La disciplina della tutela del diritto d’autore sulle opere fotografiche contempla tre ipotesi: 1) le opere d’ingegno sussumibili nell’ambito di applicazione dell’art. 2 n. 7 L.d.A., che godono della tutela d’autore prevista dalla stessa legge; 2) le fotografie cd. semplici, ossia le “immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale o sociale”, prive del carattere creativo, pur essendo connotate da una qualche attività personale del fotografo, e tutelate, più limitatamente, ai sensi degli artt. 87 e ss. L.d.A., come tipici diritti connessi; 3) le fotografie di “scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili”, prive di tutela ex art. 87, c. 2 L.d.A.
Ebbene, l’opera fotografica rientra nella prima categoria e gode della piena protezione accordata dalla legge stessa qualora presenti valore artistico e connotati di creatività; ove, invece, la fotografia sia destinata a diffondere un messaggio attraverso l’indubbia capacità espressiva che il mezzo fotografico possiede, a promuovere un prodotto ovvero a contribuire a creare un ambiente o un’atmosfera, la stessa può farsi rientrare nell’ambito applicativo del primo comma dell’art. 87 in tema di diritti connessi al diritto d’autore.
Tale disciplina prevede che spetta al fotografo ovvero al datore di lavoro e al committente – se l’opera è stata ottenuta nel corso e nell’adempimento di un contratto di opera o di lavoro – il diritto esclusivo di riproduzione, diffusione e spaccio delle fotografie (art. 88 L.d.A.); nondimeno, ai sensi dell’art. 90 L.d.A., l’autore della fotografia potrà beneficiare di tale tutela, ove ricorrano le seguenti condizioni: la presenza sulla fotografia del nome del fotografo (o del suo datore di lavoro o committente), la data dell’anno di produzione della fotografia e il nome dell’autore dell’opera d’arte fotografata.
Corte d’Appello|Milano|Civile|Sentenza|25 maggio 2023| n. 1707
Data udienza 27 aprile 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI MILANO
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA D’IMPRESA
nelle persone dei magistrati:
– Domenico Bonaretti – Presidente relatore
– Serena Baccolini – Consigliere
– Alessandra Aragno – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. r.g. 2867/2022, promossa con atto di citazione notificato in data 5.10.2022 e posta in deliberazione sulle conclusioni precisate dalle parti all’udienza del 8.2.2023
DA
(…) (C.F. (…) ) e (…) (C.F. (…) ), in persona del legale rappresentante pro tempore, entrambi rappresentati e difesi, come da procura in atti, dall’avv. Lu.Am. ed elettivamente domiciliati in Desio (MB), Corso (…), presso lo studio dell’avv. Em.Am.,
APPELLANTI
CONTRO
(…) S.R.L. (C.F. (…) ), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, come da procura in atti, dagli avv.ti Ch.La. ed El.Ga. ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Busto Arsizio (VA), Viale (…),
APPELLATA
oggetto: concorrenza sleale
FATTO E PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 8.9.2021 la sig.ra (…) e la società (…) S.r.l., operante nel settore della produzione e commercializzazione di divani, hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio la società (…) S.r.l., esponendo che:
– in data 17 marzo 2021 il sig. (…), legale rappresentante di (…), aveva scoperto che la società convenuta aveva pubblicato sul proprio sito web aziendale – senza autorizzazione degli interessati – la fotografia, presente sul sito web della (…) a scopo promozionale, raffigurante la modella (…) distesa su un divano prodotto dalla società attrice;
– il giorno successivo, la sig.ra (…) e la (…), tramite il proprio legale, avevano intimato alla società (…) di rimuovere tale fotografia dal sito, ma la convenuta aveva replicato negando di avere utilizzato fotografie altrui.
La sig.ra (…) e la (…) hanno dedotto la natura illecita della condotta assunta da (…), invocando la violazione delle norme di cui all’art. 10 c.c. e degli artt. 96 e 97 della L. n. 633 del 1941, degli artt. 2575 e segg. c.c. e dell’art. 2598 c.c. n. 3, e chiedendo la condanna della convenuta al risarcimento dei danni – patrimoniali e non patrimoniali – subiti.
Si è costituita in giudizio la società (…) s.r.l. (20.12.2021), contestando la fondatezza delle domande attoree e chiedendone il rigetto.
All’esito del giudizio, il Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza n. 1198 resa in data 18.8.2022 e pubblicata il giorno successivo, ha rigettato le domande attoree e ha condannato la sig.ra (…) e (…) al pagamento delle spese di lite in favore della società convenuta (liquidate in Euro 8.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali, accessori di legge e anticipazioni), sul presupposto che, ferma la natura aquiliana degli illeciti contestati a (…), gli attori non avevano allegato né provato il pregiudizio lamentato, sia in termini di danno patrimoniale, sia di danno morale e/o esistenziale.
Con atto di citazione notificato in data 5.10.2022, la predetta sentenza è stata impugnata da (…) e (…) sulla base dei seguenti motivi:
1. nullità della sentenza per violazione dell’art. 281 sexies c.p.c.;
2. erroneo rigetto delle istanze istruttorie e conseguente impossibilità di provare i danni subiti;
3. erronea liquidazione delle spese di lite.
La causa è stata iscritta sub r.g. 2867/2022 e la prima udienza fissata per il giorno 8.2.2023.
La società (…) si è costituita nel presente grado di giudizio (13.1.2023), contestando ammissibilità e fondatezza del gravame avversario e chiedendone quindi il rigetto.
All’udienza del 8.2.2023, le parti, su invito della Corte, hanno precisato le conclusioni come dai rispettivi atti e la Corte ha trattenuto la causa in decisione, assegnando i termini per il deposito degli scritti conclusivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione gli appellanti deducono la nullità della sentenza resa dal Tribunale di Busto Arsizio per violazione del disposto di cui all’art. 281 sexies c.p.c., in quanto il primo giudice, dopo aver rinviato la causa per la discussione orale e la decisione ex art. 281 sexies c.p.c., all’udienza allo scopo fissata – 13 luglio 2022 -, ha trattenuto la causa in decisione senza dare lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, provvedendo a depositare la sentenza impugnata soltanto in data 19 agosto 2022.
Il motivo è infondato.
Con riguardo alle ipotesi di violazione dell’art. 281 sexies c.p.c., la Suprema Corte ha espressamente chiarito che “la sentenza pronunciata a norma dell’art. 281 sexies c.p.c., con la lettura del dispositivo in udienza ma senza il contestuale deposito della motivazione, è nulla in quanto non conforme al modello previsto dalla norma …” (da ultimo, Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 6394/2015).
In altri termini, sussiste un vizio di nullità della pronuncia per violazione del disposto di cui all’art. 281 sexies c.p.c., nel caso in cui vi sia una netta cesura temporale tra la lettura del dispositivo – resa in udienza – e il deposito della motivazione della sentenza, effettuato soltanto in un momento successivo.
Orbene, nel caso in esame, ripercorrendo brevemente l’iter processuale del precedente grado di giudizio, deve rilevarsi che alla prima udienza (2.2.2022), il Tribunale ha assegnato alle parti i termini per il deposito delle memorie ex art. 183 VI comma c.p.c. e ha rinviato la causa all’udienza del 5 maggio 2022.
A tale data, esaminate le memorie depositate dalle parti e ritenuta la causa matura per la decisione, ha fissato per la discussione e la decisione ex art. 281 sexies c.p.c. l’udienza del 13.7.2022 (cfr. verb. ud. 5.5.2022).
Tuttavia, all’udienza fissata, il Giudice di primo grado, dopo aver fatto discutere le parti e fatto precisare le rispettive conclusioni, ha trattenuto la causa in decisione sull’espresso accordo delle parti, che hanno anche rinunciato ai termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica (cfr. verb. ud. 13.7.2022); la sentenza è stata poi redatta e pubblicata successivamente (data di pubblicazione: 19 agosto 2022).
Alla Corte sembra quindi di poter affermare che nella fattispecie, da un lato, il giudice, richiesto e ottenuto l’accordo delle parti, abbia in sostanza trasformato in ordinario quel rito che aveva in precedenza deciso di seguire con la trattazione orale ex art. 281 sexies c.p.c.; dall’altro lato, che nel caso in esame non si sia verificata quella scissione temporale tra lettura del dispositivo e motivazione della decisione ritenuta dalla Suprema Corte idonea ad integrare un’ipotesi di nullità della sentenza.
Sul punto, dunque, non può condividersi l’assunto dell’appellante secondo cui l’omessa lettura del dispositivo e delle ragioni a sostegno della decisione all’udienza fissata a tale scopo integrerebbe una grave violazione dell’art. 281 sexies c.p.c.
La ratio della pronuncia della Suprema Corte sopra ricordata è chiaramente da individuarsi nella necessaria contestualità temporale delle due parti fondamentali della sentenza – la motivazione e il dispositivo – che, ove assente, non può mai determinare la conversione del provvedimento così adottato in una valida sentenza ordinaria “poiché la pubblicazione del dispositivo consuma il potere decisorio del giudice, sicché la successiva motivazione è irrilevante in quanto estranea alla struttura dell’atto processuale compiuto” (cfr. Cass. cit.).
Tuttavia, ove – come nella fattispecie – sia mancata – e, si ribadisce, sull’accordo delle parti – tanto la lettura del dispositivo, quanto quella delle ragioni a sostegno della decisione adottata (avendo il giudice provveduto a definire il procedimento con sentenza ordinaria resa e pubblicata successivamente all’udienza), non potrà ritenersi integrata alcuna ipotesi di nullità della pronuncia, atteso che la mancata osservanza delle forme prescritte dall’art. 281 sexies c.p.c. non rileva ove sia stato raggiunto lo scopo dell’immodificabilità della decisione e della sua conseguenzialità rispetto alle ragioni ritenute rilevanti dal giudice all’esito della discussione.
Il primo motivo deve, quindi, essere rigettato.
Con il secondo motivo la sig.ra (…) e (…) lamentano che il Tribunale avrebbe dovuto ammettere le istanze istruttorie (e, in particolare, i capitoli di prova articolati in sede di memorie istruttorie) avanzate dagli odierni appellanti, così che questi ultimi avrebbero avuto modo di fornire la prova dei danni subiti a causa della condotta illecita della (…).
Anche tale motivo è privo di fondamento.
Come già correttamente osservato dal primo giudice, tutti gli illeciti contestati dagli odierni appellanti alla (…) ricadono nell’alveo della responsabilità extracontrattuale, con la conseguenza che, come noto, il soggetto danneggiato che agisce per il risarcimento dei danni subiti ha l’onere di provare non soltanto il fatto illecito allegato, ma anche l’elemento soggettivo (colpa o dolo del danneggiante, salve le ipotesi di responsabilità cd. aggravata e di responsabilità cd. oggettiva), il danno di cui chiede il ristoro e il nesso causale tra danno lamentato ed illecito (cfr. Cass. Civ. n. 15822/2019).
Ebbene, nel presente giudizio la sig.ra (…) e la società (…) non hanno offerto alcun elemento probatorio a sostegno del pregiudizio asseritamente subito.
Segnatamente, quanto alla posizione della sig.ra (…) – la quale ha dedotto la violazione dell’art. 10 c.c. e degli artt. 96 e 97 della L. n. 633 del 1941 – deve osservarsi che l’illecita pubblicazione dell’immagine altrui a fini commerciali obbliga al risarcimento dei danni patrimoniali – che consistono nel pregiudizio economico di cui la persona danneggiata abbia risentito per effetto della predetta pubblicazione – e del danno non patrimoniale, dovendo il diritto all’immagine essere ricondotto nel novero dei diritti fondamentali della persona tutelati dall’art. 2 della Costituzione.
E tuttavia l’odierna appellante ha omesso di allegare e provare le circostanze (in particolare, quanto ai danni patrimoniali, i compensi tratti o che avrebbe potuto trarre dalla cessione della sua immagine, nonché, quanto al pregiudizio non patrimoniale, l’alterazione negativa subita alla propria sfera di vita personale) in base alle quali l’organo giudicante – anche in via equitativa, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2056 e 1226 c.c. – avrebbe potuto riconoscere alla stessa un concreto ristoro.
Quanto, poi, alle domande azionate dalla società (…), deve osservarsi che non può ravvisarsi alcuna violazione del diritto d’autore con riferimento alla fotografia di cui si discute.
La disciplina della tutela del diritto d’autore sulle opere fotografiche contempla tre ipotesi:
1) le opere d’ingegno sussumibili nell’ambito di applicazione dell’art. 2 n. 7 L.d.A., che godono della tutela d’autore prevista dalla stessa legge;
2) le fotografie cd. semplici, ossia le “immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale o sociale”, prive del carattere creativo, pur essendo connotate da una qualche attività personale del fotografo, e tutelate, più limitatamente, ai sensi degli artt. 87 e ss. L.d.A., come tipici diritti connessi;
3) le fotografie di “scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili”, prive di tutela ex art. 87, c. 2 L.d.A.
Ebbene, l’opera fotografica rientra nella prima categoria e gode della piena protezione accordata dalla legge stessa qualora presenti valore artistico e connotati di creatività; ove, invece, la fotografia sia destinata a diffondere un messaggio attraverso l’indubbia capacità espressiva che il mezzo fotografico possiede, a promuovere un prodotto ovvero a contribuire a creare un ambiente o un’atmosfera, la stessa può farsi rientrare nell’ambito applicativo del primo comma dell’art. 87 in tema di diritti connessi al diritto d’autore (cfr. sul punto Cass. civ. n. 8425/2000).
La fotografia in esame (cfr. doc. 2 primo grado (…)), volta alla promozione e alla vendita di un prodotto commerciale (un divano), va dunque senz’altro ricondotta al novero delle fotografie “semplici”, come tali, semmai, oggetto di tutela ai sensi degli artt. 87 e ss. L.d.A.
Tale disciplina prevede che spetta al fotografo ovvero al datore di lavoro e al committente – se l’opera è stata ottenuta nel corso e nell’adempimento di un contratto di opera o di lavoro – il diritto esclusivo di riproduzione, diffusione e spaccio delle fotografie (art. 88 L.d.A.); nondimeno, ai sensi dell’art. 90 L.d.A., l’autore della fotografia potrà beneficiare di tale tutela, ove ricorrano le seguenti condizioni: la presenza sulla fotografia del nome del fotografo (o del suo datore di lavoro o committente), la data dell’anno di produzione della fotografia e il nome dell’autore dell’opera d’arte fotografata.
Nel caso in esame, l’appellante (…) ha totalmente omesso di documentare, in primis, il contratto d’opera ovvero di lavoro stipulato con il fotografo, da cui sarebbe derivata la legittimazione ad ottenere una tutela del diritto azionato in questa sede.
Né risulta versata in atti la fotografia in questione, essendosi limitati gli odierni appellanti a produrre lo screenshot del sito web della società, evidentemente escluso, in quanto privo delle condizioni richieste, dalla tutela prevista dalle norme appena ricordate.
In definitiva, quindi, la riproduzione della fotografia (rectius, dell’immagine contenuta sul sito web della (…)) non può considerarsi abusiva ed illecita sotto tale profilo.
Quanto poi alla condotta di concorrenza sleale contestata a (…), il primo giudice ha correttamente osservato che, alla luce di quanto sancito dalla Suprema Corte, “l’accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale comporta una presunzione di colpa, ex art. 2600 c.c., che onera l’autore degli stessi della dimostrazione dell’assenza dell’elemento soggettivo ai fini dell’esclusione della sua responsabilità; il corrispondente danno cagionato, invece, non è “in re ipsa” ma, quale conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, necessita di prova secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito, sicché solo la dimostrazione della sua esistenza consente l’utilizzo del criterio equitativo per la relativa liquidazione” (Cass. Civ. 25921/2015 e Cass. Civ. 7306/2009).
Anche con riferimento a tale domanda, l’appellante (…) non ha allegato alcun elemento, né ha fornito prove dei pregiudizi lamentati (quali i costi promozionali sostenuti a tutela dell’immagine dell’impresa, la contrazione del fatturato ovvero la lesione della propria immagine commerciale).
D’altronde, ai fini dell’accertamento di una condotta ascrivibile alla norma di cui all’art. 2598 n. 3 c.c., occorre che sussista un’attività diretta all’appropriazione illegittima dello spazio di mercato ovvero della clientela del concorrente, riscontrabile laddove al contempo due o più imprese si rivolgano alla medesima fetta di mercato per tipologia di prodotti e servizi e per ambito territoriale.
L’appellante (…) s.r.l. ha sede a (…) (in provincia di Crotone), mentre l’odierna appellata ha sede a (…) (in provincia di Varese); in più, per quanto risulta dalle allegazioni delle parti, i rispettivi siti web aziendali non vengono utilizzati per svolgere attività di e-commerce, né locale né nazionale, con la conseguenza che i potenziali clienti, ove interessati all’acquisto del prodotto, dovranno necessariamente recarsi al punto vendita.
Tali elementi sono già di per sé sufficienti, insieme alla mancata prova del danno già sopra rilevata, ad escludere una condotta anche soltanto potenziale di concorrenza sleale di (…), avuto riguardo alla diversa clientela cui le due società si rivolgono nella promozione dei rispettivi prodotti.
In definitiva, anche con riguardo alla posizione della società (…), deve rilevarsi la medesima carenza assertiva e probatoria in relazione alle domande risarcitorie avanzate in giudizio.
Ciò premesso, non può certamente condividersi l’affermazione degli odierni appellanti secondo cui i capitoli di prova articolati e non ammessi in primo grado avrebbero consentito di provare i pregiudizi subiti.
Tali capitoli (cfr. conclusioni appellanti ut supra riportate) sono volti esclusivamente a provare il fatto illecito contestato all’appellata (…) (pubblicazione della fotografia de qua sul proprio sito web aziendale senza autorizzazione) e, di conseguenza, la loro ammissione non avrebbe in alcun modo consentito (né potrebbe in questa sede) di colmare la genericità e la lacunosità delle argomentazioni offerte dalla (…) e da (…) (cfr. atto di citazione primo grado) in ordine ai danni lamentati.
Anche tale motivo, pertanto, deve essere rigettato.
Con il terzo motivo di gravame, gli appellanti lamentano che il giudice di prime cure avrebbe liquidato in maniera sproporzionata (Euro 8.000,00) le spese di lite in favore della (…).
Sul punto, è sufficiente osservare che il primo giudice ha quantificato le spese di lite del grado – tenuto conto dei parametri forensi vigenti a tale data (quindi, secondo la formulazione previgente alle modifiche introdotte dal D.M. n. 147 del 2022) e del valore della causa fissato da parte attrice nel proprio atto di citazione (52.000 – 260.000) – in misura prossima ai valori minimi dello scaglione di riferimento (per lo scaglione in questione: fase di studio: Euro 1.215; fase introduttiva: Euro 775; fase istruttoria/trattazione: Euro 3.780; fase decisionale: Euro 2.025, per un totale di Euro 7.795,00); di qui il rigetto di tale motivo di impugnazione.
Quanto, poi, alle spese del presente grado di giudizio, esse seguono la soccombenza e, tenuto conto della natura e del valore della controversia, dell’impegno difensivo in concreto richiesto e prestato dai difensori delle parti, nonché dei parametri e criteri tutti ex D.M. n. 55 del 2014 e ss.mm.ii, pare congruo liquidarle secondo i parametri minimi dello scaglione di riferimento (Euro 52.000 – 260.000) e dunque in complessivi Euro 4.997,00 (di cui Euro 1.489,00 per la fase di studio, Euro 956,00 per la fase introduttiva ed Euro 2.552,00 per la fase decisionale, nulla per la fase istruttoria, non essendosi svolta), oltre spese forfetarie (15%) e oneri di legge, se e in quanto dovuti, da distrarsi in favore degli avv.ti Ch.La. e El.Ga., dichiaratisi antistatari.
P.Q.M.
La Corte, disattesa o assorbita ogni contraria o ulteriore domanda, istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, così provvede:
1) respinge l’appello proposto da (…) e (…) s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio n. 1198 emessa in data 18.8.2022 e pubblicata il giorno successivo, sentenza che dunque conferma;
2) condanna l’appellante alla rifusione, in favore di (…) s.r.l., delle ulteriori spese del grado, che liquida in Euro 4.997,00 per compensi, oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, Iva e cpa come per legge, con distrazione in favore dell’avv. (…) e dell’avv. El.Ga., ai sensi dell’art. 93 c.p.c.;
3) dà atto che sussistono, in capo alla parte appellante, i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma del comma 1 – bis art. 13 cit.
Così deciso in Milano il 27 aprile 2023.
Depositata in Cancelleria il 25 maggio 2023.