deve escludersi la nullità del contratto che contenga la previsione della successiva stipula di un contratto preliminare, allorquando il primo accordo già contenga gli estremi del preliminare. L’assenza di causa potrebbe in tali casi semmai riguardare tutt’al più il secondo, ma non certo il primo contratto.
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Corte d’Appello|Messina|Sezione 1|Civile|Sentenza|31 gennaio 2023| n. 76
Data udienza 22 dicembre 2022
CORTE DI APPELLO DI MESSINA
Prima Sezione Civile
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Messina, Prima Sezione Civile, riunita in camera di consiglio, composta dai sigg.ri magistrati:
Dott.ssa Marisa Salvo Presidente
Dott.ssa Maria Giuseppa Scolaro Consigliere relatore
Dott.ssa Anna Adamo Consigliere
ha emesso la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al n. 747/2018 R.G. vertente:
TRA
(…), nata a Messina il (…) ed ivi residente in via (…), n. 18, C.F. (…), rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall’Avv. (…), del Foro di Messina, presso il cui studio, sito in Messina, Via (…) (studio (…)) ha eletto domicilio;
-Appellante-
CONTRO
(…) S.r.l., in persona del suo rappresentante legale pro tempore, con sede legale in Messina, via (…), C.F. e partita IVA n. (…), iscritta nel registro delle imprese di Messina al n. 213344 REA presso la C.C.I.A.A di Messina, rappresentata e difesa dall’Avv. (…), presso il cui studio, sito in Messina, (…), ha eletto domicilio;
-Appellata-
Oggetto: APPELLO ex art. 702 quater c.p.c. avverso l’ordinanza n. 157/2018 del 24.10.2018 emessa dal Tribunale di Messina (nell’ambito del giudizio n. 3560/2014 R.G.), comunicata via pec dalla Cancelleria al legale dell’appellante in data 26.10.2018;
Conclusioni delle parti
Per l’appellante: a) accertare e dichiarare la nullità della scrittura privata inter partes, recante la data del 27.05.2013, per i motivi in precedenza specificati; b) accertare e dichiarare il diritto della Dott.ssa (…) alla restituzione della somma di Euro 20.000,00, oltre interessi, da parte della (…) S.r.l., in persona del suo rappresentante legale pro tempore, ai sensi dell’art. 2033 c.c. e, per l’effetto, condannare l’appellata alla restituzione della predetta somma, oltre interessi, all’appellante; c) in via subordinata, nella denegata ipotesi di mancato accoglimento della domanda formulata sub precedente lettera b), accertare e dichiarare il diritto dell’appellante ex art.2041 c.c. ad essere indennizzata dalla controparte della somma di Euro 20.000,00, oltre interessi e rivalutazione e, per l’effetto, condannare l’appellata alla corresponsione di detta somma alla Dott.ssa (…); d) condannare l’appellata a rifondere all’appellante le spese e competenze di entrambi i gradi del giudizio”
Per l’appellata: 1) Ritenere e dichiarare inammissibili ed in ogni caso infondate le domande formulate con l’atto introduttivo del giudizio di appello per le ragioni esposte in narrativa; 2) condanna l’appellante al pagamento delle spese e dei compensi di lite, oltre spese generali ed oneri fiscali.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’appellante ha agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina, con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., al fine di sentire dichiarare nullo il “preliminare di preliminare” datato 27.05.2013, relativo all’acquisto a corpo di un appartamento ubicato in Messina, via (…), sito alla quinta elevazione f.t., prospiciente la via (…), settima elevazione f.t. prospiciente la via (…), indicato come appartamento 4/B destinato a civile abitazione, compreso posto auto e cantina, per un importo di Euro 360.000,00, oltre IVA.
La (…) deduceva di avere in virtù di tale scrittura corrisposto alla (…) S.r.l. la somma di Euro 20.000,00, con assegno di c/c n. 8219928914-02, recante la data del 04.06.2013, tratto sulla (…) Agenzia di Messina.
In particolare, ha evidenziato la ricorrente come tale proposta di acquisto irrevocabile, che rappresentava un impegno a sottoscrivere un preliminare di compravendita e non un contratto definitivo, per ormai consolidata giurisprudenza doveva considerarsi nulla per mancanza di causa, in quanto non sorretta da alcun effettivo interesse, meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Ha anche dedotto il mancato rilascio e consegna della fidejiussione da parte della società conduttrice, prevista dall’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 20 giugno 2005, n. 122.
Ha quindi chiesto la ripetizione dell’indebito oggettivo, ex art. 2033 c.c., avente ad oggetto la restituzione della somma di Euro. 20.000,00 oltre interessi.
In via subordinata ha chiesto che venisse accertato e dichiarato l’indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. della resistente al fine di ottenere l’indennizzo corrispondente alla somma versata.
In tale giudizio si è costituita la società resistente, sostenendo la validità ed efficacia dell’atto e conseguentemente l’infondatezza della domanda.
Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Messina rigettava la domanda della ricorrente, prendendo atto del mutamento giurisprudenziale intervenuto in materia di nullità del “preliminare di preliminare” a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr. sent. 4628/2015) che hanno chiarito che “La stipulazione di un contratto preliminare di preliminare (nella specie, relativo ad una compravendita immobiliare), ossia di un accordo in virtù del quale le parti si obblighino a concludere un successivo contratto che preveda anche solamente effetti obbligatori (e con l’esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento) è valido ed efficace, e dunque non è nullo per difetto di causa, ove sia configurabile un interesse delle parti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto, fondata su una differenziazione dei contenuti negoziali, e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, è idonea a fondare, per la mancata conclusione del contratto stipulando, una responsabilità contrattuale da inadempimento di una obbligazione specifica sorta nella fase precontrattuale.
Con atto di appello tempestivamente notificato alla controparte, GERESIA impugnava la suddetta ordinanza.
Sosteneva a sostegno del gravame:
1. La nullità della scrittura del 27.05.2013, intesa quale “proposta irrevocabile di acquisto immobile” per mancanza di causa. Sostiene l’appellante che, preso atto della pronuncia delle Sezioni Unite richiamata nell’ordinanza impugnata, il giudicante avrebbe dovuto considerare la “proposta irrevocabile” de qua alla stregua di “un preliminare che comprende già tutti gli elementi che andrebbero ad essere focalizzati nell’ulteriore programmato preliminare di identico contenuto: generalità delle parti, promessa della ricorrente ed accettazione della proposta della controparte (lo stesso giorno della redazione dell’atto), descrizione dell’immobile, dichiarazione ed impegno del venditore, prezzo di acquisto e condizioni di pagamento, tempi previsti per la redazione dell’atto pubblico, oneri fiscali, etc.. ” da cui sarebbe derivata la “nullità della scrittura privata interpartes, recante la data del 27.05.2013, per mancanza di causa”.
2. Mancato rilascio e consegna della fidejussione da parte della società costruttrice, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 20 giugno 2005, n. 122 a norma del quale:
“All’atto della stipula di un contratto che abbia come finalità il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire o di un atto avente le medesime finalità, ovvero in un momento precedente, il costruttore è obbligato, a pena di nullità del contratto che può essere fatta valere unicamente dall’acquirente, a procurare il rilascio ed a consegnare all’acquirente una fidejussione, anche secondo quanto previsto dall’art. 1938 del codice civile, di importo corrispondente alle somme e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore ha riscosso e, secondo i termini e le modalità stabilite nel contratto, deve ancora riscuotere prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento…”.
3. La natura vessatoria della clausola che prevedeva il versamento della somma di Euro. 20.000,00 a titolo di prenotazione e che è stata inopinatamente trattenuta dalla controparte, come tale affetta da nullità, rilevabile anche ex officio, per effetto dell’art. 36 del D.Lgs. n. 206/2005.
4. L’omesso accoglimento della domanda di indebito oggettivo e, in subordine, di arricchimento senza causa.
Chiedeva, quindi, l’accoglimento delle conclusioni come sopra riportate.
Con comparsa di risposta depositata in data 13.03.2019 si costituiva la (…) a.r.l., la quale eccepiva in prima battuta l’inammissibilità dell’atto di appello per carenza del requisito della specificità ex art. 342 c.p.c. e nel merito chiedeva la conferma dell’impugnata ordinanza.
Con ordinanza emessa in data 01.04.2019, la Corte di Appello, rilevato che la causa non era soggetta al “filtro” di ammissibilità, rinviava per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 20.07.2020.
Dopo alcuni rinvivi d’ufficio, preso atto dell’intervenuta costituzione di nuovo procuratore nell’interesse di (…), a seguito del decesso del precedente avvocato, all’udienza del 27.06.2022, (svoltasi in modalità cartolari) la causa veniva assunta in decisione con concessione di termini per il deposito di comparse conclusionali (60 gg) e di memorie di repliche (gg. 20).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare va ritenuta l’ammissibilità dell’atto di appello, dovendosi sul punto ritenere infondata l’eccezione proposta dall’appellato nella comparsa di costituzione in questo grado di giudizio avuto riguardo alla presunta violazione del disposto di cui all’art. 342 c.p.c.
Invero, secondo condivisibile giurisprudenza di legittimità “l’art. 342 comma I c.p.c., come novellato dall’art. 54 del d.l n. 83 del2012 (conv. Con modif. dalla l.n. 134 del2012) non esige lo svolgimento di un “progetto alternativo di sentenza “, né una determinata forma, né la trascrizione integrale o parziale della sentenza appellata, ma impone all’appellante di individuare, in modo chiaro ed inequivoco, il “quantum appellatum” formulando, rispetto alle argomentazioni adottate dal primo giudice pertinenti ragioni di dissenso che consistono, in caso di censure riguardanti la ricostruzione dei fatti, nell’indicazione delle prove che si assumono trascurate o malamente valutate ovvero, per le doglianze afferenti questioni di diritto, nella specificazione della norma applicabile o della interpretazione preferibile, nonché, in relazione a denunciati “errores in procedendo”, nella precisazione del fatto processuale e della diversa scelta che si sarebbe dovuta compiere”. (Sez. 3 Ord. N.10916 del 05/05/2017).
Al riguardo, è sufficiente, quindi, osservare che l’art. 342 c.p.c., nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito nella l. n. 134 del 2012, ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame, non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il “quantum appellatum”, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata. (Cass. Civ., sez. lav., 05/02/2015, n. 2143).
Nella specie, risultano sufficientemente indicate tanto le parti della motivazione ritenute erronee quanto le ragioni poste a fondamento delle critiche e la loro rilevanza al fine di confutare la decisione impugnata, come, peraltro, dimostra la circostanza che la stessa appellata è stata in grado di predisporre una congrua difesa.
2. Ancora, in via preliminare, occorre rilevare che l’eccezione di tardività del deposito della comparsa conclusionale da parte dell’appellata, contenuta nella memoria di replica dell’appellante, pur essendo fondata, non avendo la parte rispettato il termine perentorio di cui all’art. 190 c.p.c., come richiamato in fase di appello dall’art. 352 c.p.c. per il deposito delle proprie difese conclusive, non ha leso alcuna prerogativa difensiva, contenendo la suddetta comparsa solo il richiamo alle posizioni assunte nel corso del gravame, senza alcuna nuova argomentazione di fatto e di diritto.
Invero, l’art 190, comma 2, c.p.c., prescrivendo che le comparse conclusionali devono contenere le sole conclusioni già precisate dinanzi al giudice istruttore e il compiuto svolgimento delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano, mira ad assicurare che non sia alterato, nella fase decisionale del procedimento, in pregiudizio dei diritti di difesa della controparte, l’ambito obiettivo della controversia, quale precisato nella fase istruttoria.
In ogni caso, in ragione dell’eccepita tardività, di essa non si terrà conto ai fini della presente decisione.
3. Passando al merito della controversa, occorre chiarire che essa ruota attorno alla qualificazione giuridica che si intende attribuire alla scrittura oggetto di contestazione e alle valutazioni che si impongono in termini di sua validità ed efficacia.
A questo proposito è noto che nel valutare se l’intesa raggiunta dai contraenti abbia ad oggetto un atto contenente un regolamento del rapporto vincolante tra le parti ovvero un documento con funzione meramente preparatoria di un futuro negozio, il giudice può fare ricorso ai criteri dettati dall’art. 1362 c.c. e ss., i quali mirano a consentire la ricostruzione della volontà delle parti, operazione che non assume carattere diverso quando sia questione, invece che di stabilirne il contenuto, di verificare anzitutto se le parti abbiano inteso esprimere un assetto d’interessi giuridicamente vincolante, dovendo il giudice accertare, al di là del nomen iuris e della lettera dell’atto, la volontà negoziale con riferimento sia al comportamento, anche successivo, comune delle parti, sia alla disciplina complessiva dettata dalle stesse, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre. Il relativo accertamento è riservato al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione (Cass. n. 2720/2009; n. 14006/2017).
Va inoltre rilevato, che come già osservato dal giudice di primo grado “Nel caso di specie entrambe le parti nei propri atti introduttivi (ricorso e comparsa di risposta) concordano sul fatto che l’atto di cui si disquisisce non costituisse esso stesso contratto preliminare atteso che, alla fine dell’atto medesimo, le parti hanno precisato che “La presente proposta si perfezionerà alla firma del contratto preliminare”.
Premesso che, come detto, in ottemperanza ai criteri fissati dall’art. 1362 c.c. secondo i quali nell’interpretazione del contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole, nel caso di specie l’espresso intendimento delle parti di procedere da lì a breve alla stipula del contratto preliminare non lascia adito a dubbio alcuno circa il fatto che l’atto in esame non contenesse gli estremi pattizi e giuridici per essere qualificato esso stesso come contratto preliminare, arrestandosi ad una fase procedimentale precedente avente come effetto obbligatone la stipula del successivo preliminare di compravendita, secondo lo schema del c.d. “preliminare di preliminare”.
Orbene, sulla scia della sentenza delle Sezioni Unite richiamate nella decisione di primo grado (Cfr. Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza n. 4628 del 06.03.2015), si è ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’orientamento a sostegno della validità del preliminare di preliminare. Si è, invero, sostenuto che “la stipulazione di un contratto preliminare di preliminare, in virtù del quale le parti si obbligano a concludere un successivo contratto che preveda soltanto effetti obbligatori (nella specie, relativo ad una compravendita immobiliare), ha natura atipica ed è valido ed efficace, ove sia configurabile un interesse delle parti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto, perché la procedimentalizzazione delle fasi contrattuali non può essere considerata, di per sé, connotata da disvalore, se intesa a comporre un complesso di interessi che sono realmente alla base dell’operazione negoziale; la violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, è idonea a fondare una responsabilità contrattuale da inadempimento di una specifica obbligazione sorta nella fase precontrattuale (Cfr. Cassazione civile, Sez. 2 – , Sentenza n. 26484 del 17/10/2019).
Ha pure precisato la Suprema Corte di Cassazione, però, che “dietro la stipulazione contenente la denominazione di “preliminare del preliminare” (nel senso che la conclusione dell’accordo precede la stipula del contratto preliminare) si possono dare situazioni fra loro differenti, che delineano sia figure contrattuali atipiche (…), ma alle quali corrisponde una “causa concreta” meritevole di tutela; sia stadi prenegoziali molto avanzati, cui corrisponde un vincolo obbligatorio di carattere ancora prenegoziale (almeno fra le parti del contratto in relazione al quale si assuma un impegno volto alla successiva stipula di un contratto preliminare) che vede intensificato e meglio praticato l’obbligo di buona fede di cui all’art. 1337 c.c.”
Riconosce in ogni caso la Corte che, in linea di massima, la previsione di dover dar vita, in futuro, all’assunzione dell’obbligo contrattuale nascente dal contratto preliminare, può essere sintomatica del fatto che le parti hanno consapevolezza che la situazione non è matura per l’assunzione del vincolo contrattuale vero e proprio. Ciò può dipendere segnatamente in relazione al grado di conoscenza di tutti gli elementi di fatto che occorre aver presenti per manifestare la volontà il cui incontro dà vita all’accordo vincolante consacrato nel contratto preliminare.
Affermano le Sezioni Unite “non v’è motivo per giudicare inammissibili procedimenti contrattuali graduali, la cui utilità sia riscontrata dalle parti con pattuizioni che lasciano trasparire l’interesse perseguito, in sè meritevole di tutela, a una negoziazione consapevole e informata ” ed aggiungono che “le posizioni di coloro che pongono l’alternativa “preliminare o definitivo” amputano le forme dell’autonomia privata, sia quando vogliono rintracciare ad ogni costo il contratto preliminare in qualunque accordo iniziale, sia quando ravvisano nel c.d. preliminare chiuso il contratto definitivo, passibile soltanto di riproduzione notarile. La procedimentalizzazione delle fasi contrattuali non può di per sè essere connotata da disvalore, se corrisponde a “un complesso di interessi che stanno realmente alla base dell’operazione negoziale”.
Specifica, ancora la Corte che “se ci si libera dell’ipotesi in cui appare che il primo contratto è già il contratto preliminare e che il secondo è, al più, solo la sua formalizzazione per la trascrizione, restano due “sequenze” variabili che si avvicinano: A) quella delle mere puntuazioni in cui le parti hanno solo iniziato a discutere di un possibile affare e senza alcun vincolo fissano una possibile traccia di trattative. In questa ipotesi, quanto maggiore e specifico è il contenuto, tanto più ci si avvicina al preliminare. B) Quella in cui il contratto non è ancora un vero preliminare, ma una puntuazione vincolante sui profili in ordine ai quali l’accordo è irrevocabilmente raggiunto, restando da concordare secondo buona fede ulteriori punti. Si tratta di un iniziale accordo che non può configurarsi ancora come preliminare perché mancano elementi essenziali, ma che esclude che di quelli fissati si torni a discutere. In questa ipotesi man mano che si impoverisce il contenuto determinato ci si allontana dal preliminare propriamente detto. b1) Occorre qui ulteriormente ricordare la distinzione con l’ipotesi in cui la previsione del secondo preliminare esprime soltanto che la situazione conoscitiva delle parti non è tale da far maturare l’accordo consapevole, ma si vuole tuttavia “bloccare l’affare”, anche a rischio del risarcimento del danno negativo in caso di sopravvenuto disaccordo.
Ciò che conta chiarire è che, all’interno di una gamma di situazioni che ricevono risposte diverse, quelle contrassegnate sotto la lettera b sono riconducibili a una fase sostanzialmente precontrattuale, in cui la formazione del vincolo è limitata a una parte del regolamento. La violazione di queste intese, perpetrata in una fase successiva rimettendo in discussione questi obblighi in itinere che erano già determinati, da luogo a responsabilità contrattuale da inadempimento di un’obbligazione specifica sorta nel corso della formazione del contratto, riconducibile alla terza delle categorie considerate nell’art. 1173 c.c., cioè alle obbligazioni derivanti da ogni fatto o atto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.
Precisate tali coordinate giuridiche, ritiene la Corte di Appello che il caso in esame sia sussumibile in una delle ipotesi rientranti nell’elencazione di cui alla lett. B) della citata autorevole pronuncia, trattandosi di un contratto sorto come proposta irrevocabile di acquisto, contenente la firma per accettazione del “venditore”, in cui la proponente dopo aver indicato alcuni dei punti sui quali con l’accettazione della controparte deve ritenersi essere stato raggiunto l’accordo, come ad esempio il prezzo di acquisto (la cui vincolatività tra le parti fino alla successiva fase contrattuale, giustifica ed arricchisce di causa l’atto in questa fase stipulato, valendo a bloccarlo, vincolo che giustifica la corresponsione quale corrispettivo dell’assegno di Euro. 20.000,00, a titolo di “prenotazione”), ha rimandato alla successiva stipula del preliminare di compravendita (evocato nel corpo dell’atto anche per ancorare alla sua firma il versamento dell’importo più consistente del pagamento: cfr. condizioni di pagamento, art. 3, lett. b): “Euro 100.000,00 (centomila) alla stipula del preliminare di vendita con assegno circolare non trasferibile, che dovrà avvenire entro il 04.06.2013”) la fissazione degli altri accordi e l’assunzione ad opera di entrambe le parti dell’obbligo giuridico di concludere il contratto definitivo, azionabile ai sensi dell’art. 2932 c.c..
Si tratta, quindi, a tutti gli effetti di un contratto che non è ancora un vero preliminare, ma una puntuazione vincolante sui profili in ordine ai quali l’accordo era irrevocabilmente raggiunto, da ritenersi valido ed efficace tra le parti.
La vincolatività di tale proposta fino alla stipula del preliminare che sarebbe dovuto avvenire entro il 04.06.2013, ossia a distanza di soli otto giorni dalla firma dell’atto, rende l’assetto economico degli accordi così intercorsi conforme al variegato sistema come sopra delineato in quanto all’evidenza corrispondente al complesso degli interessi delle parti nel caso specifico ed è immune, a giudizio della Corte, da censure di nullità sotto il profilo della mancanza di causa.
Del resto, la tesi dell’appellante, che in questa fase ha invocato una diversa qualificazione giuridica della scrittura privata del 27.05.2013, rispetto a quella dalla stessa parte propugnata nell’atto introduttivo del giudizio, ossia quale “preliminare che comprende già tutti gli elementi che andrebbero ad essere focalizzati nell’ulteriore programmato preliminare di identico contenuto” (cfr. pag. 11 dell’atto di appello) oltre a scontrarsi in punto di fatto con gli elementi sopra evidenziati, per stessa espressa volontà contenuta nella medesima scrittura, non porterebbe -in applicazione dei principi espressi dalle citate SS.UU – al risultato di ritenere nulla la citata scrittura, ma semmai del successivo contratto preliminare (da ritenersi in tal caso mera ripetizione del primo) ove mai fosse stato concluso.
Invero, secondo la richiamata giurisprudenza di legittimità, alla quale questa Corte intende aderire (Cfr. citata Cass. S.U. 4628/2015) deve escludersi la nullità del contratto che contenga la previsione della successiva stipula di un contratto preliminare, allorquando il primo accordo già contenga gli estremi del preliminare. L’assenza di causa potrebbe in tali casi semmai riguardare tutt’al più il secondo, ma non certo il primo contratto.
Le superiori argomentazioni evidenziano l’infondatezza oltre che del primo motivo di gravame, anche del secondo.
La norma invocata dall’appellante, art. 2, comma 1, del D.Lgs. 20 giugno 2005, n. 122 secondo la quale “All’atto della stipula di un contratto che abbia come finalità il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire o di un atto avente le medesime finalità, ovvero in un momento precedente, il costruttore è obbligato, a pena di nullità del contratto che può essere fatta valere unicamente dall’acquirente, a procurare il rilascio ed a consegnare all’acquirente una fidejussione, anche secondo quanto previsto dall’art. 1938 del codice civile, di importo corrispondente alle somme e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore ha riscosso e, secondo i termini e le modalità stabilite nel contratto, deve ancora riscuotere prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento…” trova, invero, applicazione solo al momento della stipula del contratto preliminare definitivo, mai avvenuta nel caso di specie, come ampiamente sopra esposto e pacificamente ammesso dalle parti.
Allo stesso modo è da ritenersi infondata, alla luce della superiore disquisizione circa la sussistenza di una giusta causa a fondamento della “prenotazione” dell’affare, la censura, per la prima volta introdotta in appello, secondo la quale la clausola che prevedeva il versamento della somma di Euro. 20.000,00 a titolo di prenotazione sarebbe affetta da nullità rilevabile d’ufficio, in quanto asseritamente avente natura vessatoria ai sensi dell’art. 36 D.Lgs. 2016/2005 (cd. Codice del Consumo).
Secondo il disposto di cui all’art. 36, comma 2, del D.Lgs. 206/2005 richiamato dall’appellante “Sono nulle le clausole che, quantunque oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di: a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista; b) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; c) prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto”. Il comma 3 del citato art. 36 prevede “La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”.
Ebbene, nessuna di tali previsioni investe il contratto de quo. Né alcuna prova vi è che l’appellante abbia aderito a clausole che non avrebbe avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto. Al contrario la narrazione della vicenda processuale e la lettura dell’atto in questione escludono la preordinata predisposizione dell’atto ad opera dell’appellato che si è limitato ad accettare la proposta di acquisito formulata da controparte.
Non possono trovare accoglimento, infine, le doglianze relative al rigetto della domanda di ripetizione di indebito oggettivo, fondate sull’asserita nullità della scrittura privata del 27.05.2013, vizio dell’atto che è stato ritenuto insussistente, sicché deve ribadirsi in questa sede la carenza del presupposto dell’assenza di un valido titolo giustificante lo spostamento patrimoniale.
Analogamente infondata si appalesa l’azione di arricchimento senza causa difettandone i presupposti costitutivi. E’ noto, invero, che ai fini dell’esercizio dell’azione generale di arricchimento, ai sensi dell’art. 2041 c.c., è richiesta la dimostrazione che il soggetto beneficiario non ha alcun titolo giuridico valido ed efficace per giovarsi di quanto corrisponde al depauperamento subito dall’istante, situazione non riscontrabile dalla giurisprudenza di legittimità ad esempio quando “l’attribuzione abbia avuto luogo in virtù di una disposizione di legge o di impegni unilaterali assunti dal soggetto depauperato” (cfr. Cassazione civile, 07 agosto 2009, n. 18099).
Si è così sostenuto che “L’azione generale di arricchimento ha come presupposto che la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro sia avvenuta senza giusta causa, per cui, quando questa sia invece la conseguenza di un contratto o comunque di un altro rapporto, non può dirsi che la causa manchi o sia ingiusta, almeno fino a quando il contratto o l’altro rapporto conservino la propria efficacia obbligatoria” (Cfr. Cassazione civile, 28 gennaio 2013, n. 1889, conf. Cassazione civile, 31 gennaio 2008, n. 2312).
L’appello non merita, pertanto, accoglimento.
4. Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico di parte appellante, in favore dell’appellato costituito, liquidandole sulla base dei parametri di cui al D. M. n. 55/2014, come parzialmente modificato da ultimo con D. M. n. 147/2022 (in vigore dal 23 ottobre 2022), qui applicabile ratione temporis (secondo l’art. 6 del citato D.M. 147/22 “le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore”) avuto riguardo alla data della decisione. Ciò, peraltro, risulta in linea con il principio affermato dalla Suprema Corte, parametrandolo alle precedenti modifiche, cui va data continuità in questa sede, secondo il quale “in tema di spese processuali, i parametri introdotti dal D. M. n. 55 del 2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidatone giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorché la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purché a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata. Ne consegue che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto D. M., non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado; nondimeno, in caso di riforma della decisione, il giudice dell’impugnazione, investito ai sensi dell’art. 336 c. p. c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d’appello, atteso che l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza” (Cass. Civ. n. 31884/2018).
Ne discende che nel presente giudizio, avuto riguardo al valore della controversia determinato in base alla domanda e applicando i valori medi, da ritenersi adeguati rispetto all’entità delle questioni trattate, tali compensi possono essere liquidati in complessivi Euro 3.966,00 (di cui Euro 1.134,00 per la fase di studio della controversia, Euro 921,00 per la fase introduttiva e Euro 1.911,00 per la fase decisionale (non rilevandosi prestazioni effettivamente riconducibili alla fase istruttoria), oltre rimborso forfettario spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA come dovuta per legge.
A termini dell’art. 13 del T.U. n. 115 del 30.5.2002 e modif succ. (ed in particolare in riferimento a quella dettata dall’art. 17 della legge n. 228 del 24.12.2012, cd. “di stabilità” per l’anno 2013), secondo cui “… quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis …”, questa Corte dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente, con l’avvertenza che l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Messina, Prima Sezione Civile, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunziando sull’appello proposto ex art. 702 quater c.p.c. da (…), sopra generalizzata, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Messina n. 157/2018 del 24.10.2018, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede:
– Rigetta l’appello;
– Condanna l’appellante al pagamento in favore dell’appellata delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessive Euro. 3.966,00 a titolo di compensi professionali (come in parte motiva ripartiti), oltre rimborso forfettario spese generali nella misura del 15%, ed IVA CPA come per legge.
– dà atto che sussistono i presupposti perché la parte appellante, in quanto soccombente ut supra, versi un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, con avvertenza per cui “… l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito …” della presente pronuncia.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito.
Così deciso in Messina nella camera di consiglio del 22 dicembre 2022.
Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2023.
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