In merito ad una questione avente ad oggetto la violazione diritti d’autore perpetrata attraverso piattaforme on line che consentivano l’illecito accesso, riproduzione, messa a disposizione del pubblicoe utilizzazione di brani senza l’autorizzazione dei titolari dei relativi diritti di utilizzazione economica, il Tribunale ha ribadito i seguenti principi già affermati dalla Giurisprudenza dell’U.E.:
- D’altra parte, si è ben consapevoli che le misure adottate in esecuzione di un’inibitoria emessa nei confronti di un intermediario possono non essere idonee a condurre alla cessazione completa delle violazioni arrecate al diritto di proprietà intellettuale. Tuttavia tali misure – che non devono privare inutilmente gli utenti di Internet della possibilità di accedere in modo lecito alle informazioni disponibili – devono avere l’effetto di impedire o, almeno, di rendere difficilmente realizzabili le consultazioni non autorizzate dei materiali protetti e scoraggiare seriamente gli utenti di Internet che ricorrono ai servizi del destinatario di tale ingiunzione dal consultare i contenuti messi a loro disposizione in violazione del diritto di proprietà intellettuale.
- Se, invero, appare pacifico che tali ordini non integrano alcun obbligo generale di sorveglianza a carico del prestatore dei servizi – in quanto l’inibitoria si riferisce a violazioni specifiche già accertate -è ormai condiviso nella giurisprudenza comunitaria e nazionale il fatto che possa essere imposta a carico dei prestatori dei servizi interessati una condotta improntata ai doveri generali di diligenza che si estendano anche all’attuazione di misure di prevenzione di attività illecite obbiettivamente reiterabili, così dovendosi essi attivare anche al fine di impedire il ripetersi delle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale di terzi tenuto conto delle previsioni contenute nel considerando 47 e dell’art. 15 della Dir. 31/2000.
Tribunale|Milano|Sezione 14|Civile|Ordinanza|11 luglio 2022
Data udienza 11 luglio 2022
TRIBUNALE DI MILANO
Sezione XIV Sezione specializzata in materia di impresa A
Il Tribunale, nella persona del giudice dott. Claudio Marangoni ha pronunciato la seguente
ordinanza
nel procedimento cautelare iscritto al n. 50126/2021 R.G. promosso da:
(…) S.p.A.
(…) s.r.l.
(…) s.r.l.
ricorrenti
contro:
(…) INC.
resistente
1. Le ricorrenti (…) S.p.A. (…) s.r.l. e (…) s.r.l., aziende facenti parte degli omonimi gruppi societari operanti a livello mondiale per la produzione e la distribuzione di fonogrammi e video musicali, sono titolari, ai sensi dell’art. 72 l. a.1, dei diritti connessi del produttore fonografico relativamente ai repertori di loro rispettiva proprietà che riguardano fonogrammi italiani.
Hanno dedotto di aver constatato attraverso le loro abituali attività di monitoraggio della rete internet, che i servizi “(…)” ((…).to), “(…)” (…) e “(…)” ((…).pro) consentivano illecitamente l’accesso, la riproduzione, la messa a disposizione del pubblico e comunque l’utilizzazione di molteplici brani presenti nei repertori delle stesse case discografiche, senza l’autorizzazione delle titolari dei diritti. Ciò mediante il fatto che essi consentono agli utenti di ricercare e scaricare qualsiasi tipo di contenuto audio attraverso il relativo file “(…)” (ossia file di piccole dimensioni) o identificativo hash dello stesso “(…)” (ossia con dei link definiti “magnet link”) che sono archiviati presso altri utenti collegati alla medesima rete (c.d. “protocollo (…)”).
Hanno affermato che sarebbe prassi consueta per le piattaforme (…) in questione creare continui siti proxy con diverse estensioni per rimanere attivi anche in caso di blocco dell’accesso ad un determinato URL/dominio, così evidenziandosi la piena consapevolezza da parte degli operatori e degli utenti circa le attività illecite compiute dalle piattaforme di condivisione di file (…).
In data 10.9.2021, 24.9.2021 e 8.10.2021 l’associazione FPM – Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale per conto delle ricorrenti aveva presentato dinanzi all’AGCom istanze per la disabilitazione dell’accesso ai siti (…).to, (…) e (…).pro ai sensi dell’articolo 6 del regolamento AGCom approvato con delibera n. 680/13/CONS in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica. L’Autorità, con delibere nn.180/21/CSP (anche di ratifica del decreto presidenziale n. 11/21/PRES) del 7 ottobre 2021, n. 185/21/CSP del 14 ottobre 2021 e n. 429/21/DDA del 18 ottobre 2021, considerate le violazioni massive dei diritti d’autore e connessi delle ricorrenti, ha ordinato ai prestatori di servizi la disabilitazione dell’accesso ai menzionati siti da parte di utenti italiani.
Nel verificare l’attuazione di tali disabilitazioni le parti ricorrenti avevano accertato che i siti in questione non potevano effettivamente essere raggiunti tramite i fornitori dei servizi di connessione (mere conduit provider) ma che, tuttavia, essi rimanevano perfettamente accessibili attraverso i servizi DNS prestati da (…) Inc. che fornisce servizi di anonimizzazione agli hosting provider che servono i servizi in violazione – ossia, scherma gli indirizzi IP degli hosting provider – in modo tale che è impossibile per i titolari dei diritti sapere quali siano gli hosting provider che forniscono i servizi ai siti illeciti.
Nonostante le diffide trasmesse alla resistente – per il ruolo svolto da (…) Inc. nella fornitura di servizi funzionali all’accesso a contenuti messi a disposizione via Internet da parte di soggetti localizzati sul territorio italiano – non sarebbe stato da essa impedito l’accesso ai servizi bloccati, pertanto ancora disponibili per gli utenti italiani, nonostante gli ordini di AGCom e la diffida inviata dai titolari dei diritti.
Affermano le ricorrenti che la resistente ha creato e messo a disposizione un servizio DNS pubblico denominato 1.1.1.110 che può essere utilizzato come servizio alternativo alla risoluzione DNS generalmente fornita dagli operatori di telecomunicazioni (mere conduit provider). Il servizio DNS offerto da (…) Inc. (che può essere liberamente usato dagli utenti per aggirare i blocchi posti in essere dai mere conduit provider italiani) non tiene conto della natura illecita dei siti e consente agli utenti di individuare e successivamente accedere a tali siti. Mediante tali sistemi DNS gli utenti possono utilizzare la rubrica di (…) Inc. (e i relativi filtri di contenuti sottesi alla stessa) per aggirare le rubriche delle società di telecomunicazione che potrebbero essere attive su di un determinato territorio, ed i relativi blocchi implementati dalle stesse società.
(…) Inc. – secondo le ricorrenti – sarebbe perfettamente in grado di implementare gli ordini di blocco emanati da AGCom.
Tali circostanze sarebbero ben note al pubblico – e quindi anche a (…) Inc. – come rivelerebbe il fatto che esistono molteplici siti che riportano le indicazioni tecniche su come aggirare i frequenti blocchi dell’accesso disposti dalle autorità italiane, (come per esempio alla piattaforma (…)), i quali indicano proprio il servizio di (…) Inc. come modalità di aggiramento.
Sulla base della perdurante violazione dei loro rispettivi diritti esclusivi sulle opere appartenenti al loro repertorio, le ricorrenti agiscono dunque in via cautelare ed urgente nei confronti di (…) Inc., posto che essa fornisce i mezzi per accedere a servizi illeciti, che sarebbero altrimenti inibiti sul territorio italiano.
L’azione inibitoria secondo le ricorrenti può essere infatti esercitata – oltre che nei confronti dell’autore della violazione – anche soltanto nei confronti di un intermediario i cui servizi siano utilizzati per tale violazione, mentre il profilo soggettivo dell’intermediario non sarebbe profilo di rilievo ove si osservi che sarebbe ben possibile l’emanazione di ordini inibitori cd. puri, ossia anche nei confronti di intermediari che non abbiano alcuna consapevolezza dell’illecito.
Le parti ricorrenti hanno dunque chiesto che nei confronti della resistente (…) Inc. sia ordinato di adottare immediatamente le più opportune misure tecniche al fine di inibire effettivamente a tutti i destinatari dei propri servizi l’accesso ai servizi denominati “(…).to”, “(…)” e “(…).pro”, inibendo la risoluzione DNS dei correlativi nomi a dominio (“(…).to”, “(…)” e “(…).pro”). Hanno chiesto altresì che l’inibitoria della risoluzione DNS sia estesa a qualsiasi nome a dominio (denominato “alias”) che costituisca una variazione dei predetti DNS di primo, secondo, terzo e quarto livello e attraverso i quali, anche in futuro, i servizi illeciti svolti attraverso i menzionati nomi a dominio potessero continuare ad essere disponibili.
Si è costituita nel presente procedimento la resistente (…) Inc., società di diritto statunitense con sede a San Francisco (California), eccependo in via preliminare la carenza di giurisdizione del giudice adito.
Secondo parte resistente l’art. 7, n. 2, Reg. n. 1215/12 – unico criterio” applicabile astrattamente al caso di specie, che stabilisce che la giurisdizione sussiste “in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire” – deve essere interpretato nel senso che per tale luogo deve intendersi quello in cui è avvenuta la lesione del diritto della vittima, senza avere riguardo al luogo dove si sono verificate o potrebbero verificarsi le conseguenze future di tale lesione.
In particolare ha richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità nazionale che ha affermato che, ove la condotta asseritamente illecita consista nella pubblicizzazione di un prodotto su un sito internet, il “locus commissi delicti”, idoneo a costituire un significativo collegamento ai fini della competenza giurisdizionale ai sensi dell’art. 5, n. 3, del Regolamento n. 44/2001, va individuato in quello di stabilimento dell’inserzionista, trattandosi del luogo in cui è stato deciso ed avviato il processo tecnico finalizzato alla visualizzazione dell’annuncio commerciale (Cass. SSUU, 14508/13). Gli hosting provider sui cui server sarebbero stati caricati contenuti illeciti si troverebbero nelle Isole Seychelles, in Scozia e nella Federazione Russa e dunque l’atto di caricamento online dei contenuti che sarebbero illecitamente diffusi non avrebbe comunque avuto luogo nel territorio nazionale. Peraltro, anche ove il criterio di collegamento sia individuato nel luogo di lesione dei diritti azionati la conclusione non sarebbe differente, posto che il servizio DNS di (…) Inc. è offerto su scala mondiale e non ha alcuna specifica focalizzazione sul mercato italiano, né le ricorrenti hanno offerto alcuna prova che utenti italiani abbiano effettivamente utilizzato il servizio DNS di (…) Inc. per accedere ai siti indicati.
Ha contestato quindi l’indeterminatezza della domanda cautelare, non avendo le ricorrenti chiarito quali siano i fonogrammi sui quali esse vantano diritti connessi ex art. 72 l. a.; in ogni caso non avrebbero dato prova effettiva di tale titolarità, posto che i documenti da esse depositati non fornirebbero elementi univoci a tale proposito.
Sotto altro profilo, secondo la resistente le ricorrenti non avrebbero offerto alcuna valida prova nemmeno dei fatti costitutivi delle domande azionate, ovvero che i siti contestati siano accessibili, e siano effettivamente consultati, dagli utenti italiani usando i DNS di (…) Inc., nonché da questi utilizzati per lo scaricamento di contenuti asseritamente illeciti.
In ogni caso – secondo la resistente – le misure tecniche prospettate dalle ricorrenti non sarebbero concretamente attuabili da (…) Inc., poiché il filtraggio da parte del DNS Resolver 1.1.1.1 avrebbe un effetto negativo sulla risoluzione dei DNS relativi a tutti gli altri siti non oggetto di contestazione nonché sugli altri servizi della resistente con conseguente perdita di complessiva efficienza del servizio.
Inoltre tali misure sarebbero sostanzialmente inutili posto che tutti i domini azionati dalle ricorrenti sono risolvibili e, quindi, facilmente accessibili, da uno qualsiasi dei DNS ricorsivi alternativi indicati nella perizia di parte allegata (OpenDNS, Comodo SecureDNS, Google (…) e Quad 9) e da altre centinaia di DNS ricorsivi pubblici.
Ha concluso dunque per il rigetto delle istanze cautelari svolte dalle ricorrenti.
2. L’eccezione di carenza di giurisdizione non è fondata.
Le parti ricorrenti hanno agito in relazione all’illecito accesso, riproduzione, messa a disposizione del pubblico italiano e comunque all’utilizzazione di brani presenti nei repertori ad esse facenti capo quali titolari dei relativi diritti di utilizzazione economica, senza la loro autorizzazione, attuata mediante i servizi ed i correlativi siti web da essi indicati operanti sul territorio nazionale, specificamente rivolti ad utenti residenti sul territorio nazionale. Tali servizi sono stati oggetto di provvedimenti adottati dall’AGCom, che – accertata la loro natura illecita – ha ordinato ai prestatori di servizi la disabilitazione dell’accesso ai corrispondenti siti da parte di utenti italiani.
Secondo la prospettazione delle ricorrenti l’attività della resistente si porrebbe come ostativa al raggiungimento di tali finalità mentre gli ordini impartiti dall’AGCom sarebbero rivolti anche nei confronti della stessa resistente, che quantomeno nella sua qualità di intermediario i cui servizi sono utilizzati per tale violazione sarebbe comunque passibile di ordine di inibitoria ai sensi dell’art. 156 l. a. Ritiene questo giudice che ai fini della conferma della giurisdizione del giudice nazionale adito appare fondato il richiamo all’art. 7, n. 2) Reg. 1215/12 – applicabile nella fattispecie anche alla parte resistente ai sensi dell’art. 3, comma secondo L. 218/95-218/95 – posto che nel caso di un’asserita lesione ai diritti d’autore e ai diritti connessi al diritto d’autore garantiti dallo Stato membro del giudice adito, quest’ultimo è competente, in base al criterio del luogo in cui il danno si è concretizzato, a conoscere di un’azione per responsabilità per la lesione di tali diritti in conseguenza della messa in rete di opere tutelate su un sito Internet accessibile nell’ambito territoriale della sua giurisdizione e comunque rivolto ad utenti appartenenti all’ambito territoriale della stessa giurisdizione nazionale (v. a tale proposito Corte di Giustizia UE, sentenza 22.1.2015, nella causa C-441/14).
Le contestazioni svolte dalla resistente in merito alla mancanza di prova effettiva dei diritti e delle violazioni contestate dalle ricorrenti non rilevano in punto giurisdizione, attenendo esse al diverso profilo di merito della fondatezza del ricorso e delle istanze cautelari avanzate.
3. Quanto alla titolarità delle opere indicate dalle ricorrenti come appartenenti rispettivamente ai loro repertori, ritiene il giudicante che gli elementi documentali versati in atti dalle stesse ricorrenti siano
del tutto sufficienti a confermare la loro presenza sul mercato musicale nazionale quali soggetti titolari – individualmente e nel loro complesso – di diritti di utilizzazione su opere di primari autori.
Esse hanno depositato copia dei cataloghi multimediali di una delle principali piattaforme di streaming, indicanti per ogni opera la titolarità dei relativi diritti nelle forme d’uso del settore (v. docc. 9, 10 e 11 ric.).
Ciò integra la valida presunzione stabilita dall’art. 99 bis l. a. quanto alla prova della titolarità dei diritti connessi, presunzione certamente non superata dalla vaga contestazione di parte resistente che si è limitata a dedurre la mancata prova senza contestare in concreto – al fine di superare detta presunzione – la titolarità di tali diritti sul complesso delle opere indicate, come ben avrebbe potuto fare se le indicazioni riportate sui documenti depositati dalle ricorrenti fossero stati inveritieri.
D’altra parte, le delibere AGCom che hanno accertato l’illecita diffusione delle opere appartenenti ai repertori delle odierne ricorrenti in relazione all’attività dei siti (…).to, (…) e (…).pro (v. docc. 22, 23 e 24 ric.) si sono basate proprio sulla titolarità delle opere in capo alle odierne ricorrenti.
Va rilevato che le parti ricorrenti sostanzialmente hanno chiesto che gli ordini di disabilitazione emessi dall’AGCom nei confronti degli operatori di telecomunicazioni (mere conduit provider) siano estesi anche alla resistente in relazione ai servizi da essa forniti in favore dei siti in questione, nella veste di intermediario i cui servizi risultano utilizzati per porre in essere le violazioni accertate. In tale prospettiva i provvedimenti resi dall’AGCom e gli accertamenti ivi svolti risultano utile presupposto anche in questa sede per verificare da un lato-lato – come già detto – la titolarità dei diritti vantati dalle ricorrenti, ma anche la sussistenza dell’illecito ivi affermato nei confronti dell’attività dei siti in questione quantomeno in relazione al fumus boni iuris che consente l’attivazione della tutela cautelare. Né pare potersi individuare anche una carenza di prova circa il fatto che i servizi di (…) Inc. siano utilizzati (anche) al fine di aggirare i provvedimenti di disabilitazione emessi all’autorità regolatoria del settore, posto che gli stessi responsabili di tali siti suggeriscono apertamente agli utenti di accedere tramite i DNS Cloudfare (v. doc. 35 ric.). Inoltre le parti ricorrenti hanno fornito elementi di riscontro tecnico circa il fatto che in concreto il raggiungimento di tali siti avviene tramite i servizi predisposti dalla resistente (v. pagg. 54-62 relazione FPM, in doc. 12 ric.).
In sede cautelare è sufficiente la potenzialità dannosa della condotta per accedere all’inibitoria, destinata a impedire che la prosecuzione della stessa possa determinare pregiudizi di natura irreparabile per i diritti azionati.
4. Larga parte del dibattito intercorso tra le parti è stato assorbito dai profili tecnici propri delle condotte contestate e delle implicazioni derivanti anche in merito all’esistenza o meno di misure tecniche idonee a evitare la prosecuzione degli illeciti dedotti.
In breve, la resistente (…) Inc. offre servizi atti a filtrare tutte le richieste di connessione ad un determinato sito da parte degli utenti, rendendole più sicure. In tal modo, tutti gli utenti collegati a (…) Inc. utilizzano la connessione di tale soggetto, e non la loro, che viene filtrata dai servizi di connessione forniti dalla resistente. In pratica essa si interpone tra la richiesta di accesso ad un determinato sito dell’utente e il sito stesso, agendo come intermediario e servendo l’utente finale con i dati memorizzati nei datacenter dislocati sui territori.
Ciò che rileva in questa sede è l’attività di filtraggio tramite sistema DNS che può essere svolta da (…) Inc.. Il sistema DNS identifica sia l’utente che il sito d’interesse in numeri predefiniti (gli indirizzi IP), che corrispondono ad una denominazione e consentono l’identificazione del soggetto in questione. La resistente ha creato e messo a disposizione un servizio DNS pubblico denominato 1.1.1.110 che può essere utilizzato come servizio alternativo alla risoluzione DNS generalmente fornita dagli operatori di telecomunicazioni (mere conduit provider).
Quando i mere conduitprovider – su ordine dell’autorità regolatoria del settore – bloccano l’accesso ai siti in violazione, il servizio DNS offerto da (…) Inc. non tiene conto della natura illecita dei siti e consente agli utenti di individuare e successivamente accedere a tali siti. Rilevano le ricorrenti che se da una parte (…) Inc. nel caso di specie era stata resa pienamente consapevole della natura illecita di tali siti almeno dalla ricezione della diffida inviata dalle ricorrenti, essa sotto altro profilo sarebbe tecnicamente in grado di implementare blocchi ai propri servizi DNS, dal momento che già impedisce l’accesso ai siti che qualifica come pericolosi, poiché includono malware oppure si rivolgono ad un pubblico adulto (per esempio siti pornografici). Rileva il giudicante che anche dalla lettura degli atti e delle relazioni tecniche provenienti dalla parte resistente appare confermato – si consenta l’uso di espressione riassuntiva e atecnica – l’apporto fornito da (…) Inc. volto a determinare le condizioni per una sostanziale anonimizzazione dei siti inibiti da AGCom, funzione che di fatto non è contestata in sé dalla stessa resistente. I frequenti e reiterati richiami a presunte invalidità degli accertamenti tecnici depositati dalle ricorrenti – che per la verità risultano a questo giudice condotti attraverso metodiche atte a conservarne l’integrità e comunque ogni possibilità di verifica – risultano di fatto poco convincenti rispetto agli scopi difensivi della resistente.
Invero – al di là di tali infondate contestazioni – la stessa (…) Inc. non nega di fornire ai suoi clienti i servizi descritti dalle ricorrenti, servizi in se stessi del tutto legittimi.
La stessa perizia informatica depositata dalla resistente – al di là delle (errate) valutazioni giuridiche (non tecniche) in ordine ad un preteso vulnus ai principi di neutralità della rete che deriverebbe dall’accoglimento delle istanze cautelari delle ricorrenti – si limita nelle sue conclusioni da una parte a dedurre una pretesa inefficacia di una eventuale inibitoria in considerazione del fatto che altri operatori forniscono DNS ricorsivi, alternativi a quello fornito da (…) Inc., e dall’altra arriva a confermare apertamente che la resistente agisce quale “mero intermediario che esegue richieste e riceve risposte nei confronti dei root nameservet” ma che non avrebbe “alcuna responsabilità per l’eventuale presenza di contenuti illeciti su siti di titolarità di terzi” (v. conclusioni del ctp di parte ricorrente, doc. 12 res. pag. 18).
5. Ritiene il giudicante – anche sulla base del sostanziale riconoscimento del suo ruolo come descritto dalla stessa resistente – che (…) Inc. rivesta il ruolo di intermediario che presta i suoi servizi agli utilizzatori che, nel caso di specie, svolgono la loro attività illecita tramite i medesimi, sfruttandone consapevolmente le potenzialità che consentono la prosecuzione dell’attività illecita anche a valle dei provvedimenti di disabilitazione dei siti in questione disposti dall’AGCom nei confronti dei provider che forniscono la connessione (mere conduit).
In questa sede cautelare il ruolo svolto da (…) Inc. è del tutto sufficiente a consentire l’applicazione del provvedimento di inibitoria ai sensi dell’art. 156 l. a., anche a prescindere dalla considerazione dei profili soggettivi che invece in sede di eventuale merito potrebbero fondare ipotetiche richieste risarcitorie per il fatto di aver proseguito a fornire i servizi in questione pur essendo stata formalmente informata degli illeciti accertati dall’autorità regolatoria nazionale in materia di comunicazione.
6. Le contestazioni svolte dalla società resistente per il resto si sono sostanzialmente incentrate sulla pretesa impossibilità per essa di adempiere ad eventuali inibitorie del tipo di quelle richieste dalle ricorrenti in questa sede nonché sulla sostanziale inutilità di tale eventuale inibitoria per la presenza di altri operatori che forniscono i medesimi servizi, questione che sembrerebbe esposta in relazione al presupposto del periculum in mora sotto il profilo della valutazione dell’irreparabilità del pregiudizio. 6.1. Quanto al primo profilo, è evidente che esso potrebbe assumere qualche rilievo in una fase di eventuale esecuzione della misura cautelare emessa – ove si tratterebbe di valutare l’idoneità delle misure adottate al fine di attuale l’inibitoria – ma non già fino a compromettere in radice la giuridica possibilità di emettere la misura stessa. Il provvedimento di inibitoria non contiene le specifiche modalità tecniche da adottare per l’adempimento dell’ordine del giudice, risultando la scelta e la predisposizione di tali misure nella disponibilità della parte inibita salvo eventuale verifica dell’efficienza delle misure adottate.
Può peraltro osservarsi sin da ora che l’impossibilità per la parte inibita di attuare la misura emessa potrebbe derivare dall’accertamento dell’impossibilità tecnica di procedere nel senso indicato dal provvedimento giudiziario, non già dalla mera constatazione che l’esecuzione della stessa – come di fatto sostiene parte resistente a sostegno della sua tesi – potrebbe determinare perdite di efficienza nella prestazione dei servizi della stessa.
Di fatto l’inesistenza di impedimenti tecnici assoluti pare comunque confermata dal fatto che in altre analoghe occasioni, verificatesi anche dinanzi a questo Tribunale (caso EnergyIPTV, Tribunale di Milano 15.2.2021, in docc. 42 e 50 ric.), (…) Inc. ha attuato le misure inibitorie impartite dal giudice nei confronti degli intermediari dei servizi.
6.2 Quanto all’esistenza di altri soggetti in grado di fornire i medesimi servizi, tale circostanza non elide la necessità dell’adozione di provvedimenti inibitori nei confronti di una di esse. Al di là delle scelte processuali delle ricorrenti – che peraltro ben potrebbero avere concordato con altri prestatori di tali servizi condotte adesive alle loro esigenze – non può contestarsi in radice sulla base di tale motivo la rilevanza delle ragioni fondanti l’adozione dell’inibitoria nei confronti di (…) Inc., che appare obbiettivamente – sia per il fatto che essa viene indicata dagli stessi autori delle violazioni quale veicolo di aggiramento degli ordini provenienti dall’autorità regolatoria del mercato della comunicazione, sia per l’obbiettiva rilevanza dell’attività svolta dalla resistente e del suo posizionamento nel mercato in questione – soggetto di rilievo nella filiera tecnica che consente il raggiungimento da parte dell’utente nazionale dei siti interdetti e non disponibile ad adeguare la propria lecita attività alle esigenze della tutela del diritto d’autore, avente anche rilievo penale. D’altra parte, si è ben consapevoli che le misure adottate in esecuzione di un’inibitoria emessa nei confronti di un intermediario possono non essere idonee a condurre alla cessazione completa delle violazioni arrecate al diritto di proprietà intellettuale. Tuttavia tali misure – che non devono privare inutilmente gli utenti di Internet della possibilità di accedere in modo lecito alle informazioni disponibili – devono avere l’effetto di impedire o, almeno, di rendere difficilmente realizzabili le consultazioni non autorizzate dei materiali protetti e scoraggiare seriamente gli utenti di Internet che ricorrono ai servizi del destinatario di tale ingiunzione dal consultare i contenuti messi a loro disposizione in violazione del diritto di proprietà intellettuale (v. Corte Giustizia UE, sentenza 27.3.2014, causa C-314/12, Telekabel, punto 63).
7. Alla fondatezza del fumus boni iuris della pretesa avanzata dalle ricorrenti di ricondurre la resistente, quale intermediario prestante i servizi utilizzati dai responsabili delle violazioni già accertate, al corretto adempimento dei suoi doveri a fronte di illeciti già accertati ed in corso di ulteriore compimento si associa anche il presupposto del periculum in mora che giustifica l’intervento in via cautelare ed urgente.
La sistematicità e l’ampiezza degli illeciti accertati consente senza ombra di dubbio di valutare come pregiudizio di natura irreparabile la prosecuzione degli illeciti stessi, agevolati dalla fruizione da parte degli autori dei servizi forniti dalla resistente.
8. Le parti ricorrenti hanno chiesto che il giudice ordinasse alla resistente di adottare le misure tecniche più idonee al fine di inibire effettivamente a tutti i destinatari dei propri servizi l’accesso ai servizi denominati “(…).to”, “(…)” e “(…).pro”, inibendo la risoluzione DNS dei relativi nomi a dominio. Inoltre hanno chiesto che venisse inibita la risoluzione DNS di qualsiasi nome a dominio (denominato “alias”) – che costituisca una variazione dei predetti DNS di primo, secondo, terzo e quarto livello – attraverso i quali, anche in futuro, i servizi illeciti attualmente accessibili attraverso i citati nomi a dominio possano continuare ad essere disponibili, a condizione che i nuovi alias siano soggettivamente e oggettivamente riferiti ai suddetti servizi illeciti. Tali istanze possono essere accolte, con la precisazione riguardo agli eventuali alias che gli autori delle violazioni dovessero utilizzare, che l’inibitoria all’accesso a tali servizi sia riconducibile all’esistenza dei medesimi presupposti oggettivi e soggettivi degli illeciti accertati, vale a dire che vi sia evidenza della fornitura dei medesimi contenuti non autorizzati già accertati e della riconducibilità di tali alias ai medesimi soggetti cui gli illeciti stessi sono stati tecnicamente ricondotti negli accertamenti eseguiti dall’AGCom.
Se, invero, appare pacifico che tali ordini non integrano alcun obbligo generale di sorveglianza a carico del prestatore dei servizi – in quanto l’inibitoria si riferisce a violazioni specifiche già accertate -è ormai condiviso nella giurisprudenza comunitaria e nazionale il fatto che possa essere imposta a carico dei prestatori dei servizi interessati una condotta improntata ai doveri generali di diligenza che si estendano anche all’attuazione di misure di prevenzione di attività illecite obbiettivamente reiterabili, così dovendosi essi attivare anche al fine di impedire il ripetersi delle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale di terzi tenuto conto delle previsioni contenute nel considerando 47 e dell’art. 15 della Dir. 31/2000 (si vedano in particolare Corte Giustizia UE, sentenza 27.3.2014, causa C-314/12, Telekabel, punti 35, 36, 50; Corte Giustizia UE, sentenza 3.10.2019, causa C-18/18, Facebook Ireland, punti 41 e 45; v. anche Cass. 7708/19).
Alle inibitorie conformi alle richieste svolte dalle parti ricorrenti va associata anche la previsione di penale adeguata, garantendo comunque alla resistente un congruo periodo di tempo per apprestare tecnicamente le misure attuative dell’inibitoria.
Non ritiene il giudicante di accedere anche all’istanza di pubblicazione del presente provvedimento, ritenendo che le misure adottate consentano il soddisfacimento integrale di tutte le esigenze di natura cautelare ed urgente effettivamente sussistenti rispetto alla tutela richiesta.
9. Devono essere altresì liquidate le spese del presente procedimento, posto che le misure adottate sono suscettibili di stabilizzazione tra le parti senza necessità dell’ulteriore causa di merito. Esse vanno poste a carico della parte resistente secondo il principio di soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
visto l’art. 669 octies c.p.c.,
1) in accoglimento delle istanze cautelari avanzate dalle ricorrenti (…) S.p.A. (…) S.R.L. e (…) s r l. , ordina alla resistente (…) Inc. di adottare immediatamente le più opportune misure tecniche al fine di inibire a tutti i destinatari dei propri servizi l’accesso ai servizi denominati “(…).to”, “(…)” e “(…).pro”, inibendo la risoluzione DNS dei seguenti nomi a dominio:
– “(…).to”;
– “(…)”;
– “(…).pro”;
sia in quanto tali che preceduti dal prefisso www;
2) inibisce altresì alla resistente (…) Inc. la risoluzione DNS di qualsiasi nome a dominio (denominato “alias”) – che costituisca una variazione dei predetti DNS di primo, secondo, terzo e quarto livello – attraverso i quali i servizi illeciti attualmente accessibili attraverso i nomi a dominio indicati al punto 1) possano continuare ad essere disponibili, a condizione che i nuovi alias siano soggettivamente e oggettivamente riferiti ai suddetti servizi illeciti;
3) fissa a carico della resistente penale di Euro 10.000,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione delle inibitorie innanzi disposte, con decorrenza dal trentesimo giorno dalla comunicazione del presente provvedimento;
4) respinge l’istanza di pubblicazione del presente provvedimento;
5) condanna la resistente al rimborso delle spese del procedimento in favore delle parti ricorrenti, liquidate in Euro 15.000,00 oltre rimborso spese generali ed oneri di legge.
Così deciso in Milano l’11 luglio 2022.
Depositata in Cancelleria l’11 luglio 2022.