in tema di usucapione, poiché con il rinvio fatto dall’articolo 1165 c.c. all’articolo 2943 c.c. risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso, non è consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge, con la conseguenza che non può riconoscersi tale efficacia se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, ovvero ad atti giudiziali diretti a ottenere, ope iudicis, la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapiente. In particolare, agli effetti della interruzione del termine utile per la usucapione sono inefficaci le semplici diffide e contestazioni rivolte contro gli atti di possesso, richiedendosi che il titolare del diritto notifichi al possessore l’atto giudiziale diretto alla riaffermazione del suo diritto sul bene.
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Tribunale|Palermo|Sezione 2|Civile|Sentenza|25 agosto 2022| n. 3469
Data udienza 23 agosto 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di PALERMO
SEZIONE SECONDA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonina Giardina Giardina, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 7874/2016 promossa da:
(…), nato a P. il (…), C.F. (…) , ivi residente nel Lungomare (?), elettivamente domiciliato in Palermo, nella via (…), presso lo studio dell’Avv. Ma.De., che lo rappresenta e difende per mandato in calce all’atto di citazione
ATTORE
contro
(…), nata a P. il (…), ed ivi residente nel (…) n. 600, C.F. (…), elettivamente domiciliata in Palermo, via (…), presso lo studio dell’Avv. An.Va. che la rappresenta e difende per mandato in atti
CONVENUTA
e contro
(…), nata a P. il (…), ed ivi residente nel (…) n. 600, C.F. (…);
(…), nato a U. il (…), residente in T. (U.), nella Via S. n. 3, C.F. (…),
CONVENUTI CONTUMACI
e
nella qualità di eredi di (…), nato a P. il (…) e deceduto il 01.12.2016:
– (…), nato a P. il (…), e ed ivi residente in Via V.M. n. 23, C.F. (…);
– (…), nato a P. il (…), ed ivi residente nel (…) n. 600, C.F. (…);
– (…), nata a P. il (…), e residente in S., E. 25 B. (S.), C.F. (…);
– (…), nata a P. il (…), ed ivi residente nel (…) n. 600, C.F. (…);
CONVENUTI CONTUMACI
OGGETTO: usucapione
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
IN FATTO E IN DIRITTO
Con atto di citazione regolarmente notificato il sig. (…), comproprietario dell’immobile sito in P. nel (…) n. 600, costituito da tre elevazioni fuori terra oltre seminterrato, censito in Catasto Fabbricati al Foglio (…), particella (…) sub (…), (…), (…) e (…), conveniva in giudizio (…), (…), (…) e (…) – comproprietari di un più ampio compendio di cui faceva parte il suddetto immobile – chiedendo al Tribunale di Palermo di dichiarare che lo stesso detenesse il bene da oltre un ventennio e, conseguentemente, che ne avesse acquistato a titolo originario la proprietà superficiaria ai sensi e per gli effetti degli artt. 952, 955 e 1158 c.c.
Affermava di avere edificato detto fabbricato – unitamente al proprio defunto padre (…) – a propria cura e spese negli anni ’80 su un’area di sedime facente parte di un più ampio terreno (originariamente particella (…) del foglio (…)) che si apparteneva in comproprietà a (…) e ai di lui germani (…), (…), (…), originari convenuti. Invero, parte attrice affermava che ciascuno dei germani (…) aveva proceduto – per tacito accordo – alla edificazione in proprio di più fabbricati indipendenti sul medesimo appezzamento di terreno, dandosi reciproco consenso verbale e godendo ciascuno animo domini in via esclusiva di quanto edificato personalmente.
Nelle more della trattazione della prima udienza di comparizione delle parti l’attore avviava procedimento di mediazione ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, con convocazione di tutte le parti convenute in giudizio.
Nella contumacia degli altri convenuti, si costituiva la sola (…) eccependo, in via preliminare, l’improcedibilità del giudizio stante la pendenza del tentativo di mediazione obbligatoria tra le parti. Contestava, altresì, l’esposizione dei fatti di parte attrice, rilevando come tra il padre dell’odierno attore ed i germani convenuti fosse già stato in passato promosso altro giudizio innanzi al Tribunale di Palermo – deciso con sentenza non definitiva n. 3032/1998, e poi definito con sentenza definitiva n. 6388/2009 – avente ad oggetto la divisione giudiziaria del patrimonio relitto dal padre (…), di cui faceva parte anche il bene dell’odierno giudizio. In detto procedimento era stato approvato il progetto di divisione predisposto dal CTU con la formazione di quattro lotti da estrarre a sorte tra i condividenti, progetto che non aveva ricevuto rilievi da alcuna delle controparti processuali, compreso il sig. (…), padre dell’odierno attore, il quale, quindi, aveva in tal modo accettato il rischio di non vedersi attribuito il fabbricato oggetto del presente giudizio stante l’aleatorietà dell’estrazione a sorte, comportamento incompatibile con l’animus possidendi necessario a far maturare l’usucapione in capo allo stesso, secondo le prospettazioni della convenuta. Tale condotta, incompatibile con la volontà di possedere in qualità di dominus, aveva poi interessato anche (…) – odierno comparente – avendo lo stesso proseguito il predetto giudizio a seguito del decesso del padre (…).
L’odierno giudizio veniva differito per permettere la conclusione del procedimento di mediazione.
In data 1 dicembre 2016, pendente il procedimento di mediazione, decedeva il convenuto (…) ed in data 4 aprile 2017 il Giudice dichiarava interrotto il giudizio.
L’attore proseguiva il procedimento di mediazione nei confronti degli eredi del de cuius (…) ((…), (…), (…) e (…)), i quali aderivano. Il procedimento si chiudeva il 23 gennaio 2017 con esito negativo solo tra (…) e (…), mentre le altre parti conciliavano (allegato depositato in data 23 marzo 2017).
In data 6 aprile 2017 l’attore riassumeva il giudizio nei confronti degli eredi di (…), i quali rimanevano contumaci insieme agli altri convenuti, ad eccezione di (…), che si costituiva in riassunzione in data 13 settembre 2017, insistendo nelle domande ed eccezioni già formulate negli atti difensivi antecedenti.
All’udienza il Giudice assegnava alle parti costituite i termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c.
Istruita documentalmente la causa ed espletato interrogatorio formale della convenuta (…), alla successiva udienza del 24 febbraio 2022 le parti, con note di trattazione scritta, precisavano le conclusioni, insistendo nelle rispettive domande già espletate negli atti difensivi ed il Giudice tratteneva la causa in decisione, assegnando i termini di cui all’art. 190 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda di parte attrice è infondata e va respinta per i motivi che seguono.
Preliminarmente va respinta l’eccezione di improcedibilità sollevata dalla convenuta a ragione della mancata partecipazione “in presenza” dei sig.ri (…), (…), (…) e (…) al procedimento di mediazione n. 155/2016, in quanto tardivamente proposta e sollevata solo con la comparsa conclusionale, mentre l’art. 5, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010 sancisce che l’improcedibilità della domanda giudiziale deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza successiva al tentativo di mediazione (Cass., 9 luglio 2021, n. 19614; Cass., ord. 13 dicembre 2019, n. 32797; Cass. 13 novembre 2018, n. 29017; Cass. 2 febbraio 2017, n. 2703).
La suddetta eccezione, pertanto, anche se relativa all’irregolarità della partecipazione alla procedura di mediazione da parte di un soggetto non formalmente investito del potere di rappresentare le parti, per quanto rilevante, avrebbe dovuto essere formulata entro la prima udienza successiva al suddetto incontro (nel caso di specie all’udienza del 23 marzo 2017), mentre è stata rilevata solo con le note di trattazione scritta contenenti la precisazione delle conclusioni all’udienza del 24 febbraio 2022. Conseguentemente, per le ragioni anzi dette, la condizione di procedibilità di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010 deve dirsi verificata.
Passando al piano delle questioni sostanziali, relativamente alle domande di parte attrice, si osserva quanto segue.
La proprietà superficiaria di un immobile consiste nella proprietà della costruzione separata dalla proprietà del suolo e si distingue dal diritto di superficie, quale diritto di costruire e mantenere la costruzione su suolo altrui (art. 952 c.c.) limitando il diritto del proprietario del suolo, il quale non può avvalersi d ella facoltà di costruire in pregiudizio del diritto del superficiario e non può beneficiare degli effetti dell’accessione tanto che può inquadrarsi tra i diritti reali di godimento su cosa altrui (Cass., 9 ottobre 2017, n. 23547; Cass., 13 ottobre 1976, n. 3409).
Parte della dottrina e della giurisprudenza ha individuato nella proprietà superficiaria i caratteri propri di un acquisto a titolo originario della proprietà in conseguenza dell’esercizio dello jus aedificandi, ossia una proprietà piena seppure limitata alla costruzione (ex multis Cass., 14 aprile 2004, n. 7051; Cass., 7 dicembre 1994, n. 10498; Cass., SS. UU., 2 giugno 1984; Cass., 6 dicembre 1983, n. 7269; Cass., 30 dicembre 1977, n. 5754; Cass. 24 novembre 1970, n. 2476).
La fattispecie, invece, analoga al caso di specie, del comproprietario che edifica un fabbricato – a propria cura e spese – sul suolo comune ha determinato un contrasto giurisprudenziale.
Una parte della giurisprudenza più risalente aveva affermato l’operare senza eccezioni dell’accessione ai sensi dell’art. 934 c.c., per cui l’edificio costruito da uno solo dei comproprietari sul suolo comune, in assenza del consenso degli altri comproprietari o anche in dissenso dagli stessi, sarebbe divenuto di proprietà comune, salvo contrario patto scritto ad substantiam. Per l’attribuzione in proprietà esclusiva ai contitolari dell’area comune delle singole parti della costruzione sarebbero inidonei sia il corrispondente possesso esclusivo della singola parte, sia l’eventuale accordo verbale, sia il proporzionale diverso contributo alle spese (Cass., 23 febbraio 1999, n. 1543; Cass., 11 novembre 1997, n. 11120; Cass., 22 settembre 1989, n. 3933; Cass., 11 luglio 1978, n. 3479).
Altra parte della giurisprudenza più recente, invece, aveva scorto nella fattispecie in oggetto una deroga al principio dell’accessione ed una “prevalenza” delle norme sulla comunione, per cui aveva affermato che la comproprietà della costruzione sorgerebbe a favore di tutti i contitolari del suolo solo qualora fosse stata eseguita nel pieno rispetto delle norme disciplinanti i limiti di utilizzo della cosa comune (artt. 1102, 1108, 1120 c.c.), mentre nel caso in cui la costruzione fosse stata abusivamente realizzata, essa non sarebbe condominiale per accessione, ma apparterrebbe al proprietario costruttore (Cass., 24 gennaio 2011, n. 1556; Cass., 27 marzo 2007, n. 7523; Cass., 19 novembre 2004, n. 21901; Cass., 22 marzo 2001, n. 4120).
A sanare detto contrasto sono intervenute le Sezioni Unite, con la sentenza n. 3873 del 16 febbraio 2018, rilevando che l’operare dell’istituto dell’accessione non è affatto precluso dalla circostanza che, in presenza di una comunione del suolo, la costruzione sia realizzata da uno (o da alcuni) soltanto dei comproprietari.
La costruzione realizzata dal comproprietario sul suolo comune diviene, infatti, per accessione – ai sensi dell’art. 934 c.c. – di proprietà comune ai comproprietari del suolo, salvo contrario accordo traslativo della proprietà del suolo o costitutivo di un diritto reale su di esso, che deve rivestire la forma scritta ad substantiam.
Il Giudice nomofilattico ha quindi, altresì, precisato che il titolo negoziale idoneo ad escludere l’operare dell’accessione non può essere costituito da un negozio unilaterale, essendo invece necessario un apposito contratto stipulato tra il proprietario del suolo e il costruttore dell’opera, che attribuisca a quest’ultimo il diritto di proprietà sulle opere realizzate (Cass., 21 febbraio 2005, n. 3440; Cass., 7 luglio 1980, n. 4337). Costituiscono, pertanto, titoli idonei a impedire l’operare dell’accessione, quelli costitutivi di diritti reali, fra i quali si colloca, oltre alla costituzione diretta di un diritto di superficie (artt. 952 e ss. c.c.), la c.d. concessione ad aedificandum, con la quale il proprietario del suolo rinuncia a fare propria la costruzione che sorgerà su di esso. Trattandosi di contratti relativi a diritti reali immobiliari, essi, ai sensi dell’art. 1350 c.c., devono rivestire la forma scritta ad substantiam (Cass., 23 febbraio 1999, n. 1543; Cass., 11 novembre 1997, n. 11120; Cass., 19 aprile 1994, n. 3714; Cass., 27 ottobre 1984, n. 5511); come anche per iscritto deve risultare la rinuncia del proprietario al diritto di accessione, che si traduce sostanzialmente nella costituzione di un diritto di superficie (Cass., 15 dicembre 1966, n. 2946).
In definitiva, la Suprema Corte ha sancito che, in mancanza di valido contrario titolo, qualunque costruzione edificata sul suolo comune – non solo da terzi (caso che ricadrebbe nelle fattispecie di cui agli artt. 936 e 937 c.c.), ma anche da uno o da alcuni soltanto dei comproprietari – diviene ipso iure, per il solo fatto dell’incorporazione e a prescindere dalla volontà manifestata dalle parti al di fuori delle forme prescritte dall’art. 1350 c.c., di proprietà comune di tutti comproprietari del suolo in proporzione alle rispettive quote dominicali.
Precisato ciò e, quindi, considerato che nel caso di specie tutte le costruzioni edificate dai germani (…) sul terreno comune sono state oggetto di accessione, divenendo, così, proprietà comune di tutti alla stregua del suolo, bisogna valutare se il fabbricato oggetto dell’odierno giudizio possa dirsi usucapito dall’odierno attore.
L’usucapione è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà e dei diritti reali di godimento a seguito del possesso animo domini continuato, pacifico ed ininterrotto per un determinato periodo di tempo stabilito dalla legge e, come tale, può essere un titolo di acquisto anche della proprietà superficiaria.
In linea di principio, in caso di successione per causa di morte, il coerede rimasto nel possesso del bene immobile ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi.
Orbene, in tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore, risultando necessario, a fini della usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell’interessato attraverso un’attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene.
Nel caso di specie, dalle evidenze documentali, nonché dall’interrogatorio formale della convenuta contumace (…) (verbale dell’udienza del 18 aprile 2019), zia dell’attore (moglie del defunto (…), originario convenuto), pare emergere che il fabbricato in contesa sia stato edificato a partire dal 1981 ed abitato – almeno dal 1989 – dal padre dell’attore e dall’attore stesso, unitamente al suo nucleo familiare. Infatti, dalle domande di sanatoria ai sensi della L. n. 47 del 1985 prodotte (allegato 5 memoria di replica del 29 dicembre 2017) si evince come i soggetti richiedenti le concessioni edilizie in sanatoria per la edificazione del fabbricato oggetto del presente giudizio siano unicamente l’odierno attore – quanto al piano terra – ed il di lui padre, (…) – quanto ai piani primo e secondo. Tali domande risalgono all’anno 1985 ed in esse i soggetti richiedenti dichiarano che la costruzione è iniziata nel 1981. Peraltro, parte attrice allega un verbale di contravvenzione, elevata dal Comune di Palermo in data 12 ottobre 1981, nei confronti del padre (…) per la predetta edificazione del fabbricato in assenza di titoli abilitativi.
L’attore allega, altresì, a sostegno del proprio possesso ai fini dell’usucapione, certificati di residenza storici (allegati 5 e 6 all’atto di citazione) che attestano – alla data del 9 marzo 2016 – la circostanza che (…) risiedeva con il proprio nucleo familiare nell’immobile sin dal 1 giugno 1993.
A supporto delle proprie domande l’attore produce, ancora, un contratto di fornitura idrica con l’azienda A. per l’allacciamento di un nuovo contatore del 21 marzo 1989 (allegato 8 all’atto di citazione), nonché bollette per fornitura acqua, energia elettrica ed utenza telefonica per il fabbricato oggetto di causa tutte regolarmente intestate allo stesso o alla moglie (allegati 1, 2 e 3 alla memoria di replica del 29 dicembre 2017).
Orbene, tutte tali evidenze probatorie consentono di configurare i requisiti propri dell’usucapione ex art. 1158 c.c. e, nello specifico, il corpus possessionis, ossia la relazione materiale col bene continua, ininterrotta e non clandestina, nonché l’animus possidendi tipico di chi si comporta come proprietario esclusivo. Non pare, infatti, sussistere altro titolo giuridico giustificativo della detenzione esclusiva dell’immobile da parte di (…) (e prima di lui del padre (…)) che possa escludere il possesso uti dominus.
Inoltre, pare che la convenuta (…) non abbia mai contestato, anzi ha espressamente riconosciuto nei suoi scritti difensivi le seguenti circostanze: – che ciascuno dei quattro germani (…) (originari comproprietari del terreno su cui sorge il fabbricato oggetto del presente giudizio) avessero per tacito accordo edificato ciascuno un fabbricato – a propria cura e spese – sul detto terreno al fine di goderne in maniera esclusiva alla stregua di proprietari, escludendo un uso promiscuo; – che (…) e, prima di lui, il padre (…) avessero dal momento dell’edificazione del fabbricato in contesa posseduto e goduto lo stesso in via esclusiva.
Tale mancata contestazione dei fatti equivale, secondo le regole processuali e, in particolare, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., a prova di tali fatti come non controversi.
Parte convenuta ha, altresì, eccepito che l’usucapione non si sarebbe compiuta in quanto il termine ventennale necessario ai sensi dell’art. 1158 c.c. sarebbe stato interrotto dall’introduzione del giudizio di divisione nel 1983 da parte del defunto (…), poi proseguito dall’odierno attore.
Invero, dalla documentazione prodotta in atti (allegati n. 2 e n. 3 alla comparsa di costituzione) non è dato evincere quale fosse l’esatto originario petitum della causa. Dalla lettura della sentenza n. 3032/1998 è possibile solo affermare che l’intenzione originaria delle domande attoree fosse quella di ottenere una pronuncia di scioglimento della comunione ereditaria riveniente dal defunto (…), con attribuzione alla quota di ciascun condividente del lotto divisionale in cui rientrava la porzione di terreno comune su cui era stato edificato esattamente il fabbricato da ciascuno dei comunisti.
Tale domanda attorea, tuttavia, era stata contestata da alcune delle altre parti e, all’esito del giudizio, il Tribunale aveva pronunciato lo scioglimento della comunione da effettuarsi sulla base del progetto divisionale del CTU mediante sorteggio delle rispettive quote. A tal riguardo parte convenuta rileva, altresì, come l’acquiescenza di parte attrice al progetto divisionale, così come predisposto dal giudice e soggetto all’alea del sorteggio, sarebbe incompatibile con l’animus possidendi, poiché l’attore avrebbe in tal modo accettato il “rischio” di vedersi attribuito un lotto divisionale diverso rispetto a quello asseritamente usucapito.
Orbene, è orientamento pacifico e costante della Suprema Corte quello secondo cui in tema di usucapione, poiché con il rinvio fatto dall’articolo 1165 c.c. all’articolo 2943 c.c. risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso, non è consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge, con la conseguenza che non può riconoscersi tale efficacia se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, ovvero ad atti giudiziali diretti a ottenere, ope iudicis, la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapiente. In particolare, agli effetti della interruzione del termine utile per la usucapione sono inefficaci le semplici diffide e contestazioni rivolte contro gli atti di possesso, richiedendosi che il titolare del diritto notifichi al possessore l’atto giudiziale diretto alla riaffermazione del suo diritto sul bene (Cass., 8 settembre 2021, n. 24176; Cass., (…) luglio 2011, n. 16234).
A tal proposito, non risulta che la convenuta (…) abbia mai posto in essere atti o comportamenti idonei a manifestare la titolarità del diritto di proprietà su gli immobili oggetto del presente giudizio.
Nel caso che ci occupa, va osservato come il giudizio di divisione incoato dal padre dell’odierno attore e da quest’ultimo proseguito in seguito al decesso del genitore, avesse ad oggetto i terreni ottenuti in via ereditaria e non gli edifici successivamente edificati. A tal proposito, va detto che la sentenza non definitiva n. 3032/1998, pronunciata dal Tribunale di Palermo all’esito del giudizio di divisione promosso dai germani (…), (…) e (…) nei confronti di (…), ha dato atto della circostanza che il giudizio avesse ad oggetto esclusivamente la divisione dei terreni oggetto dell’asse ereditario del defunto (…), identificati in catasto alla partita 7591, particella (…), e non dei fabbricati ivi insistenti, edificati in epoca successiva all’apertura della successione, per i quali nel detto giudizio non era stata formulata alcuna domanda e che, conseguentemente non sono stati oggetto di stima peritale da parte del Ctu nominato. La successiva sentenza n. 6388/2009 del Tribunale di Palermo, definitoria del giudizio di divisione, ha pronunciato l’impossibilità di procedere al sorteggio delle quote ereditarie a causa della persistente riserva di impugnazione della sentenza non definitiva formulata da (…).
Alla luce di quanto sopra osservato, non può ritenersi verificatasi l’interruzione del termine ventennale utile all’usucapione del diritto di costruire e mantenere gli immobili de quo sul terreno di proprietà comune alle odierne parti del presente giudizio, giacché, come osservato, il giudizio di divisione non ha avuto ad oggetto gli immobili edificati sul terreno comune, ma soltanto i terreni oggetto di successione ereditaria.
Per i motivi anzidetti le domande di parte attrice possono trovare accoglimento.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo al minimo nella fascia di valore indicata da parte ricorrente tra Euro 1.100,00 ed Euro 5.200,00.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando;
ogni contraria istanza ed eccezione respinta;
provvedendo sulle domande proposte dall’attore (…) con l’originario atto di citazione e successivamente riproposte con il ricorso in riassunzione, così decide:
– Accoglie le domande spiegate da (…) nei confronti di (…), (…), (…), (…), (…);
– Dichiara maturato il termine per usucapione dell’immobile sito in (…) n. 600, costituito da tre elevazioni fuori terra oltre seminterrato, censito in Catasto Fabbricati al Foglio (…), particella (…) sub (…), (…), (…) e (…);
– Condanna parte convenuta al rimborso delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 152,07 per spese documentate e in Euro 2.430,00 per compensi professionali, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso spese generali, come per legge.
Così deciso in Palermo il 23 agosto 2022.
Depositata in Cancelleria il 25 agosto 2022.
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