la vendita di un ingrediente contaminato da un batterio non integra ad avviso di questo giudice una vendita di bene viziato, quanto piuttosto una vendita di aliud pro alio, con tutto ciò che ne consegue sotto il profilo della tutela azionabile.
Tribunale Catania, Sezione 4 civile Sentenza 12 aprile 2019, n. 1540
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CATANIA
Sezione Quarta Civile
Il Tribunale di Catania, sezione quarta civile, in composizione monocratica, in persona del dott. Giorgio Marino, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 19421/2014 R.G., posta in decisione all’udienza di precisazione delle conclusioni del 9/07/2018;
promossa da
(…) s.p.a.,
in persona del legale rappresentante pro tempore (…), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Iv.Ch., sito in Catania, via (…), che la rappresenta e difende nel presente giudizio giusta procura in calce all’atto di citazione;
attore
contro
(…) s.r.l.,
in persona del legale rappresentante pro tempore (…), elettivamente domiciliata in Catania, via (…), presso lo studio dell’Avv. Gi.Ni., che la rappresenta e difende nel presente giudizio insieme all’Avv. La.Pi. e all’Avv. Ma.Ma., giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e riposta;
convenuta;
nonché contro
(…) s.p.a.,
in persona del legale rappresentante pro tempore (…), elettivamente domiciliata presso lo studio degli Avv.ti Fe.Ra. e An.Bu. del foro di Milano, sito in Milano, in Corso (…), che la rappresentano e difendono nel presente giudizio giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta;
terzo chiamato in causa;
OGGETTO: AZIONE DI RISOLUZIONE DEL CONTRATTO E DOMANDA DI RISARCIMENTO DANNI.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 24/12/2014, (…) s.p.a. instaurava il presente giudizio al fine di ottenere la risoluzione del contratto di compravendita stipulato nel 2013 con (…) s.r.l. e avente a oggetto l’acquisto di concentrato di fragola, da impiegare nel processo produttivo dei Po.Fr. Proponeva altresì contestuale domanda di risarcimento del danno che quantificava in Euro 147.464,20, oltre interessi fino al soddisfo.
Con comparsa di costituzione e risposta del 24/03/2015, (…) s.r.l. si costituiva in giudizio lamentando, in via preliminare, l’incompetenza del Tribunale adito in favore del Tribunale di Milano e, nel merito, contestando le pretese attoree sulla base di più rilievi. In particolare, si evidenziava che:
– la (…) s.r.l. si sarebbe limitata a fornire il concentrato, avendolo a sua volta acquistato dal produttore (…) s.p.a.;
– dai test eseguiti dalla stessa (…) s.p.a. a seguito di segnalazione della (…) s.r.l. non sarebbe emersa alcuna irregolarità nel prodotto;
– in ogni caso, sussisterebbero nel caso di specie profili di responsabilità della (…) s.p.a. ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c. per aver utilizzato il prodotto dopo alcuni mesi rispetto alla consegna e per aver aspettato un lungo arco di tempo prima di ritirarlo dal mercato;
– difetterebbe, da ultimo, la prova del danno subito, sia sotto il profilo dell’an che del quantum.
Chiedeva altresì di essere autorizzata dal giudice a chiamare in causa terzi e, segnatamente, il produttore (…) s.p.a. e la compagnia assicurativa (…).
Spiegava, infine, domanda riconvenzionale nei confronti di (…) s.p.a., volta a ottenere il pagamento di Euro 7.686,00 per fatture del 2014 rimaste insolute.
All’udienza del 21/04/2015, il giudice istruttore autorizzava il convenuto a chiamare in causa i terzi indicati in comparsa.
Si costituiva (…) spa opponendosi.
Si costituiva (…) opponendosi,.
Con ordinanza del 27/06/2016, il giudice istruttore rigettava l’eccezione di incompetenza sollevata da parte convenuta e disponeva, su istanza di parte attrice, accertamento tecnico preventivo ex art. 699 c.p.c. sul prodotto presente nei locali di (…) s.p.a., data l’urgenza di liberare questi ultimi e di evitare ulteriori possibili alterazioni del prodotto stesso. Le operazioni peritali iniziavano il 4/11/2016 e si concludevano in data 6/6/2017.
Con ordinanza del 15.12.2016 veniva dichiarato estinto il giudizio limitatamente alla domanda di garanzia di (…) srl nei confronti della compagnia assicurativa.
Con successiva ordinanza del 11/01/2018, il giudice rigettava le richieste istruttorie delle parti, rinviando alla successiva udienza per la precisazione delle conclusioni.
All’udienza del 9/07/2018, le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva posta in decisione, previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.
Motivi della decisione
La fattispecie su cui questo giudice è chiamato a pronunciarsi riguarda un contratto di compravendita concluso nel 2013 tra (…) s.p.a. e (…) s.r.l. in forza del quale la prima acquistava dalla seconda del concentrato di fragola (di cui al codice (…)) da impiegare nella produzione dei Po.Fr. L’esistenza del contratto in questione, così come la sua integrale esecuzione, si dà per pacifica, non essendovi stata alcuna contestazione sul punto nel presente giudizio.
Ciò precisato, il contratto di compravendita è disciplinato agli artt. 1470 ss. c.c. e ad esso il legislatore dedica una disciplina alquanto dettagliata, data l’importanza che tale tipologia di contratto riveste in tema di circolazione dei beni e, quindi, di ricchezza.
Trattasi, in particolare, di un contratto consensuale, il quale produce effetti reali di norma immediati (salve le ipotesi di vendita obbligatoria) e che rinviene la sua funzione nello scambio di cosa contro prezzo.
Si è al cospetto evidentemente di un contratto a prestazioni corrispettive: la legge, infatti, individua con esattezza gli obblighi gravanti sul venditore e sul compratore, consistenti, con riguardo al primo, nell’obbligo di consegnare il bene oggetto di compravendita e di trasferirne la proprietà all’acquirente, mentre, con riferimento al secondo, nell’obbligo principale di pagarne il prezzo pattuito.
L’art. 1476 c.c., tuttavia, pone in capo al venditore un ulteriore obbligo, quello di garantire il compratore sia da eventuali atti di evizione provenienti da terzi che facciano valere diritti reali sul bene venduto, sia dalla presenza di vizi che inficino il bene stesso.
Dalla norma in esame si ricava dunque che l’esistenza della garanzia per evizione e della garanzia per vizi della cosa venduta è, al pari della consegna del bene e del trasferimento del diritto, connaturata al contratto di compravendita poiché concorre anch’essa a definire la posizione del venditore a fronte della quale il compratore è tenuto a pagare il prezzo, realizzandosi così la funzione di scambio di cui all’art. 1470 c.c.
In disparte ogni considerazione circa la garanzia per evizione, che non viene in rilievo nel caso di specie, occorre invece soffermarsi sulla garanzia per vizi della cosa venduta, invocata in prima battuta da parte attrice.
Invero, la garanzia per vizi di cui all’art. 1476, n. 3, c.c. può essere attivata quando il bene venduto presenti un difetto connesso alla sua produzione, fabbricazione o conservazione che lo renda inidoneo all’uso cui è destinato, purché tale vizio non fosse conosciuto o facilmente riconoscibile dal compratore al momento rispettivamente della stipulazione del contratto o della consegna del bene.
In proposito, si distingue poi tra inidoneità assoluta e inidoneità relativa del bene inficiato dal vizio: si ha inidoneità assoluta quando il bene non può, a causa del vizio, essere utilizzato per il fine per cui è stato acquistato; diversamente, l’inidoneità relativa ricorre quando la presenza del vizio non comporta l’inservibilità del bene, quanto piuttosto una diminuzione apprezzabile del suo valore.
In un’ottica rimediale, poi, l’art. 1492, comma 1, c.c. stabilisce che il compratore può adoperarsi per ottenere la risoluzione del contratto di compravendita (azione redibitoria), cui segue la restituzione del bene così come del prezzo e il rimborso delle spese sostenute dal compratore, oppure la riduzione del prezzo del bene (azione estimatoria); inoltre, la scelta dell’una o dell’altra soluzione ha natura irrevocabile se si agisce in sede giudiziale.
Tratto peculiare della disciplina in esame è dato dal breve termine di decadenza cui il legislatore subordina l’operatività della denuncia degli eventuali vizi che inficiano il bene: il compratore, infatti, ha a disposizione otto giorni di tempo per denunciare che il bene acquistato è viziato, i quali decorrono, in caso di vizi occulti, dalla relativa scoperta oppure dalla stipulazione del contratto ove invece si tratti di vizi apparenti (termine comunque modificabile dalle parti o dalla legge).
A ciò deve aggiungersi che l’azione volta alla risoluzione o alla riduzione del prezzo si prescrive in un anno dalla consegna della cosa.
Inoltre, la disposizione di cui all’art. 1495 c.c. in tema di decadenza dalla garanzia e prescrizione dell’azione trova applicazione anche all’ulteriore ipotesi della mancanza di qualità essenziali o promesse, stante il rinvio che l’art. 1497 c.c. fa al precedente art. 1495 c.c.
Dal punto di vista teorico, la mancanza di qualità essenziali o promesse si risolve, a differenza del mero vizio, nell’assenza di quelle caratteristiche che qualificano il prodotto come tale, pur dovendosi tenere debito conto del fatto che la predetta mancanza può venire in rilievo soltanto ove ecceda i limiti di tollerabilità previsti dagli usi.
Quanto fin qui esposto in tema di vizi redibitori e di mancanza di qualità essenziali o promesse consente di tenere distinte le predette nozioni dal diverso concetto di aliud pro alio, anch’esso invocato da parte attrice, ancorché in seconda battuta.
Al riguardo, pur in assenza in un esplicito riferimento normativo, da sempre dottrina e giurisprudenza riconoscono dignità giuridica alla categoria dell’aliud pro alio.
In particolare, gli sforzi degli studiosi e degli operatori del diritto si sono concentrati non tanto sulla ricerca del suo fondamento giuridico, quanto piuttosto sulla distinzione tra aliud pro alio da un lato e vizi redibitori e mancanza di qualità essenziali o promesse dall’altro lato.
Alla base, la considerazione per cui una simile distinzione non può che avere rilievo pratico: l’aliud pro alio, infatti, rappresenta un vero e proprio inadempimento contrattuale (e non un inesatto adempimento) e cioè l’inadempimento dell’obbligo di consegnare la cosa oggetto del contratto di compravendita ex art. 1476 n. 1 c.c.;
di conseguenza, il rimedio che il compratore ha a disposizione a fronte di un aliud pro alio non è certamente quello delle azioni edilizie di cui all’art. 1495 c.c., quanto piuttosto il più generale rimedio dell’azione ex art. 1453 c.c. di risoluzione del contratto o, in alternativa, di esatto adempimento, come tale soggetta al termine di prescrizione decennale che decorre da quando si è verificato l’inadempimento, essendo la stessa svincolata dai più brevi termini di cui all’art. 1495 c.c.
Ebbene, secondo la giurisprudenza ormai unanime sul punto, si ha aliud pro alio quando il bene venuto appartenga a un genere diverso rispetto a quello pattuito oppure quando la cosa risulti assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente o abbia dei difetti che la rendano del tutto inservibile (cfr., ex multis, Cass. n. 10045/2018).
Si è quindi al cospetto di vizi particolarmente gravi, tali da far ritenere che il bene venduto, non potendo assolvere la sua funzione naturale, sia totalmente diverso da quello oggetto del contratto che ha determinato il compratore all’acquisto. In altri termini, si configura un aliud pro alio quando ad essere inficiata è la natura stessa della cosa, che diviene del tutto inidonea all’uso originario.
La casistica in tema di aliud pro alio si presenta alquanto variegata.
Così, ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto che si versasse in un’ipotesi di aliud pro alio nel caso in cui sull’auto acquistata dal compratore disabile non fosse possibile installare il dispositivo meccanico di aiuto alla salita pattuito in sede di acquisto (Cass., n. 10045/2018) o nel caso di vendita di un immobile sprovvisto dei requisiti necessari ai fini del rilascio del certificato di abitabilità a causa di insanabili violazioni della legge urbanistica (Cass., n. 2294/2017) oppure, ancora, nel caso di vendita di un toro da monta privo della capacità riproduttiva (Cass., n. 28419/2013).
Alla luce delle considerazioni che precedono, ritiene questo giudice che il caso di specie dia luogo a un’ipotesi di vendita di aliud pro alio così come correttamente prospettato da parte attrice.
Preliminarmente, il bene oggetto del contratto di compravendita stipulato dalle parti è consistito in una partita di concentrato di fragola consegnata al compratore (…) s.p.a. nel maggio 2013 come da documento di trasporto in atti ed impiegata da quest’ultimo nella produzione dei Polaretti Fruit.
Una volta immesso il prodotto in commercio, tuttavia, i consumatori segnalavano delle anomalie in punto di sapore e odore dei soli polaretti al gusto fragola; a ciò, pertanto, seguiva il ritiro dal commercio della totalità dei lotti venduti, essendo impossibile separare i polaretti al gusto fragola dagli altri.
Instaurato il presente giudizio, il giudice istruttore accoglieva l’istanza avanzata da parte attrice di accertamento tecnico preventivo in corso di causa ex art. 699 c.p.c., ricorrendo il presupposto di urgenza tipico dello strumento in esame.
Dall’analisi del consulente è emersa senza dubbio la presenza di un batterio denominato Alicyclobacillus spp nei polaretti appartenenti a tre dei cinque lotti presi in esame (L3F19, L3F24 e L3F25). Trattasi, secondo quanto emerge dalla relazione, di un batterio che si trova in genere nel terreno e che può, però, contaminare la frutta quando la stessa non è ben lavata oppure quando le condizioni lavorative non sono delle migliori in punto di igiene.
Tale batterio è il responsabile più comune, secondo la letteratura scientifica, dei cattivi odori e sapori dei derivati della frutta, ma non è visivamente percepibile, il che rende consigliabile che i produttori delle materie prime e dei prodotti finiti si adoperino nel senso di monitorare la produzione e così verificare la possibile presenza di siffatti microorganismi.
Come evidenziato dallo stesso consulente, è quindi probabile che nel caso di specie tale contaminazione sia da riferirsi all’utilizzo del concentrato di fragola quale derivato della frutta, a nulla rilevando – deve aggiungersi – la concreta percentuale rappresentata da tale ingrediente rispetto alla totalità delle componenti impiegate nel processo produttivo (circostanza su cui, tra le altre, farebbero leva le difese di parte convenuta e di parte chiamata). Tanto basta a questo giudice per ritenere che il prodotto fornito da (…) s.r.l., a sua volta acquistato da (…) s.p.a., fosse privo delle qualità minime necessarie affinché potesse essere impiegato nel processo produttivo da parte di (…) s.p.a.:
un ingrediente destinato alla distribuzione alimentare che risulti contaminato da un batterio, infatti, non è in grado di assolvere la sua funzione naturale e non può essere utilizzato per alcun altro impiego utile.
Esso è, pertanto, del tutto inservibile, tanto più ove si consideri che nel settore alimentare la sicurezza degli alimenti è condizione imprescindibile, poiché destinata a tutelare la salute e il benessere dei consumatori, fruitori finali dell’alimento.
In sintesi, la vendita di un ingrediente contaminato da un batterio non integra ad avviso di questo giudice una vendita di bene viziato, quanto piuttosto una vendita di aliud pro alio, con tutto ciò che ne consegue sotto il profilo della tutela azionabile.
Ne deriva che il contratto di compravendita stipulato dalle parti del presente giudizio deve intendersi risolto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1453 c.c.
Al riguardo, infatti, non si può considerare di scarsa importanza l’inadempimento imputabile all’odierna convenuta; al contrario, tale inadempimento è certamente grave ex art. 1455 c.c., in ciò legittimando la presente pronuncia di risoluzione, atteso che la vendita di un ingrediente contaminato preclude in radice la realizzazione dell’interesse del compratore, il quale, all’opposto, se avesse saputo della contaminazione del prodotto non lo avrebbe ragionevolmente acquistato.
A tale gravità si affiancano, inoltre, profili di colpa della (…) s.r.l., la quale non può considerarsi incolpevole per il semplice fatto di essersi limitata ad acquistare il concentrato di fragola da (…) s.p.a. e a rivenderlo a (…) s.p.a.: come le altre società coinvolte nella vicenda, infatti, la (…) s.r.l., ancorché non produttrice della materia prima né del prodotto finito, si inserisce in una catena di produzione e distribuzione finalizzata, in ultima sede, a offrire al consumatore un prodotto che, per il benessere della collettività, deve necessariamente risultare integro, sì da rispettare la salute dell’uomo.
Ciò vale tanto più se si considera che il settore alimentare, così come quello ambientale, è retto dal principio di ispirazione comunitaria di precauzione, volto a prevenire la realizzazione di danni anche in presenza della mera possibilità che questi si verifichino e a prescindere dal fatto di una loro concreta verificazione ex post.
In definitiva, sussistono tutti i requisiti richiesti dalla legge (inadempimento, gravità dell’inadempimento e colpa del debitore) affinché il contratto venga dichiarato risolto.
L’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto non rende tuttavia automatico l’accoglimento della domanda di risarcimento danni, in quanto domanda diversa e autonoma rispetto a quella tendente allo scioglimento del rapporto contrattuale.
Come chiarito dalla nota sentenza della Corte di cassazione a Sezioni Unite n. 13533/2001 in punto di onere della prova da inadempimento contrattuale, spetta a chi avanzi una pretesa risarcitoria il compito di dimostrare, in primo luogo, l’esistenza del titolo in forza del quale possa dirsi titolare di un diritto di credito e, in secondo luogo, il pregiudizio subito, sia sotto il profilo dell’an che del quantum.
Al contrario, il principio della vicinanza della prova e la presunzione di persistenza del diritto impongono che l’inadempimento debba essere soltanto allegato e non provato dal creditore; inoltre, la colpa del debitore è presunta, in omaggio alla concezione soggettiva dell’inadempimento fondata sulla lettura congiunta degli artt. 1176 e 1218 c.c.
La predetta regola probatoria pone sostanzialmente in capo al creditore attore l’onere di provare il titolo del suo credito e il danno che avrebbe subito in conseguenza dell’inadempimento del debitore.
Tale danno va poi provato sia sotto il profilo della sua concreta esistenza, non ammettendosi danni in re ipsa, sia sotto il profilo del suo effettivo ammontare.
Ebbene, deve osservarsi che nel caso di specie parte attrice, se per un verso non ha mancato di indicare con precisione la cifra cui, a suo dire, il pregiudizio ammonterebbe, per altro verso non ha tuttavia introdotto nel giudizio alcun elemento probatorio a supporto alla propria pretesa risarcitoria, in specie circa l’importo richiesto.
Piuttosto, la stessa si è limitata a produrre una tabella contenente i presunti costi dei lotti, nonché, genericamente, i costi che avrebbe sostenuto per la movimentazione e la giacenza della merce, senza affiancarvi alcun tipo di riscontro contabile e/o bancario (v. allegato 10 alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.).
Ne deriva che la domanda volta a ottenere il risarcimento del danno promossa da parte attrice non può trovare accoglimento nel presente giudizio e che, conseguentemente, deve considerarsi assorbita altresì la questione dell’applicabilità o meno al caso di specie dell’art. 1227 c.c., come invero auspicato da parte convenuta e chiamata in giudizio.
Va da sé, inoltre, il rigetto della domanda avanzata da parte convenuta nei confronti di (…) s.p.a. affinché quest’ultima tenesse indenne la prima dall’eventuale risarcimento da corrispondere in favore di (…) s.p.a. qualora la relativa pretesa risarcitoria fosse stata accolta.
Deve infine rigettarsi anche la domanda riconvenzionale spiegata da parte convenuta in seno alla comparsa di costituzione e risposta e volta a ottenere la condanna di parte attrice al pagamento di una somma di denaro pari a Euro 7.686,00 per fatture del 2014 rimaste insolute. Alla base, il rilievo per cui il credito che la (…) s.r.l. vanterebbe nei confronti di (…) s.p.a. non è supportato da alcun elemento probatorio che dimostri la sua effettiva esistenza.
Difatti, se già la semplice produzione di fatture non può considerarsi in sede di cognizione prova idonea del credito, in quanto atto unilateralmente predisposto dal presunto creditore, di certo non può bastare ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio la produzione di una semplice tabella indicante dati e importi non supportati da alcun riscontro, in specie contabile, come invece è avvenuto nel caso di specie.
Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico di parte comvenuta nei rapporti con l’attrice. Vanno compensate nei rapporti tra convenuta e terza chiamata.
P.M.Q.
Il giudice dott. Giorgio Marino, definitivamente pronunciandosi sulle domande spiegate nel presente giudizio,
a) accoglie la domanda di risoluzione avanzata da parte attrice e, per l’effetto, dichiara risolto il contratto stipulato tra (…) s.p.a. e (…) s.r.l. avente a oggetto la vendita di concentrato di fragola;
b) rigetta la domanda di risarcimento danni di parte attrice per difetto di prova del pregiudizio subito;
c) rigetta la domanda riconvenzionale spiegata da parte convenuta per difetto di prova del credito;
d) rigetta la domanda di regresso avanzata da parte convenuta nei confronti di parte chiamata per insussistenza dei relativi presupposti;
e) condanna parte convenuta al pagamento delle spese processuali in favore dell’attore, liquidate in complessivi Euro 5303.60, di cui Euro 785.00 per spese, Euro 521.60 per rimborso compensi ctu, Euro 4000.00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa;
f) compensa integralmente le spese tra parte convenuta e terzo chiamato.
Così deciso in Catania il 9 aprile 2019.
Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2019.