nel caso, in cui un terzo non proprietario ha realizzato la costruzione a sue,spese e con suoi materiali sul fondo dell’Amministrazione, la quale, riconosciuta l’utilita’ dell’opera, non ne ha chiesto la rimozione ed e’ stata condannata al pagamento, a favore del terzo, dell’indennizzo di cui all’articolo 936 c.c., l’Amministrazione proprietaria del fondo non ha titolo per pretendere il risarcimento dei danni conseguenti alla illegittima occupazione del terreno e all’accessione.
Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|23 agosto 2019| n. 21648
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Maura – Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26008-2015 proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE e AGENZIA DEL DEMANIO, rappresentati e difesi per legge dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi 12, domicilia ex lege;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS);
– intimati –
nonche’
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– intimati –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO DI POTENZA, depositata il 25/9/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/5/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.
FATTI DI CAUSA
L’Amministrazione delle Finanze, con atto di citazione notificato in data 16/7/1974, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Potenza, (OMISSIS) deducendo che lo stesso aveva da anni occupato abusivamente un appezzamento di terreno in (OMISSIS), di proprieta’ dell’attrice, sul quale aveva costruito un fabbricato.
L’attrice, quindi, ha rivendicato la piena disponibilita’ dell’area e della costruzione, acquisita per accessione, nonche’ il risarcimento del danno per l’illegittima occupazione dell’una e dell’altra.
Il convenuto, dopo aver resistito alla domanda proposta dall’attrice, ha, a sua volta, proposto domanda riconvenzionale per la condanna dell’attrice al pagamento dell’indennita’ per i miglioramenti dovuti al possessore di buona fede.
Il tribunale, con sentenza del 2006, accertata la qualita’ di mero detentore in capo al convenuto, ha accolto la domanda di rilascio proposta dall’attrice, riconoscendo il suo diritto al risarcimento del danno per mancato godimento sia del suolo che della costruzione. Il tribunale, inoltre, ha accolto la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, riconoscendo il suo diritto ad ottenere, a norma dell’articolo 936 c.c., l’indennizzo, che ha determinato, in base al criterio dell’incremento di valore del fondo, nella somma di Euro 156.2524,91, cosi’ come attualizzata al 1995 dal consulente tecnico d’ufficio, oltre rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valore, dall’1/1/1996 alla data della pubblicazione della sentenza, ed interessi legali da detta data al soddisfo.
Il Ministero e l’Agenzia delle Entrate hanno proposto appello articolando un unico motivo di doglianza, afferente la quantificazione della somma riconosciuta a titolo d’indennizzo, con il quale hanno censurato l’erroneita’ della decisione nella parte in cui il tribunale avrebbe operato una ipervalutazione dei parametri posti a fondamento della domanda riconvenzionale, e chiedendo, per l’effetto, di dichiarare l’erroneita’ dei criteri di quantificazione posti a base dell’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta in primo grado e, previa rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, determinare gli stessi in maniera corretta riformando in parte qua la decisione impugnata.
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi del convenuto, si sono costituiti in giudizio, resistendo al gravame, ed hanno, a loro volta, proposto appello incidentale deducendo, innanzitutto, che il proprietario del suolo ha il diritto al risarcimento del danno solo nel caso di tempestiva richiesta di rimozione delle opere e non anche quando abbia scelto di ritenerle; in secondo luogo, che la somma ad essi spettante e’ certamente superiore ad Euro 400.000,00, dovendosi determinare l’entita’ delle migliorie apportate al fondo al momento del rilascio e sulla base dei prezzi correnti di mercato.
La corte d’appello di Potenza, con la sentenza in epigrafe, ha, in parte, accolto l’appello incidentale, rigettando, per l’effetto, la domanda risarcitoria proposta in primo grado dal Ministero dell’economia e delle finanze, ed ha, in parte, accolto l’appello principale proposto dal Ministero, che ha, per l’effetto, condannato a corrispondere agli eredi del convenuto la somma di Euro 177.296,14, oltre interessi legali dalla sentenza all’effetti soddisfo.
La corte, in particolare, dopo aver premesso che: – gli eredi del convenuto non hanno impugnato la-decisione del tribunale nella parte in cui ha accertato la proprieta’ del fondo in capo all’Amministrazione finanziaria e li ha condannati al suo rilascio, ne’ l’intervenuta accessione della costruzione al suolo a norma dell’articolo 934 c.c.; – nessuna, parte ha contestato il momento dell’accessione, fissato dal consulente tecnico al 1980; – l’Amministrazione non ha impugnato nell’an la statuizione sull’indennizzo riconosciuto agli eredi del convenuto ai sensi dell’articolo 936 c.c. ma solo nel quantum, ne’ ha impugnato quella sui presupposti utilizzati per calcolare il risarcimento in suo favore, che, sebbene richiesto per il mancato utilizzo tanto del terreno, quanto della costruzione, il tribunale ha determinato con esclusivo riguardo alla mancata fruizione di quest’ultima, ne’, infine, ha impugnato il criterio di determinazione dell’indennizzo riconosciuto alla controparte, che, nonostante l’espresso riferimento alla minor somma tra lo speso e il migliorato, e’ stato calcolato dal tribunale sul melioratum anziche’ sull’expensum; – gli eredi del convenuto non hanno impugnato la statuizione sugli accessori, nonostante che il tribunale abbia riconosciuto sull’indennizzo calcolato dal consulente tecnico solo la rivalutazione monetaria e non anche gli interessi; – nessuna delle parti ha censurato i parametri utilizzati dal consulente tecnico per la determinazione del valore della costruzione nel 1980, quando, cioe’, come detto, e’ intervenuta l’accessione, calcolato in Lire 67.036.353; ha provveduto ad esaminare, congiuntamente a quello specularmente articolato in via incidentale dagli appellati, il motivo d’appello principale sul quantum dell’indennizzo dovuto al costruttore del fabbricato ai sensi dell’articolo 936 c.c., e lo ha ritenuto fondato: l’indennizzo spettante agli eredi del convenuto, infatti, ha osservato la corte, dev’essere correttamente calcolato avendo come parametro di riferimento il valore (“non contestato”) della costruzione nell’anno 1980 (quando, cioe’, si e’ verificata l’accessione), pari a Euro 67.036.353 (Euro 34.621,30), al quale deve aggiungersi la sola rivalutazione cui sono ordinariamente assoggettati, secondo l’indice F.O.I., i crediti di valore, determinandolo, all’attualita’, nella somma complessiva di Euro 177.296,14: importo idoneo a produrre gli interessi legali dalla data della sentenza fino all’effettivo soddisfo.
La corte, inoltre, ha ritenuto fondato l’appello incidentale nella parte in cui gli appellati hanno lamentato che il tribunale aveva riconosciuto il diritto dell’Amministrazione finanziaria al risarcimento dei danni pur avendo quest’ultima scelto di ritenere l’opera acceduta al suolo. Secondo la corte, deve escludersi il risarcimento del danno in favore del proprietario del fondo laddove quest’ultimo non sia o non sia piu’ legittimato a chiedere la rimozione dell’opera da altri costruita sul suo suolo. D’altra parte, l’Amministrazione ha coltivato sin dal primo grado non la richiesta di rimozione dell’opera bensi’ il suo acquisto a titolo originario: e “da tale esplicita richiesta e’ legittimo individuare un implicito riconoscimento dell’utilita’ di tale acquisizione, per cui l’ulteriore risarcimento – ha concluso la corte – finirebbe per tradursi in una non dovuta locupletazione”.
Il Ministero e l’Agenzia delle Entrate, con ricorso spedito per la notifica in data 23/10/2015, hanno chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello di Lecce.
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando l’omesso esame di un punto decisivo della controversia sulla quantificazione dell’indennizzo. ex articolo 936 c.c. in favore della parte privata, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, in accoglimento dell’appello principale che l’Amministrazione aveva proposto, ha ritenuto che l’indennizzo dovuto al costruttore del fabbricato ai sensi dell’articolo 936 c.c. doveva essere calcolato avendo come valore di riferimento quello dell’anno 1980 e che tale somma doveva essere rivalutata alla data della decisione.
1.2. Sennonche’, cosi’ facendo, hanno osservato i ricorrenti, la corte ha preso come base di calcolo una cifra, e cioe’ Euro 34.621,30, non solo contesta ma addirittura gia’ corretta dallo stesso consulente tecnico d’ufficio, che l’aveva elaborata, anche in considerazione delle motivate contestazioni tecniche svolte all’epoca dall’U.T.E., come puo’ evincersi dal semplice lettura del supplemento alla consulenza tecnica d’ufficio del 20/9/2006 nella quale il consulente tecnico d’ufficio ha indicato il valore dell’immobile al 1980 nella somma di Euro 29.657,27, e cioe’ in Lire 57.424.486.
2. Il motivo e’ infondato. I ricorrenti, infatti, non si confrontano con la decisione impugnata: la quale, invero, ha determinato l’indennizzo spettante agli eredi del convenuto avendo come parametro di riferimento il valore della costruzione nell’anno 1980 (quando, cioe’, si e’ verificata l’accessione), pari a Lire 67.036.353 (Euro 34.621,30), sul presupposto che tale valore non era stato contestato dalle parti. I ricorrenti, pertanto, in tanto avrebbero potuto censurare la statuizione conseguentemente assunta dalla corte d’appello (se del caso, – per aver assunto – come base di calcolo una cifra, e cioe’ Euro 34.621,30, non solo contestata ma addirittura gia’ corretta dallo stesso consulente tecnico d’ufficio) solo se ed in quanto avessero preliminarmente dedotto l’erroneita’ del convincimento espresso nella sentenza della mancata contestazione di tale valore, provvedendo alla trascrizione dei relativi scritti difensivi: cio’ che, nella specie, non e’ accaduto.
3.1. Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione di legge per l’erronea e falsa applicazione dell’articolo 936 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto l’incompatibilita’ tra la pretesa risarcitoria avanzata dall’Amministrazione ed il vantaggio economico che la stessa aveva ricevuto dalla costruzione dell’opera.
3.2. In realta’, hanno osservato i ricorrenti, l’articolo 936 c.c. non deroga i principi generali in forza dei quali chi detiene un bene di altri contro la volonta’ del proprietario, anche se vi realizza un’accessione, sottrae il bene al legittimo titolare e lo danneggia non consentendogli di utilizzarlo e di disporne, ledendo, quindi, le sue principali facolta’ dominicali. Pertanto, hanno proseguito i ricorrenti, anche nel caso in cui si persegue il pagamento delle somme dovute per l’utilizzazione dei beni, e’ incontrovertibile il fatto che i privati hanno detenuto i beni e ne hanno impedito l’utilizzo da parte dello Stato. D’altra parte, hanno aggiunto i ricorrenti, il danno non puo’ essere escluso nemmeno a norma dell’articolo 1227 c.c., comma 2, poiche’ il mero ritardo nella richiesta di tutela giurisdizionale non configura mai un concorso di colpa del danneggiato.
4. Il motivo e’ infondato. Questa Corte, infatti, ha gia’ avuto modo di osservare che nel caso, come quello in esame, in cui un terzo non proprietario ha realizzato la costruzione a sue,spese e con suoi materiali sul fondo dell’Amministrazione, la quale, riconosciuta l’utilita’ dell’opera, non ne ha chiesto la rimozione ed e’ stata condannata al pagamento, a favore del terzo, dell’indennizzo di cui all’articolo 936 c.c., l’Amministrazione proprietaria del fondo non ha titolo per pretendere il risarcimento dei danni conseguenti alla illegittima occupazione del terreno e all’accessione: in tal senso, in effetti, depone il principio di diritto espresso da questa Corte con la sentenza n. 10441 del 2002 e, piu’ di recente, ribadito con la sentenza n. 3523 del 2017, secondo cui,
in tema di costruzione od opera eseguita dal terzo con materiali propri su suolo altrui, il diritto al risarcimento del danno e’ dall’articolo 936 c.c., comma 3, espressamente riconosciuto in favore del proprietario del suolo nel solo caso in cui il medesimo sia altresi’ legittimato a chiedere la rimozione dell’opera: quando, invece, al proprietario non e’ o non e’ piu’ consentito proporre quest’ultima domanda, e’ il terzo ad avere viceversa diritto ad un indennizzo a fronte del vantaggio economico da detta costruzione od opera derivato al proprietario del fondo, vantaggio che e’ prioritario ed assorbente rispetto al danno dal medesimo eventualmente subito ed incompatibile con la relativa pretesa risarcitoria. In altri termini, soltanto nel caso in cui sia legittimato a chiedere la rimozione dell’opera, il proprietario ha garantito altresi’ il risarcimento del danno, consistente nel ristoro del pregiudizio arrecatogli con l’occupazione temporanea del fondo, nonche’ del danno materiale causato al fondo stesso (escavazioni, fondazioni, perdita di colture); mentre, tanto nel caso dell’espressa scelta di ritenzione quanto in quello dell’omessa richiesta di rimozione nel congruo termine normativamente previsto, e’ ravvisabile un implicito riconoscimento dell’utilita’ dell’opera da parte del proprietario del suolo, incompatibile con un pretesa risarcitoria, senza che si possa distinguere tra danni derivanti dall’accessione e danni dovuti all’occupazione temporanea del fondo.
5. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.
6. Non vi e’ luogo a pronuncia sulle spese, non avendo gli intimati svolto attivita’ difensiva in questa sede.
7. Ne’ vi e’ luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato. Infatti, il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del medesimo articolo 13, comma 1 bis non puo’ aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualita’ soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. n. 5955 del 2014).
P.Q.M.
la Corte cosi’ provvede: rigetta il ricorso.