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Tribunale Cassino, civile Sentenza 4 giugno 2013, n. 487
In tema di sinistri stradali, in merito all’azione risarcitoria promossa dal terzo trasportato, nell’ambito di un sinistro che abbia interessato un solo veicolo, ai sensi dell’art. 141 CdA, deve escludersi l’invocabilità della procedura del c.d. risarcimento diretto, introdotta dall’art. 149, comma 6° CdA, il quale, nel contemplare il sistema delle azioni dirette a favore del danneggiato, pur facultando quest’ultimo a chiedere il ristoro dei danni direttamente alla compagnia assicuratrice del veicolo utilizzato, pone degli stringenti pre-requisiti che si sostanziano in primis, nella necessità che il sinistro abbia interessato due veicoli a motore, identificati ed assicurati per la r.c.o. e poi che dal sinistro siano derivato danni ai veicoli coinvolti ovvero ai loro conducenti. La norma specifica inoltre che la procedura d’indennizzo diretto vale per i danni materiali ai veicoli o alle cose trasportate di proprietà dell’assicurato o del conducente, ovvero per i danni alla persona, subiti dal conducente non responsabile, nei limiti della c.d. lesioni micropermanenti.
Per ulteriori approfondimenti in materia di R.C.A. si consiglia la lettura dei seguenti articoli:
Natura della procedura di indennizzo diretto ex art. 149 D. Lvo n. 209/2005
Le azioni a tutela del terzo trasportato ai sensi del Codice delle Assicurazioni Private (D.L.vo n. 209/2005)
La disciplina del Fondo di Garanzia delle Vittime della Strada ai sensi del D. Lvo 209/2005.
Sinistri stradali, danno da fermo tecnico, risarcimento: onere probatorio e liquidazione equitativa.
Tribunale Cassino, civile Sentenza 4 giugno 2013, n. 487
Integrale
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CASSINO
SEZIONE CIVILE
Il Giudice, Dr.ssa Irene Sandulli, ha emesso la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al n. 3267 del ruolo generale affari contenziosi dell’anno 2009 e rimessa in decisione all’udienza del 6.2.2013, vertente
Tra
An.Ma., elettivamente domiciliata in Cetraro (CS) via (…), presso lo studio dell’Avv. Ro.Ca., che la rappresenta e difende giusta procura a margine dell’atto di citazione,
Attrice
E
MI. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t. per il tramite del procuratore speciale alle liti giusta procura per atto a rogito Notaio Ma.Gr. in Corbetta (MI), rep. 114564 del 9.11.2005, elettivamente domiciliata in Roma via (…) presso lo studio dell’Avv. Ba.Lu., che la rappresenta e difende giusta delega in calce alla comparsa di costituzione e risposta,
Convenuta
E
Sb.Da.,
Convenuto contumace
FATTO E DI DIRITTO
Con atto di citazione ritualmente notificato, An.Ma. conveniva in giudizio Sb.Da. quale responsabile, e la Mi. S.p.A. quale compagnia assicuratrice del mezzo (…) tg. (…) su cui si trovava a bordo in occasione dell’infortunio occorsole il 2.9.2007 lungo l’Autostrada A1 (altezza di Migliano Monte Lungo), deducendo di essere la proprietaria del medesimo veicolo, il cui conducente (lo Sb.) perdeva il controllo della guida causa lo scoppio della ruota anteriore destra, con conseguente sbandata e collisione contro il guard-rail centrale della carreggiala autostradale. Lamentata, quindi, l’insorgenza di gravi danni fisici per effetto del dedotto sinistro, chiedeva accertarsi la responsabilità del conducente in ordine al prodursi del sinistro e la condanna solidale dei convenuti al risarcimento dei danni biologici e morali, con detrazione dei soli importi già versati dalla compagnia (per complessivi Euro 18.318,00) prima del giudizio. Si costituiva in giudizio la compagnia assicuratrice, che non contestando la dinamica del sinistro, né la pendenza del rapporto assicurativo con la controparte, ne riconosceva la legittimità della pretesa risarcitoria ai sensi dell’art. 141 Cod. Assicurazioni, quale “terzo trasportato”, nondimeno obiettava l’entità dei danni ed evidenziava l’apporto causale dell’attrice nel verificarsi dell’evento lesivo, causa il mancato impiego delle cinture di sicurezza.
Non si costituiva in giudizio Sb.Da., del quale in questa sede, in esito alla ritualità della notifica dell’atto introduttivo, deve formalmente dichiararsi la contumacia.
Concessi i termini ex art. 183 comma 6 c.p.c., espletata l’istruttoria orale ed acquisita consulenza tecnica d’ufficio e relativi chiarimenti, all’udienza del 6.2.2013 venivano precisate le conclusioni, quindi la causa veniva rimessa in decisione.
1. Inquadramento giuridico della domanda. Preliminarmente, deve inquadrarsi il titolo di responsabilità azionata ed il sottostante paradigma normativo, rientrando nel potere officioso del giudicante, in virtù del principio iura novit curia, la qualificazione giuridica delle pretese di parte, non essendo in tal senso vincolante nemmeno il nomen iuris con cui l’attore abbia, in ipotesi, identificato l’azione (per tutte si veda Cass. Civ., Sez. Un., n. 27/00).
Al riguardo, si osserva che il contraddittorio è stato instaurato sia nei confronti del conducente dell’autoveicolo incidentato, a bordo del quale l’attrice, come trasportata, riportava i danni lamentati, sia nei confronti della compagnia assicuratrice del mezzo, mentre il peti!uni formale s’indirizza nei confronti di entrambi i convenuti, chiedendosi l’accertamento della responsabilità causale dello Sb. rispetto all’evento lesivo, nonché la condanna solidale con l’assicurazione per il risarcimento dell’asserito pregiudizio.
E’ la stessa attrice, poi, a rappresentare che il mezzo in questione fosse di sua proprietà al momento del sinistro, ed assicurato con la Mi. S.p.A., la quale a sua volta, nel costituirsi, nulla ha contestato sul punto, riconoscendo anzi di avere già liquidato all’attrice un danno da “postumi invalidanti” in esito a perizia del proprio medico fiduciario (per il complessivo importo di Euro 21.065,00).
Ebbene, ritiene il giudicante da un’analisi congiunta delle allegazioni di parte e del sistema normativo di riferimento, tracciato dal D. Lgs. n. 209/2005 (applicabile alla fattispecie, vertendosi di sinistro posteriore all’1.1.2006) che, a dispetto della formale estensione del contraddittorio nei confronti dello Sb., il titolo di responsabilità azionato nell’odierno giudizio corrisponda in realtà
al paradigma dell’azione diretta del trasportato ex art. 141 frisar cimento del terzo trasportato”) del Codice delle Assicurazioni.
Deve innanzitutto escludersi che nella fattispecie possa invocarsi la procedura del c.d. “risarcimento diretto”, introdotta dall’art. 149, comma 6, del citato Cod. Ass.ni: invero la predetta norma, nel completare il sistema delle azioni dirette a favore del danneggiato, pur facilitando quest’ultimo a chiedere il ristoro dei danni direttamente alla compagnia assicuratrice del veicolo “utilizzato” (non. dunque, all’assicuratore del responsabile civile, come nel sistema previgente della l. 990/1969). pone degli stringenti pre – requisiti di applicabilità, in primis la circostanza che il sinistro abbia interessato due veicoli a motore, identificati ed assicurati per la r.c.o., dal quale siano derivali danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti”. La norma specifica, poi, che la procedura d’indennizzo diretto vale per i danni materiali ai veicoli o alle cose trasportate di proprietà dell’assicurato o del conducente, ovvero per i danni “alla persona” subiti dal conducente non responsabile, nei limiti delle c.d. “micropermanenti”.
Ne deriva che nel caso in cui – come nella specie – il danneggiato sia un trasportato e per giunta proprietario dello stesso veicolo, e la dinamica dell’evento lesivo abbia interessato (com’è pacifico nell’odierna sede) un solo mezzo, anziché prospettarsi come “scontro fra due veicoli”, è preclusa in nuce l’operatività di un simile sistema risarcitorio; a ciò si aggiunga che, fin dalle allegazioni introduttive, il pregiudizio lamentato all’integrità psico – fisica eccede di gran lunga il tetto massimo delle c.d. micro permanenti.
In via residuale, il danneggiato “per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo” coperto dall’obbligo di assicurazione, può avvalersi dell’azione diretta ormai disciplinata dall’art. 144 D.Lgs. n. 209/2005 (corrispondente, di fatto, all’abrogato art. 23 l. 990/1969); inoltre, salve le ipotesi di sinistro imputabili a caso fortuito, qualora il danneggiato cumuli in sé la figura di “terzo trasportato”, lo stesso potrà agire direttamente nei confronti della compagnia assicuratrice del mezzo su cui si trovava a bordo all’epoca del sinistro, ex art. 141 del predetto Cod. Ass.ni. Quanto alla procedura “ordinaria” delineata dall’art. 144, è nolo come la stessa sia intesa ad ottenere il risarcimento del danno dall’assicurazione del responsabile, prevedendo un litisconsorzio necessario processuale (la cui non integrità è rilevabile d’ufficio, cfr. Cass. 9 giugno 1998, n. 5656). fra l’impresa ed il responsabile del danno, da intendersi come soggetto “assicurato”: invero, la norma ricalca fedelmente il previgente art. 23 L. 990/69, rispondendo all’esigenza logica di consentire al “danneggiante” di esercitare in giudizio le proprie difese e, dunque, di non subire, ignaro, i possibili effetti negativi (ad es., incremento del premio assicurativo, ovvero eccedenza del massimale) di un giudizio a cui non abbia preso parte.
Deve infatti ritenersi – unitamente a condivisibile giurisprudenza (cfr. ex multis Corte di Cassazione. Sez. Un., 11 luglio 1984, n. 4055) consolidatasi sull’art. 23, l. 990/1969, assimilabile all’odierno art. 144 C. Ass.ni -, che con la procedura risarcitoria in esame, nonostante la laconicità del dettato legislativo (anche in relazione al disposto di cui all’art. 2054 c.c.) e la divergenza di precedenti ricostruzioni pretorie, il legislatore abbia inteso stabilire una deroga al principio (fondamentale nel nostro ordinamento) della facoltatività del litisconsorzio in materia di obbligazioni solidali solo in relazione all'”azione diretta del danneggiato”.
Una simile deroga affonda invero la sua ratio proprio nell’esigenza di assicurare la partecipazione al giudizio di entrambe le parti del rapporto assicurativo, allo scopo di rafforzare la posizione processuale dell’assicuratore, consentendogli di opporre l’accertamento di responsabilità al proprietario del veicolo, quale soggetto del rapporto assicurativo, ai fini dell’esercizio dei diritti nascenti da tale rapporto (ed in particolare, dall’azione di rivalsa ex art. 18 legge citata, cfr., sul punto Cassazione civile, 6 novembre 1996, n. 9647); la ratio di una simile estensione del contraddittorio, per contro, non deve rintracciarsi nell’esigenza di evitare la proliferazione dei giudizi e la difformità dei giudicati, anche in relazione ad azioni spettanti all’assicuratore nei confronti di soggetti estranei al rapporto assicurativo, quali le ipotesi di azioni di rivalsa dell’assicuratore nei confronti del conducente, e di surrogazione nei confronti dei responsabili civili non assicurati, ai sensi dell’art. 1916 c.c. (in questo senso. Cassazione civile, Sez. III, 23 febbraio 2000, n. 2047; Cassazione civile, sez. III, 9 dicembre 2003, n. 18724; Cassazione civile. 24 febbraio 1998 n. 1976; Tribunale Trani, 14 dicembre 2000; Cass. n. 3629 del 17 aprile 1996 e Cass. 09647 del 6 novembre 1996).
Considerato che, nella specie, il proprietario dell’unico mezzo interessato dal sinistro è la stessa attrice, sicché si perverrebbe all’assurdo logico, ancor prima che giuridico, di un’azione a contraddittorio necessario intentata contro sé stesso, oltre che nei confronti dell’assicurazione, appare del tutto plausibile ritenere che l’An. intendesse in realtà esperire una procedura risarcitoria diretta contro l’assicurazione del mezzo ex art. 141 Cod. Ass.ni. Nella medesima prospettiva, l’azione esperita nei confronti del figlio quale conducente (Sb.Da.) può. al più, attenere al distinto titolo risarcitorio offerto dall’art. 2054 c.c., mentre non trova appendici “necessarie” nell’art. 144 Cod. Assicurazioni.
In effetti, non ignora il giudicante che – come chiarito dalla Corte Cost. sent. n. 180/2009 – nel nostro sistema coesistono plurimi ed alternativi strumenti di salvaguardia dopo il D.Lgs. n. 209/2005, il quale lungi dall’indebolire la posizione del danneggiato, e dal precludergli la possibilità di avere come legittimato passivo anche il responsabile civile, concede al terzo trasportalo – nel quadro generale delle azioni esperibili – una pluralità di opzioni per tutelare la propria posizione: ne consegue la piena sopravvivenza dell’azione tradizionale risarcitoria ex artt. 2043 e 2054 cc., che non potrà ritenersi discriminata dalla procedura di indennizzo diretto, ex art. 144 Cod. Ass.ni. Se, dunque, il terzo trasportato intende citare in giudizio il solo responsabile (in questo caso, evidentemente, il solo conducente, stante l’identità fra soggetto danneggiato e proprietario del veicolo) potrà farlo ex art. 2054 c.c.; se invece intende coinvolgere anche la di lui compagnia assicuratrice, potrà disporre l’azione diretta ex. art. 144 cod. ass.
Se, invece, aspira ad un risarcimento più celere, potrà invocare l’art. 141 cod. ass. e citare così solo l’assicuratore del vettore, restandogli però preclusa la possibilità di citare nel medesimo procedimento il responsabile civile (cfr. Trib. Roma, sez. XII, 30.3.2010): in tal senso, in un’ottica costituzionalmente orientata, l’art. 141 Cod. Ass.ni ha semplicemente inteso attribuire al trasportato un’ulteriore e snella opzione difensiva, che non esclude, ma semmai concorre – pur se alternativamente – con l’esperibilità degli ulteriori rimedi normativi.
Fermi questi principi di massima, ed alla luce delle precedenti considerazioni fattuali e normative, nel caso di specie ricorrono plurimi e persuasivi elementi, evidenziati non solo dalle allegazioni attoree ma dallo stesso contegno stragiudiziale e processuale della convenuta (per come meglio si vedrà in prosieguo), per ritenere che il corretto paradigma a cui ascrivere il titolo di responsabilità risieda nell’art. 141 Cod. Assicurazioni.
Invero, che l’odierna azione – a dispetto del formale petitum indirizzato anche nei confronti del conducente – abbia inteso atteggiarsi agli esclusivi schemi dell’azione diretta del “terzo trasportato”, pare offrire un’indiretta ma attendibile conferma la stessa impostazione della causa petendi e il complessivo iter delle argomentazioni attorce: queste, in effetti, pur lamentando l’esclusivo apporto causale dello Sb. nel prodursi dell’evento, si limitano in poche battute a tratteggiare il sinistro (scoppio di una gomma e conseguente sbandata e collisione contro il guard-rail) senza meglio circostanziare il coinvolgimento personale del convenuto o specifici profili di incidenza della sua condotta di guida nella dinamica fattuale.
Una simile laconicità non può che rimandare ai peculiari meccanismi applicativi dell’art. 141. D. Lgs. n. 209/2005, secondo cui “l’azione diretta avente ad oggetto il risarcimento è esercitata nei confronti dell’impresa di assicurazione del veicolo sul quale il danneggialo era a bordo al momento del sinistro … a prescindere dall’accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro”.
In via sistematica, giova poi rammentare che, ancor prima del sistema risarcitorio introdotto dall’art. 141 D.Lgs. n. 141/2005, per costante giurisprudenza sia di legittimità che di merito, il terzo – trasportato, leso in seguito a sinistro interessante il veicolo a bordo del quale si trovava, ha la possibilità di agire per il ristoro dei danni subiti nei confronti della relativa compagnia di assicurazione (cfr., Cassazione civile, 26 novembre 1998 n. 10629, confermata dalla successiva Cassazione civile, 21 gennaio 2000 n. 681).
Quanto all’odierno meccanismo risarcitorio, improntato ad una logica di celerità e snellezza, il danno è risarcito dall’assicurazione del vettore a prescindere dall’accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, e salva l’ipotesi del caso fortuito, così evidentemente agevolando la posizione del danneggiato, e sollevandolo dal rischio di subire le conseguenze negative di una ricostruzione analitica del sinistro (rischio concretamente configurabile, quando ad esempio, in caso di collisione fra più veicoli si affermino reciprocamente imputazioni di responsabilità a carico dei diversi conducenti e rispettivi assicuratori). Ne deriva che all’attore spetta soltanto di provare la propria qualità di terzo trasportato, il danno sofferto ed il collegamento eziologico con il sinistro.
Nel caso di specie, che l’azione abbia inteso conformarsi a questo peculiare paradigma di responsabilità è suffragato non solo dall’esame complessivo delle allegazioni attoree, ma dalla stessa, esplicita adesione della compagnia assicuratrice allo “schermo” ricostruttivo offerto dall’art. 141 Cod. Ass.ni. Questa, invero, nel costituirsi ha espressamente accettato il contraddittorio, impostando il suo contegno difensivo sulle peculiarità del cit. art. 141 e sulla corrispondente fattispecie risarcitoria, tanto da non muovere alcuna obiezione sulle premesse “fattuali” e, dunque, sugli antecedenti causali del sinistro (come, in ipotesi, la condotta del conducente, o le circostanze contingenti al momento del suo verificarsi): la stessa invece, lungi dal focalizzare l’attenzione difensiva sulla responsabilità del conducente (preclusa, come visto, dal meccanismo dell’art. 141) ha spostato il baricentro sulla condotta della danneggiata, paventandone un concorso colposo nel prodursi dell’evento.
La stessa compagnia, del resto, ha riconosciuto e documentato (come è incontroverso fra le parti) di avere provveduto alla liquidazione del danno all’attrice per postumi d’invalidità permanente (nella misura del 9%) prima ancora dell’instaurazione della lite e per il medesimo sinistro, così avvalorando ulteriormente il dato che l’attrice abbia inteso agire in sede risarcitoria diretta e contro la sola assicurazione, per conseguire la corretta quantificazione del danno sofferto e il conseguente “saldo”.
Coerentemente, poi, con il quadro delle reciproche prospettazioni (incardinate sul mero dato obiettivo della verificazione del sinistro, già incontestato fra le parti, senza più puntuali richiami – come visto – alla condotta causale dello Sb., o al più sul coinvolgimento personale della medesima attrice ai sensi dell’art. 1227 c.c.), è significativo osservare che le rispettive articolazioni di prova si sono incentrate esclusivamente sulla circostanza fattuale dell’omesso impiego di cinture
di sicurezza (cfr. interrogatorio e prova per testi, come pure i quesiti di “compatibilità” con l’impiego di tali dispositivi, formulati al ctu).
Dunque, non solo il quadro delle allegazioni introduttive, ma lo stesso conforme e concorde contegno processuale delle parti, impostato sugli inequivoci meccanismi risarcitori dell’art. 141 Cod. Ass.ni induce a convogliare in questo peculiare schema normativo il politum attoreo.
Ne deriva che, coerentemente, deve restare sullo sfondo della vicenda l’accertamento di eventuali profili di responsabilità del conducente del veicolo (Sb.), con la conseguenza che la domanda – di fatto solo formalmente – spiegata nei suoi confronti si palesa inammissibile. A chiosa di queste considerazioni, un ulteriore ma pregnante elemento, dettato da criteri di assoluta verosimiglianza logica e di buon senso (come tale apprezzabile anche ex art. 2729 c.c. a supporlo delle già persuasive circostanze, sinora analizzate) induce a ritenere che, a dispetto di un formale petitum involgente i presupposti dell’evento – verosimilmente dettato dalla pluralità di mezzi risarcitori approntati dal sistema – l’attrice abbia inteso appuntare le sue doglianze nei soli confronti dell’assicurazioni, ricorrendo al più agevole strumento dell’art. 141, piuttosto che conseguire un reale “accertamento” dei fatti e delle sottostanti responsabilità, se si considera che il conducente della vettura, al momento dell’occorso, era per sua stessa ammissione il proprio figlio Danilo. Da ultimo, non residua alcun dubbio che l’azione in esame – così come riqualificata – possa essere validamente esperita, quale “terzo trasportato”, anche dal proprietario del medesimo mezzo, coinvolto nell’incidente da cui si assume l’insorgenza del danno.
Invero, milita univocamente in tal senso una lettura combinata degli artt. 122 e 129, D.Lgs. n. 209/2005, secondo cui l’assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore comprende la responsabilità per i darmi alla persona causati ai trasportati qualunque sia il titolo in base al quale è effettuato il trasporto, (cfr. art. 122 comma 2 richiamato espressamente dall’art. 129), mentre ai fini risarcitori non può considerarsi “terzo” il solo “conducente del veicolo responsabile del sinistro”.
Quanto al proprietario, lo stesso – individuato per relationem fra le ipotesi derogatorie dell’art. 129, ex art. 2054 comma 3 c.c. – non è considerato “terzo”, e come tale non può accedere ai benefici della copertura assicurativa “limitatamente ai danni alle cose”, riespandendosi dunque in tutta la sua portata il titolo risarcitorio della compagnia per i danni fisici, patrimoniali e non. Come rilevato, dunque, da condivisibile giurisprudenza di merito, diversamente dal previgente assetto normativo, l’espressa previsione dell’art. 129, comma secondo, lett. a), del Codice delle Assicurazioni, consente all’attualità di ritenere che il proprietario del veicolo, sul medesimo (trasportato al momento dello scontro, può giovarsi della prestazione dell’assicuratore RCA per i danni, patrimoniali e non patrimoniali, alla persona.
Il Codice delle Assicurazioni deve in tal senso leggersi come lex specialis, e comunque sopravvenuta e prevalente, idonea a derogare alla operatività della norma generale contenente la nota presunzione di responsabilità del proprietario del veicolo, ex art. 2054 comma 3 c.c. Ne consegue che l’apparente “antinomia” tra la qualità di terzo risarcibile, desunta dal sistema del codice delle assicurazioni private, ed il ruolo di presunto (in astrailo) corresponsabile del sinistro, e pertanto dei danni patiti anche in proprio, innestandosi in una nuova cornice normativa, non può che risolversi a favore della prevalenza della prima sulla seconda (cfr. Trib. di Trieste, Sentenza 2 agosto 2011, n. 777): invero, un dirimente criterio di interpretazione letterale (prioritario nel sistema delle fonti) induce a riconoscere al proprietario del veicolo, ancorché trasportato – e a qualunque titolo, ex art. 122 – il diritto a giovarsi dell’assicurazione obbligatoria per il risarcimento dei danni da circolazione, con la sola limitazione relativa ai pregiudizi alle cose.
Quest’ultima precisazione (relativa all’esclusione dei soli danni alle cose), letta unitamente alla tipologia di danni rivendicati dall’An. (di esclusiva natura biologica e morale, pur se sul duplice fronte patrimoniale e non patrimoniale) avvalora ulteriormente la tesi che il paradigma risarcitorio a cui si atteggia l’odierna azione sia quello ex art. 141 D.Lgs. n. 209/2005. invero, in un incidente pacificamente coinvolgente la meccanica e le componenti di un veicolo, come si desume dalla stessa descrizione del fatto – che ne scandisce le tappe nell’esplosione della gomma, con successiva sbandata e collisione sul guard-rail – è alquanto singolare che il proprietario dell’autovettura nulla deduca (e coerentemente richieda, sul versante risarcitorio) in merito ai danni materiali del mezzo.
Infine, è appena il caso di soggiungere che, pur non documentandosi in atti la titolarità del veicolo in questione in capo all’attrice (ad es., tramite atto di passaggio, carta di circolazione) la circostanza è assolutamente incontroversa fra le parti, tanto che l’assicurazione oltre a non contestare alcunché in sede processuale, prima del giudizio ha già riconosciuto il danno alla An. – individuata nel prospetto di liquidazione sia come soggetto danneggiato, che come “assicurato” (cfr. doc. 3 fascicolo di parte).
2. Proponibilità della domanda. Una volta inquadrata giuridicamente la domanda, deve evidenziarsi-che l’azione risarcitoria ex art. 141 Cod. Ass.ni. soggiace al preventivo iter delineato dall’art. 148 del medesimo D.Lgs. n. 209/2005.
Più precisamente, ai sensi dell’art. 145 Cod. Ass.ni – all’uopo richiamato dall’art. 148 – l’azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all’impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, anche se inviata per conoscenza, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti all’art. 148. Nel caso di specie, trattandosi di questione afferente alla stessa proponibilità della domanda e come tale rilevabile ex officio, deve ritenersi che l’attrice abbia congruamente assolto all’onere di preventiva costituzione in mora della compagnia assicuratrice, secondo i requisiti procedurali e sostanziali dell’art. 148.
Ai sensi della norma in commento il danneggiato, nell’inviare la raccomandata con ricevuta di ritorno di cui alla condizione di procedibilità già prevista dall’art. 22 della legge n. 990/1969, deve inoltrare una serie di informazioni e produrre documentazione, nell’ottica (già rilevata dalla giurisprudenza nel previgente regime di cui alla l. 990/1969), di garantire all’assicurazione la possibilità di formulare una offerta risarcitoria congrua e motivata.
In particolare la disposizione in esame, nel tipizzare il contenuto della pretesa risarcitoria, prevede che la stessa contenga l’indicazione del codice fiscale degli aventi diritto, la descrizione delle circostanze nelle quali si è verificato il sinistro, venendo accompagnata, ai fini della valutazione del danno da parte dell’impresa, da alcuni dati come l’età, l’attività del danneggiato, l’entità delle lesioni subite, ovvero attestazione medica comprovante l’avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti. L’impresa di assicurazione, dal canto suo, è tenuta a provvedere all’adempimento del predetto obbligo entro novanta giorni dalla ricezione di tale documentazione. Nel caso di specie, con la missiva in atti l’attrice ha puntualmente denunciato il sinistro alla compagnia, specificandone la dinamica, le circostanze spazio – temporali, dettagliando i propri dati e le lesioni subite nell’occorso, identificandoli in quelli diagnosticati nel referto di Pronto Soccorso (cfr. atti), redatto pressoché nell’immediatezza del sinistro e che, in difetto di specifiche contestazioni da parte della compagnia convenuta, deve intendersi allegato alla medesima lettera. Tanto premesso, osserva il giudicante che, pur non risultando esplicitata in detta corrispondenza la situazione lavorativa e reddituale della danneggiata (cfr. comma 2 dell’art. 148). il comma 5 della norma in commento fa obbligo all’assicurazione nel caso di richiesta “incompleta’”, evidentemente in una logica cooperativa ed improntata alla pervasiva buona fede contrattuale (cfr. artt. 1175 e 1375 c.c.), di richiedere entro trenta giorni al danneggiato “le necessarie integrazioni” (ipotesi in cui i termini per la proponibilità decorreranno “nuovamente” dalla data della ricezione dei “dati o dei documenti integrativi”). Ebbene nel caso in esame la convenuta non solo non ha allegato, ma nemmeno documentato di avere interrotto di termini di tale procedura, inviando comunicazioni “interlocutorie” alla parte.
Ciò premesso, pur escludendosi che l’obbligo integrativo per l’assicurazione, ex art. 148, comma 5 investa anche quelle ipotesi in cui la domanda “stragiudiziale” sia di per sé gravemente lacunosa e carente dei dati necessari ad una corretta valutazione del danno, deve ritenersi che, nel caso di specie, l’incompletezza di alcuni dati (come la situazione reddituale della danneggiata) non sminuisse il quadro valutativo – già di per sé esauriente e articolato, come visto – in possesso della compagnia, né le precludesse di prendere posizione sulla consistenza e tipologia del pregiudizio lamentato.
A ciò si aggiunga che la stessa assicurazione ha mostrato di soprassedere su tale profilo, dando non solo compiutamente seguito all’iter stragiudiziale, ma addirittura concludendolo con la liquidazione del danno biologico riscontrato dal proprio medico fiduciario.
Ne consegue che la rilevata carenza, oltre a non interferire, già in astratto, con le possibilità valutative dell’assicurazione, risulta assorbita e superata dallo stesso contegno pre – processuale delle parti, procedendo evidentemente la convenuta all’apprezzamento ed al riscontro delle pretese risarcitorie.
Pertanto, se la logica della messa in mora – secondo la giurisprudenza già invalsa sul punto, in merito alla l. 660/1969 ma pienamente estensibile al mutato assetto normativo del Cod. Assicurazioni Private – è consentire all’assicurazione una compiuta valutazione delle conseguenze risarcitone cui potrebbe dare luogo il sinistro (anche nella logica di una tendenziale corrispondenza fra le poste di danno di cui alla messa in mora e quelle poi oggetto di domanda in sede giurisdizionale), un simile obiettivo deve ritenersi congruamente rispettato nell’odierna fattispecie, come dimostra per fatti concludenti lo stesso seguito della raccomandata e la definizione dell’iter stragiudiziale.
Da ultimo, anche nella rilevante ottica del contegno delle parti (liberamente apprezzabile e concorrente con le ulteriori risultanze a fondare il convincimento del giudice), la stessa convenuta ha mostrato di non dare peso ad eventuali lacunosità dell’atto di messa in mora “tipizzato” dall’art. 148 in commento, nulla obiettando espressamente né nel corso dell’iter di accertamento (come anticipato), né tantomeno costituendosi in giudizio, ovvero durante il prosieguo istruttorio. Tutto ciò premesso, risulta per tabulas che, a fronte del rituale invio della lettera ex art. 148. la procedura stragiudiziale è sfociata nella liquidazione del danno alla An. (cfr., in particolare, doc. 3 fascicolo parte convenuta, con mandato di pagamento del 19.32009 e doc. 3 fascicolo attrice), e che l’attrice, in conformità all’art. 148 comma 7, ha comunicato di accettare la somma determinata dall’assicurazione solo in acconto del maggior avere, da imputarsi nella liquidazione definitiva del danno.
Considerato, poi, che a mente dell’art. 145 D.Lgs. n. 209/2005 il rispetto dei “90 giorni” in caso di danno alla persona assume come utile termine di decorrenza il mero invio della richiesta risarcitoria all’assicurazione, anche volendo ritenere – peraltro in difetto di più precise indicazioni normative in tal senso – che l’iter “amministrativo” abbia sospeso i termini per la proponibilità della domanda, facendoli ridecorrere ex novo dalla sua conclusione, rileva il giudicante che tale lasso temporale risulta ampiamente osservato nella specie, venendo incardinato il giudizio (in virtù della notifica dell’atto introduttivo) circa 8 mesi dopo la definizione della procedura stragiudiziale.
3. Esame di merito. Nel merito, rammentando che la procedura risarcitoria diretta ex art. 141 Cod. Ass.ni prescinde dall’accertamento della responsabilità del conducente, deve ritenersi che gli unici presupposti fattuali della cui prova ex art. 2697 c.c. – quali fatti costitutivi – sia onerato il danneggiato (nella sua qualità di “terzo trasportato”), siano stati acquisiti al processo con tranquillante certezza, fondata sul principio di non contestazione.
Invero, l’assicurazione non ha affatto contestato che l’attrice, nelle coordinate spazio – temporali e sul veicolo evidenziati nell’atto introduttivo, fosse “terzo trasportato” a bordo, né che la stessa abbia risentito di un danno causalmente ascrivibile al dedotto sinistro, suffragando anzi già in sede preprocessuale simili elementi, nella misura in cui ha riconosciuto e liquidato all’An. il danno biologico sofferto per effetto del sinistro.
Né la convenuta ha introdotto in giudizio eventuali fatti impeditivi o negativi della fattispecie risarcitoria, e tantomeno ha fornito coerenti spunti dimostrativi in tal senso, come sarebbe stato suo onere secondo il generale riparto tracciato ex art. 2697 c.c. Al riguardo, se l’unica ipotesi derogatoria all’operatività dell’art. 141 Cod. Ass.ni risiede nel “sinistro cagionato da caso fortuito”, la compagnia non ha minimamente invocato la forza liberatoria di un simile fattore – come tale, esimente rispetto all’ordinario meccanismo risarcitorio contemplato in via automatica dalla norma -. non opponendo alcun utile elemento conoscitivo in tal senso, né offrendone dimostrazione. Appare, anzi, significativo che la stessa lettera di liquidazione del danno (cfr. doc. 3 fascicolo attoreo) inviata all’attrice evidenzi come, in riferimento al sinistro denunciato ed “in conformità alle risultanze” della stessa assicurazione, lungi dal prospettarsi ipotesi di forza maggiore la responsabilità dell’evento sia ricondotta esclusivamente nella sfera del soggetto assicurato (“responsabilità del nostro assicurato totale”, cfr. atto).
Al di là della forza probante di simili evidenze documentali, in ogni caso l’effettiva dinamica del sinistro resta assorbita, perché superflua, dagli stessi meccanismi risarcitori dell’art. 141 Cod. Ass.ni; quanto, invece, alle sole circostanze di fatto astrattamente rilevanti per accedere alla tutela risarcitoria (come la concreta verificazione “storica” di un sinistro, l’insorgenza di un danno a ciò etiologicamente riferibile e la qualità di “terzo trasportato”) ha portata dirimente il principio di non contestazione, ex art. 115 comma 2 c.p.c. (applicabile, nella sua versione “novellata” ex l. 69/2009) sicché le stesse ben possono espungersi dal thema probandum, dovendosi opportunamente i valorizzare il contegno stragiudiziale e processuale della convenuta, che non solo non ha obiettato l’avversa ricostruzione, ma anzi l’ha integralmente recepita e portato elementi documentali a suo sostegno (come il riconoscimento del danno biologico), salvo confutare la complessiva entità dei danni e dolersi del mancato impiego delle cinture di sicurezza, ai fini dell’art. 1227 c.c. Sul punto, deve rammentarsi che l’art. 115 c.p.c. ha, con chiara tendenza evolutiva, definitivamente cristallizzato in una previsione di legge il valore della non contestazione, già enfatizzato dalla giurisprudenza maggioritaria.
In particolare, nei giudizi relativi a diritti disponibili (quale deve indubbiamente ritenersi, come nella specie, il risarcimento del danno), la Suprema Corte ha ripetutamente affermato che i fatti costitutivi della domanda possono considerarsi definitivamente provati (con conseguente esonero della parte istante dal relativo onus probandi) quando l’altra parte li abbia esplicitamente ammessi, o abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti medesimi, ovvero quando si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, evidenziando in tal modo il proprio non interesse ad un accertamento degli altri (Cass. Civ., n. 12947/92; Cass. Civ., n. 5733/93; Cass. Civ., n. 5277/95; Cass. Civ., n. 6623/97; Cass. Civ., n. 11513/99; Cass. Civ., n. 9424/00).
Ed invero, poiché, ai sensi dell’art. 167, comma 1, c.p.c., il convenuto ha l’onere di prendere posizione sui fatti dedotti dall’attore a “fondamento della domanda”, quando il difetto di contestazione investe i fatti costitutivi, assume la fisionomia di un “… comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, proprio per la ragione che l’atteggiamento difensivo delle parli espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti …” (Cass. Civ., SS.UU., n. 761/02). Sempre nel merito, a fronte dell’assoluta irrilevanza della condotta del conducente, deve però indagarsi se, come lamentato dall’assicurazione, l’attrice abbia potuto concorrere, con un comportamento colposamente omissivo come il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, al prodursi dell’evento lesivo. In questo caso, infatti, ai sensi dell’art. 1227, comma 1 c.c. (richiamalo dall’art. 2056 c.c.) ed in ragione della gravità dell’eventuale apporto colposo e delle rispettive conseguenze, si giustificherebbe la riduzione equitativa del danno.
Invero, l’eventuale negligenza del passeggero ben può incidere sull’iter causativo dell’evento e del “danno – conseguenza”, innestandovisi come idonea concausa, e come tale integra secondo la giurisprudenza di legittimità una chiara ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, ovvero di “cooperazione nell’azione produttiva dell’evento” (come tale afferente al primo comma dell’art. 1227 c.c.), che legittima la riduzione proporzionale del danno (cfr., in un caso analogo, relativo al colposo inutilizzo delle cinture, Cass. 18177/2007).
Con specifico riguardo all’inutilizzo delle cinture di sicurezza, deve innanzitutto segnalarsi, sul piano normativo, che l’obbligo di farne uso è sancito dal Codice della Strada (art. 172), obbligo che se da un lato sottende ad un’intuitiva ratio di tutela dell’incolumità di chi sia tenuto a indossarle, dall’altro integra una palese misura di prevenzione, come tale normalmente esigibile da una persona dotata di ordinaria diligenza.
Al di là della sua valenza “cautelare”, un simile obbligo emerge in tutta la sua portata precettiva a prescindere dalla posizione del passeggero nell’abitacolo, infatti il Codice della Strada non opera distinguo fra la seduta posteriore o anteriore del veicolo, e sarebbe stato semmai onere dell’attrice allegare nella prima sede utile, in replica all’eccezione difensiva della convenuta, che la sua vettura fosse sprovvista di simili dispositivi di sicurezza nei sedili posteriori: invero, l’assunto di parte – mai formalmente contestato dall’assicurazione e confermato dai vari testi escussi (dichiaratamente presenti a bordo al momento dei fatti) – è che l’attrice occupasse al momento dell’impatto il sedile posteriore destro (antistante il lato passeggero anteriore).
Le stesse osservazioni critiche di parte alle risultanze peritali, poi, avvalorano indirettamente la effettiva installazione di simili dispositivi sul mezzo, anche nei sedili anteriori, nella misura in cui evidenziano la piena compatibilità delle fratture riportate nonostante l’uso della cintura, e sostenendo dunque il concreto rispetto di tale obbligo da parte dell’attrice.
Da tale excursus discende che, in astratto, l’osservanza di una simile misura era non solo esigibile dall’attrice come obbligo cautelare di condotta, ma anche imposta da una precisa disposizione di legge, e come tale suscettibile di concorrere causalmente, se non rispettata, con l’iter causativo del danno perché rilevante sotto il profilo colposo: invero, la concorde giurisprudenza ravvisa nel mancato uso delle cinture di sicurezza un concorso di colpa ai sensi degli artt. 1227 e 2056 c.c. posto che l’allacciamento delle cinture è fatto idoneo, secondo criteri di “ordinarietà” causale (secondo il c.d. id quod plerumque accidit) e sulla base di acclarati studi scientifici, ad attenuare le conseguenze dannose di un sinistro.
Osserva poi il giudicante che, qualora il convenuto per il risarcimento dei danni alleghi che il danneggiato abbia omesso di allacciare dette cinture (fornendo in tal modo un contributo causalo alla verificazione del danno), ha l’onere di provare tale eccezione, che va qualificata come allegazione di un fatto modificativo della pretesa attorea.
Nel caso di specie, nonostante l’assicurazione non abbia fornito prova “diretta” della circostanza allegata, la dinamica (incontroversa) del sinistro, la localizzazione delle lesioni fisiche e le puntuali constatazioni medico – legali del ctu, suggeriscono una pluralità di concordi e convincenti elementi di valutazione, utilizzabili ex art. 2729 c.c., dai quali può ritenersi raggiunta in via presuntiva la prova del mancato uso della cintura di sicurezza da parte del danneggiato.
Quanto all’impiego di strumenti presuntivi nel nostro sistema processuale quale contributo al prudente apprezzamento giudiziale, è sufficiente rammentare che lo stesso è ampiamente ammesso ove gli elementi di valutazione siano significativi e concordanti (e, peraltro, non necessariamente plurimi, cfr. Cass. 4472/2003, 19088/2007): invero, secondo il giudice di legittimità, le presunzioni semplici costituiscono una prova compieta, alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova (ex multis, cfr. Cass. 10847/2007).
Nel caso di specie le deposizioni testimoniali, ancorché convergenti nell’attribuire all’An. l’utilizzo delle cinture, non possono di per sé sole fondare un conforme accertamento dei fatti, provenendo esclusivamente dai figli o dal coniuge dell’attrice, come tali non estranei né indifferenti all’esito della lite.
In un simile contesto di debolezza probatoria, in difetto di più solidi e “neutrali” elementi di sostegno alla tesi attorea, la localizzazione e la discreta gravità delle fratture riportate nell’urto non può che radicare, piuttosto, il convincimento presuntivo che l’attrice al momento dell’impatto non avesse le cinture di sicurezza allacciate, mostrandosi del tutto plausibile che, in caso contrario – alla stregua di principi notori (come tali ben valorizzatali dal giudicante) e di verosimiglianza logica – la stessa non avrebbe urtato con la medesima intensità o, comunque, che le lesioni non avrebbero interessato con una tale estensione il viso e l’apparato uditivo, né con analoga gravità. Una simile prospettiva acquista ulteriore luce dal fatto che il sinistro si è verificato pacificamente su una autostrada, ove notoriamente i veicoli viaggiano a velocità sostenuta, sicché il mancato utilizzo di una cintura ben si contempera con la tipologia e gravità di lesioni riportate, prestandosi ad aggravare notevolmente le conseguenze del sinistro, ex art. 1227 c.c.
Prendendo posizione sul punto, il ctu, con motivazioni compiute e convincenti, basate sull’analisi clinica dell’attrice ed immuni da vizi logici, ha rilevato che il prodursi di un “trauma diretto del viso” nella dinamica dell’evento “suscita perplessità in relazione sia al corretto uso delle cinture di sicurezza, in assenza di una deformazione dell’abitacolo”.
A fronte di queste puntuali considerazioni, i rilievi critici dell’attrice – sviluppatisi esclusivamente sul fronte della “compatibilità” delle lesioni con l’uso della cintura, non anche sulla più generale valutazione medico – legale dei danni – non rivelano analoga obiettività e forza persuasiva, rispondendo per lo più a supposizioni di parte o ad argomenti indimostrati.
In primo luogo, le dissertazioni iniziali sulla presunta diversità dell’efficacia preventiva delle cinture a seconda della postazione “anteriore” o “anteriore” della seduta non sono supportate da alcuna evidenza scientifica, né da riscontri “tecnici” obiettivi in grado di avvalorarle, a tacer d’altro che la presunta, maggiore “costrizione” dei passeggeri posteriori è smentita dalle stesse allegazioni di parte, visto che al momento dell’urto viaggiavano due persone davanti e due persone dietro (stando, quantomeno, al quadro istruttorio offerto dal coniuge e dai due figli dell’attrice). Nella medesima prospettiva, appaiono del tutto apodittici e non meglio riscontrabili – dovendosi, come tali, relegare limbo delle tesi di parte – assunti come l’asserita inidoneità delle cinture ad evitare “urti laterali” (cfr. p. 4 delle note 16.3.2012), ovvero il meccanismo di blocco meramente “graduale” delle cinture, con conseguente ininfluenza del relativo uso ai fini dell’impatto contro il finestrino destro e con la tipologia dei postumi insorti (cfr. sempre le predette note critiche). Invero, in assenza di più obiettivi elementi sulla cinematica del sinistro – del resto nemmeno imposti dal tipo di azione esperita, ex art. 141 Cod. Ass.ni, né richiesti in via istruttoria dalla stessa attrice – se da un lato sono completamente indimostrati gli assunti (ad es., il prospettato “urto del capo sul montante posteriore della portiera destra” quale elemento terminativo dell’impatto, determinante le lesioni fisiche) da cui muovono le note critiche di parte, dall’altro lato risponde a mere suggestioni difensive il fatto che l’inutilizzo della cintura avrebbe dovuto esitare in un esclusivo di tipo “frontale” del viso (non anche “laterale destro”) o che il corpo, nonostante il dispositivo di sicurezza, sarebbe stato comunque libero di muoversi nell’abitacolo fino collidere con la fiancata della vettura.
Per contro, deve ritenersi assolutamente notoria la circostanza che uno strumento cautelare come la cintura di sicurezza sia idoneo, se non ad immobilizzare il passeggero in caso d’urto, quantomeno a limitarne drasticamente la libertà di movimento, così da abbattere in modo significativo l’entità e gravità dei danni in una collisione.
Completamente privi di pregio e fondati su una distorta lettura dell’elaborato tecnico si mostrano, poi, gli assunti critici sull’erronea considerazione della posizione dell’An. all’interno della vettura: invero, il ctu si è limitato nella perizia a dare atto di quanto riferitogli dall’attrice in sede di accertamento medico, mentre non ha affatto espresso considerazioni da cui inferire un qualche collegamento fra la seduta del passeggero al momento dell’urto e la maggiore o minore compatibilità con l’uso delle cinture. Tale indifferenza è stata, del resto, ben evidenziata nei chiarimenti del 23.1.2013, non potendosi dunque prospettare alcuna interferenza fra la posizione dell’attrice all’interno dell’abitacolo ai fini dei rilievi medico-legali né ipotizzare, conseguentemente, diverse soluzioni rispetto alle manifeste “perplessità” del perito circa l’effettivo del dispositivo di protezione. Il perito ha, dunque, dettagliatamente replicato, evidenziando l’analiticità e correttezza del suo operato.
In senso analogo, devono disattendersi perché infondate, le critiche sulla presunta impossibilità per la periziata di nominare un proprio consulente al momento dell’inizio della visita media, perché “non presente”, anche a prescindere dal formale rilievo che la parte non ha mai lamentato espresse violazioni del contraddittorio nelle note critiche del marzo 2012, salvo dolersene per la prima volta a verbale di udienza (del 7.5.2012).
Invero, nulla impediva alla parte di formulare comunque il nominativo di un eventuale tecnico fiduciario – facoltà sulla quale si era del resto riservata all’udienza di conferimento dell’incarico dell’8.7.2011 (cfr. verbale di udienza) -, e con termine proprio sino all’inizio delle operazioni peritali, facoltà di nomina che non implicava affatto la presenza contestuale di un “contraddittore” fisico al momento dell’accertamento medico – legale.
Anche volendo ritenere poi effettivamente intercorsa una qualche conflittualità con il ctu sulla nomina del tecnico fiduciario, appare quantomeno singolare che la parte non abbia insistito per farla annotare sul verbale delle operazioni, in modo che ne risultasse traccia, o che comunque insistesse per comunicare il proprio nominativo, salvo poi rimettere al giudicante la decisione sulla ritualità e tempestività di una simile nomina.
In effetti, la difesa attorea tende a spostare sulla fase degli accertamenti tecnici ,e a riversare su presunti poteri di “apprezzamento” del ctu, delle problematiche meramente procedurali, che non competono alla figura del tecnico mentre sottostanno, come tali, al vaglio ultimo del giudicante. Anche su tale aspetto critico il ctu ha replicato puntualmente, al fine di non lasciare adito a dubbi sul proprio modus operandi.
Infine, e per mera completezza d’analisi, nulla prova in ordine alla presunta osservanza dell’obbligo cautelare dell’attrice la considerazione del medico legale dell’assicurazione, perché espressa in termini meramente probabilistici e comunque in una fase estranea e precedente all’odierna cognizione, in cui eventuali e diverse constatazioni medico – legali di parte possono trovare spazio solo incanalandosi in binari processuali ben codificati, nel rigoroso contraddittorio delle parti. A ciò si aggiunga l’assoluta inidoneità dei rilievi di un medico fiduciario dell’assicurazione a rivestire una qualche valenza confessoria per la medesima compagnia, la quale, ad esempio, potrebbe avere aderito alle sue prospettazioni e provvedere alla liquidazione del danno anche sulla base di mere considerazioni di opportunità, senza abdicare a problematiche sostanziali come quelle sui profili concausali sollevati nell’odierna sede.
Da ultimo, l’assunto difensivo fondato sulla mancata elevazione di contravvenzioni a carico dell’attrice nell’immediatezza del sinistro non è meglio confortato della risultanze istruttorie, non rinvenendosi in atti una rappresentazione “ufficiale” sull’evento lesivo (come tale fidefacente ex art. 2700 c.c.) di operanti di P.G., che cristallizzasse lo stato dei fatti e dei luoghi al momento del sinistro. Nulla prova, in tal senso, il doc. 5 del fascicolo attoreo, consistente in un semplice “regolamento del diritto di accesso ad atti amministrativi”, e sul quale gli elementi spazio-temporali del sinistro e la tg. (…) veicolo sono meramente “annotati”, senza alcuna sottoscrizione univocamente riferibile ad operanti, né descrizione delle modalità del sinistro e dello stato dell’auto. In conclusione, le critiche rivolte all’elaborato d’Ufficio vanno disattese, in quanto la parte tende a voler imporre conclusioni che, sebbene più appaganti per la sua tesi, non poggiano su argomentazioni condivisibili, né si rivelano obiettive ed apprezzabili al pari dei rilievi rassegnati dal Ctu.
Quanto alle ricadute del presente accertamento presuntivo, fermo restando che esula dalla presente sede qualsiasi indagine su profili eventuali di responsabilità del conducente Sb., e considerato che alla misura dell’effettiva incidenza del contributo colposo ex art. 1227 c.c. può pervenirsi su basi equitative (cfr. artt. 1227 e 2056 c.c., nonché art. 1223 c.c. sulla liquidazione del danno risarcitorio), deve ritenersi che la collisione del veicolo abbia avuto senza dubbio un ruolo preponderante nella causazione del danno – evento, mentre si stima congruo, alla luce delle evidenze del caso concreto (in particolare, localizzazione delle fratture da cui inferire il verosimile punto d’urto, nonché discreta gravità delle lesioni interessanti il viso e il canale uditivo, tipologia del tratto stradale interessato – autostrada e conseguente, notoria velocità di percorrenza in cui il mancato impiego delle cinture può aggravare sensibilmente le conseguenze di un sinistro) riconoscere all’attrice un concorso colposo ex art. 1227 c.c. nella misura del 30%.
Secondo tale entità, dunque, deve decurtarsi il complessivo danno spettante all’An. in virtù dell’accertata invalidità biologica (temporanea e permanente), nonché del connesso danno morale.
4. Riconoscimento e liquidazione del danno. In tema di danno e in punto di eziologia, il ctu ha ritenuto la compatibilità delle lesioni riscontrate a carico della periziata con la dinamica del sinistro, concludendo che dallo stesso sono derivati esiti permanenti di “artralgia della ATM di destra con riduzione dell’apertura della bocca limitata a 30 min., esiti cicatriziali chirurgici e modesta asimmetria del viso concretizzanti danno estetico di grado lieve-medio”, escludendo ulteriori e diverse ripercussioni peggiorative sull’integrità fisiognomica del soggetto, come pure la possibile incidenza peggiorativa su attività lavorative e non sotto il profilo dell’invalidità temporanea, l’ausiliario ne ha invece riscontrato l’insorgenza nella misura di trenta giorni di i.t.a. (100%) e sessanta giorni di i.t.p. al 50%.
La predetta consulenza tecnica d’ufficio si rivela chiara ed esaustiva e le sue conclusioni risultano dedotte da un’attenta ed analitica disamina degli elementi di fatto posti a sua disposizione, degli opportuni accertamenti medici, dell’esame degli atti di causa e della storia clinica della periziata, inoltre appaiono ispirate a criteri valutativi corretti non solo dal punto di vista logico, ma altresì conformi ai principi scientifici che presiedono la materia in esame, sicché questo Giudice ritiene di doverle condividere e fare proprie, traendone validi elementi per il suo convincimento oltre che per la liquidazione del danno. A fronte di tale analiticità e rigore, nulla hanno obiettato le parti sul profilo strettamente medico – legale, non offrendo alcuna evidenza scientifica di segno contrario; in particolare le doglianze attoree, come visto, si sono appuntate esclusivamente sulla tematica del concorso colposo e dell’impiego delle cinture di sicurezza.
Venendo alla liquidazione del danno azionato, sulla base delle risultanze medico – legali si osserva, innanzitutto, che il sinistro ha cagionato un danno “biologico”, inteso come lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile (sul punto, cfr. Corte Cost. 233/2003), la cui quantificazione, stante l’uniformità dei criteri medico-legali applicabili alla lesione dell’integrità psico-fisica, può eseguirsi secondo l’insegnamento della giurisprudenza attraverso il sistema tabellare, senza necessità alcuna di precise indicazioni ed allegazioni ad opera del danneggiato; nel caso di specie, stando al condivisibile accertamento dell’ausiliario, esso consiste nell’incidenza negativa sul complessivo stato di salute, nei termini e con la misura dianzi illustrata di postumi permanenti e di invalidità temporanea.
Il danno biologico va liquidato applicando il criterio del punto percentuale d’invalidità, combinalo con l’età anagrafica del danneggiato all’epoca dell’evento lesivo, secondo le tabelle milanesi (applicabili ratione temporis in base all’epoca di decisione), le quali per ormai consolidalo orientamento giurisprudenziale integrano un valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., laddove la fattispecie concreta non presenti circostanze che richiedano la relativa variazione in aumento o in diminuzione, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla circolazione (c.d. danni micro – permanenti, fino al 9% di invalidità biologica. Sul punto, cfr. ex multis Cass. civ., sez. III, sentenza 26 gennaio 2010 n. 1524, Cass. Civ., sez. III, sentenza 30 giugno 2011 n. 14402 nonché Cass. n. 12408 del 7 giugno 2011. secondo cui, in materia risarcitoria del danno non patrimoniale, “poiché l’equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell’integrità psico – fisica presuppone l’adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative, vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto”). Quanto, quindi, al c.d. danno biologico subito dalla parte attrice (risarcibile indipendentemente da un pregiudizio della capacità di lavoro e di guadagno, in quanto incidente sull’integrità psico – fisica della persona e collegato alla somma delle funzioni naturali aventi rilevanza biologica, sociale, culturale ed estetica), in applicazione delle tabelle vigenti al momento della sentenza (tabelle 2013). e tenuto conto dell’età della danneggiata, devono liquidarsi le seguenti somme: 1) 96,00 Euro giornalieri per l’invalidità temporanea totale, per un totale di Euro 2.880.00 in relazione ai 30 giorni accertati dalla CTU; 2) 48,00 Euro giornalieri per l’invalidità temporanea relativa al 50%, per analogo totale di Euro 2.880,00 in relazione ai 60 giorni accertati; 3) Euro 25.307,00 a titolo di danno biologico permanente, assumendo come parametro il valore punti riferito al grado di invalidità dell’11% di un soggetto di 42 anni, tale essendo l’età dell’attrice al momento dell’incidente, come si evince sia dal codice fiscale riportato nell’atto introduttivo, sia dagli ulteriori atti di causa, nonché dall’identificazione operata dal ctu in sede peritale.
Spettano, quindi, a parte attrice, per le voci suindicate, complessivi Euro 31.067,00 a titolo di danno biologico.
In un’ottica di personalizzazione del danno “non patrimoniale”, occorre adeguare al caso concreto il danno biologico considerando a tal fine, secondo una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., il pregiudizio sofferto dall’An. a titolo di danno morale, analogamente richiesto in domanda. Per tale deve intendersi, come noto, un “pati” transitorio, cioè un turbamento d’animo transeunte e soggettivo, che va tenuto distinto dalle degenerazioni patologiche della sofferenza ascrivibili al danno biologico, e può riconoscersi in presenza “ingiusta” lesione di un interesse inerente alla persona, nei casi di legge, in ipotesi di reato, ovvero di lesione di diritti inviolabili costituzionalmente qualificati, quale è il diritto alla salute (cfr. SS.UU. 26972/2008). La Suprema Corte ha chiarito, in particolare, che le varie voci di danno (biologico, esistenziale, morale) tradizionalmente ascritte nell’art. 2059 c.c. riflettendo una lesione di valori inerenti alla persona, devono comunque ascriversi ad un’unica categoria ermeneutica, perché costituiscono figure meramente descrittive di un aspetto del danno non patrimoniale (il quale è dunque categoria ampia ed onnicomprensiva, al cui interno non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente “figurativa”).
Sotto altro profilo, costituisce jus receptum che, se il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. è risarcibile nei soli casi di legge, per tali devono intendersi non solo le ipotesi di espressa previsione della risarcibilità (ad es. nel caso in cui il fatto illecito integri gli estremi di un reato), ma anche quelle in cui, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. il fatto illecito abbia vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla Costituzione (cfr. sul punto già SS.UU. 8827/2003 e 8828/2003).
Secondo la Corte, dunque, “la rilettura costituzionalmente orientata dell’art. 2959 c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell’ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.)”. Nel caso di specie, è palese come il danno alla salute, riverberato in invalidità temporanea e permanente, si traduca di per sé in un “vulnus” costituzionalmente garantito e inalienabile e, come tale, tende non a compensare una perdita economica subita dal danneggiato, bensì a ristorarlo di una lesione subita al “valore uomo”, ricadendo perfettamente nel paradigma del danno non patrimoniale.
Tale pregiudizio non può determinarsi separatamente dal danno biologico, ma anzi ne costituisce una “personalizzazione”, e va liquidato sulla base di noti criteri equitativi ex artt. 1226 e 2056 c.c., nell’ambito dell’onnicomprensiva categoria del danno ex art. 2059 c.c., valorizzando all’uopo le condizioni soggettive della vittima ed ogni altra circostanza attinente alla gravità del fatto offensivo, dovendosi bilanciare nel caso di specie l’età relativamente giovane del danneggiato con l’entità non eccessivamente compromettente dei postumi (di per sé, a ridosso della soglia delle c.d. micio permanenti), così che si stima congruo pervenire alla liquidazione di ulteriori Euro 8.000,00. La predetta personalizzazione, accedendo al complessivo danno all’integrità psico – fisica (c.d. “biologico”) e così astraendo dal rischio di indebite “duplicazioni” risarcitone, tiene anche conto dal pregiudizio patito in esito agli interventi chirurgici e residuato in “danno estetico di grado lieve – medio”, già inglobato del resto dal ctu nel quantificare la complessiva percentuale di invalidità permanente.
Come noto, un simile danno integra una peculiare manifestazione del danno biologico, ben potendo riflettersi sulla sfera morale del danneggiato ove non incida sulla sua concreta capacità reddituale (come nel caso di specie, non apprezzandosi ripercussioni peggiorative sull’idoneità lavorativa del danneggiato) per riverberare piuttosto, a livello non patrimoniale, sulla sua capacità di relazionarsi col mondo esterno e sulla sua personalità.
Ne deriva, coerentemente con le statuizioni della Suprema Corte, che la voce del danno estetico integra un elemento di cui il giudice di merito deve tener conto in sede di accertamento, personalizzazione e, in definitiva, determinazione dell’entità complessiva dello stesso danno biologico, (ex multis, Cass. Civ. 9549/2009, 13391/2007). Nel caso di specie, pertanto, un simile pregiudizio ancorché valutato dall’ausiliario nella quantificazione percentuale del danno biologico, ben può apprezzarsi, in un’ottica accessoria, per adeguare il danno all’integrità psico-fisica alle specificità del caso concreto (soppesando, in proposito, l’età relativamente giovane della vittima con la natura “lieve – media” dei suoi esiti).
Complessivamente deve dunque riconoscersi ad An.Ma., a titolo di complessivo danno biologico e morale, l’importo di Euro 39.067,00.
Avuto riguardo al concorso causale ex art. 1227 c.c. del danneggiato nel prodursi dell’evento lesivo e nella conseguente insorgenza dei danni, già equitativamente valutato sulla scorta delle concrete emergenze fattuali, la predetta somma va decurtata nella misura del 30%. dovendosi dunque condannare la compagnia al pagamento della residua misura, pari a complessivi Euro 27.346,90 (pari al 70% di 39.067,00).
Considerato, infine, che per le medesime causali l’assicurazione ha pacificamente corrisposto all’attrice l’importo di Euro 18.318,00 per i postumi invalidanti residuati dal sinistro, spetta complessivamente ad An.Ma. a titolo di danno biologico, opportunamente personalizzato nelle sue ulteriori voci non patrimoniali, l’importo di Euro 9.028,90 (pari al saldo fra 27.346,90 e 18.318,00, non potendosi invece considerare, a fini compensativi, la somma di Euro 2.747,00 già corrisposta dalla compagnia all’attrice a mero titolo di “spese di patrocinio”, cfr. doc. 3 fascicolo attoreo, essendo sorretta da titolo eterogeneo rispetto alla posta creditoria azionata in giudizio, ed eventualmente valutabile solo nell’ambito del complessivo contegno pre – processuale e processuale della parte, ai fini delle spese di lite).
Il predetto importo, già liquidato ai valori monetari attuali, integra debito di valore, sicché allo stesso deve aggiungersi l’ulteriore importo spettante quale ristoro del danno da lucro cessante conseguente alla mancata disponibilità dell’equivalente monetario del danno per il periodo intercorso dalla data dell’illecito alla presente decisione; spettano dunque gli interessi legali dal momento di insorgenza della lesione (riferiti alla data del sinistro, del 2.7.2009) calcolati sulla sorte capitale, svalutata a tale data e via via rivalutata anno per anno, il tutto secondo gli indici Istat e fino alla data del deposito della presente pronuncia giudiziale (cfr. Cass. S.U. n. 1712/1995). Sulla complessiva somma così liquidata, va da sé che decorrano, ex lege, gli interessi legali al saggio ex art. 1284 c.c. dal giorno di pubblicazione della sentenza.
A titolo di danno patrimoniale, spetta invece all’attrice il rimborso delle spese mediche già sostenute e documentate, relative a trattamenti sanitari sorretti dal carattere della “necessarietà”, che il ctu ha stimato congrui in Euro 528,71, escludendo la prevedibilità di spese future. Quanto al richiesto rimborso dei titoli di viaggio, pur attestando il ctu la coerenza “temporale” rispetto alle visite specialistiche sostenute a Roma (in quanto l’attrice, come allegato e incontestato, risiede a Milano), devono considerarsi le voci esclusivamente riferibili alla posizione dell’attrice, decurtando dunque, in misura corrispondente, il valore di quei biglietti emessi per due o quattro persone sulla tratta Roma – Milano (cfr. doc. 29 fascicolo attoreo).
Invero, l’attrice non ha affatto allegato, né coerentemente dimostrato, che il suo stato di salute le impedisse di viaggiare da sola, dovendo fare necessario ricorso ad un accompagnatore, così da poter imputare causalmente alla sua malattia (e chiederne il rimborso) anche spese di viaggio di altri soggetti: soluzione, questa, che in difetto di più concreti elementi conoscitivi e di connessi spunti di prova pare potersi escludere con una certa verosimiglianza, anche alla luce della tipologia dei postumi (che di per sé non parrebbero incidere, anche sulla scorta di criteri notori liberamente apprezzabili dal giudice ex art. 116 c.p.c., sulla facoltà di deambulazione).
Pertanto, gli importi dei biglietti n. (…). riferendosi a due viaggiatori come attesta lo stesso titolo di viaggio, devono dimezzarsi (considerando dunque il solo importo di Euro 200,50), mentre i biglietti (…), riferendosi a quattro viaggiatori devono valutarsi nell’esclusiva misura imputabile all’attrice (per un totale pari, dunque, ad Euro 29,00).
Pur rilevando, poi, che nelle conclusioni l’attrice ha identificato il complessivo danno patrimoniale anche negli oneri sostenuti a titolo di degenza ospedaliera o interventi chirurgici, del relativo sostenimento sotteso alle denunciate causali, e dell’effettivo esborso dei corrispondenti importi non si apprezza più puntuale evidenza negli atti di causa.
A fronte di tale lacunosità è evidente come lo stesso ctu – pur se invitato a pronunciarsi con formula “onnicomprensiva” sulla congruità dei complessivi trattamenti sanitari – nulla ha potuto riscontrare ed eventualmente valutare sul punto, tanto che l’importo riconosciuto coerente è già inferiore, di per sé, ai lamentati costi per “intervento chirurgico” (individuati in citazione in complessivi Euro 1.000,00).
In conclusione, spettano ad An.Ma. a titolo di danni patrimoniali derivati dal sinistro, Euro 528,71 per congruenti trattamenti sanitari, nonché Euro 235,50 per spese di viaggio (comprensive di documentati Euro 6,00 a fronte del trasporto urbano nella città di Roma, verosimilmente imputabili al tragitto da/verso le strutture sanitarie), per un totale dunque di Euro 764,21. Anche il predetto importo deve decurtarsi del concorrente apporto colposo dell’attrice, riconducendosi in ultima analisi all’evento lesivo dedotto in lite – già stimato nella misura del 30% – e rideterminarsi, conseguentemente, in complessivi Euro 534,95, posti a carico della società convenuta.
Sulle somme così determinate, liquidate a titolo di danno patrimoniale in sostanza con riferimento all’epoca del fatto, spettano interessi legali e rivalutazione dal giorno del sinistro, con gli interessi calcolati sulla stessa somma via via rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat e fino alla data di deposito della presente sentenza.
Avuto riguardo alla peculiarità della controversa ed alla riqualificazione giudiziale della domanda, e valutato il complessivo contegno stragiudiziale della convenuta – che ha già provveduto a liquidare all’An. il rimborso delle spese legali nella fase “conciliativa” – nonché la solo parziale vittoriosità dell’attrice rispetto alle originarie domande (impostate su rivendicazioni economiche di gran lunga maggiori), appare conforme a giustizia disporre la compensazione delle spese di lite in ragione della metà, ai sensi dell’art. 92 c.p.c. vigente ratione temporis – alla stregua della data di l’instaurazione del giudizio -; per la residua metà le stesse seguono la soccombenza, venendo liquidate, come da dispositivo, tenuto conto del valore e della natura della controversia, della molteplicità delle questioni trattate, nonché dell’istruttoria svolta, alla stregua del D.M. n. 140 del 20.7.2012 (ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), le cui disposizioni sono applicabili ratione temporis ai sensi dell’art. 41 del citato decreto, configurandosi “liquidazioni successive alla sua entrata in vigore”; sul punto, non può non richiamarsi e condividersi l’interpretazione resa dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, n. 17405 del 12 ottobre 2012, secondo cui i nuovi parametri per la liquidazione delle spese legali giudiziali si devono applicare ogni qua) volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate. Le spese di ctu, liquidate con separato provvedimento, vengono definitivamente poste a carico della società convenuta, con obbligo di rimborso degli oneri già eventualmente anticipati dall’attrice.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa eccezione, deduzione ed istanza, così provvede:
1 .riqualificata la pretesa attorea in azione diretta del terzo trasportato ex art. 141 D.Lgs. n. 209/2005, dichiara inammissibile la domanda avanzata nei confronti di Sb.Da.,
2. accertata e dichiarata la ricorrenza dei presupposti di legge ex art. 141 D.Lgs. n. 209/2005, condanna l’assicurazione convenuta, in persona del l. r.p.t., a pagare a titolo risarcitorio ad An.Ma. la somma di Euro 9.028,90 oltre interessi legali e rivalutazione dal 2.7.2009, con gli interessi legali calcolati sul predetto importo, via via rivalutato anno per anno, tutto secondo gli indici Istat, fino alla data del deposito della presente sentenza; condanna altresì la società convenuta, in persona del l. r. p.t. a pagare a titolo risarcitorio ad An.Ma. la somma di Euro 534,95, oltre interessi legali sul predetto importo, svalutato al 2.7.2009 e via via rivalutato anno per anno, tutto secondo gli indici Istat, fino alla data del deposito della presente sentenza;
3. condanna la società convenuta, in persona del l.r.p.t. a rifondere ad An.Ma. la metà delle spese sostenute per questo giudizio, che si liquidano nella loro interezza, sulla base dei criteri indicati in parte motiva, in complessivi Euro 3.374,00 di cui Euro 374,00 per spese vive ed Euro 3.000,00 per competenze, spese da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosene antistatario;
3. dichiara compensate fra le parti le spese di lite nella misura della residua metà;
4. condanna la società convenuta in persona del l.r.p.t. alle spese di ctu, nella misura già liquidata con separato provvedimento.
Così deciso in Cassino il 15 maggio 2013.
Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2013.