ai fini della sussistenza del requisito dell’apparenza, richiesto dall’articolo 1061 cod. civ. per l’acquisto delle servitu’ prediali per usucapione, non occorre necessariamente, in materia di servitu’ di passaggio, un “opus manu factum” (ossia un tracciato dovuto all’opera dell’uomo), e’ sufficiente anche un sentiero formatosi naturalmente per effetto del calpestio, qualora esso presenti un tracciato tale da denotare la sua funzione visibile, non equivoca e permanente – di accesso al fondo dominante mediante il fondo servente.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 6 giugno 2018, n. 14505
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22932-2014 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) in virtu’ di procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 2821/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/04/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO; Lette le memorie depositate dai ricorrenti.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. A seguito dell’acquisto da parte dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) di alcuni terreni in (OMISSIS) riportati al foglio (OMISSIS), mappali nn. (OMISSIS) in passato appartenenti agli eredi di (OMISSIS), ed all’inizio dei lavori di ristrutturazione del fabbricato colonico ivi esistente, i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) contestavano il diritto dei primi a servirsi di una stradina esistente sul fondo di loro proprieta’ di cui al mappale n. (OMISSIS), manifestando l’intento di procedere alla recinzione del fondo, e contestando l’esistenza del diritto di passaggio anche nei confronti dei proprietari di altri fondi finitimi.
A seguito della chiusura del fondo interessato dalla stradina di passaggio, (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche’ (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) proponevano ricorso possessorio all’esito del quale (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Treviso. Sezione distaccata di Castelfranco Veneto, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS) affinche’ fosse accertato che non esisteva alcuna servitu’ di passaggio in favore delle proprieta’ dei convenuti e sui fondi degli attori di cui ai mappali nn. (OMISSIS) e (OMISSIS).
Nella resistenza di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che in via riconvenzionale chiedevano accertarsi l’acquisto della servitu’ di passaggio per usucapione ordinaria, e disposta la chiamata in causa di (OMISSIS) e (OMISSIS), quali comproprietarie del preteso fondo servente, il Tribunale adito con la sentenza n. 116 del 2010 accoglieva la domanda negatoria degli attori, disattendendo altresi’ la domanda riconvenzionale di usucapione.
A seguito di appello principale proposto dal (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) e di appello incidentale avanzato da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti quali eredi del defunto (OMISSIS) Sergio, con i quali si reiterava la tesi della intervenuta usucapione della servitu’ di passaggio, nella resistenza dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche’ di (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 2821 del 21 novembre 2013 accoglieva i gravami, rigettando per l’effetto la negatoria servitutis, e dichiarando costituita per usucapione la servitu’ di passaggio in favore degli appellanti.
In contrasto con quanto ritenuto dal Tribunale, i giudici di appello ritenevano che le prove raccolte e gli esiti degli accertamenti peritali confortavano la ricorrenza dei presupposti per l’acquisto per usucapione della servitu’ di passaggio.
Infatti, gli elementi che depongono per l’apparenza della servitu’ emergevano dalle indagini del CTU, risultando confermata anche la persistenza del possesso per il tempo utile ad usucapire posto che, anche una volta venuta meno l’originaria interclusione dei fondi dominanti, l’accesso attraverso la proprieta’ degli attori si palesava comunque piu’ comodo.
In tal senso deponeva la visibilita’ dell’area di sedime, segnata dal passaggio di rotabili e conformata in modo da servire alle necessita’ dei fondi agricoli prospicienti. Inoltre era accertato che tale sedime servisse da collegamento tra il nucleo di antica abitazione ove erano collocati i fondi dei convenuti e la pubblica via, essendo cio’ segnato nelle mappe catastali e trovando riscontro nelle cartine storiche.
Inoltre, anche all’attualita’ emergeva che l’accesso ai fondi dominanti era dimostrato dall’esistenza di un cancello funzionante e che costituiva l’ingresso al nucleo di antica abitazione “(OMISSIS)”.
Vi erano poi le ammissioni degli stessi convenuti (OMISSIS) – (OMISSIS) i quali avevano riconosciuto che fino al 1924 quella era l’unica via di accesso, e che anche dopo la costruzione della strada comunale, il transito era stato mantenuto in vita mediante gli opportuni interventi manutentivi, ai quali avevano fatto riferimento anche i testi escussi.
Le prove testimoniali avevano poi confermato che il transito sulla strada era continuato anche dopo la ristrutturazione della casa sita sul fondo (OMISSIS) – (OMISSIS), in quanto l’accesso laterale alternativo non consentiva il passaggio dei mezzi agricoli.
Nel raffronto poi tra le deposizioni dei vari testi andavano privilegiate le dichiarazioni rese dai testi dei convenuti, che non risultavano legati da vincoli parentali o amicali a differenza dei testi di parte attorea, con la conseguenza che attenendosi a quanto riferito dai primi risultava confermato il passaggio dagli anni ‘60 dello scorso secolo, secondo il tracciato attuale, e senza la necessita’ di richiedere il consenso agli attori.
Emergeva quindi che era comprovata l’effettiva destinazione delle opere all’esercizio della servitu’, la quale arrecava indubbio vantaggio ai fondi dominanti la cui utilitas puo’ sussistere anche in assenza di un vantaggio economico o nell’ipotesi in cui il fondo possa vantare altro accesso addirittura piu’ agevole.
Infine, la sentenza rilevava che non poteva attribuirsi rilievo alla mancata espressa invocazione dell’accessione nel possesso da parte degli aventi diritto a titolo particolare, posto che l’articolo 1146 c.c., comma 2, nel prevedere che il successore possa unire il proprio possesso a quello del dante causa, consente al giudice di poter rilevare d’ufficio tale situazione.
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
(OMISSIS) ed (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonche’ la violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c..
Si assume che la sentenza impugnata ha valutato la domanda di usucapione della servitu’ senza discernere tra le varie posizioni dei titolari dei fondi dominanti, in particolare omettendo di specificare in relazione alla proprieta’ (OMISSIS) – (OMISSIS) di indicare gli elementi che suffragano l’accoglimento della domanda, incorrendo in tal modo anche nella violazione dell’articolo 116 c.p.c. in ordine al prudente apprezzamento delle prove.
Analoghe considerazioni vanno svolte quanto alla proprieta’ gia’ di (OMISSIS) Sergio, in quanto il giudizio favorevole alla controparte si fonda sull’apprezzamento solo di alcune testimonianze, ritenute maggiormente attendibili sulla base di un’erronea considerazione di indifferenza dei testi.
Il motivo e’ evidentemente destituito di fondamento.
Il Collegio ritiene necessario ribadire che ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dalla L. n. 134 del 2012, il vizio denunciabile e’ limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che e’ stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata cosi’ sostituita la precedente formulazione (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio). La riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. 8053/2014). Pertanto, non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorieta’ delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio e’ deducibile quale violazione della legge processuale ex articolo 132 c.p.c.).
Inoltre la valutazione delle prove, il giudizio sull’attendibilita’ dei testi e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle piu’ idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale e’ libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga piu’ attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimita’ alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448; Cass., Sez. L, sentenza n. 42 del 7 gennaio 2009, Rv. 606413; Cass., Sez. L., sentenza n. 2404 del 3 marzo 2000, Rv. 534557).
Quanto invece alla dedotta violazione di legge, si ricorda che mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115 e’ necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe’ dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).
Poste tali premesse, va altresi’ rimarcato come il motivo di ricorso difetti palesemente del requisito di specificita’ di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui contestando l’erroneo apprezzamento delle prove testimoniali, quanto alla ricorrenza del possesso ultraventennale da parte di alcune delle controparti, riporta parzialmente il tenore solo di alcune delle deposizioni testimoniali, impedendo quindi alla Corte di poter riscontrare l’eventuale fondatezza delle doglianze sulla base della stessa lettura del mezzo di impugnazione.
Va altresi’ evidenziato che la sentenza gravata, nel riconoscere l’intervenuto acquisto per usucapione della servitu’ di passaggio in favore degli appellanti principali ed incidentali, non si e’ limitata alla sola valutazione delle prove testimoniali, ma ha compiuto una complessiva valutazione delle emergenze istruttorie, tra le quali ha attribuito valenza non secondaria anche all’obiettiva conformazione dei luoghi, alle mappe catastali, ai documenti storici, sicche’ appare inevitabilmente destinata al rigetto la censura che si limiti ad esaminare atomisticamente le varie risultanze istruttorie, trascurando per converso la valutazione unitaria e complessiva operata dal giudice di merito.
3. Il secondo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio nonche’ la violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. e articolo 1061 c.c. in relazione al requisito della destinazione delle opere all’esercizio della servitu’. Si sostiene che, pur essendo necessario per l’acquisto per usucapione di una servitu’, il requisito dell’apparenza, tramite opere visibili, permanenti e strumentalmente destinate all’esercizio del peso sul fondo, nella fattispecie non era sufficiente la mera esistenza della strada, ma occorreva altresi’ dimostrare che era posta al preciso ed inequivoco fine di dare accesso ai fondi dominanti attraverso quello servente, e che la strada aveva mantenuto tale destinazione per tutto il tempo utile ad usucapire.
Anche tale motivo va disatteso.
Nel richiamare i limiti alla deducibilita’ del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5 e dell’articolo 116 c.p.c., come esposti in occasione della disamina del motivo che precede, la stessa formulazione del motivo tradisce in piu’ punti come in realta’ la censura sia stata formulata avuto riguardo ancora al vecchio testo della norma processuale, richiamando in piu’ punti l’insufficienza ovvero la carenza della motivazione, e non invece provvedendo ad individuare il fatto di cui sarebbe stata omessa la disamina.
Ed, invero, quanto al requisito dell’apparenza ai fini dell’acquisto a titolo originario della servitu’ di passaggio, va ribadito che (cfr. Cass. n. 24856/2014) lo stesso si connota per la presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al relativo esercizio ed attestanti in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, anche quando tali opere insistano sul fondo dominante o su quello appartenente a terzi, postulandosi comunque il riscontro dell’univocita’ della loro funzione oggettiva rispetto all’uso della servitu’ stessa (conf. Cass. n. 7004/2017), con carattere di stabilita’, essendo esclusa l’idoneita’ a tal fine di opere aventi connotazione precaria (cfr. Cass. n. 25355/2017).
In tale prospettiva, si e’ quindi affermato che (cfr. Cass. n. 12362/2009), poiche’ ai fini della sussistenza del requisito dell’apparenza, richiesto dall’articolo 1061 cod. civ. per l’acquisto delle servitu’ prediali per usucapione, non occorre necessariamente, in materia di servitu’ di passaggio, un “opus manu factum” (ossia un tracciato dovuto all’opera dell’uomo), e’ sufficiente anche un sentiero formatosi naturalmente per effetto del calpestio, qualora esso presenti un tracciato tale da denotare la sua funzione visibile, non equivoca e permanente – di accesso al fondo dominante mediante il fondo servente (in senso conforme si veda anche Cass. n. 15869/2006, che ha ravvisato l’acquisto per usucapione della servitu’ di passaggio, tenuto conto dell’esistenza sul fondo servente del tracciato della strada campestre, che in modo continuativo ed ininterrotto era stata pacificamente utilizzata per accedere, anche con mezzi meccanici, al fondo dominante; Cass. n. 3076/2005).
Nella fattispecie la sentenza gravata, con motivazione adeguata, ha evidenziato che il tracciato della strada sulla quale i controricorrenti rivendicano la servitu’ di passaggio, era obiettivamente destinato a consentire l’accesso ai fondi dominanti, emergendo altresi’ che la sede stradale era stata oggetto di interventi di manutenzione finalizzati ad assicurare il perdurante attraversamento mediante mezzi agricoli, al fine di raggiungere proprio i fondi aventi tale destinazione e di proprieta’ dei convenuti.
Si e’ altresi’ corredata tale valutazione, fondata sullo stato attuale dei luoghi, con una considerazione di carattere storico, rimarcandosi come i pretesi fondi dominanti fossero ab origine interclusi, sicche’ il percorso della servitu’ riconosciuta per usucapione, era inizialmente l’unico modo per consentire ai titolari di raggiungere le loro proprieta’ della pubblica via.
Quanto al cancello cui si fa riferimento in sentenza, e che obiettivamente costituisce un elemento a favore del riscontro del requisito dell’apparenza, infondata appare la contestazione circa l’incertezza che connoterebbe la decisione gravata quanto alla sua individuazione, posto che, pur ammettendo che nella CTU si sia fatto riferimento all’esistenza di tre cancelli, i giudici di appello hanno univocamente fatto riferimento a quello posto all’ingresso dalla pubblica via al nucleo di antica abitazione “(OMISSIS)”, al cui interno trovansi i vari fondi oggetto di causa, e che in passato erano posti in collegamento con la rete viaria pubblica attraverso la sede stradale oggetto di causa, utilizzata anche con mezzi agricoli e meccanici, pur dopo che i fondi dominanti avevano avuto la possibilita’ di un autonomo accesso alla rete stradale pubblica.
4. Il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1027 e 1052 c.c., in relazione all’assenza del requisito dell’utilitas.
Si deduce che tutti i fondi delle controparti oggi godono di un autonomo accesso alla pubblica via, sicche’ non si giustifica il riconoscimento della servitu’ sul fondo dei ricorrenti a titolo di usucapione.
Peraltro lo stesso (OMISSIS) per alcuni mesi aveva recintato la sua proprieta’, cosi’ che per tale periodo di tempo non aveva potuto fruire della servitu’, senza che pero’ gli fosse impedito di raggiungere in altro modo il suo fondo.
Inoltre si sostiene che la sentenza avrebbe assoggettato a servitu’ delle aree pertinenziali dei ricorrenti adibite a cortile, giardino, orto e legnaia, con evidente violazione dell’articolo 1052 c.c..
Anche tale motivo e’ infondato.
Questa Corte ha costantemente affermato che (cfr. Cass. n. 18859/2013) la servitu’ di passaggio costituita per usucapione ha natura di servitu’ volontaria, sicche’, ai fini del relativo acquisto, e’ irrilevante lo stato di interclusione del fondo, dovendosi prescindere dai requisiti per la costituzione ed il mantenimento della servitu’ di passaggio coattivo, desumibili dagli articoli 1051, 1052 e 1055 cod. civ., che regolano detto istituto (conf. Cass. n. 10470/2001).
In tale ottica, la sentenza impugnata ha rilevato che i fondi dominanti, pur dopo essersi muniti di un autonomo accesso alla rete viaria pubblica, avevano tuttavia continuato a servirsi della strada insistente sul fondo dei ricorrenti, traendo un’utilita’ sicuramente suscettibile di rientrare nella previsione di cui all’articolo 1027 c.c. (essendosi peraltro segnalato per il fondo (OMISSIS) – (OMISSIS), il non agevole accesso per i mezzi agricoli dal diverso accesso laterale di cui gode, e che induce quindi a privilegiare tuttora la preesistente strada corrente sul fondo dei ricorrenti).
5. Il quarto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1146 c.c. in relazione al rilievo d’ufficio dell’accessione nel possesso.
Si evidenzia che la sentenza impugnata ha ritenuto che la mancata espressa invocazione dell’accessione nel possesso da parte degli aventi diritto fosse irrilevante, in quanto il giudice ne deve esaminare d’ufficio la ricorrenza, ex articolo 1146 c.c., comma 2, laddove il successore a titolo particolare puo’ sempre unire al suo possesso quello esercitato dai suoi autori.
Nel mezzo di gravame si deduce invece che l’istituto dell’accessio possessionis non opera d’ufficio, ma presuppone che la parte interessata dichiari di volersene avvalere, laddove nel caso di specie non risultava che i coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) avessero inteso fruire della facolta’ concessa dalla legge.
Inoltre l’accessione presuppone che anche il titolo di colui che intenda avvalersi del possesso del proprio dante causa, faccia menzione specifica del diritto che si intende usucapire, e nel caso di specie, quindi, del diritto di servitu’, laddove nella vicenda in esame, non risulta che il titolo dei convenuti contenga un riferimento alla servitu’ di passaggio oggetto di causa.
In relazione a tale ultima deduzione, la censura e’ evidentemente priva di fondamento, occorrendo far richiamo alla piu’ recente giurisprudenza di questa Corte la quale ha sostenuto che (cfr. Cass. n. 18909/2012) l’accessione del possesso della servitu’ a favore del successore a titolo particolare della proprieta’ del fondo dominante, ferma la necessita’ di un titolo astrattamente idoneo a trasferire quest’ultimo, non richiede, ai sensi dell’articolo 1146 c.c., comma 2, l’espressa menzione della servitu’ nel titolo di acquisto (conf. Cass. n. 20287/2008; Cass. n. 10520/2013). Quanto invece al primo profilo, reputa il Collegio che, ancorche’ la norma effettivamente rimetta alla volonta’ dell’acquirente l’unione del proprio possesso a quello del dante causa, il motivo proposto presuppone pero’ una lettura eccessivamente formalista della norma, quasi a voler necessariamente richiedere un’estrinsecazione formale e sacramentale della volonta’ di giovarsi degli effetti della legge.
In tal senso, se non puo’ condividersi l’assunto della Corte d’Appello secondo cui si tratterebbe di effetto sempre rilevabile d’ufficio, poiche’ in tal modo l’ipotesi di cui all’articolo 1146, comma 2 verrebbe parificata a quella di cui al comma 1, dove la continuazione del possesso in favore dell’erede e’ automatica, va tuttavia ritenuto, previa correzione della motivazione della sentenza d’appello, che la stessa prospettazione dei fatti compiuta nel corso del giudizio, laddove si e’ fatto chiaramente riferimento ad un acquisto da parte dei coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) avvenuto appena tre anni prima dell’introduzione del giudizio nel quale e’ stata poi proposta la domanda riconvenzionale di usucapione, denoti la volonta’, quanto meno implicita, degli acquirenti di avvalersi dell’accessione del possesso, unendo al proprio quello gia’ esercitato dal loro dante causa, avendo quindi la Corte d’Appello fatto corretta applicazione della norma di cui si denuncia la violazione.
6. Il quinto motivo di ricorso lamenta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti dimessi in causa.
Si evidenzia che la sentenza di appello ha omesso di apprezzare la mappa dell’istituto geografico del 1970 prodotta dalle interventrici (OMISSIS) e (OMISSIS), che dimostrerebbe l’inesistenza del sedime della strada campestre a tale data.
Il motivo e’ in primo luogo inammissibile in quanto, pur essendo parte ricorrente consapevole della necessita’ di dover applicare alla fattispecie la novellata previsione di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 formula il mezzo di gravame in esame sulla scorta della vecchia formulazione della norma.
In secondo luogo, ed anche a voler ipotizzare una valutazione del motivo proposto alla luce della novella, lo stesso risulta del pari inammissibile, ma alla luce dell’esegesi che delle norme sopravvenute e’ stata offerta dalle Sezioni Unite, essendosi chiarito che (Cass. 8054/2014) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per se’ vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie.
Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha espressamente valutato la vetusta’ della sede stradale interessata dal passaggio oggetto della servitu’, ritenendo che ne sussistesse la prova, sulla scorta sia delle mappe catastali che delle cartine storiche, nonche’ delle prove testimoniali, sicche’ e’ esclusa la possibilita’ di censurare la sentenza invocando semplicemente la mancata valutazione di uno dei molteplici elementi istruttori offerti all’esame del giudice di merito (e cio’ anche a voler soprassedere circa l’inammissibilita’ dell’allegazione nel corpo del ricorso di cinque grafici, asseritamente idonei a riprodurre le varie trasformazioni della zona nel corso degli anni, trattandosi di una modalita’ di produzione documentale inidonea ad eludere la previsione di cui all’articolo 372 c.p.c. in tema di limiti alla produzione documentale in sede di legittimita’, in mancanza di indicazione della precedente produzione degli stessi grafici in occasione dei gradi di merito, con la precisazione della fase nella quale sono stati prodotti ed ove attualmente siano oggi reperibili all’interno del fascicolo).
7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimita’, che si liquidano come da dispositivo.
Nulla a provvedere quanto alle spese nei confronti degli intimati che non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede.
8. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, articolo 1 bis.