ai fini della prova dell’usucapione del bene in comunione non è sufficiente che l’istante abbia compiuto atti di gestione consentiti al singolo comproprietario, oppure atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazioni di spese per il miglior godimento della cosa comune ovvero per la sua manutenzione, non possono dar luogo ad un’estensione del possesso, occorrendo, al contrario, la prova che il comproprietario usucapente ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale da evidenziare, al di fuori di una possibile altrui tolleranza, un’inequivoca volontà di possedere il bene in via esclusiva, impedendo agli altri comproprietari ogni atto di godimento, o di gestione.

Tribunale Cassino, civile Sentenza 31 ottobre 2018, n. 1208

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI CASSINO

SEZIONE CIVILE

In persona del giudice unico dott.ssa Rossella Pezzella ha emesso la seguente

SENTENZA NON DEFINITIVA

nella causa civile iscritta al numero 1838 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2014, posta in deliberazione, ex art. 281 sexies c.p.c., all’udienza del 30.10.2018 e vertente tra

tra

(…) (C.F. (…)), (…) (C.F. (…)), (…) (C.F. (…)), (…) (C.F. (…)), (…) (C.F. (…)), (…) (C.F. (…)), (…), (…), rappresentati e difesi, in virtù di procure in atti, dall’avv. At.Di. ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Santi Cosma e Damiano (LT) via (…)

e

– attori –

(…) (C.F. (…)), rappresentata e difesa, in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, dall’avv. Gi.Al. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Santi Cosma e Daminao (LT) via (…)

– convenuta e attrice in riconvenzionale –

OGGETTO: scioglimento della comunione – usucapione.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Gli attori indicati in epigrafe, con atto di citazione ritualmente notificato, hanno evocato in giudizio (…) per lo scioglimento della comunione ereditaria avente ad oggetto il fabbricato urbano (identificato al Catasto al foglio (…), particelle nn. (…)) e i terreni agricoli siti in C. (identificati al Catasto al foglio (…) particelle nn. (…) e (…)), costituitasi a seguito della morte di (…) nel 1984. Essi hanno, altresì, dedotto che, i germani di (…) le consentivano di vivere con la propria famiglia, anche dopo morte del de cuius, nel fabbricato per cui è causa, in considerazione delle difficoltà economiche in cui la stessa versava, a condizione che la stessa sostenesse tutte le spese di ordinaria e straordinaria manutenzione, precisando, altresì, che la convenuta si rifiutava di procedere allo scioglimento della comunione ereditaria.

Si è costituita in giudizio (…) spiegando domanda riconvenzionale di usucapione in relazione ai beni compresi nell’asse ereditario per averli posseduti in via esclusiva a seguito della morte del padre (…), avvenuta nel 1984, precisando, altresì, che l’utilizzo del fabbricato non si basava su un atto concessione dei germani.

La causa, istruita con prova documentale e orale, veniva posta in deliberazione all’udienza del 30.10.2018 in relazione alla domanda riconvenzionale di usucapione, costituendo tale azione un antecedente logico – giuridico della domanda di scioglimento della comunione, avendo essa ad oggetto i beni compresi nell’asse ereditario.

2. Tanto precisato, in via di priorità logica, occorre esaminare la domanda riconvenzionale con la quale (…) ha chiesto al Tribunale di accertare e dichiarare la sua esclusiva proprietà sul compendio ereditario per averlo usucapito.

Invero, in caso di accoglimento di tale domanda, venendo meno la comunione, non potrebbe procedersi all’esame della domanda di divisione azionata da parte degli attori.

Orbene, si ritiene che tale domanda di usucapione proposta da (…) non possa trovare accoglimento per i seguenti motivi.

In punto di diritto, si osserva che la giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. n. 7221/2009) ha riconosciuto che il coerede può prima della divisione usucapire la quota degli altri coeredi, senza che sia necessaria l’interversione del titolo del possesso, attraverso l’estensione del possesso medesimo in termini di esclusività.

Si è, altresì, precisato che a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall’uso della cosa, occorrendo che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, e ciò in quanto il coerede, che è già compossessore animo proprio ed a titolo di comproprietà, non è tenuto ad un mutamento del titolo, ma solo ad un’estensione dei limiti del suo possesso.

Si è poi sottolineato che ai fini della prova dell’usucapione del bene in comunione non è sufficiente che l’istante abbia compiuto atti di gestione consentiti al singolo comproprietario, oppure atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazioni di spese per il miglior godimento della cosa comune ovvero per la sua manutenzione, non possono dar luogo ad un’estensione del possesso, occorrendo, al contrario, la prova che il comproprietario usucapente ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale da evidenziare, al di fuori di una possibile altrui tolleranza, un’inequivoca volontà di possedere il bene in via esclusiva, impedendo agli altri comproprietari ogni atto di godimento, o di gestione (vedi Cass. n. 14171/2007; Cass. n. 10294/1990; Cass. n. 2944/1990).

Orbene, dall’applicazione di tali principi giurisprudenziali al caso che qui ci occupa, si ritiene che, pur essendo pacifico che (…), dopo la morte del de cuius, abbia continuato a vivere nel fabbricato per cui è causa con la propria famiglia, non sia stata fornita con tranquillizzante certezza la prova che la convenuta abbia goduto dei beni ereditari in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus.

Innanzitutto, si rileva che, in questo contesto, non ha valore decisivo la circostanza dedotta da (…) che essa si è occupata della ristrutturazione dell’immobile in cui vive nonché della manutenzione ordinaria e straordinaria, provvedendo alla corresponsione dei relativi lavori, atteso che, ove un coerede utilizzi ed amministri un bene ereditario provvedendo, tra l’altro, ad eseguirvi lavori od opere, sussiste la presunzione iuris tantum che egli agisca in tale qualità e che anticipi le spese anche relativamente alla quota degli altri coeredi.

Poi, si evidenzia che parte convenuta non ha allegato e dedotto di avere palesato agli altri coeredi, dopo la morte del de cuius avvenuta nel 1984, una inequivoca volontà di possedere e gestire il compendio ereditato uti dominus e non più uti condominus.

Né ad una diversa conclusione potrebbe giungersi valorizzando la dichiarazione resa dal teste (…), genero di (…), secondo cui nel 1985 quest’ultima provvedeva a sostituire la chiave di ingresso del fabbricato per cui è causa, attesa l’inutilizzabilità di tale deposizione in quanto vertente su un fatto non allegato e mai dedotto negli scritti difensivi.

Ad ogni modo, anche a non voler ritenere decisivi tali rilievi, si evidenzia che dalla prova orale non solo emersi elementi idonei a rappresentare con tranquillizzante certezza che (…), a seguito della morte del padre (…), ha goduto dei beni del de cuius in modo inconciliabile con la possibilità di godimento da parte degli altri eredi.

Difatti, dalle dichiarazioni rese dai testi di parte attrice sembra emergere che, ancorché in modo saltuario ed occasionale, l’abitazione per cui è causa veniva utilizzata anche dagli altri coeredi.

In particolare, i testi escussi hanno affermato che tale abitazione era periodicamente utilizzata dagli eredi del de cuius nel periodo estivo e in occasione delle festività e, in particolare, che D.M., sorella di (…), residente a L. dal 1967, quando tornava a Castelforte era solita soggiornare nella casa paterna (cfr. dichiarazioni dei testi (…) e (…)).

Inoltre, dalla deposizione resa da (…), nipote di (…), è emerso che lo stesso, anche dopo la morte del nonno P.M., era in possesso di una copia delle chiavi della abitazione per cui è causa (cfr. verbale di udienza del 15.3.2017).

E se è vero che il teste di parte convenuta (…), genero di (…), ha riferito circostanze contrastanti con quanto deposto dai testi di parte attrice, precisando che nel periodo successivo al 1984 “ogni due o tre mesi e durante il periodo estivo venivano a trovare i parenti, i fratelli e i nipoti di (…) ma non soggiornavano e la sera se ne andavano via” (cfr. verbale di udienza del 14.9.2016), è altrettanto vero che tale contrasto impedisce di accertare con tranquillizzante certezza se il rapporto materiale con i beni ereditari si sia verificato in modo da escludere gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare un analogo rapporto con i beni stessi, ciò in quanto non sono emersi in giudizio elementi che permettano di stabilire il grado di attendibilità dei testi suindicati e/o di credibilità delle dichiarazioni rese e, conseguentemente, di attribuire maggior valore alla deposizione resa da (…), teste dell’odierna convenuta.

Sul punto si osserva che, secondo la giurisprudenza di legittimità, qualora il giudice del merito ritenga sussistere un insanabile contrasto tra le deposizioni testimoniali sui fatti costitutivi della domanda, fondando tale convincimento non sul rapporto numerico dei testi, ma sul dato oggettivo di detto contrasto, ritenuto ostativo al raggiungimento della certezza necessaria alla decisione, e, reputi non superabile il contrasto sulla scorta delle ulteriori risultanze istruttorie documentali, inidonee a dimostrare la fondatezza della domanda, l’insufficienza del quadro probatorio ricade in danno della parte sulla quale grava l’onere della prova comportando, conseguentemente, il rigetto della domanda da questa proposta (Cass. n. 4773/2015).

Dall’applicazione di tale principio al caso di specie deriva che, considerata l’esistenza di un contrasto tra le deposizioni testimoniali rese in ordine al godimento esclusivo dei beni ereditari in contestazione, non superabile dalla documentazione acquisita al giudizio, la domanda di usucapione non può trovare accoglimento per difetto di prova in relazione alla circostanza che il rapporto materiale instauratosi tra (…) e i beni ereditari si verificava in modo da escludere gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare un analogo rapporto con gli immobili in oggetto (cfr. Cass., n. 5226/2002).

Difatti, dall’istruzione sembra emergere che la convenuta non abbia esercitato alcun potere di fatto inconciliabile con l’altrui compossesso, giacché, nel ventennio, anche gli altri possessori hanno, seppure saltuariamente ed episodicamente, utilizzato l’immobile.

Per quanto concerne, invece, la prova dell’intervenuto usucapione in ordine ai terreni agricoli compresi nell’asse ereditario, si rileva che dalla istruzione non è emerso in modo sufficientemente chiaro se dopo la morte del de cuius, avvenuta nel 1984, tali beni siano stati utilizzati uti dominus dalla convenuta, anche in considerazione del fatto che gli attori non hanno riconosciuto tale circostanza.

Sul punto, è bene precisare che chi agisce per la declaratoria di usucapione ventennale è onerato ad allegare e specificare i fatti storici integranti un possesso avente le caratteristiche proprie, prestando particolare cura anche ai riferimenti temporali, cosicché lo stesso è tenuto a collocare con sufficiente precisione detti fatti nel tempo e nello spazio, posto che, in difetto di ciò, il giudice non sarebbe in grado di accertare i fatti posti a fondamento della domanda di usucapione (Tribunale Livorno, 20.2.2017, n. 5).

Dall’applicazione di tali principi deriva che l’istruttoria doveva fornire elementi idonei a dimostrare le circostanze di tempo e di luogo in cui sarebbero stati compiuti dalla convenuta, durante l’arco temporale necessario ai fini dell’usucapione, atti conformi alla qualità ed alla destinazione dei beni per cui è causa e tali da rivelare sugli stessi, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria, in contrapposizione all’inerzia del titolare.

Orbene, le dichiarazioni rese dai testi (…) e (…), presentandosi alquanto generiche ed imprecise, si reputano non idonee a dimostrare che (…) possedeva in modo continuo e ininterrotto i terreni agricoli per cui è causa durante l’arco necessario ai fini dell’usucapione dal momento della morte del de cuius (cfr. verbale di udienza del 3.10.2011).

Difatti, le circostanze riferite si presentano generiche e vaghe e, di conseguenza, inidonee a rappresentare gli atti materiali in cui si sarebbe sostanziato il possesso rivendicato dalla convenuta, atteso che i testi si sono limitati ad affermare che tali terreni erano destinati ad uliveto e che (…) provvedeva alla raccolta delle olive, senza tuttavia collocare con sufficiente precisione i fatti riferiti nel tempo e nello spazio.

Alla genericità delle dichiarazioni rese dai testimoni si aggiunge anche il fatto che non pochi dubbi sussistono in ordine alla attendibilità delle dichiarazioni rese dal teste (…), in considerazione delle contraddizioni emerse nel corso della deposizione resa (il teste, in relazione ai lavori di rifacimento del bagno posto al primo piano dell’abitazione per cui causa, in risposta al capitolo 5 ha testualmente riferito “ma non posso dire chi abbia pagato i lavori”, mentre, nel corso della deposizione ha affermato che “i materiali per la ristrutturazione del bagno vennero pagati dal genero della (…)…so questo perché l’ho accompagnato io a prendere i materiali”).

Infine, non può trascurarsi la circostanza che ai fini della prova dell’usucapione, la produzione documentale di parte convenuta appare carente, reputandosi necessaria per il riconoscimento dell’usucapione la produzione delle certificazioni delle trascrizioni a favore e contro sui beni oggetto di causa, poiché solamente attraverso tale documentazione è possibile verificare se i beni per cui è causa fossero ancora di proprietà del de cuius al momento della morte.

L’accertamento dell’acquisto di un bene per usucapione non può, quindi, prescindere dall’accertamento puntuale ed attuale della proprietà del bene medesimo in capo ai soggetti nei confronti dei quali la pronuncia deve essere resa.

Si reputa, altresì, doveroso l’accertamento suddetto – a prescindere dall’atteggiamento processuale di non contestazione o di ammissione della controparte – stante l’insegnamento della Suprema Corte secondo cui il conflitto tra l’acquirente a titolo derivativo e quello per usucapione è sempre risolto, nel regime ordinario del codice civile, a favore dell’usucapente, indipendentemente dalla trascrizione della sentenza che accerta l’usucapione e dell’anteriorità della trascrizione di essa o della relativa domanda rispetto alla trascrizione dell’acquisto a titolo derivativo, perché il principio di continuità delle trascrizioni, dettato dall’articolo 2644 del c.c., con riferimento agli atti indicati nell’articolo 2643 stesso codice, non risolve il conflitto tra acquisto a titolo originario e acquisto a titolo derivativo, ma unicamente quello tra più acquisti a titolo derivativo dal medesimo dante causa (Cass. n. 2161/2005).

Rileva, invero, questo giudice che nessun documento probante la proprietà dei beni immobili per cui è causa in capo al de cuius al momento della morte è stato prodotto dalla convenuta.

Se, infatti, ad imprescindibile presupposto logico della stessa possibilità di usucapione, assurge, sotto il profilo oggettivo, la titolarità, in capo ai condividenti, di rapporti giuridici, alcuna prova è stata invece offerta, nel corso del presente giudizio, in ordine all’effettiva appartenenza al de cuius dei beni per i quali è stato chiesto l’accertamento dell’intervenuto usucapione.

Alcun documento effettivamente dimostrativo della proprietà in capo al de cuius è stato, infatti, prodotto, non potendosi di certo attribuire una qualche rilevanza, in omaggio al principio di acquisizione, all’ispezione catastale nella produzione degli attori, che nulla dimostra in merito al titolo di provenienza di beni in oggetto in capo ai soggetti della cui eredità si tratta ovvero alle certificazioni catastali depositate dalla convenuta che, secondo la giurisprudenza di legittimità, non sono idonee a provare la proprietà di un bene immobile, potendo essere assunte come elementi sussidiari (cfr. Cass. n. 24167/2013).

Sarebbe, invece, stato necessario produrre, ai fini della prova della proprietà del diritto, oltre al titolo di provenienza in favore del de cuius degli immobili per cui è causa, altresì, regolare certificazione notarile (ovvero rilasciata direttamente dal Conservatore dei Registri Immobiliari) contenente l’indicazione delle trascrizioni, a favore e contro, sui beni oggetto della domanda di usucapione, a far tempo dalla data dell’acquisto di tale cespite da parte del de cuius fino a quella di apertura della successione, nonché di quelle contro i successori a far tempo dalla data di apertura della successione fino a quella di trascrizione della domanda, ovvero di instaurazione del presente giudizio, poiché, solamente attraverso tale documentazione è possibile verificare se un determinato bene sia ancora di proprietà del de cuius e, dunque, delle parti al momento della proposizione della domanda di usucapione proposta nell’ambito del giudizio per lo scioglimento di comunione ereditaria.

Ciò posto, nessuno di detti documenti è stato prodotto in atti.

Orbene, poiché la titolarità del bene si pone non già come requisito di legittimazione attiva, ma piuttosto come oggetto della controversia, la parte istante ha l’onere di fornire una prova rigorosa della proprietà, non potendo tale ineludibile circostanza neppure essere surrogata dalla dimostrazione del titolo in via meramente presuntiva; e quanto detto preclude altresì al giudice di desumere l’esistenza della proprietà in capo ai condividenti dalla mancata contestazione delle parti sul punto.

Questo giudice ritiene, infatti, che la controversia in ordine all’accertamento dell’intervenuto usucapione, specie se proposta in via incidentale in un giudizio di scioglimento di comunione, non possa prescindere dall’accertamento puntuale ed attuale della proprietà dei suddetti beni in capo ai comproprietari.

Pertanto, alla luce di quanto esposto, considerato che non è stata fornita con tranquillizzante certezza la prova degli elementi costitutivi della fattispecie acquisitiva di cui all’art. 1158 c.c. e, stante l’incompletezza della documentazione prodotta in giudizio nei termini ora indicati, si ritiene che la domanda di usucapione non possa essere accolta.

3. Quanto, infine, alle spese, trattandosi di pronuncia non definitiva, si provvederà all’esito del giudizio.

Si provvede con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio in relazione alla domanda di scioglimento della comunione ereditaria.

P.Q.M.

Il Tribunale, non definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

1) rigetta la domanda riconvenzionale di usucapione proposta da (…);

2) rimette la causa sul ruolo, come da separata ordinanza istruttoria, per la definizione della domanda di scioglimento della comunione;

3) rimette la regolazione delle spese di giudizio alla statuizione definitiva.

Così deciso in Cassino il 30 ottobre 2018.

Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2018.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.