Nel testamento olografo l’omessa o incompleta indicazione della data ne comporta l’annullabilita’; l’apposizione di questa ad opera di terzi, invece, se effettuata durante il confezionamento del documento, lo rende nullo perche’, in tal caso, viene meno l’autografia stessa dell’atto, senza che rilevi l’importanza dell’alterazione. Peraltro, l’intervento del terzo, se avvenuto in epoca successiva alla redazione, non impedisce al negozio mortis causa di conservare il suo valore tutte le volte in cui sia comunque possibile accertare la originaria e genuina volonta’ del de cuius.
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Il testamento olografo, pubblico e segreto.
Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Sentenza|3 luglio 2019| n. 17870
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15645-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 778/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata. il 03/07/2012 ed avverso la sentenza n. 163/2015 della CORTE DI APPELLO DI GENOVA, depositata il 05/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/12/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilita’ ed in subordine il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore della resistente, che ha chiesto l’inammissibilita’ ed in subordine il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Per quanto interessa in questa sede la presente causa lite e’ stata introdotta da (OMISSIS) nei confronti del fratello (OMISSIS) in relazione alla duplice successione dei genitori.
In riferimento alla successione del padre l’attrice ha chiesto accertarsi la esistenza di una donazione elargita in favore del coerede, mediante acquisto di un immobile in (OMISSIS), con mezzi forniti dal padre (OMISSIS).
Sempre in relazione alla successione paterna ha chiesto che il fratello fosse dichiarato indegno per avere soppresso la copia del testamento che il genitore gli aveva consegnato.
Con riferimento alla successione della madre, poiche’ in relazione a tale successione fu pubblicato un testamento olografo, ha chiesto in primo luogo di accertarsene la nullita’ per difetto di autenticita’, essendo comunque il testamento nullo in dipendenza dell’inserimento nella scheda delle parole “dim. di (OMISSIS)”.
Il convenuto si e’ costituito e ha contestato le domande, chiedendo in riconvenzionale l’accertamento, ai fini della collazione, di una donazione fatta dal defunto alla sorella e al coniuge di lei, tramite pagamento del prezzo di acquisto dell’immobile in (OMISSIS).
E’ intervenuta volontariamente nel giudizio (OMISSIS), figlia di (OMISSIS), rivendicando i propri diritti di erede per rappresentazione del genitore per l’ipotesi che ne fosse dichiarata l’indegnita’.
Il tribunale, con sentenza non definitiva, ha rigettato tanto la domanda di indegnita’, proposta con riferimento alla successione paterna, quanto la domanda di nullita’ del testamento della comune madre, mentre ha accolto le reciproche domande di collazione.
Ha disposto la prosecuzione del processo in relazione alla domanda di divisione.
La corte d’appello, investita con impugnazioni principale da (OMISSIS) e incidentale da (OMISSIS), con una prima sentenza non definitiva, ha accolto la domanda di indegnita’, in base al rilievo che il convenuto aveva ammesso di aver ricevuto una busta dal padre con su scritto aprire dopo la morte.
Secondo la corte, le circostanze della consegna lasciavano presumere che la busta contenesse le ultime volonta’ del genitore.
Nello stesso tempo ha ritenuto non credibile la dichiarazione di Oreste, nella parte in cui costui aveva dichiarato di avere consegnato la busta alla madre. Se cio’ fosse stato vero la madre, verificato il contenuto, avrebbe rispettato le ultime volonta’ del coniuge, procedendo alla pubblicazione del testamento.
Con sentenza definitiva la corte d’appello ha poi riconosciuto la nullita’ del testamento della madre, che era autentico nel testo e nella sottoscrizione, ma tuttavia ugualmente nullo in conseguenza dell’aggiunta di cui sopra, che il convenuto, con le dichiarazioni rese in sede di interpello aventi valore confessorio, aveva ammesso di avere operato durante il confezionamento della scheda.
La corte inoltre ha riformato la sentenza del primo giudice nella parte in cui questo aveva riconosciuto il carattere di donazione indiretta dell’acquisto dell’appartamento di (OMISSIS).
Ha rimproverato al primo giudice di non avere bene inteso una deposizione testimoniale, ritenendo nel contempo inammissibile la produzione di un nuovo documento operata in grado d’appello dal convenuto con il fine di suffragare la domanda di collazione (matrice di un assegno con annotazione di pugno del de cuius, “versati sul c/c (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS) acquisto casa”).
In proposito ha aggiunto che il documento era ad ogni modo generico, in quanto portante la data del 3 luglio 1981, mentre l’appartamento e’ stato acquistato il 28 dicembre 1985.
Ha confermato la sentenza nella parte in cui ha disposto la collazione in danno di (OMISSIS).
Per la cassazione delle sentenze, non definitiva e definitiva della Corte d’appello di Genova, (OMISSIS) ha proposto ricorso, affidato a dieci motivi.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia violazione dell’articolo 100 c.p.c. in relazione all’articolo 463 c.c.
(OMISSIS) non ha interesse a far valere l’indegnita’ del coerede. Operando la rappresentazione in favore della figlia, intervenuta in giudizio per far valere i propri diritti per l’eventualita’ che fosse dichiarata l’indegnita’ del genitore, l’attrice non avrebbe ricavato alcuna utilita’ dalla pronuncia.
Si sottolinea che il difetto di interesse ad agire e’ rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo.
Il motivo e’ inammissibile.
L’operativita’ della rappresentazione era emersa nel giudizio di primo grado, in seguito all’intervento della figlia di (OMISSIS), che aveva fatto valere i propri diritti ereditari per l’ipotesi che fosse dichiarata l’indegnita’ dell’ascendente.
Pur essendo gia’ presente in causa la discendente, il tribunale non ha dichiarato inammissibile la domanda, ma l’ha rigettata nel merito.
La parte vittoriosa, pertanto, avrebbe dovuto sollevare la questione in sede di appello.
Non avendolo fatto sulla stessa questione si e’ formato il giudicato.
2. Il secondo motivo denuncia violazione dell’articolo 463 c.c. e violazione dell’articolo 2909 c.c.
La corte di merito ha riconosciuto l’indegnita’ in conseguenza del mero riscontro del fatto materiale descritto nell’articolo 463 c.c., n. 5 mentre la norma richiede un comportamento doloso e volontario dell’agente.
Il ricorrente evidenzia inoltre che il giudice di primo grado aveva escluso la sussistenza del dolo e la relativa statuizione non ha costituito oggetto di motivo di appello.
Il motivo e’ infondato.
E’ indegno, ex articolo 463 c.c., n. 5, chi ha soppresso, celato o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata.
L’indegnita’ consegue a un comportamento volontario che abbia impedito il realizzarsi delle ultime volonta’ del testatore, contenute nella scheda celata: e’ ovvio che una soppressione colposa non produce indegnita’.
La dottrina esclude l’applicazione della norma quando la soppressione sia bensi’ voluta, ma per fini degni di considerazione sociale, come quello di nascondere una situazione incresciosa. Si sostiene ancora che non incorre nell’indegnita’ l’erede favorito col testamento che, agendo contro i suoi interessi, lo nasconde o lo sopprime, dividendo con gli altri l’eredita’. E’ stata poi esclusa l’applicazione della norma se colui contro il quale si rivolge l’accusa d’indegnita’ sia contemporaneamente il successore legittimo e l’erede designato nel testamento (Cass. n. 9274/2008).
Nella sentenza non si legge alcuna affermazione intesa a sostenere che una soppressione colposa o involontaria o innocua o fatta per motivi di particolare rilevanza produca ugualmente indegnita’.
Pertanto e’ chiaro che, sotto la veste della violazione di legge, il ricorrente censura in realta’ l’apprezzamento compiuto dalla corte di merito, nella parte in cui essa, da un lato, ha riconosciuto la natura testamentaria dello scritto in considerazione delle circostanze in cui era avvenuta la consegna della busta, dall’altro, non ha recepito le ragioni che avrebbero dovuto giustificarne la mancata esibizione al momento della morte.
A tale impostazione e’ facile replicare che la questione proposta con il motivo in esame, fondata sulla omessa considerazione del requisito soggettivo della fattispecie, avrebbe avuto un senso se il ricorrente, riconosciuto il carattere testamentario dello scritto consegnatogli dal padre, avesse eccepito la perdita incolpevole o fatta per motivi degni di considerazione.
In assenza di una simile deduzione le considerazioni proposte con il motivo sono prive di attinenza rispetto alla decisione, che ha implicitamente, ma univocamente, affermato la volontarieta’ della soppressione.
L’ulteriore profilo di censura (formazione del giudicato sull’assenza di dolo), in disparte il difetto di specificita’, muove da una premessa teorica palesemente errata, e cioe’ che, ai fini della delimitazione della cognizione del giudice d’appello, possano scindersi gli elementi della fattispecie in guisa che quelli eventualmente non impugnati non potrebbero essere nuovamente considerati dal giudice del gravame.
Naturalmente il principio e’ diverso.
La locuzione giurisprudenziale “minima unita’ suscettibile di acquisire la stabilita’ del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, con la conseguenza che la censura motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione sull’intera statuizione, perche’, impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare la norma applicabile e la sua corretta interpretazione (Cass. n. 16853/2018).
L’appello proposto da (OMISSIS) riapriva la cognizione sulla domanda di indegnita’ pure in assenza di una specifica ragione di censura riferibile all’elemento soggettivo della fattispecie (Cass. n. 24783/2018).
3. Il terzo motivo denuncia violazione dell’articolo 2697 c.c. e errata applicazione dell’articolo 2729 c.c.
Era onere dell’attrice provare che il plico consegnato dal defunto contenesse disposizioni di ultima volonta’, mentre la corte ha posto, in via immediata, sul convenuto l’onere di provare il contrario.
Il motivo e’ infondato.
La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di rilevare, in merito ai limiti dell’onere probatorio nel giudizio promosso per far dichiarare l’indegnita’ a succedere di colui che ha sottratto il testamento, che l’attore ha solo un onere di dimostrare il fatto della sottrazione ed il verosimile carattere testamentario del documento sottratto, mentre incombe sul convenuto la prova sull’intrinseca natura del documento e sul suo contenuto, specie se egli ne sia il detentore (Cass. n. 4736/1957).
La decisione e’ in linea con tale criterio.
La corte, con apprezzamento insindacabile in questa sede, ha ritenuto che il carattere testamentario si potesse desumere dal fatto, riconosciuto dal medesimo convenuto, che il genitore gia’ anziano aveva consegnato una busta chiusa al figlio con su scritto di aprire dopo la morte.
Conseguentemente ha posto a carico del convenuto l’onere di provare il diverso contenuto del documento.
Si puo’ convenire che l’ulteriore ragionamento presuntivo proposto dalla corte (se fosse stato vero che il figlio aveva consegnato la busta alla madre questa avrebbe certamente curato la pubblicazione del testamento) costituisca petizione di principio, perche’ assume come presunzione del carattere testamentario un fatto che implica come gia’ raggiunta la prova di quel carattere, nondimeno il vizio non inficia la decisione, che trova adeguato e autonomo supporto logico nella considerazione delle circostanze in cui e’ avvenuta la consegna della busta.
Spettava pertanto al convenuto provare il diverso contenuto del documento.
4. Il quarto motivo denuncia nullita’ della sentenza per mancanza di motivazione.
Il motivo e’ inammissibile.
E’ chiaro che la motivazione esiste e rende perfettamente percepibili le ragioni del decisum.
Del resto il motivo ripropone, sotto diverso e improprio profilo, le censure oggetto dei motivi precedenti.
5. Il quinto motivo denuncia violazione dell’articolo 602 c.c.
La corte ha riconosciuto che le parole non autografe inserite nel testamento “dim di (OMISSIS)”, erano state aggiunte durante la confezione del testamento, in base a un’errata interpretazione delle dichiarazioni rese dal ricorrente.
Si sostiene che l’aggiunta fu fatta dopo la confezione del testamento, come si poteva desumere dal fatto che l’aggiunta fu inserita a stampatello fra una riga e l’altra, essendo d’altra parte pacifico che le parole inserite non modificano la volonta’ testamentaria.
Il motivo e’ infondato.
“Nel testamento olografo l’omessa o incompleta indicazione della data ne comporta l’annullabilita’; l’apposizione di questa ad opera di terzi, invece, se effettuata durante il confezionamento del documento, lo rende nullo perche’, in tal caso, viene meno l’autografia stessa dell’atto, senza che rilevi l’importanza dell’alterazione. Peraltro, l’intervento del terzo, se avvenuto in epoca successiva alla redazione, non impedisce al negozio mortis causa di conservare il suo valore tutte le volte in cui sia comunque possibile accertare la originaria e genuina volonta’ del de cuius (Cass. n. 27414/2018; (Cass. n. 20703/2013: conf. 12458/2004).
La corte ha riconosciuto che nel rendere l’interpello all’udienza del 21 marzo 2007 (OMISSIS) aveva dichiarato, con efficacia confessoria, che l’aggiunta fu fatta durante il confezionamento del testamento.
E’ chiaro, pertanto, che sotto la veste della violazione di legge, il ricorrente censura esclusivamente l’interpretazione delle proprie dichiarazioni da parte della corte di merito.
Ma al riguardo la censura si traduce in una petizione di principio, in assenza di qualsiasi indicazione “sui profili sotto i quali la dichiarazione sarebbe stata male interpretata” (cfr. Cass. n. 19982/2011).
Per completezza di esame si ritiene di aggiungere che l’indagine volta a stabilire se una dichiarazione costituisca o meno confessione si risolve in un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimita’, ove lo stesso sia fondato su una motivazione immune da vizi logici (Cass. n. 12803/2000). E’ incensurabile in cassazione anche l’apprezzamento della scindibilita’ delle dichiarazioni (Cass. n. 576/1980).
6. Il sesto motivo propone la medesima questione sotto il profilo della violazione dell’articolo 2697 c.c. e dell’articolo 116 c.p.c.
Era onere dell’attrice provare che l’aggiunta, inserita fuori dal corpo del testo, fu fatta durante la redazione del testamento.
Il motivo e’ infondato, per quanto gia’ detto sull’efficacia confessoria riconosciuta dalla corte alle dichiarazioni del convenuto.
Con il motivo in esame il ricorrente deduce altresi’ la violazione degli articolo 116 e 117 c.p.c.
Il giudice avrebbe fatto un cattivo uso del potere di desumere argomenti di prova dalle dichiarazioni delle parti, facendo derivare dalle risposte la verita’ di fatti non dichiarati.
Per questa parte il motivo e’ inammissibile, perche’ non coglie la ratio decidendi.
La corte non ha desunto argomenti di prova delle dichiarazioni rese, ma ha riconosciuto che il fatto fosse stato oggetto di confessione.
La sentenza, quindi, andava censurata sotto questo profilo, per violazione dell’articolo 229 c.p.c., in quanto la sede in cui le dichiarazioni furono rese escludeva che la corte potesse attribuire loro efficacia di confessione. Fermo restando che una confessione giudiziale spontanea e’ configurabile anche in sede di interrogatorio non formale, qualora risulti dal verbale che la dichiarazione della parte non sia stata provocata da una domanda del giudice ma sia stata resa autonomamente ed il verbale rechi la sottoscrizione della parte (Cass. n. 11403/2006; n. 122/1983; n. 3035/1990).
7. Analogamente infondato e’ il settimo motivo, che ripropone la medesima questione sotto l’improprio profilo della nullita’ della sentenza per mancanza di motivazione, che invece non solo e’ perfettamente comprensibile, ma e’ anche giuridicamente corretta.
8. L’ottavo motivo denuncia errata applicazione dell’articolo 737 c.c.
Una volta riconosciuta l’indegnita’ ne derivava che la donazione ricevuta dall’indegno, escluso dalla successione, non era soggetto a collazione.
Il motivo e’ infondato.
E’ stato gia’ chiarito che, gia’ nel corso del giudizio di primo grado, e’ intervenuta la discendente del soggetto destinatario della domanda di indegnita’, la quale aveva rivendicato i propri diritti sulla base della rappresentazione, ammissibile anche in favore dei discendenti dell’indegno.
Ex articolo 740 c.c. il discendente che succede per rappresentazione deve conferire cio’ che e’ stato donato all’ascendente, anche nel caso in cui abbia rinunziato all’eredita’ di questo.
La ratio della previsione e’ universalmente riposta nella considerazione che i coeredi non debbono subire pregiudizio dal fatto che in luogo del donatario partecipino alla successione i suoi figli o nipoti.
Cio’ posto, poiche’ la discendente aveva fin dal primo grado fatto valere i propri diritti di erede in luogo dell’ascendente per l’ipotesi che ne fosse dichiarata l’indegnita’, le liberalita’ ricevute dall’ascendente rimanevano comunque rilevanti. La dichiarazione di indegnita’ non comportava la non operativita’ della collazione, ma spostava solo l’obbligo del conferimento a carico del discendente del donatario.
Pertanto la violazione ipotizzata con il motivo in esame poteva al limite configurarsi se, dall’accertamento della liberalita’, la corte avesse fatto seguire una statuizione che ponesse l’obbligo del conferimento a carico del donatario, mentre la corte ha emesso una pronuncia in linea di principio, rinviando ogni ulteriore conseguenza del compiuto accertamento, anche in ordine alla collazione, al prosieguo del giudizio.
9. Il nono motivo denuncia violazione dell’articolo 345 c.p.c.
La sentenza e’ censurata nella parte in cui la corte ha negato l’ammissibilita’ della produzione della matrice dell’assegno recante la indicazione di pugno del de cuius, nonostante la indispensabilita’ del documento ai fini della prova della donazione ricevuta dalla sorella.
In particolare il motivo propone le seguenti censure:
a) la sentenza, sul punto, e’ carente di motivazione;
b) trattandosi di produzione effettuata prima che entrasse in vigore la L. n. 69 del 2009, non si richiedeva il requisito di indispensabilita’, richiesto per le prove costituende, non anche per documenti;
c) il documento era indispensabile;
d) la valutazione di genericita’ operata dalla corte, fondata sul confronto fra la data del documento e la data dell’acquisto, non tiene conto delle modalita’ del pagamento risultanti dal rogito, nel quale si dava come gia’ pagato in precedenza la gran parte del prezzo.
Il motivo e’ fondato nei limiti di seguito indicati.
In primo luogo si precisa che il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello riguarda anche le prove precostituite, quali i documenti (Cass., S.U., n. 8203/2005; n. 12731/2011; n. 11510/2014).
Nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’articolo 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al Decreto Legge n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per se’ idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Cass. n. 10790/2017).
La corte non ha fatto corretta applicazione di tale principio, avendo ritenuto l’inammissibilita’ della produzione non solo in modo perentorio e immotivato, ma in base a una considerazione che allude a un requisito (la non coincidenza temporale fra elargizione e acquisto) che non e’ richiesto ai fini della configurazione della liberalita’ indiretta nei termini dedotti.
Infatti la fattispecie nota come intestazione di beni in nome altrui per spirito di liberalita’ non richiede una contemporaneita’ temporale fra elargizione e acquisto, essendo elemento necessario e sufficiente che la dazione sia stata fatta in funzione dell’acquisto.
10. L’ultimo motivo censura la sentenza nella parte riguardante la regolamentazione delle spese.
Esso pone le seguenti censure:
a) la corte d’appello ha posto a carico di (OMISSIS) le spese della consulenza espletata in grado d’appello, nonostante il mezzo fosse stato richiesto dalla controparte e nonostante l’esito negativo del supplemento, che ha confermato l’autenticita’ della scheda, salvo che per l’aggiunta, in relazione alla quale non c’era contestazione;
b) la corte di merito ha posto a carico del ricorrente anche le spese dell’interveniente, rispetto alla quale non c’era soccombenza;
c) le spese del grado d’appello dovevano essere compensate, posto che l’attrice era soccombente sulla domanda volta a far valere la non autenticita’ integrale del testamento.
Il motivo e’ assorbito.
11. In conclusione, sono rigettati i primi otto motivi, e’ accolto il nono, e’ assorbito il decimo.
La sentenza e’ cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova che provvedera’ a verificare l’ammissibilita’ della produzione e liquidera’ le spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
rigetta i primi otto motivi; accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il nono; dichiara assorbito il decimo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Genova anche per le spese del presente giudizio.