere utilizzata per colmare le lacune probatorie in cui sia incorsa una delle parti o per alleggerirne l’onere probatorio. Le parti, infatti, non possono sottrarsi all’onere probatorio di cui sono gravate, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., e pensare di poter rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente. Il ricorso al consulente deve essere disposto non per supplire alle carenze istruttorie delle parti o per svolgere una indagine esplorativa alla ricerca di fatti o circostanze non provati, ma per valutare tecnicamente i dati già acquisiti agli atti di causa come risultato dei mezzi di prova ammessi sulle richieste delle parti (Cass. 06/12/2019, n. 31886). Sicché, in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, la quale, ove ricorrente, non integra gli estremi di una istanza istruttoria, non essendo la CTU qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, a disporre una nuova CTU, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia al fine di motivare il non accoglimento della richiesta”.
Va condivisa, dunque, la ricostruzione del Tribunale, a tenore della quale “La mancata allegazione e descrizione dei beni relitti e delle donazioni indirette che formano la massa ereditaria, non consente di determinare la quota disponibile e la quota di legittima riservata alla madre ed all’attrice, non avendo l’attrice allegato sufficientemente, e provato, i fatti costitutivi posti a suo fondamento”, che, esente da vizi logico-giuridici, conduce al rigetto della pretesa in oggetto.
10. La totale soccombenza dell’appellante comporta la sua condanna al pagamento delle spese del presente grado in favore degli appellati costituiti; la relativa liquidazione viene eseguita in dispositivo alla luce dei parametri di cui al regolamento emanato con il D.M. 10 marzo 2014 n. 55 e succ. modif. e con attribuzione all’avv. Raffaele Solano dichiaratosi antistatario.
Nulla per le spese tra le altre parti.
10.1. Posto che il procedimento è iniziato in data successiva al 30 gennaio 2013, l’appellante principale, in quanto soccombente, è tenuto a pagare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione (art. 13 comma 1 quater D.P.R. 2002 n. 115 inserito ex art. 1, c.17, legge 24 dicembre 2012 n. 228).
P.Q.M.
La Corte d’appello di Napoli, seconda sezione civile, ogni altra istanza ed eccezione disattesa, sull’appello proposto da (…) avverso la sentenza n. 1665/2016 depositata il 9.6.2016, pronunciata dal tribunale di Torre Annunziata, così definitivamente provvede:
1 – rigetta l’appello;
2 – condanna (…) a corrispondere a (…) e (…), in solido, le spese del grado che si liquidano in Euro 6.615,00 = per compensi professionali, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge da attribuire all’avv. Ra.So. dichiaratosi anticipatario;
3 – nulla per le spese tra le altre parti;
4 – dà atto che l’appellante principale è tenuto a pagare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione (art. 13 comma 1 quater D.P.R. 2002 n. 115 inserito ex art. 1, c.17, legge 24 dicembre 2012 n. 228).
Così deciso in Napoli il 18 maggio 2022.
Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2022.
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