La rimessione da parte del venditore al vettore o allo spedizioniere delle cose da trasportare in luogo diverso, libera per volontà di legge il venditore stesso dall’obbligo della consegna, a norma dell’art. 1510, secondo comma cod. civ.. Tuttavia, quando non vi sia contestazione ne’ dell’avvenuta rimessione al vettore o allo spedizioniere dei pacchi contenenti la merce ne’ dell’integrità dei pacchi stessi, ma il compratore contesti il contenuto dei pacchi in relazione all’obbligo del venditore di consegnare tutta la merce oggetto della vendita, nella quantità convenuta, incombe sul venditore stesso la prova di aver consegnato al compratore tutta la merce, e tale prova non può essere costituita dalla fattura di accompagnamento dei pacchi sottoscritta dal compratore e restituita al vettore o allo spedizioniere al momento della loro ricezione e prima della loro apertura, dato che tale fattura fornisce la prova dell’avvenuta ricezione dei pacchi stessi e, mancando una riserva, anche dell’integrità del loro imballaggio, ma non del loro contenuto.
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Corte d’Appello|Bari|Sezione 2|Civile|Sentenza|18 agosto 2022| n. 1251
Data udienza 27 luglio 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI BARI
SECONDA SEZIONE CIVILE
composta dai seguenti Magistrati:
1) dott. Filippo LABELLARTE – Presidente
2) dott. Matteo Antonio SANSONE – Consigliere
3) dott. Luciano GUAGLIONE – Consigliere rel.
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello avente ad oggetto “Opposizione a decreto ingiuntivo – prezzo vendita di cose mobili”, iscritta nel ruolo generale degli affari civili contenziosi sotto il numero d’ordine 2092 dell’anno 2018
TRA
(…) S.r.l., in persona dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore (…) rappresentata e difesa dagli avv.ti (…) in virtù di procura in calce all’atto di appello, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo difensore in Bari (Corso (…)
APPELLANTE
E
(…) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti (…) in virtù di procura in calce alla comparsa di costituzione in appello, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. (…) in Bari (…)
APPELLATA
NONCHÉ
(…) S.r.l., in Amministrazione Straordinaria, in persona del Commissario Straordinario pro tempore
APPELLATA (contumace)
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con ricorso per decreto ingiuntivo del 6.05.2011 la società (…) S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, chiedeva al Tribunale civile di Bari di intimarsi alla (…) S.p.a. il pagamento della somma di Euro 111.189,95 a titolo di saldo del corrispettivo di una fornitura di materiale aurifero.
A sostegno della domanda la società ricorrente esponeva di aver venduto alla (…) sette verghe aurifere per un peso complessivo di gr. 10.126,2 (kg. 10,00 circa) e per un importo di Euro 241.189,95, come da d.d.t. n. 7 del 25.02.2011 e da fattura n. (…) del 28.02.2011, e di aver ricevuto dall’acquirente, in data 1.03.2011, la minore somma di Euro 130.000,00.
Accogliendo il ricorso, il Tribunale emetteva in data 11.05.2011 il decreto ingiuntivo n. 1035/2011, intimando alla (…) S.p.a. il pagamento di Euro 111.189,95, oltre interessi e spese della procedura.
Avverso tale decreto proponeva formale opposizione, con atto di citazione notificato in data 16-17.06.2011, la (…) S.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, contestando ogni pretesa di pagamento e chiedendo la revoca dell’atto ingiuntole, con vittoria di spese e onorari.
In particolare l’opponente deduceva:
– che era stata contattata dalla (…) s.r.l. Per la vendita di gr. 7.500,00 di oro puro e che, come in precedenti occasioni, la suddetta società rimetteva le verghe in oro da raffinare, per il trasporto, alla società (…) s.r.l.;
– che in data 28.02.2011 (…) dipendente della (…) ritirava il pacco contenente le verghe – confezione del tipo (…) con sigillo a marca (…) n. (…) – chiuso e sigillato, presso la (…) di Arezzo;
– che, giunto in azienda, all’apertura del pacco ed in presenza di altro dipendente (tale (…) lo (…) rinveniva soltanto quattro verghe aurifere, anziché sette, per un peso complessivo di gr. 5.677,38 anziché di gr. 10.126,2;
– che, riscontrata la mancanza delle tre verghe, tre dipendenti di esso (…) S.p.a. (…) chiamavano la (…) la (…) di B. e quella di A. con telefonate che venivano registrate, rappresentando quanto sopra;
– che le caratteristiche (…) e del sigillo applicato allo stesso erano tali da renderne impossibile l’apertura per il prelievo del contenuto e la successiva chiusura con lo stesso sigillo numerato ed esistente in un unico esemplare;
– che, trattandosi di vendita di cosa mobile determinata solo nel genere, la proprietà della stessa sarebbe passata, ex art. 1378 c.c., con la “specificazione”, ovvero in seguito alla procedura di raffinazione, alla quale essa (…) non aveva potuto materialmente provvedere;
– che, conseguentemente, quand’anche fosse risultata provata la circostanza, dedotta da controparte, di aver rimesso al vettore n. 7 verghe e non 4, essa opponente non avrebbe comunque acquistato la proprietà dei metalli preziosi;
– che, tuttavia, ove si opinasse diversamente (nel senso che essa I. avesse acquistato la proprietà dei metalli), responsabile per la perdita della merce sarebbe stata comunque la (…) s.r.l., con conseguente diritto di essa opponente al risarcimento del danno subito a titolo contrattuale e/o extracontrattuale nei suoi confronti.
Concludeva, pertanto, l’opponente, chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo e, in ipotesi, la condanna della (…) s.r.l. – della quale chiedeva ed otteneva l’autorizzazione alla chiamata in causa – a tenere indenne essa (…) S.p.a. di quanto risultasse eventualmente dovuto alla (…) s.r.l., condannandola a corrispondere direttamente dette somme alla (…) o in via subordinata ad essa opponente, a titolo di risarcimento danni contrattuali e/o extra-contrattuali.
Nel giudizio, che assumeva il n.r.g. 6740/2011, si costituiva in data 7.11.2011 la (…) S.r.l. contestando l’opposizione e chiedendone il rigetto, previa concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo impugnato.
La (…) S.r.l. si costituiva tardivamente e contestava qualsivoglia sua responsabilità nella vicenda per cui è causa, precisando che al momento del ritiro presso la (…) risultava già imballato a cura del venditore e recante un sigillo numerico e che successivamente il (…) dipendente della (…) aveva sottoscritto la distinta di consegna e il d.d.t. senza alcuna riserva, data l’integrità dell’imballaggio e del sigillo.
Con ordinanza del 28.06.2012 il G.U. rigettava la richiesta di provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto.
All’esito dell’istruttoria (con acquisizione di prove documentali ed espletamento di prove orali), con sentenza n. 958/2018 del 28.02.2018, pubblicata e depositata telematicamente il 2.03.2018, il Tribunale Ordinario di Bari, Seconda Sezione Civile, in composizione monocratica, così statuiva:
“a) Accoglie l’opposizione e, per l’effetto, REVOCA il decreto ingiuntivo n. 1035/2011 emesso dal tribunale Civile di Bari in data 11/5/2011;
b) Dichiara assorbite le ulteriori domande;
c) Spese di lite interamente compensate”.
A fondamento della decisione il Tribunale riteneva che dovesse escludersi qualsivoglia profilo di responsabilità del vettore nella consegna, in base al principio posto dall’art. 1698 c.c., atteso che il plico – sigillato a cura del venditore – era stato recapitato all’acquirente, il quale lo aveva ricevuto senza apporre riserve. Inoltre, riteneva non dimostrata, alla stregua del criterio probatorio dell’evidenza preponderante, la consegna all’acquirente di sette verghe aurifere della tipologia indicata nel ricorso monitorio.
Avverso tale decisione la (…) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, ha proposto appello innanzi a questa Corte, con atto di citazione notificato alla (…) S.p.a. in data 19.09.2018 ed alla (…) S.r.l., in Amministrazione Straordinaria, in persona del Commissario Straordinario pro tempore, chiedendo – per i motivi di seguito indicati ed in riforma dell’impugnata sentenza – l’accoglimento delle domande proposte in primo grado, con vittoria di spese e competenze di lite.
Con comparsa di risposta depositata in data 5.01.2019 si è costituita in giudizio la (…) S.p.a., contestando quanto ex adverso dedotto e chiedendo la conferma della sentenza impugnata, con vittoria di spese ed onorari di causa.
Non si è costituita nel presente grado di appello la (…) S.r.l., in Amministrazione Straordinaria, sebbene ritualmente evocata in giudizio dalla (…) con atto di citazione notificato in data 25.09.2018 presso la sede legale (v. relate di notifica originali versate in atti dalla appellante), sicchè detta appellata va dichiarata contumace.
Con il primo motivo di gravame la società appellante lamenta, in via preliminare ed in rito, la nullità della gravata sentenza a seguito della sopravvenuta messa in regime di Amministrazione Straordinaria della terza chiamata in causa in primo grado (…) S.r.l., e ciò per violazione e falsa applicazione dell’art. 19 D.Lgs. n. 270 del 1999, nel combinato disposto con l’art. 43 Legge Fallimentare, nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 299, 300 e 303 c.p.c., sul presupposto della esistenza di una causa di estinzione del giudizio a seguito della mancata riassunzione nel termine ex lege previsto, a cura della parte che ne aveva interesse ((…) S.p.a). Tale mancata riassunzione, avrebbe comportato, pertanto, l’invalidità della sentenza pronunciata in primo grado, con conseguente valore di definitività del decreto ingiuntivo opposto (n. 1035/2011).
Con il secondo motivo l’appellante eccepisce l’erronea applicazione di norme di diritto (violazione e falsa applicazione degli artt. 114, 115, 116 e 232 c.p.c., 2697 c.c., degli artt. 1372, 1378, 1470 e 1510 c.c. nonché del D.P.R. n. 472 del 1996 e D.P.R. n. 441 del 1997), avendo il Giudice di primo grado ritenuto non provata, da parte della società creditrice opposta, la regolare esecuzione della prestazione negoziale di consegna integrale al vettore della merce oggetto di compravendita, malgrado il d.d.t. firmato dalla (…) ed il compendio probatorio emerso in sede istruttoria.
Con il terzo e ultimo motivo l’appellante eccepisce la violazione e falsa applicazione degli art. 113, 115, 116 c.p.c., nonché degli art. 2697, 1218, 1678, 1681, 1693 e 1968 c.c., avendo il Giudice di prime cure ritenuto di esonerare da qualsivoglia responsabilità – in via solidale con l’acquirente (…) – la società vettrice (…) sul presupposto di una errata valutazione della normativa applicabile in materia di responsabilità ex recepto, in capo al vettore, della perdita e dell’avaria delle cose consegnategli per il trasporto, ai sensi dell’art. 1693 c.c.
Ai fini della delibazione del primo motivo di gravame è necessario precisare quanto segue:
– che nel corso del giudizio di primo grado, (…) S.p.a., odierna appellata, ha provveduto a chiamare in causa la società (…) S.r.l., con conseguente instaurazione di un rapporto processuale inscindibile, in relazione al quale la decisione è stata pronunciata nei confronti di tutte le parti che avevano preso parte al giudizio, essendo stata estesa la domanda dell’appellante anche nei confronti della terza chiamata; del resto anche le conclusioni dell’atto di appello sono state nel senso della condanna non solo della (…) ma anche della terza chiamata, al pagamento della somma di Euro 111.189,95, di cui all’originario decreto ingiuntivo opposto;
– che dopo l’udienza di discussione del 12.07.2017, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., nelle more del deposito della sentenza di primo grado, la (…) S.r.l., con decreto del Tribunale di Civitavecchia, Sezione Fallimentare, del 16.11.2017, è stata posta in regime di Amministrazione Straordinaria ex D.Lgs. n. 270 del 1999 (lo stesso Tribunale ne aveva dichiarato, tra l’altro, lo stato di insolvenza con decreto del 23.08.2017, nominando i commissari giudiziali cui aveva affidato, con decreto del 21.09.2017, la gestione dell’impresa);
– che, ai sensi dell’art. 19 del detto D.Lgs. n. 270 del 1999, al punto 3) “… Fermo guanto previsto dall’articolo 18, l’affidamento della gestione al commissario giudiziale determina gli effetti stabiliti dagli articoli 42, 43, 44, 46 e 47 della legge fallimentare, sostituito al curatore il commissario giudiziale. Si applicano altresì al commissario giudiziale, in guanto compatibili, le disposizioni degli articoli 31, 32, 34 e 35 della legge fallimentare, salva la facoltà’ del tribunale di stabilire ulteriori limiti ai suoi poteri”; la messa in Amministrazione Straordinaria, pertanto, è equiparabile alla dichiarazione di fallimento.
Ciò premesso, ad avviso dell’appellante, dovendosi applicare all’amministrazione straordinaria gli stessi effetti disciplinati dal “nuovo” art. 43 L.F. (“l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”), con il verificarsi di tale evento il giudizio di prime cure si sarebbe interrotto automaticamente, senza la necessità di alcun provvedimento dichiarativo del Giudice; e tale sopravvenuta interruzione ope legis avrebbe comportato la conseguente estinzione del giudizio di prime cure, per mancata riassunzione a cura della parte che ne aveva interesse – da individuarsi nella (…) S.p.a. -, la quale aveva ottenuto la chiamata in causa della (…) s.r.l., chiedendo, in via principale, che fosse condannata direttamente al pagamento alla (…) S.r.l. dell’importo di cui al decreto ingiuntivo opposto o, in via subordinata, a corrispondere detta somma ad essa (…) S.p.a. a titolo di risarcimento danni contrattuali e/o extracontrattuali.
Pertanto, secondo l’appellante, alla obbligata declaratoria della intervenuta estinzione del giudizio di prime cure, per inerzia della parte tenuta, sarebbe conseguita: a) la nullità della sentenza di primo grado; b) l’improcedibilità del giudizio di opposizione al D.I. di prime cure; c) la definitività del decreto ingiuntivo n. 1035/2011.
In relazione a tale motivo di gravame l’appellata ha, per contro, evidenziato come la procedura di Amministrazione Straordinaria non possa influire sulla validità del processo, essendo intervenuta solo dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni ed essendo stata conosciuta dalle parti del giudizio solo in un momento successivo al deposito della sentenza.
Invero, l’evento interruttivo, verificatosi dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni (in data 12.07.2017), in pendenza dei termini per il deposito delle memorie conclusionali e repliche di cui all’art. 190 c.p.c., come statuito dalla Suprema Corte “non produce effetto ai fini dell’interruzione del processo, sicché il giudizio prosegue tra le parti originarie e la sentenza pronunciata nei confronti della parte successivamente fallita non è nulla né inutiliter data, bensì inopponibile alla massa dei creditori ” (così Cass. civ., sent. n. 27829/2017).
Rimarca pure la (…) che, nel caso di specie, nessuno ha dichiarato e/o comunicato l’evento interruttivo né in udienza, né con comunicazione fuori udienza, né tanto meno l’evento è stato rilevato d’ufficio dal giudice, cosicché essa appellata ne è venuta a conoscenza solo con la notifica dell’atto introduttivo dell’appello.
Pertanto, alcuna conseguenza ne deriverebbe sul processo, né tantomeno potrebbe ritenersi scaduto il termine per la riassunzione dello stesso, essendo la decorrenza di detto termine in ogni caso legata alla “legale conoscenza” dell’evento interruttivo, ovvero ad una “dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento che determina l’interruzione, assistita da fede privilegiata (in questi termini, cfr. Trib. Reggio Emilia 14 settembre 2017; Trib. Treviso 25 gennaio 2018; Cass. civ., 7 marzo 2013, n. 5650, in Dir. fall., 2014, II, 241; Trib. Padova, 28 ottobre 2013, in Pluris; Trib. Roma, 2 aprile 2014; Trib. Taranto, ord. 16 aprile 2015).
Il motivo di appello è destituito di fondamento.
Ad avviso di questa Corte menta condivisione l’orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite Civili, con la sentenza n. 12154 depositata il 7 maggio 2021, secondo cui “in caso di apertura del fallimento, ferma l’automatica interruzione del processo (con oggetto i rapporti di diritto patrimoniale) che ne deriva ai sensi dell’art. 43 co. 3 l.f., il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 I.f. per le domande di credito, decorre da quando la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, ove già non conosciuta nei casi di pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176 co.2 c.p.c., va direttamente notificata alle parti o al curatore da ogni altro interessato ovvero comunicata – ai predetti fini – anche dall’ufficio giudiziario, potendo inoltre il giudice pronunciarla altresì d’ufficio, allorché gli risulti, in qualunque modo, l’avvenuta dichiarazione di fallimento medesima”.
In tal modo le SS.UU. hanno recepito l’indirizzo interpretativo che esclude la configurabilità di un onere di riassunzione in assenza della dichiarazione, da parte del giudice, dell’interruzione del giudizio per l’intervenuto fallimento (cui è equiparabile, nel caso di specie, l’Amministrazione Straordinaria della (…) di una delle parti del giudizio.
Infatti, in questa direzione, l’art. 43 L. fall., viene interpretato nel senso che, intervenuto il fallimento, l’interruzione è sottratta all’ordinario regime dettato in materia dall’art. 300 c.p.c., essendo automatica; e tuttavia la stessa deve essere dichiarata dal giudice non appena sia venuto a conoscenza dell’evento, con la conseguenza che la parte non fallita non è tenuta alla riassunzione del processo nei confronti del curatore indipendentemente dal fatto che l’interruzione sia stata, o meno, dichiarata (cfr. Cass. civ., 1 marzo 2017, n. 5288; Cass. civ., 27 febbraio 2018, n. 4519; Cass. civ., 9 aprile 2018, n. 8640; Cass. civ., 11 aprile 2018, n. 9016).
L’individuazione da parte delle Sezioni Unite della dichiarazione giudiziale quale elemento costitutivo del dies a quo di decorrenza per la riassunzione viene spiegato sia alla luce di una maggiore compatibilità di tale strumento con l’art. 43, terzo comma, L.F., così considerando la specialità della norma rispetto agli artt. 299,300 terzo comma e 301 primo comma c.p.c., sia in quanto essa appare più idonea a realizzare gli obiettivi di affidabilità, prevedibilità ed uniformità delle norme processuali costituenti un “imprescindibile presupposto di uguaglianza tra i cittadini e di giustizia del processo “.
Alla luce di tale condivisibile orientamento interpretativo la paventata invalidità della sentenza di primo grado (sostenuta dall’appellante) non può trovare accoglimento in tale sede, non costituendo, per i motivi su esposti, la mancata riassunzione del giudizio causa di nullità della sentenza impugnata.
Proseguendo l’analisi del motivo in esame, occorre inoltre evidenziare che, sebbene sia stata documentata l’avvenuta regolare notifica dell’atto di appello alla (…) S.r.l. in Amministrazione Straordinaria (quale soggetto autonomo rispetto al giudizio di primo grado), e potendo, quindi, ritenersi integro il contraddittorio tra le parti nel presente grado di appello, deve essere dichiarata ex officio l’improponibilità di ogni domanda di condanna nei confronti dell’appellata (…) S.r.l., in Amministrazione Straordinaria, per le ragioni che seguono.
Invero, nel caso di specie, in conformità all’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, ritiene questa Corte che, in virtù della sottoposizione della (…) S.r.l., procedura di Amministrazione Straordinaria, debba trovare applicazione la speciale normativa disciplinante tale procedura.
Ebbene, la proposizione di un’azione di condanna nei confronti di una società sottoposta a tale regime comporta, ai sensi dell’art. 6 L. n. 65 del 1973, l’applicazione, in funzione equivalente a quella svolta dall’art. 24 L.F. per il fallimento, della procedura speciale di “concentrazione” in un unico foro, di tutte le controversie derivanti dalla dichiarazione dello stato di insolvenza.
Pertanto, in presenza di domande inerenti diritti di credito fatti valere nei confronti della società sottoposta ad Amministrazione Straordinaria, deve riconoscersi una vis actractiva del foro della procedura concorsuale, con le modalità ivi previste di insinuazione al passivo dei creditori della società sottoposta a tale procedura.
In tal senso si è espressa la Suprema Corte ponendo il seguente principio di diritto: “Nell’amministrazione straordinaria, essendo applicabile – per effetto del rinvio disposto dall’art. 1 D.L. 30 gennaio 1979, n. 26 (convertito in L. 3 aprile 1979, n. 95) – la normativa concernente la formazione dello stato passivo contenuta nella legge fallimentare per la liquidazione coatta amministrativa, opera il principio per cui tutti i crediti verso l’imprenditore insolvente, ivi compresi quelli prededucibili, vanno fatti valere e devono essere accertati secondo le norme che ne disciplinano il concorso, sicché il creditore non può agire giudizialmente prima della definizione della fase amministrativa di formazione e verifica del passivo davanti agli organi della procedura, ma deve azionare in quella sede il suo credito, poi tutelabile davanti al giudice in via di opposizione avverso lo stato passivo. Ne consegue che la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria, se proposta prima dell’inizio della procedura concorsuale, diventa improcedibile, e tale improcedibilità è rilevabile d’ufficio, anche nel giudizio di cassazione, discendendo da norme inderogabilmente dettate a tutela del principio della par condicio creditorum” (così Cass. civ., sez. lav., 11 ottobre 2012, n. 17327; conf. Cass. civ., sez. I, 15 maggio 2001, n. 6659. Nella giurisprudenza di merito, cfr. di recente Trib. Taranto, sez. I, 21 dicembre 2021, n. 3022).
Tanto premesso, rilevato: che la parte appellante (…) S.r.l. ha chiesto, in via principale, la condanna al pagamento dell’importo di cui al decreto ingiuntivo opposto (e delle spese di entrambi i gradi di giudizio) nei confronti della (…) S.r.l., in Amministrazione Straordinaria, in solido con la contraente principale; che anche l’ appellata (…) S.p.a. ha chiesto, in via subordinata ed in caso di riforma della sentenza di primo grado, di essere manlevata, con conseguente condanna al pagamento nei confronti della (…) in Amministrazione Straordinaria; che, inoltre, tutti i crediti vantati verso l’impresa in tale regime, siano essi sorti sia prima che dopo l’inizio della procedura e, dunque, pure quelli inerenti alla gestione commerciale che godono del trattamento di prededuzione a norma dell’art. 111 L.F., sono assoggettati alla previa verifica in sede amministrativa, secondo la regola dell’istituto fallimentare, estensibile anche alla procedura di cui alla L. n. 95 del 1979; che tutti i crediti da soddisfare nel patrimonio dell’imprenditore insolvente devono essere fatti valere ed accertati nel rispetto delle norme che disciplinano il concorso; tutto ciò premesso, va dichiarata la improponibilità delle domande avanzate nei confronti della (…) S.r.l., in Amministrazione Straordinaria, in quanto, trattandosi di azioni di condanna, i crediti vantati nei confronti di un soggetto posto in regime di Amministrazione Straordinaria devono essere accertati tramite la procedura amministrativa prevista dalle norme della legge fallimentare.
Con il secondo motivo di appello la (…) S.r.l. si duole della statuizione del primo giudice nella parte in cui ha ritenuto non dimostrata, da parte di essa società creditrice opposta, la regolare esecuzione della prestazione negoziale di consegna integrale della merce, nella quantità risultante dagli accordi tra le parti, di cui ha poi preteso il pagamento della quantità residua asseritamente non rinvenuta dalla (…) S.p.a..
In particolare, l’appellante assume che debba, viceversa, ritenersi assolto l’onere probatorio dell’integrale consegna della merce risultante dal documento di trasporto, ritenendo che innanzitutto non risponde a vero che il d.d.t. (contrariamento a quanto affermato pure dall’appellata a pag. 11 della sua comparsa) non possa costituire prova della consegna delle merci, ma anche che è destituito di fondamento l’ulteriore assunto di pag. 11 della sentenza secondo il quale “… Non può, però, detta prova dirsi emergente neppure all’esito dell’istruttoria giudiziale, valorizzando l’intero compendio probatorio disponibile”.
Anche tale doglianza è infondata.
Con riferimento alla prima specifica critica che emerge all’interno di tale secondo motivo di appello, il Tribunale, premesso che incombeva alla (…) S.r.l. – nell’ambito del giudizio ordinario a cognizione piena instaurato con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo – l’onere di provare l’effettiva consegna della merce di cui pretendeva il pagamento, alla luce delle prove acquisite agli atti del giudizio ha ritenuto che non potesse ritenersi assolto detto onere mediante la produzione del solo documento di trasporto sottoscritto dal vettore, non ritenendo applicabile l’art. 1510 c.c., e comunque, non essendo sufficiente tale norma a sopperire alla mancanza di prova in ordine al contenuto (…)
Infatti, fermo il generale e noto principio di diritto sancito dall’art. art. 2697 c.c., secondo il quale “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, deve altresì condividersi il solido orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto, che esclude l’idoneità del d.d.t. firmato esclusivamente dal vettore a costituire piena prova (e ad assolvere l’onere posto in capo al mittente) dell’avvenuta consegna, peraltro nelle quantità specificamente pattuite, della merce al destinatario (cfr., in termini, Cass. civ. 6 dicembre 2019, n. 31974, secondo cui “I documenti provenienti da terzi estranei alla lite possono offrire soltanto elementi indiziari idonei a fondare il convincimento del giudice solo se assistiti da altre risultanze probatorie (Cass. civ. sez. lav., 14/8/2001, n. 11105), quali possono essere dichiarazioni testimoniali ovvero presunzioni semplici. Ne consegue che qualora il documento di trasporto sia firmato dal solo vettore, tale documento, provenendo da un soggetto terzo alla causa, è destinato ad assumere valore meramente indiziario, e sarà inidoneo a soddisfare l’onere posto in capo al mittente di provare l’avvenuta consegna della merce al destinatario”.
Inoltre, non può non rilevarsi che le massime citate dalla difesa della società appellante si riferiscono a bolle di consegna firmate dal destinatario, laddove nel caso di specie si tratta – come emerge dalla lettura della decisione di prime cure – di documenti di trasporto sottoscritti dal solo vettore. Rileva peraltro la Corte che non è stata contestata in modo specifico – difettando una puntuale confutazione della motivazione sul punto resa dal Giudice di primo grado – la circostanza attinente all’eventuale valore probatorio che avrebbe assunto il documento de quo con l’apposizione della firma anche da parte della società destinataria.
Al di là della carenza di tale specifica contestazione su tale circostanza da parte dell’appellante, non può ad ogni modo ritenersi raggiunta la prova dell’effettivo quantitativo di merce contenuta (…) esclusivamente attraverso un automatico meccanismo presuntivo che troverebbe il suo fondamento nell’indicazione del peso dichiarato dal mittente nel d.d.t., quand’anche controfirmato anche dal destinatario, proprio perché non vi è riscontro con ulteriori elementi probatori di tale circostanza.
In tal senso è correttamente citato dal giudice di prime cure il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte con la sentenza n. 1300/1998, secondo cui “La rimessione da parte del venditore al vettore o allo spedizioniere delle cose da trasportare in luogo diverso, libera per volontà di legge il venditore stesso dall’obbligo della consegna, a norma dell’art. 1510, secondo comma cod. civ.. Tuttavia, quando non vi sia contestazione ne’ dell’avvenuta rimessione al vettore o allo spedizioniere dei pacchi contenenti la merce ne’ dell’integrità dei pacchi stessi, ma il compratore contesti il contenuto dei pacchi in relazione all’obbligo del venditore di consegnare tutta la merce oggetto della vendita, nella quantità convenuta, incombe sul venditore stesso la prova di aver consegnato al compratore tutta la merce, e tale prova non può essere costituita dalla fattura di accompagnamento dei pacchi sottoscritta dal compratore e restituita al vettore o allo spedizioniere al momento della loro ricezione e prima della loro apertura, dato che tale fattura fornisce la prova dell’avvenuta ricezione dei pacchi stessi e, mancando una riserva, anche dell’integrità del loro imballaggio, ma non del loro contenuto”.
Passando ad esaminare il secondo profilo del motivo di appello in esame, la Corte ne ravvisa parimenti l’infondatezza per le ragioni che seguono.
Ricostruendo l’istruzione svolta in primo grado è emerso che: il Tribunale ha esaminato la prova testimoniale del dipendente della (…) S.r.l., (…) il quale ha riferito di aver provveduto personalmente a confezionare i due (…) destinati alla (…) alla presenza di altri tre dipendenti (…), aggiungendo che il pacco spedito per conto della (…) contenesse tre verghe aurifere, del peso complessivo di gr. 4.209,70 mentre quello confezionato per conto della (…) S.r.l. ne contenesse sette del peso complessivo alla bilancia di gr. 10.126,20.
Il secondo teste citato dalla (…) S.r.l. (…) sugli stessi due capitoli “n” ed “m”, fondamentali ai fini del decidere in quanto riguardanti il confezionamento dell’orobox in contestazione, ha risposto testualmente: “con riferimento alle circostanze di cui al cap. “m” ed “n” che mi vengono letti, nulla posso riferire”.
Orbene, il Giudice di prime cure ha rilevato che in senso contrario alla deposizione del teste (…) depongono le dichiarazioni rese da (…) (dirigente supervisore dell’operato degli altri dipendenti (…) S.p.a.), il quale ha dichiarato che sarebbe stato difficoltoso apprezzare il dettaglio del contenuto degli orobox e che, pur non ricordando esattamente il titolo né il quantitativo spedito e neppure il risultato delle analisi svolte dall’impresa acquirente, era in grado di affermare che il peso dell’orobox della (…) S.r.l., come dallo stesso e da altri dipendenti della I. rilevato, “non coincideva con quello riportato nel documento di trasporto” e che, anzi, “il peso era di circa la metà rispetto a quello dichiarato dalla (…) S.r.l. nel documento di trasporto del 25/2/2011”.
Il Tribunale, pertanto, dato atto che trattasi di due testimonianze rese da dipendenti delle imprese contendenti che elidono la rispettiva efficacia probatoria, ha aggiunto in motivazione che “la presenza del (…) alle operazioni di pesatura indirettamente corrobora, inoltre, le dichiarazioni testimoniali rese dallo stesso (…) altro teste (…), il quale ha sostenuto di avere proceduto alla rimozione del sigillo e all’apertura dell’orobox alla presenza di altro collega, (…) riscontrando alla loro presenza la mancanza delle tre verghe aurifere ed il minor peso delle quadro verghe effettivamente consegnate “.
Più precisamente (…) sentito all’udienza del 12.06.2013, ha confermato di essersi recato presso la (…) S.r.l. di A. in data 28.02.2011 per ritirare il pacco della (…) per cui è causa e di aver provveduto all’apertura dell’Orobox, che risultava integro e munito del sigillo (…) n. (…) alla presenza del collega (…) riscontrando la presenza al suo interno di n. 4 delle 7 verghe indicate nel documento di trasporto n. 07 del 25.02.2011 che lo accompagnava. Il teste ha altresì precisato che “l’operazione avveniva nel caveau ove sono presenti telecamere che registrano i movimenti che avvengono nel luogo e li memorizzano in apposito apparecchio senza soluzione di continuità 24 h. su 24″ e che, pesata la merce, risultava alla bilancia gr. 5.677,38 anziché gr. 10.126,20 come indicato nel documento di trasporto n. 7 del 25/02/2011”.
Il teste (…) confermando tale ricostruzione dei fatti, ha riferito che venivano avvertite subito telefonicamente sia la (…) S.r.l. che la (…) S.r.l., nelle persone dei dipendenti (…) i quali fornivano subito versioni contrastanti in ordine alla spedizione della merce.
A proposito del diverso peso (…) per cui è causa rispetto a quello della (…) S.r.l., spedito lo stesso giorno ed affidato allo stesso vettore, il Tribunale ha ritenuto che “si tratta di un dato probatorio non in grado di rappresentare un fatto riscontrabile oggettivamente, bensì espressione di una valutazione soggettiva, dipendente dal punto di vista di chi l’ha espressa. Non vi è riscontro alla dichiarazione di (…) che non ha neppure proceduto, unitamente al venditore, alla preventiva verifica dell’orobox ed alla pesatura”.
Dopo lo scrutinio delle prove assunte, il Tribunale ha concluso, quindi, per la carenza di adeguata prova dell’avvenuta consegna della merce di cui si chiede il pagamento.
E tale giudizio appare condivisibile, siccome frutto di adeguata e corretta valutazione del materiale probatorio assunto, non scalfita – a parere della Corte – dalle deduzioni dell’appellante, il quale, per un verso, non ha apportato argomenti convincenti per superare il contrasto di deposizioni assunte in prime cure a favore delle deposizioni dei propri testi, dall’altro non ha criticato specificamente (quanto al differente peso degli (…) la motivazione resa sul punto dal primo Giudice.
Il terzo motivo di appello, inerente l’illogicità ed erroneità della motivazione della sentenza impugnata anche nella parte in cui ha ritenuto di esonerare da qualsivoglia responsabilità il vettore solidalmente obbligato con l’acquirente, va ritenuto assorbito in conseguenza della dichiarazione di improponibilità delle domande di condanna al pagamento proposte nei confronti della (…) S.r.l., in Amministrazione Straordinaria.
In virtù delle svolte considerazioni l’appello deve essere rigettato.
Secondo l’ordinario criterio della soccombenza, la società appellante deve essere condannata a rimborsare all’appellata (…) S.p.a. le spese di questo grado di giudizio, liquidate come in dispositivo.
Alcuna regolamentazione sulle spese di questo grado va adottata, per contro, nel rapporto processuale tra l’appellante e la società (…) s.r.l., in Amministrazione Straordinaria, rimasta contumace.
A carico dell’appellante grava, inoltre, l’obbligo di pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, in applicazione del comma 1-quater dell’art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2002 (introdotto dall’art. 1, co. 17, della Legge di stabilità 24 dicembre 2012, n. 228), trattandosi di appello proposto dopo il 30.01.2013.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Bari, Seconda Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto, con atto di citazione notificato in data 19.09.2018, dalla (…) S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 958/2018 del 28.02.2018, emessa e depositata in data 2.03.2018 dal Tribunale di Bari, Seconda Sezione Civile, in composizione monocratica, tra la società appellante e la (…) S.p.a. nonché la (…) S.r.l., così provvede:
1) dichiara la contumacia della (…) S.r.l., Amministrazione Straordinaria;
2) dichiara improponibili le domande proposte nei confronti della (…) S.r.l., Amministrazione Straordinaria;
3) rigetta l’appello;
4) condanna l’appellante (…) S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a rimborsare all’appellata (…) S.p.a. le spese di questo grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro 13.635,00 per compenso professionale, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori come per legge;
5) nulla per le spese nel rapporto processuale tra la società appellante e la terza chiamata contumace, (…) S.r.l., in Amministrazione Straordinaria;
6) dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione (Euro 1.138,50) a carico della società appellante, in osservanza dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo inserito dall’art. 1, co. 17, L. n. 228 del 2012.
Così decisa in Bari il 27 luglio 2022, nella camera di consiglio in videoconferenza della II Sezione Civile.
Depositata in Cancelleria il 18 agosto 2022.
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