Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 16 aprile 2018, n. 9275
in materia di acquisto per usucapione di diritti reali immobiliari, poiche’ l’uso prolungato nel tempo di un bene non e’ normalmente compatibile con la mera tolleranza, essendo quest’ultima configurabile, di regola, nei casi di transitorieta’ ed occasionalita’, in presenza di un esercizio sistematico e reiterato di un potere di fatto sulla cosa, spetta a chi lo abbia subito, l’onere di dimostrare che lo stesso e’ stato dovuto a mera tolleranza.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 16 aprile 2018, n. 9275
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi – Presidente
Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 501-2014 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 595/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 08/05/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31/01/2018 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento delle conclusioni in atti depositate;
udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega depositata in udienza dell’Avvocato (OMISSIS), difensore dei resistenti che ha chiesto di riportarsi agli atti.
ESPOSIZIONE DEL FATTO
Con atto di citazione del 21.10.1993 (OMISSIS) conveniva innanzi al Tribunale di Genova (OMISSIS) ed (OMISSIS), per ottenere il rilascio di due box costruiti nel seminterrato di un edificio, sito in (OMISSIS), asseritamente occupati sine titulo dai convenuti.
L’ attore esponeva che, pur avendo venduto ai due convenuti una quota pari a 250 millesimi per ciascuno del costruendo edificio, si era riservato, mediante atto pubblico, la facolta’ di costruire, a titolo di proprieta’ esclusiva, eventuali locali seminterrati, al di sotto del previsto piano rialzato.
Costituitisi in giudizio, i convenuti eccepivano di essere proprietari in via esclusiva dei box, in forza di valido titolo di acquisto, ovvero, per intervenuta usucapione o, in subordine, ai sensi della L. n. 756 del 1967, articolo 18.
Il Tribunale di Genova respingeva la domanda di rilascio, riconoscendo in capo ai convenuti la proprieta’ dei locali in forza di un valido titolo di acquisto.
La Corte d’Appello di Genova, con la sentenza n. 595/2013, pronunciando sull’appello proposto da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita’ di eredi di (OMISSIS), e sull’appello incidentale spiegato da (OMISSIS) e (OMISSIS), confermava la reiezione della domanda di rilascio ma, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava l’acquisto della proprieta’ dei box in capo agli appellati, odierni controricorrenti, non gia’ in forza di un valido titolo negoziale, ma per averla acquistata per usucapione.
La Corte territoriale, in particolare, riconosceva la piena validita’ della clausola del contratto di vendita, con rogito per notar Caviglia del 14.5.1969, con la quale (OMISSIS) si riservava il diritto di costruire eventuali locali seminterrati al di sotto del piano rialzato di sua proprieta’ esclusiva; affermava peraltro che, in virtu’ delle dichiarazioni testimoniali assunte, risultava provato che (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano avuto il possesso per oltre un ventennio dei beni in oggetto, in maniera pubblica, pacifica, ininterrotta ed esclusiva, escludendo (OMISSIS) ed i suoi eredi dal possesso degli stessi, tramite chiusura dei locali.
Per la cassazione di detta sentenza, propongono ricorso, articolato in sei motivi, i signori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). (OMISSIS) ed (OMISSIS) resistono con controricorso.
In prossimita’ dell’odierna udienza collegiale entrambe le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 codice di rito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., nonche’ l’omessa valutazione da parte del giudice di prove documentali decisive per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5), deducendo che la Corte territoriale ha omesso di esaminare alcuni documenti dagli stessi prodotti, ed in particolare:
1) l’autorizzazione di abitabilita’, rilasciata nel 1975, in cui non si accenna alla presenza dei box per cui e’ causa: tale documento sarebbe indice sintomatico del fatto che in data anteriore al 1975 i box non erano stati ancora realizzati e dunque che nel 1993, anno di inizio della causa, non era decorso il tempo necessario alla loro usucapione;
2) la perizia redatta dal Geom. (OMISSIS), in altra causa pendente contro la societa’ (OMISSIS), nella quale non si evincevano aperture nel piano seminterrato;
3) una fotografia del 1974 dalla quale non si evidenzierebbero le porte d’ingresso ai box.
Deve anzitutto disattendersi la censura di omessa pronuncia, di cui all’articolo 112 cod. proc. civ. che, a differenza dal vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha ad oggetto direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa e non anche una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione.(Cass. 25761/2014).
Passando alla censura di omesso esame di fatti decisivi, conviene premettere che l’articolo 360 c.p.c., comma 1, come riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 conv nella L. n. 134 del 2012 ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Ne consegue che il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il “come” e “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisivita’, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico sia stato comunque preso in esame, ancorche’ la sentenza non abbia dato atto di tutte le risultanze probatorie (Cassazione Sezioni Unite 8053/2014).
Orbene, nel caso di specie il ricorrente non ha assolto all’onere, su di lui gravante, di dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5).
Ed invero, nel caso in cui “il fatto” di cui si lamenta l’omesso esame sia costituito da un documento, il ricorrente ha anzitutto l’onere di indicare la rituale produzione in giudizio del documento medesimo, al fine della corretta instaurazione del contraddittorio su di esso, e dunque che lo stesso sia stato oggetto di discussione tra le parti.
Orbene, con riferimento alla licenza di abitabilita’, non risulta che la stessa sia stata tempestivamente prodotta ne’, conseguentemente, la rituale sottoposizione di detto documento al contraddittorio processuale.
Inoltre, detto documento non risulta “decisivo”, non potendo dalla licenza necessariamente desumersi che alla data di rilascio della stessa (1975), relativa all’abitabilita’ della casa sita in via (OMISSIS), i box per cui e’ causa non fossero stati ancora realizzati.
Del pari, avuto riguardo alla perizia, redatta in data 30.10.1973 ad altri fini dal geometra (OMISSIS), non risulta la rituale e tempestiva produzione ne’, conseguentemente, che la stessa sia stata oggetto di discussione tra le parti.
In ogni caso, anch’essa, la quale non contiene una precisa descrizione dei fabbricati, ma unicamente la rilevazione dei danni prodotti all’esito di lavori autostradali, non integra la nozione di “fatto decisivo”, trattandosi di elemento istruttorio, liberamente valutabile dal giudice di merito.
Del pari priva dei caratteri di decisivita’ e financo di rilevanza la fotografia, peraltro non datata, inserita nel corpo del ricorso dai ricorrenti, e corredata da dichiarazione in sede stragiudiziale, che, in quanto proveniente da terzi estranei alla lite non puo’ esplicare efficacia probatoria nel giudizio se non sia convalidata attraverso la testimonianza ammessa ed assunta nei modi di legge potendo unicamente assumere valore d’indizio.
In ogni caso, detta fotografia e’ del tutto inidonea a fornire alcun elemento rilevante in ordine alla situazione dei luoghi ed alla specifica circostanza della data di realizzazione dei box.
Ed invero, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonche’ la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilita’ dei testi e sulla credibilita’ di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016).
Del pari inammissibile il secondo motivo con cui si censura l’omessa valutazione di fatti decisivi, concernenti l’attendibilita’ dei testimoni.
In particolare, il ricorrente deduce la inattendibilita’ delle dichiarazioni rese da Benedetto Piccardo, in quanto cognato di (OMISSIS), ed in genere di tutti i tesi le cui dichiarazioni sono state poste a fondamento della decisione della Corte territoriale.
Orbene, premesso che in tema di prova testimoniale, l’insussistenza, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 248 del 1974, del divieto di testimoniare sancito per il coniuge, i parenti e gli altri soggetti indicati dall’articolo 247 cod. proc. Civ., rende impossibile ogni aprioristica valutazione di non credibilita’ delle deposizioni rese dalle persone indicate da tale norma, (Cass. n. 7061 del 15/05/2002), il vizio di omesso esame di fatti decisivi di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5) nella nuova formulazione applicabile ratione temporis, non attiene alla valutazione di attendibilita’ di testimoni, evidentemente riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimita’ se corredata, come nel caso di specie, da adeguata motivazione.
Spetta infatti solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui alla prova e’ assegnato un valore legale (Cass. n.6064/2008); e cio’, avuto riguardo, in particolare, all’ipotesi di una pluralita’ di contrastanti deposizioni testimoniali (Cass. n.2008 del 12.3.1996).
In ogni caso, non e’ riconducibile al vizio di cui all’articolo 360, n. 5) la denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).
Con il terzo motivo, si lamenta la violazione ex articolo 360, n. 5) per mancata valutazione di un fatto decisivo in relazione alle modalita’ e tempistiche di realizzazione dei box, deducendosi che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la contraddittorieta’ delle dichiarazioni dei testi indotti dai ricorrenti.
Anche in questo caso il motivo e’ inammissibile.
Come si e’ gia’ evidenziato, la denuncia del cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), ne’ in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, – da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 11892 del 10/06/2016).
Con il quarto motivo, si lamenta la violazione dell’articolo 360, nn. 4) e 5) per errata valutazione di un fatto decisivo, per aver la Corte ritenuto non indispensabile la relazione del C.T.U., geologo (OMISSIS), ritenendo erroneamente che essa fosse successiva al 1973.
Anche tale motivo e’ inammissibile, in quanto diretto a sottoporre a sindacato l’esercizio del potere di valutazione delle risultanze istruttorie, inammissibile nel presente giudizio di legittimita’.
La Corte territoriale, con adeguato apprezzamento di merito, ha ritenuto esaustive le risultanze derivanti dalle deposizioni testimoniali e dalle altre acquisizioni istruttorie assunte, ritenendo pertanto, con valutazione logica e coerente, non sindacabile nel presente giudizio, ininfluenti e dunque non ammissibili le ulteriori istanze istruttorie formulate dagli odierni ricorrenti.
Con il quinto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione delle disposizioni del codice civile che regolano l’istituto dell’usucapione, articoli 1158, 1164, 1165 e 1166, nonche’ dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per aver la Corte territoriale ritenuto sussistenti gli elementi dell’usucapione dei beni.
Il motivo e’ infondato.
La Corte territoriale ha infatti ritenuto, sulla scorta delle risultanze probatorie, che i controricorrenti avessero sin dall’inizio esercitato sulla cosa un potere di fatto, ritenendo che gli stessi avessero avuto il possesso dei box per un ventennio (l’atto di citazione e’ stato notificato in data 21/10/1993) in maniera pubblica, pacifica ed ininterrotta e, soprattutto, in via esclusiva, escludendo (OMISSIS) e gli eredi dal possesso degli stessi, tramite chiusura locali.
Tale statuizione e’ conforme a diritto.
La Corte territoriale ha infatti ritenuto configurabile, nel caso di specie, un comportamento rivelatore anche all’esterno di una indiscussa e piena signoria di fatto sul bene, contrapposta all’inerzia del titolare, avuto riguardo alla specifica destinazione economica ed alle utilita’ che, secondo un criterio di normalita’ esso e’ capace di procurare (Cass. n. 25922 del 29/11/2005), estrinsecatasi in un possesso esclusivo dello stesso.
Ne’ puo’ qui invocarsi la circostanza che, trattandosi di soggetti legati da rapporti di parentela, l’uso prolungato di un bene da parte di un parente fosse ascrivibile a situazioni di mera tolleranza. Occorre, infatti, rilevare che in materia di acquisto per usucapione di diritti reali immobiliari, poiche’ l’uso prolungato nel tempo di un bene non e’ normalmente compatibile con la mera tolleranza, essendo quest’ultima configurabile, di regola, nei casi di transitorieta’ ed occasionalita’, in presenza di un esercizio sistematico e reiterato di un potere di fatto sulla cosa, spetta a chi lo abbia subito, l’onere di dimostrare che lo stesso e’ stato dovuto a mera tolleranza (Cassazione n. 3404/2009).
Tale prova non risulta, nel caso di specie, raggiunta.
Con il sesto motivo si censura la violazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5 in relazione ad un’errata valutazione di un fatto decisivo, per aver la Corte d’appello erroneamente ritenuto che la licenza 1.02.1971 del Comune di Genova riguardasse i box oggetto di causa.
La Corte avrebbe omesso di rilevare che tale licenza si riferiva a posti auto all’aperto e non a quelli interni.
Tale motivo e’ inammissibile per difetto di decisivita’, in quanto, come peraltro ammesso dallo stesso ricorrente, non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata sulla prova, alla luce delle risultanze processuali, ed in particolare delle prove testimoniali, dell’ esercizio di un potere di fatto, pacifico ed esclusivo, sui beni oggetto di causa, da parte degli odierni controricorrenti, per oltre un ventennio.
Il ricorso va dunque respinto e le spese del presente giudizio, regolate secondo soccombenza si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 3.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.