Nella vendita a catena di beni di consumo, ai sensi del Decreto Legislativo n. 206 del 2005, articolo 131 il cliente finale (consumatore) non puo’ agire direttamente verso uno qualsiasi dei soggetti della catena distributiva, ma deve necessariamente rivolgersi al suo immediato venditore (venditore finale), ultimo anello della detta catena e suo dante causa. Ove manchi l’indicazione del fabbricante, la disciplina di settore intende come venditore finale anche la casa distributrice. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 224 del 1988, articolo 3, comma 4 e’ sottoposto alla stessa responsabilita’ del produttore chiunque, nell’esercizio di un’attivita’ commerciale, importi nella Comunita’ Europea un prodotto per la vendita, la locazione, la locazione finanziaria, o qualsiasi altra forma di distribuzione, e chiunque si presenti come importatore nella Unione Europea apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione. La parte chiamata a rispondere nei confronti del consumatore quale responsabile per la circolazione di un prodotto viziato all’origine, qualora invochi la propria carenza di legittimazione pur essendo un soggetto coinvolto nella catena di vendita del prodotto, ha l’onere di indicare il soggetto legittimato ai sensi della legge che regola il settore, non potendosi limitarsi a fondare l’eccezione sulla affermazione di non essere produttore o diretto rivenditore, fatto di per se’ irrilevante ove risulti essere stata l’ultimo anello della catena di distribuzione del prodotto sul territorio nazionale.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 18 gennaio 2019, n. 1278
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20107-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del Procuratore Speciale Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 20153/2016 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il 11/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/10/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.
RILEVATO
CHE:
1. Con ricorso del 30/8/2016 il ricorrente (OMISSIS) impugna la sentenza di appello del Tribunale di Bologna, n. 20153/16, pubblicata il 11/02/2016, emessa ai sensi dell’articolo 281 sexies c.p.c., con la quale, dopo avere affermato la sussistenza della legittimazione passiva della societa’ convenuta (OMISSIS) S.p.A., in quanto distributrice per l’Italia di autovetture, e’ stata respinta la domanda dell’attore appellante volta ad affermare la responsabilita’ della societa’ per vizi all’origine del prodotto.
2. La domanda, proposta in prime cure innanzi al Giudice di Pace di Bologna, e’ tesa ad ottenere il risarcimento dei danni da “prodotto viziato all’origine” per il difetto occulto evidenziatosi sulla frizione della autovettura Toyota, mod. RAV, acquistata il 1.04.2004, constatato solo in seguito alla rottura improvvisa intervenuta il 4.03.2009 durante una gita in montagna, nonostante l’auto avesse percorso ” appena 31.756 km dalla data dell’acquisto”; l’attore qui ricorrente ha chiesto il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni equivalenti alle spese effettuate per la sostituzione ai sensi degli articoli 130-132 cod. consumo e il danno da “vacanza rovinata” ex articolo 2043 c.c.. Il Giudice di Pace, in data 28 novembre 2014, ha rigettato la domanda ritenendo che la societa’ convenuta non fosse legittimata a partecipare al giudizio.
Il Tribunale, adito in seguito a impugnazione dell’attore, ha riformato la pronuncia del Giudice di Pace affermando la sussistenza della legittimazione passiva della societa’ convenuta, quale mandataria della casa produttrice per la distribuzione delle vetture Toyota sul territorio italiano, e nel merito ha rigettato la domanda per intervenuta prescrizione e per difetto di prova del vizio originario.
3. Il ricorso e’ affidato a sei motivi di censura, cui la societa’ distributrice della vettura resiste con controricorso notificato, per eccepire la non rilevata inammissibilita’ dell’appello per mancato rispetto dei requisiti di cui all’articolo 342 c.p.c., nonche’ la carenza della propria legittimazione passiva, affermata dal Tribunale; nel merito deduce l’infondatezza dell’ impugnazione. Parte ricorrente ha prodotto memoria.
RITENUTO
CHE:
1. Debbono preliminarmente vagliarsi le eccezioni preliminari sollevate dalla societa’ controresistente.
1.1. Le eccezioni sono inammissibili.
1.2. La controricorrente, distributrice della Toyota per l’Italia, deduce preliminarmente l’inammissibilita’ dell’appello, non proposto in rispetto dei requisiti di cui all’articolo 342 c.p.c.. La deduzione e’ inammissibile per difetto di allegazione del vizio processuale nella forma del ricorso incidentale, essendo una questione oggetto d’impugnazione ex articolo 371 c.p.c. non rilevabile d’ufficio dal Giudice di legittimita’.
1.3. La controricorrente, poi, reitera l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, per essere un semplice distributore e non il concessionario rivenditore dell’auto.
Trattandosi di una questione attinente alla carenza di legittimazione passiva della parte citata, delibabile in tale sede perche’ questione attinente alla legitimatio ad causam, come tale rilevabile d’ufficio, occorre tuttavia osservare che la legittimazione della societa’, chiamata a rispondere in virtu’ della responsabilita’ da vizio del prodotto, si fonda sulla circostanza che essa risulta distributrice per l’Italia delle auto con marchio “Toyota”.
Nella vendita a catena di beni di consumo, ai sensi del Decreto Legislativo n. 206 del 2005, articolo 131 il cliente finale (consumatore) non puo’ agire direttamente verso uno qualsiasi dei soggetti della catena distributiva, ma deve necessariamente rivolgersi al suo immediato venditore (venditore finale), ultimo anello della detta catena e suo dante causa.
Ove manchi l’indicazione del fabbricante, la disciplina di settore intende come venditore finale anche la casa distributrice.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 224 del 1988, articolo 3, comma 4 e’ sottoposto alla stessa responsabilita’ del produttore chiunque, nell’esercizio di un’attivita’ commerciale, importi nella Comunita’ Europea un prodotto per la vendita, la locazione, la locazione finanziaria, o qualsiasi altra forma di distribuzione, e chiunque si presenti come importatore nella Unione Europea apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione.
La parte chiamata a rispondere nei confronti del consumatore quale responsabile per la circolazione di un prodotto viziato all’origine, qualora invochi la propria carenza di legittimazione pur essendo un soggetto coinvolto nella catena di vendita del prodotto, ha l’onere di indicare il soggetto legittimato ai sensi della legge che regola il settore, non potendosi limitarsi a fondare l’eccezione sulla affermazione di non essere produttore o diretto rivenditore, fatto di per se’ irrilevante ove risulti essere stata l’ultimo anello della catena di distribuzione del prodotto sul territorio nazionale (v. anche Cass. 26514/2009, confermata da Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 18610 del 27/07/2017).
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli articoli 1387 e 1388 c.c. e degli articoli 132 e 135 codice del consumo, nonche’ degli articoli 1495 e 2944 c.c., laddove la sentenza, dichiarando l’intervenuta prescrizione del diritto, ha erroneamente escluso che l’officina in cui e’ stata riparata la vettura abbia operato un riconoscimento del vizio in rappresentanza della convenuta, fatto da cui deriverebbe I’ interruzione del termine breve di prescrizione che il Giudice ha ritenuto invece essere inutilmente decorso.
2.1. Il motivo e’ inammissibile.
2.2. Il Tribunale ha dato atto del fatto che in atti sia mancata prova del riconoscimento di un vizio occulto, in quanto l’officina, per quanto agisse in rappresentanza della parte convenuta, ha solo effettuato la riparazione, e il riconoscimento del vizio non puo’ evincersi dalla semplice constatazione della “rottura della frizione”, probante il danno lamentato, ma non il vizio originario del prodotto.
In particolare, le circostanze del caso non sono state ritenute idonee e sufficienti per inferire nel comportamento assunto un riconoscimento implicito di un vizio occulto nell’auto portata in riparazione, riconducibile alla societa’ distributrice.
Sebbene il vizio possa essere implicitamente ammesso dal venditore (e in tal senso il principio e’ stato espresso in molte pronunce di questa Corte in materia di vendita o di appalto, v. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23970 del 2013, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23970 del 2013; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7301 del 2010; SSUU 21-06.2005, n. 13294; Cass. 10288 del 16/07/2002; Cass. n. 27125 del 19/12/2006; Cass. n. 6641 del 12/06/1991), il Tribunale ha tuttavia escluso che nell’attivita’ di riparazione effettuata vi siano indici di una volonta’ di riconoscere il vizio che, in ogni caso, avrebbe dovuto provenire dalla casa madre produttrice, e non gia’ dall’officina autorizzata, che si e’ limitata ad effettuare la riparazione dell’ auto andata in avaria.
Tale giudizio, non contrastato da elementi contro-fattuali di rilievo, risulta del tutto insindacabile in sede di legittimita’. Sul punto si veda Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2329 del 23/10/1961, ove ha sostenuto che tale giudizio postula, per ciascun caso concreto, un apprezzamento di fatto rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, la cui pronuncia si sottrae ad ogni sindacato di legittimita’ se immune da vizi logici o errori di diritto “(v. anche Cass. n. 27448 del 13/12/2005; Cass. n. 7830 del 19.05.2003).
3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione articolo 112, 115, 132 cod. con. e articolo 135 cod. cons. ove il Giudice ha ritenuto incontestato che non vi fosse stato doloso occultamento del vizio, sull’assunto che abbia omesso di considerare che in sede di revisione la Toyota non ha rilevato il vizio, mentre un’officina non autorizzata aveva gia’ rilevato la presenza del vizio alla frizione.
Il terzo motivo attiene alla omessa pronuncia circa la domanda di accertamento del doloso occultamento del vizio, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Il quarto motivo attiene alla mancata considerazione del maggiore termine di prescrizione ex articolo 2043 c.c. ed ex articolo 2947 c.c., ex articolo 360 c.p.c., n. 3.
Il quinto motivo attiene al vizio di omessa pronuncia in relazione alle domande di risarcimento da “vacanza rovinata”, comunque proposte, le cui pretese sono soggette a un termine di prescrizione piu’ ampio dei 24 mesi presi in considerazione, in violazione dell’articolo 132 c.p.c., ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4.
Il sesto motivo attiene all’illegittimo rigetto delle istanze istruttorie, in violazione dei diritti processuali correlati all’onere della prova, e con esso si denuncia che la sentenza ha ritenuto sussistere una presunzione di assenza di vizio originario nella vettura, del tutto errata, non essendo stato considerato che nei cinque anni di utilizzo la vettura aveva percorso solo trentamila chilometri, ex articolo 360 c.p.c., nn. 3- 4.
3.1. I motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili perche’ non sono in grado di colpire la seconda ratio decidendi resa dal Giudice a quo in merito alla mancata prova del vizio all’ origine, la critica della quale e’ stata del tutto pretermessa dal ricorrente.
In tema di impugnazione, qualora la sentenza del giudice di merito (o un capo di questa) si fondi su piu’ ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una sola di tali ragioni, determina l’inammissibilita’, per difetto d’interesse, anche del gravame (o del motivo di gravame) proposto avverso le altre, in quanto l’avvenuto accoglimento del ricorso (o del motivo di ricorso) non inciderebbe sulla “ratio decidendi” non censurata, onde la sentenza resterebbe pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa (Cassazione Sez. 3 -, Ordinanza n. 15399 del 13/06/2018; Sez. 1, Sentenza n. 21431 del 12/10/2007; Sez. 1, Sentenza n. 2811 del 08/02/2006).
3.2. In particolare, l’argomentazione centrale del Giudice riposa sulla mancata prova del vizio all’origine che, tuttavia, rappresenta una ratio decidendi non adeguatamente censurata con riferimento ai requisiti di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 4.
3.3. Sotto il profilo sia della responsabilita’ del produttore regolata dall’articolo 130 cod. cons., sia dell’azione esperita ai sensi dell’articolo 2043 c.c., soggetta al normale termine di prescrizione, rileva osservare che il Tribunale ha ritenuto che sia mancata la dimostrazione dell’esistenza di un “difetto” del prodotto all’origine, incombendo comunque sul danneggiato la dimostrazione del collegamento causale, non gia’ tra il prodotto e il danno, bensi’ tra “difetto e danno”. (v. Sez. 3, Sentenza n. 13458 del 29/05/2013; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 12665 del 23/05/2013; Cass. 15 marzo 2007, n. 6007;).
Nel concetto di danno-conseguenza da prodotto difettoso e’ certamente ricompreso anche il danno da “vacanza rovinata”, ove sia dimostrato un collegamento causale con il vizio all’origine.
Qualora il risarcimento di detto danno sia richiesto con la normale azione di cui all’articolo 2043 c.c., a differenza di quella regolata dall’articolo 130 codice del consumo che presume la sola colpa del produttore e non esonera dalla prova del vizio all’origine, gli oneri probatori dell’attore si ampliano e richiedono la prova non solo del difetto all’origine, ma anche della riconducibilita’ del medesimo a colpa del distributore, secondo il normale schema della responsabilita’ aquiliana.
3.4. Il ragionamento del giudice del merito sulla mancata allegazione di idonea prova della sussistenza di un vizio occulto all’origine e sulla insufficienza degli indizi indicati e delle prove per testi quali fonti di prova del “vizio” risulta quindi assorbente su ogni altra questione relativa al carattere occulto del vizio, ritenuto dal giudice come fatto pacificamente non contestato. Nel merito, poi, il ragionamento del Giudice a quo e’ insindacabile in sede di giudizio di legittimita’ ove non risultino omessi fatti e circostanze indicati come fonti di prova, in violazione delle norme processuali.
3.5. Sotto il profilo processuale, risulta che il Giudice ha ritenuto insufficiente il solo argomento presuntivo offerto dall’attore tratto dal fatto che il vizio, evidenziatosi a distanza di cinque anni dall’acquisto, e’ stato denunciato su blog reperibili in Internet in relazione allo stesso modello di auto.
Tale argomento si offre come una insufficiente praesumptio de praesumpto che, come tale, in mancanza di ulteriori indizi concordanti o di elementi di prova di un vizio all’origine del prodotto, impedisce di valorizzare una presunzione data da un fatto noto per derivarne da essa la presunzione della presenza di un vizio sul prodotto acquistato (ex plurimis Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3642 del 24/02/2004; Cass. 9 aprile 2002, n. 5045).
Il ricorrente, oltretutto, non ha indicato in quale misura le prove orali indicate avrebbero potuto colmare tale vuoto probatorio, posto che il Giudice di merito le ha ritenute inammissibili perche’ inconferenti e generiche, in cio’ omettendo di confrontarsi con il criterio di autosufficienza del motivo, richiesto dall’articolo 366 c.p.c., n. 6 quale requisito di ammissibilita’ del giudizio di legittimita’.
3.6. Infine, la Consulenza Tecnica richiesta, non ammessa d’ufficio, su cui il Giudice non si e’ per vero pronunciato, non avrebbe potuto sopperire alla carenza di assolvimento dell’onere della prova sopra descritta.
La consulenza tecnica d’ufficio e’ un mezzo istruttorio utile per la valutazione delle prove acquisite (e non un mezzo di acquisizione di prove), sottratto alla disponibilita’ delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario.
La motivazione dell’eventuale diniego di consulenza tecnica appartiene alla sfera discrezionale del Giudice di merito e puo’ anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal giudice (v. Sez. 1, Sentenza n. 15219 del 05/07/2007; Cass. Sez. 3, 13458/2013, in motivazione).
4. Conclusivamente il ricorso e’ inammissibile. Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente alle spese, liquidate come di seguito.
P.Q.M.
1. Dichiara inammissibile il ricorso;
2. Condanna il ricorrente alle spese liquidate in Euro 2.600,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.
3. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.