La circostanza, infine, della mera coltivazione del fondo oltre che priva di riferimenti certi di allocazione, stante la mancata delimitazione della zona coltivata e di punti di identificazione certi, per verificarne la coincidenza con la porzione contesa, è comunque di per sé condotta non univoca per ravvisare un possesso ad usucapionem non solo per il titolo della disponibilità (detenzione o possesso) ma anche per l’animus, non essendo sufficienti, ai fini della sussistenza di una attività contrastante con il possesso altrui, i meri atti di gestione, consentiti o tollerati dal proprietario del bene. Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione – il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva – la coltivazione del fondo non è sufficiente, in quanto, di per sé, non esprime in modo inequivocabile l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale sia accompagnata da indizi che consentano di presumere che essa è svolta “uti dominus”.

 

Corte d’Appello Napoli, Sezione 6 civile Sentenza 26 giugno 2018, n. 3151

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Napoli, Sesta Sezione Civile, riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati:

Dott. Maria Rosaria Castiglione Morelli – Presidente

Dott. Antonio Quaranta – Consigliere

Dott. Maria Grazia Savastano – Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 1717/13 R.G., riservata in decisione all’udienza del 6.4.18 con termini di gg. 40 per il deposito delle memorie conclusionale e di gg. 20 per le repliche e vertente

TRA

(…) ((…)) e (…) ((…)), rappresentati e difesi dall’avv. Gi.De. con il quale elettivamente domiciliano in Napoli alla Via (…) presso lo studio dell’Avv. Fr.Am.

APPELLANTI PRINCIPALI

E

(…) (C.F.: (…)), rappresentato e difeso dall’avv. Fu.Di., con il quale elettivamente domicilia in Telese Terme (BN), alla via (…)

APPELLATO – APPELLANTE INCIDENTALE

IN FATTO E IN DIRITTO

Con atto notificato in data 1.3.05 (…) e (…) citavano in giudizio dinanzi al Tribunale di Benevento, Sezione Distaccata di Guardia Sanframondi, (…) al fine di far dichiarare l’intervenuto acquisto per usucapione in loro favore della proprietà sulla porzione di terreno della estensione di circa 180 mq. sito in S. alla C. A., in catasto terreni al foglio (…), p.lla (…). A sostegno della domanda esponevano che in data 3.6.1972 con atto di permuta per notaio (…) del 4.2.1983 (…) e (…) si erano accordati per il trasferimento reciproco di alcuni lotti di terreni di proprietà dei permutanti e rientranti in un piano di lottizzazione convenzionata, approvato dal (…), per cui le p.lle (…) e (…) erano state trasferite dal (…) al (…) in cambio delle p.lle (…) e (…); che (…) e la moglie (…) avevano tuttavia acquistato il possesso uti domini non solo di tali particelle ma altresì di una confinante ulteriore striscia di terreno, facente parte della p.lla (…), rimasta, invece, in proprietà del (…); che da tale momento gli attori avevano esercitato per oltre venti anni il possesso pacifico, continuo ed ininterrotto di tale ulteriore porzione della p.lla (…) incorporandola, mediante recinzione, alla p.lla (…) ed adibendola a giardino di pertinenza della loro abitazione, costruita su tale ultima particella, sicché sussistevano i presupposti per il loro acquisto per usucapione. Si costituiva in giudizio il convenuto che contestava la domanda deducendo che il possesso vantato dagli attori era da retrodatarsi al più al momento della costruzione della loro abitazione verso il 1986-87 e che non ricorreva l’animus, stante la consapevolezza degli attori che in realtà sulla porzione occupata avrebbe dovuto essere costruita una strada, secondo il progetto di lottizzazione. Il convenuto chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna degli attori al rilascio dell’area contesa.

All’esito dell’istruttoria la causa veniva decisa dal Tribunale di Benevento, Sezione Distaccata di Sanframonti con sentenza n. 303/12, depositata in data 18.10.12, che rigettava la domanda principale e la domanda riconvenzionale; compensava per 2/3 tra le parti le spese di lite e condannava gli attori al pagamento della restante quota.

Riteneva il Tribunale che non fosse stata raggiunta la prova del possesso ultraventennale, non essendo possibile determinare con certezza il momento di inizio del possesso perché non era stata fornita prova certa dell’epoca della recinzione e che neppure poteva essere accolta la domanda di rilascio della porzione di terreno posseduta da parte convenuta, non essendo stato assolto il rigoroso onere probatorio, richiesto per la rivendica della proprietà della p.lla (…).

Avverso la sentenza hanno proposto appello principale (…) e (…) e si è costituito in giudizio (…) che ha, a sua volta, proposto appello incidentale.

Con il primo motivo di impugnazione principale gli appellanti hanno dedotto la errata e/o controversa valutazione della prova testimoniale, deducendo che – diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale sulla mancata prova dell’epoca di realizzazione della recinzione, che pure poteva costituire astrattamente atto idoneo a rivelare la volontà di esercitare un possesso uti dominus sull’area – tale prova risultava dalle dichiarazioni testimoniali e dalla verifica incrociata delle stesse. Hanno evidenziato che: il teste (…) aveva riferito di aver costruito egli stesso nel marzo – aprile 1983 un muretto basso di recinzione, precisandone la collocazione a sinistra del fabbricato di (…); (…) aveva confermato che la recinzione che includeva la porzione della p.lla (…), adibita a giardino, era stata realizzata nel 1983 e, benché avesse acquistato il lotto limitrofo solo nel 1985-96, la dichiarazione, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, doveva ritenersi attendibile perché la frequentazione dei luoghi in epoca precedente poteva essere spiegata con le trattative di acquisto; (…) aveva comunque confermato che la recinzione era stata effettuata nel 1983, precisando che essa riguardava sia la casa, poi costruita, che il giardino sicché non risultava rilevante la circostanza che il teste non ricordasse quale fosse la particella (…) e quale la (…); la teste (…) aveva confermato che la p.lla (…) era quella adibita a giardino.

Con il secondo motivo di impugnazione gli appellanti hanno dedotto la contraddittorietà ed il difetto di motivazione della sentenza di primo grado laddove, pur avendo riconosciuto che la teste (…) aveva confermato con precisione i fatti, aveva, poi, ritenuto che gli attori non avessero fornito la prova della durata ultraventennale del possesso senza spiegare, tuttavia, il motivo per il quale anche le dichiarazioni di un solo teste non potessero costituire al riguardo prova sufficiente.

Con il terzo motivo di impugnazione gli appellanti hanno dedotto la omessa valutazione di altre circostanze emerse dalla prova testimoniale e che pure avrebbero confermato il possesso uti domini degli attori, e al riguardo hanno evidenziato che: il teste (…) aveva riferito che lo spazio che venne recintato con il muretto era stato adibito a giardino e in parte a discesa che portava al garage, situato sotto la casa, sicché l’epoca di materiale apprensione della porzione della particella (…) doveva farsi risalire quantomeno al momento in cui gli attori avevano iniziato a costruire la casa; lo stesso teste aveva al riguardo affermato che dopo 4-5-mesi dalla realizzazione del muretto – da lui stesso realizzato nel marzo/aprile 1983- furono iniziati i lavori di costruzione del fabbricato e tale epoca trovava riscontro nelle dichiarazioni dei testi (…) e (…); lo stesso appellato (…), pur avendo affermato in sede di interrogatorio che la casa era stata realizzata prima del muro di cinta, aveva ritenuto che la stessa fosse stata costruita nel 1984 sicché tale ultimo riferimento temporale confermava il decorso del termine ventennale all’epoca di instaurazione del giudizio (2005); più testi avevano riferito della coltivazione del fondo oggetto di causa da parte di (…), a mezzo suoi incaricati, già prima che provvedesse alla recinzione del fondo medesimo (testi (…), (…) e (…)) e da ciò avrebbe trovato conferma la circostanza che gli attori avevano preso il materiale possesso del fondo oggetto di causa già a partire dal 1983.

I motivi possono essere trattati congiuntamente vertendo tutti sulla interpretazione della prova testimoniale.

Le censure sono infondate e vanno rigettate.

Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi sia del “corpus”, che dell’animus e cioè deve provare una signoria sulla cosa, manifestatasi inequivocamente in attività corrispondente all’esercizio della proprietà, accompagnata dall’animus possidendi, immune da violenza e clandestinità e protratta senza soluzione di continuità per un ventennio e più.

L’acquisto della proprietà per usucapione trova il suo fondamento in una situazione di fatto caratterizzata, da un lato, dal mancato esercizio delle potestà dominicali da parte del proprietario e, dall’altro, dalla prolungata signoria di fatto sullo stesso bene da parte di altri che, con continuità, si sostituisca al proprietario nella utilizzazione del bene medesimo. Ne consegue la non sufficienza dell’inerzia del proprietario, in quanto anche il non uso è una modalità di godimento del bene, essendo piuttosto necessario che parallelamente ad esso si affermi un utilizzo uti dominus di un terzo, con rilievo esterno e tale da mostrare una indiscussa e piena signoria di fatto contrapposta all’inerzia del titolare. Di fronte alla prova “formale” della proprietà dei beni, dunque, colui che pretende di avere usucapito la proprietà deve fornire una prova certa e rigorosa; se si ritenesse il contrario, infatti, l’istituto della prescrizione acquisitiva – nato per eliminare intollerabili situazioni di incertezza nel regime proprietario dei beni – sortirebbe effetti opposti, consentendo che il diritto dominicale possa essere facilmente posto in dubbio attraverso una qualche contestazione di terzi, sostenuta da prove non univoche.

È per questo che in materia di usucapione la prova del suo maturarsi deve essere rigorosissima, tale da non lasciare spazio a perplessità sulla veridicità e attendibilità delle circostanze asserite, sulla concludenza e sufficienza delle medesime a dimostrare un costante comportamento corrispondente all’esercizio della proprietà e per il periodo temporale previsto dalla legge. L’usucapione costituisce, invero, un istituto di carattere eccezionale, e come tale deve essere trattato, anche nel relativo regime probatorio processuale.

Tenuto conto di tali principi va confermato il rigetto della domanda attorea, non emergendo dalle risultanze istruttorie una prova rigorosa e concludente e pertanto idonea dell’intervenuta usucapione in favore degli attori.

Gli appellanti attraverso le censure articolate offrono in realtà una propria lettura del complessivo materiale probatorio, diversa rispetto a quella del giudice di primo grado ma che tuttavia non risulta convincente per superare le perplessità ed incertezze del complessivo quadro probatorio, pure congruamente evidenziate dal Tribunale con particolare riferimento all’epoca della apposta recinzione.

Il giudice di primo grado ha indicato le ragioni della ritenuta scarsa attendibilità delle dichiarazioni di alcuni testi, evidenziando che il teste (…) aveva dichiarato di aver realizzato nel 1983 un muretto basso di recinzione a sinistra del fabbricato anche se tale fabbricato ancora non era stato all’epoca ancora costruito e neppure risultano plausibili le ragioni fornite dal teste secondo cui “il muretto doveva servire per proteggere il materiale che sarebbe servito per la costruzione della casa”, laddove i lavori neppure risultavano intrapresi e le dimensioni del muretto, con altezza di soli 40 cm e di 10 mt di lunghezza neppure lo avrebbero reso idoneo a tale scopo; la teste (…), pur avendo confermato in via generica il capo di prova relativo alla costruzione della recinzione della porzione della p.lla (…) nel 1983 non aveva spiegato come fosse a conoscenza della circostanza, pure avendo acquistato il lotto di terreno confinante solo tre anni dopo e aver iniziato a costruirvi circa sei- sette anni dopo per insediarsi stabilmente sul luogo nel 1992-93 . Il Tribunale stesso ha rilevato che la teste non era riuscita neppure a retrodatare con precisione le date in cui aveva acquistato il lotto di terreno ed edificato poi la sua abitazione sicché non poteva non dubitarsi “della certezza con cui aveva confermato la presenza del muretto di recinzione tra due particelle di terreni limitrofi , edificato in maniera tale da sottrarre una porzione della p.lla a vantaggio dell’altra”. A fronte di tale rilievo, che evidentemente si ripercuote sulla stessa attendibilità della teste, neppure risulta plausibile l’argomentazione contraria sostenuta dagli appellanti sulla frequentazione dei luoghi da parte della P. nelle trattative per l’acquisto del lotto, trattandosi invero di periodo di tre anni anteriore all’acquisto stesso che incide sul giudizio di verosimiglianza . Per la deposizione di (…), fratello dell’attore e pertanto legato al medesimo da vincoli stretti di parentela che già ragionevolmente impongono di valutare la deposizione con opportune cautele, il Tribunale ha evidenziato l’incertezza nella individuazione delle p.lle (…) e (…) . Il teste (…) non ricorda neppure la recinzione e il teste (…) non ne ricorda l’epoca.

Il tale quadro probatorio incerto la deposizione della teste (…), nipote degli attori su cui gli appellanti insistono anche nel secondo motivo di impugnazione non risulta sufficiente a dare la certezza della prova, perché la riferita datazione della recinzione è comunque in contrasto con altre emergenze quali le deposizioni dei testi di parte convenuta (testi (…), (…), (…) che hanno datato la recinzione solo all’anno 1986/87) e la diversa e successiva epoca della costruzione della casa, cui pure la recinzione è funzionale, senza essere convincente, non spiegando in alcun modo plausibile tale evidente incongruenza . Inoltre neppure gli attori hanno fornito la prova certa dell’epoca di realizzazione della casa non avendo prodotto alcuna documentazione al riguardo ed essendo discordanti le risultanze testimoniali sul punto.

La circostanza, infine, della mera coltivazione del fondo oltre che priva di riferimenti certi di allocazione, stante la mancata delimitazione della zona coltivata e di punti di identificazione certi, per verificarne la coincidenza con la porzione contesa, è comunque di per sé condotta non univoca per ravvisare un possesso ad usucapionem non solo per il titolo della disponibilità (detenzione o possesso) ma anche per l’animus, non essendo sufficienti, ai fini della sussistenza di una attività contrastante con il possesso altrui, i meri atti di gestione, consentiti o tollerati dal proprietario del bene (Cass. Civ., sez. II, 26 aprile 2011, n. 9325).

Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione – il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva – la coltivazione del fondo non è sufficiente, in quanto, di per sé, non esprime in modo inequivocabile l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale sia accompagnata da indizi che consentano di presumere che essa è svolta “uti dominus”( Cassazione civile, sez. II, 12/11/2014, n. 24114 cfr. Cass., Sez. II, 29 luglio 2013 n. 18215)

Poiché per l’usucapione non basta una prova qualsiasi ma la prova deve essere rigorosa sicché le risultanze devono essere univoche senza margini di incertezza e di dubbio, correttamente, dunque, l’incertezza probatoria è stata posta a carico della parte gravata dall’onere di fornire dimostrazione dei fatti costitutivi della pretesa azionata, e cioè di colui che ha invocato il possesso utile all’usucapione.

L’appello principale va, pertanto, rigettato.

(…), invece, ha proposto appello incidentale per la riforma della statuizione della sentenza di primo grado che ha rigettato la domanda riconvenzionale di dichiarazione che l’appezzamento di terreno conteso era di sua proprietà esclusiva e di condanna degli attori al rilascio della porzione di fondo occupata. Ha dedotto l’errata qualificazione della domanda da parte del Tribunale quale rivendicazione anziché quale mera azione di rilascio del bene, per la quale neppure era necessaria la prova rigorosa della rivendica, ed ha invocato l’implicito riconoscimento della proprietà del convenuto, presupposto dalla domanda di usucapione avanzata nei suoi confronti dagli attori.

Anche l’appello incidentale è infondato.

Correttamente il Tribunale ha qualificato la domanda riconvenzionale come rivendica. Come chiarito dalle S.U. della Suprema Corte (SS.UU. sent. sentenza n. 7305/2014) l’azione personale di restituzione è quella destinata a ottenere l’adempimento dell’obbligazione di ritrasferire una cosa che è stata in precedenza volontariamente trasmessa dall’attore al convenuto, in forza di un negozio giuridico, mentre va qualificata come rivendica la domanda di condanna al rilascio o alla consegna nei confronti di chi dispone di fatto del bene nell’assenza anche originaria di ogni titolo. In questo caso la domanda è tipicamente di rivendicazione, poiché il suo fondamento risiede non in un rapporto obbligatorio personale inter partes, ma nel diritto di proprietà tutelato erga omnes, del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione, mediante la probatio diabolica.

Né il rigore del principio secondo il quale l’attore in rivendica deve provare la sussistenza dell’asserito diritto di proprietà sul bene anche attraverso i propri danti causa fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, ovvero dimostrare il compimento dell’usucapione, è, di regola, attenuato dalla proposizione, da parte del convenuto, di una domanda riconvenzionale (o di un’eccezione) di usucapione (atteso che il convenuto in un giudizio di rivendica non ha l’onere di fornire alcuna prova, pur nell’opporre un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata).

La legittimazione passiva ad causam, rispetto alla domanda diretta all’accertamento dell’acquisto per usucapione della proprietà di un bene, infatti, va riconosciuta a chi contesti detta proprietà, vantando un diritto proprio (Cass. 4907/1990) sicché l’aver domandato l’accertamento dell’usucapione contro colui che dai registri immobiliari risulti formalmente proprietario del bene che si assume usucapito, nella presunzione che costui, essendo probabilmente interessato a contraddire, sia anche il legittimato passivo, non implica, di per sé, riconoscimento della titolarità del diritto dominicale in capo al convenuto e non attenua, pertanto, l’onere della prova gravante su quest’ultimo che agisca con domanda riconvenzionale di rivendica; ciò salvo che il dies a quo del possesso ad usucapionem sia anteriore al titolo di acquisto allegato dal rivendicante (Cass. 8215/2016). Nel caso di specie tale prova della proprietà della particella rivendicata non è stata effettivamente fornita dal (…) che non ha prodotto in primo grado, e invero neppure allegato, i relativi titoli. Solo nel giudizio di appello l’appellante incidentale ha depositato copia dell’atto per notar Co. dell’11.4.1974, chiedendone l’acquisizione ex art. 345 c.p.c.

La produzione è tuttavia inammissibile perché tardiva e non assumendo l’atto allegato di per sé valore decisivo poiché comunque non corredato da documentazione volta a provare che la p.lla (…) oggetto di rivendicazione (nella porzione contestata) sia compresa o sia derivazione dell’appezzamento diversamente descritto nell’atto notarile allegato, e neppure desumendosi tale coincidenza dalla documentazione già prodotta in primo grado.

Conseguentemente la sentenza di primo grado va integralmente confermata.

Stante la reciproca soccombenza, sussistono i presupposti per la compensazione tra le parti delle spese del grado.

Ricorrono i presupposti per il versamento a carico degli appellanti principali e dell’appellante incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13 co.1 quater T.U. n. 115/02 come mod. dall’art. 1 co.17 L. n. 228 del 2012

P.Q.M.

La Corte di Appello di Napoli – sesta sezione civile – definitivamente pronunciando sull’appello proposto da (…) e (…) avverso la sentenza del Tribunale di Benevento, Sezione Distaccata di Sanframonti n. 303/12, depositata in data 18.10.12 e sull’appello incidentale proposto avverso la suddetta sentenza da (…), così provvede:

– rigetta l’appello principale e l’appello incidentale e per l’effetto conferma l’impugnata sentenza;

– compensa tra le parti le spese del grado.

– dà atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento a carico degli appellanti principali e dell’appellante incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Napoli l’11 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2018.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.