In sostanza, l’elemento costitutivo del trasferimento di ramo d’azienda è l’autonomia funzionale, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi, e quindi di svolgere, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente. Inoltre, un ramo d’azienda ben può essere individuato, quando non occorrano particolari mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica, anche da un complesso stabile organizzato di persone, addirittura in via esclusiva allorquando siano dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili.
Corte d’Appello|Milano|Sezione L|Civile|Sentenza|20 aprile 2020| n. 283
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’Appello di Milano, Sezione lavoro, composta da
Dott. Bianchini Carla – Presidente
Dott. Cuomo Maria Rosaria – Consigliere/Est
Dott. Casella Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 2819/17, est. dott. Riccardo Atanasio, discussa all’udienza collegiale del 12.2.2020 promossa:
DA
EN. SRL (GIA’ (…) S.R.L.), rappresentato e difeso dagli avv.ti TO., RE. ed elettivamente domiciliato in Via (…) 20122 MILANO
APPELLANTE
CONTRO
SA.MI., rappresentato e difeso dagli avv.ti PA., FI. ed elettivamente domiciliato in VIA (…) 20144 MILANO
APPELLATO
E
MA. S.P.A.
APPELLATO contumace
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato in data 24.11.2018 la società En. Srl (già HP. Italia srl) ha impugnato la sentenza n. 2819/17 del Tribunale di Milano che ha dichiarato l’insussistenza del ramo di azienda denominato PMO nonché l’inefficacia della cessione da HP. srl a Ma. spa del rapporto di lavoro intercorso tra HP. srl e Sa.;
ha dichiarato la prosecuzione del rapporto di lavoro tra Sa. e HP. srl a far data dall’1.12.2015 con condanna di quest’ultima a ripristinare il rapporto di lavoro con il pregresso inquadramento e l’assegnazione delle pregresse mansioni nonché condanna, unitamente a Ma. spa, a rimborsare a Sa. le spese di lite liquidate in Euro 10.000,00, oltre accessori e spese generali.
Sa. veniva assunto da (…) in data 1.3.90 ed in data 30.11.15 il suo rapporto di lavoro, unitamente a quello di altri 20 dipendenti, veniva ceduto a MA. spa ai sensi dell’art. 2112 cc.
Come precisato nella comunicazione ex art. 47, comma 1, L. 428/90 del 3.11.2015: – la cessione riguardava il ramo di azienda denominato PMO (costituito all’interno della Bu.) di cui facevano parte 21 dipendenti;
– il ramo “è specializzato nella fornitura di attività di Project Management Office (PMO) ossia quelle attività finalizzate a massimizzare la capacità produttiva dei progetti applicativi attraverso l’impiego delle migliori pratiche riconosciute sul mercato, a monitorarne l’avanzamento, analizzarne le performance e, ove necessario, introdurre miglioramenti riguardanti processi, metodologie, tecniche”;
– “i dipendenti (…) addetti al Ramo PMO: sono dotati di competenze specialistiche di PMO e alcuni sono in possesso della certificazione rilasciata dal Project Management Institute (ossia lo standard di certificazione internazionalmente riconosciuto per svolgere attività di Project Management)”;
– il ramo PMO “opera sotto la responsabilità di un Manager il quale ne è il responsabile organizzativo e gerarchico”;
– “Tale operazione si colloca nell’ambito di una strategia finalizzata ad una maggiore concentrazione e focalizzazione da parte di (…) sui servizi IT più innovativi, pur garantendo a livello nazionale continuità del servizio e delle performance rese da (…) sui servizi tradizionali, per conseguire un rafforzamento complessivo della sua competitività sul mercato.”
Il ricorrente contestava l’esistenza di un ramo di azienda costituito da addetti PMO. Il Tribunale, svolta l’istruttoria, ha accertato che non esisteva in (…) una funzione PMO perché i dipendenti venivano impiegati in mansioni e ruoli diversi, tant’è vero che erano passati a Ma. anche soggetti che svolgevano ruoli diversi da PMO.
Ciò trovava conferma nel fatto che i dipendenti passati non avevano una propria funzione, ma la loro funzione era legata ai progetti seguiti in (…) e che avevano continuato a seguire in Ma. finché questa non aveva realizzato progetti propri.
Il tutto a dimostrazione che non esisteva in (…) una struttura con autonomia funzionale.
La società appellante censura la sentenza per avere il primo giudice erroneamente:
– ritenuto l’insussistenza del ramo PMO sulla base di un’asserita “professionalità momentanea” dei lavoratori addetti al ramo. Osserva che il requisito della “permanenza” della mansione non è un elemento richiesto dalla legge ai fini della legittimità del ramo. In ogni caso ritiene irrilevante il fatto che alcuni dipendenti addetti al ramo PMO avessero avuto carriere iniziali diverse perché ciò che conta è che fossero PMO al momento della cessione;
– interpretato le dichiarazioni testimoniali affermando che i dipendenti passati a Ma. avevano professionalità diverse;
– escluso l’autonomia funzionale del ramo ceduto avendo “travisato il concetto di autonomia funzionale confondendolo e sovrapponendolo a quello di “progetto”” ed avendo ignorato le risultanze testimoniali che avrebbero confermato la professionalità di PMO dei dipendenti, il rapporto gerarchico tra gli addetti al ramo PMO e la responsabile gerarchica del ramo, sig.ra Ci..
Chiede quindi la riforma della sentenza ed il rigetto delle domande oggetto del ricorso di primo grado.
Ha resistito Sa. chiedendo il rigetto dell’appello.
La società Ma. spa è rimasta contumace.
La causa è stata discussa e decisa come da dispositivo trascritto in calce.
I motivi di appello, che per la loro stretta connessione possono essere trattati congiuntamente, non sono fondati.
Vanno innanzitutto richiamati i principi giurisprudenziali in tema di cessione di ramo d’azienda, elaborati anche alla luce delle direttive europee in materia ed in particolare della Direttiva 12.3.2011, 2001/23/CE che all’art. 1, n. 1 stabilisce “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria”.
La Corte di Giustizia ha sempre individuato, anche di recente con la sentenza 6.2014, C-458/12, Amatori, tale nozione come complesso organizzato di persone ed elementi che consenta l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obbiettivo e sia sufficientemente strutturata ed autonoma.
La legge nazionale, alla luce della direttiva comunitaria, nel testo dell’art. 2112 cc modificato dall’art. 32 del dlgs n. 276/2003 -“Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento””-, applicabile ratione temporis alla presente controversia, come precisato dalla Corte di Cassazione “ha, mantenuto immutata la definizione di “trasferimento di parte dell’ azienda” nella parte in cui essa è “intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”, mentre le modifiche normative hanno riguardato la soppressione dell’inciso “preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità” e l’aggiunta testuale “identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”, che richiede che al momento della cessione venga individuato l’ambito dell’autonomia funzionale del complesso ceduto. Ha altresì introdotto al VI comma un regime di solidarietà tra appaltante ed appaltatore per il caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avvenga utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione.
4.2 L’intervento normativo del 2003 ha quindi ribadito e sottolineato che costituisce elemento costitutivo della fattispecie della cessione d’azienda l’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo del complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi (così come chiarito in più occasioni da questa Corte, c. v. Cass. n. 5425 del 2013, n. 25229 del 2015, n. 8759 del 2014, n. 2766 del 2013, n.22613 del 2013, n. 21711 del 2012). il fatto che la nuova disposizione abbia rimesso al cedente e al cessionario di identificare l’articolazione che ne costituisce l’oggetto non significa che sia consentito di rimettere ai contraenti la qualificazione della porzione dell’azienda ceduta come ramo, così facendo dipendere dall’autonomia privata l’applicazione della speciale disciplina in questione, ma che all’esito della possibile frammentazione di un processo produttivo prima unitario, debbano essere definiti i contenuti e l’insieme dei mezzi oggetto del negozio traslativo, che realizzino nel loro insieme un complesso dotato di autonomia organizzativa e funzionale apprezzabile da un punto di vista oggettivo.
La disposizione legittima quindi anche la cessione di un ramo “dematerializzato” o “leggero” dell’impresa, ovvero nel quale il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni, quando però il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare Know How, e cioè di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio (Cass. n. 21917/2013 e 15690/2009).
4.4 L’analisi non deve quindi basarsi sull’organizzazione assunta dal cessionario successivamente alla cessione, eventualmente grazie alle integrazioni determinate da coevi e successivi contratti di appalto, ma all’organizzazione consentita già dalla frazione del preesistente complesso produttivo costituita dal ramo ceduto. Il sistema normativo è infatti ben chiaro nel distinguere l’appalto (anche di servizi) dalla cessione di ramo d’azienda” (cfr Cass. n. 10542/16, nello stesso senso Cass. n. 1316/2017 e n. 19034/2017).
L’attuale VI comma dell’art. 2112 cc ed il comma 3 dell’art. 29 del dlgs n. 276/2003 hanno chiarito che, anche quando il cedente stipuli con il cessionario un contratto d’appalto per la fornitura del servizio ceduto, si può configurare una cessione di ramo d’azienda (solo) quando al trasferimento del personale si accompagni quella del complesso degli altri elementi che lo rendeva autonomamente idoneo allo svolgimento del servizio.
“4.6 Il principio di diritto che regola la fattispecie è dunque il seguente: “Costituisce elemento costitutivo della cessione di ramo d’azienda prevista dall’art. 2112 cc, anche nel testo modificato dal D.lgs n. 276 del 2003, art. 32, l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere -autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario- il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti. Incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 cc che costituiscono eccezione al principio del necessario consenso del contraente ceduto stabilito dall’art. 1406 cc, fornire la prova dell’esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano l’operatività” (cfr Cass. n. 10542/16) nello stesso senso Cass. n. 1316/2017, n. 19034/2017 e n. 28593/18).
In sostanza, l’elemento costitutivo del trasferimento di ramo d’azienda è l’autonomia funzionale, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi, e quindi di svolgere, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente.
Inoltre, un ramo d’azienda ben può essere individuato, quando non occorrano particolari mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica, anche da un complesso stabile organizzato di persone, addirittura in via esclusiva allorquando siano dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili.
Nel caso in esame il Tribunale ha applicato in maniera corretta i principi di diritto sopra richiamati.
Ed infatti, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, i testi concordemente hanno riferito che non esisteva uno specifico gruppo di dipendenti che svolgesse esclusivamente la funzione di PMO perché si diventava PMO non in ragione di particolari capacità e competenze professionali ma per il solo fatto di essere assegnati ad un progetto.
Inoltre, il normale percorso di carriera dei PMO era quello di diventare responsabili di un progetto per cui i PMO spesso venivano assegnati al ruolo di PM per progetti minori, come era successo ai dipendenti Me. e To..
L’inesistenza di un ramo d’azienda PMO è confermato dal fatto che, come riferito dai testi, i dipendenti passati a Ma. avevano anche professionalità diverse e svolgevano attività diverse come ad esempio Te. che era assistente di direzione, o come Sa. che svolgeva e svolge attività di segreteria, oppure come Cecchini che faceva parte della delivery e quindi doveva verificare che i costi del progetto fossero in linea con il budget. Questi, come confermato anche dal teste Co., raccoglieva dati statistici dai singoli progetti che poi riversava in un unico contenitore informatico che trasmetteva, ed ancora trasmette, al responsabile servizi di delivery di (…), ovvero Co., dipendente di (…).
Inoltre, come riferito dal teste Sala, direttore tecnico di Ma., i PMO provenienti da HP continuavano ad occuparsi dei progetti di (…) fino alla loro chiusura. Successivamente venivano formati sui progetti di Ma..
Ulteriore dimostrazione che erano stati ceduti i singoli rapporti di lavoro e non una struttura autonoma è il fatto che, come riferito dal teste Sala, era capitato che alcuni lavoratori passati a Ma. fossero stati richiesti da (…) per progetti abbandonati in passato e recuperati.
Quindi, come evidenziato dal primo giudice, all’interno di (…) non esisteva una funzione di PMO delineata in maniera specifica in capo ad uno o più dipendenti, per cui non poteva esistere un autonomo gruppo di lavoratori con funzione esclusiva di PMO e di conseguenza nemmeno un autonomo ramo aziendale.
Il primo giudice, contrariamente a quanto lamentato dall’appellante, non ha affatto affermato che ai fini della legittimità del ramo sia necessario il requisito della “permanenza” della mansione, ma ha semplicemente evidenziato che, la mutevolezza delle carriere e professionalità ed il fatto che si diventasse PMO in ragione dell’assegnazione ad un progetto, escludeva la sussistenza di un complesso stabile organizzato di persone, dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, tanto da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili (cfr. Cass. n. 28593/18).
Alla luce di tutto quanto sopra l’appello va respinto.
Le spese processuali del grado, liquidate in favore di Sa. come in dispositivo, ai sensi del DM 10.3.14 n. 55, in ragione del valore della controversia, del grado di complessità, dell’assenza di attività istruttoria, seguono la soccombenza.
Vanno invece compensate le spese di lite tra l’appellante e MA. S.P.A.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, la parte appellante è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis.
P.Q.M.
Respinge l’appello avverso la sentenza n. 2819/17 del Tribunale di Milano. Condanna l’appellante alla rifusione in favore di Sa. delle spese del grado che liquida in Euro 4.700,00 oltre spese generali ed oneri di legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario.
Compensa le altre spese di lite.
Sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo ai sensi dell’art. 13 DPR n. 115/2002 e succ. mod.
Così deciso in Milano, il 12 febbraio 2020.
Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2020.
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