nella negoziazione di beni immobili con destinazione residenziale, fra i documenti relativi alla proprietà ed all’uso della cosa negoziata che il promittente o l’alienante deve mettere a disposizione del promissario o dell’acquirente, a norma dell’art. 1477, comma 3, cod. civ., è compreso il certificato di abitabilità, in quanto, di massima, il possesso di tale documento è indispensabile ai fini della piena realizzazione della funzione socioeconomica del contratto. L’introduzione nel sistema legislativo della licenza di abitabilità per gli edifici a destinazione residenziale non risale al R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 (artt. 220 e 221), ma, almeno, alla legge 22 dicembre 1888 n. 5849, la quale, nell’art. 39, in seguito trasfuso nell’art. 69 del R.D. 1 agosto 1907 n. 636, prescrisse che “le case di nuova costruzione, od in parte rifatte, non possono essere abitate se non dopo autorizzazione del sindaco” e predeterminò le condizioni per il rilascio di tale provvedimento. Il requisito dell’abitabilità legale e non meramente di fatto del bene avente tale destinazione è, infatti, elemento integrante l’identità del bene stesso ai fini dell’intesa contrattuale, di tal che la vendita di immobile destinato ad abitazione privo di licenza di abitabilità integra una ipotesi di alienazione di aliud pro alio. Sussiste, l’obbligo del venditore nei confronti dell’acquirente di dotare il bene venduto, mediante licenza di abitabilità, della normale attitudine a realizzare la funzione sua propria e, quindi, di sopportarne le relative conseguenze economiche. Mancando, dunque, la licenza di abitabilità, tale difetto incide sull’attitudine del bene compravenduto ad assolvere la sua funzione economico-sociale, risolvendosi nella mancanza di un requisito giuridico essenziale ai fini del legittimo godimento del bene stesso e della sua commerciabilità.
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Corte d’Appello|Bari|Sezione 2|Civile|Sentenza|9 giugno 2022| n. 922
Data udienza 5 aprile 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Bari – Seconda Sezione Civile, composta dai signori magistrati
1) dott. Filippo Labellarte Presidente
2) dott. Matteo Antonio Sansone Consigliere
3) avv. Giuseppe Dellosso Giudice ausiliario relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di nuovo rito, di appello, avverso la sentenza nr. 833/2019 emessa dal Tribunale di Foggia il 25/28.03.2019 e notificata in data 05/04/2019, avente per oggetto: “vendita di cose immobili”, iscritta nel Ruolo Generale Affari Contenziosi Civili del giudizio di primo grado, sotto il numero d’ordine al R.G. 81000091/2010.
tra
(…) e (…), rappresentati e difesi dall’Avv. (…) in forza di procura redatta su foglio separato ed allegata al presente atto di cui è parte integrante;
– appellanti –
e
(…), rappresentata e difesa dall’Avv. (…) in virtù di mandato a margine della comparsa nel giudizio di appello;
– appellata –
nonché
CONDOMINIO “(…)”, corrente in Lesina Marina rappresentato e difeso all’avv. (…) e dall’avv. (…) in forza di procura in calce alla comparsa nel giudizio di appello;
– appellato –
nonché
(…), rappresentato e difeso dall’Avv. (…) in virtù di mandato rilasciato in calce alla comparsa nel giudizio di appello;
– appellato –
All’udienza collegiale del 09.04.2021 la causa è passata in decisione con i termini, sulle conclusioni dei procuratori delle parti, come formulate in atti e precisate a verbale di udienza, come di seguito:
per l’appellante (…): dichiarare la legittimità dell’atto di compravendita per cui è causa e, di conseguenza, rigettare la domanda formulata da (…) di risoluzione del contratto e di risarcimento di ogni danno, perché del tutto destituita di fondamento in fatto e in diritto; in via subordinata, nella denegata ipotesi di conferma della decisione impugnata sul punto principale, condannare il Condominio “(…)” a tenere gli esponenti indenni dalle conseguenze derivate dal presente giudizio; sempre in via subordinata, condannare sempre il Condominio “(…)” al risarcimento degli ulteriori danni, da quantificare in via equitativa o in separata sede, derivanti dalla perdita di opportunità, nonché di libera commerciabilità dell’immobile de quo, qualora fosse confermata la risoluzione del contratto; sempre in via subordinata, in caso di rigetto delle precedenti conclusioni, condannare il Notaio dott. (…) a rispondere in via solidale con gli appellanti, condannandolo e alla restituzione del prezzo, al pagamento degli interessi e alla refusione di ogni spesa di giudizio anche nei confronti degli appellanti; in ogni caso, correggere l’errore materiale relativo al prezzo effettivamente pagato, come risultante dall’atto pubblico in esame, nella misura di Euro.65.750,00 invece di 67.500,00; e di conseguenza l’importo complessivo finale, pari ad Euro.70.500,00 invece di quello indicato in sentenza pari a Euro.72.250,00; in ogni caso, con vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio, a carico di chi di ragione, da distrarsi tutte in favore del sottoscritto procuratore antistatario;
per l’appellata (…): inammissibilità dell’appello e, nel merito, rigettare ogni avversa domanda confermando la sentenza impugnata; con vittoria di spese ed onorari di causa;
per l’appellato Condominio “(…)”: rigettare l’appello confermando la sentenza di primo grado; con vittoria di spese processuali da distrarsi in favore dei difensori anticipatari;
per l’appellato e appellante in via incidentale: dott. (…):
accogliere l’appello incidentale, e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, per i motivi di cui ai numeri 1) e 2) dello stesso, rigettare la domanda di accertamento della responsabilità professionale del Notaio (…), con conseguente condanna della (…) all’integrale pagamento delle spese del giudizio di primo grado in favore di quest’ultimo. In via subordinata, soltanto nell’ipotesi di rigetto dell’appello incidentale, dichiarare inammissibile l’appello principale perché contenente una domanda nuova, proposta per la prima volta in secondo grado; In via subordinata, nel merito, nel caso di mancato accoglimento di ciascuna delle precedenti conclusioni, dichiarare inammissibile l’appello principale per le ragioni esposte alla lettera B) del presente atto, e, per l’effetto, rigettarlo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 3.04.2010 (…) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Foggia, (…) e (…), oltre al Notaio Dott. (…), da Corato, per accertare la
risoluzione del contratto di compravendita del 14/01/2008 a rogito dottor (…), notaio in Corato, repertorio n. 45758 raccolta n. 15314, registrato in Trani il 31/01/2008 al n. 700-IT, intervenuto fra (…) e (…) e (…) per inadempimento contrattuale ex art. 1477 c.c., oltre al pagamento della somma di Euro 100.000,00 (centomila,00), di cui Euro 67.500,00 a titolo di restituzione del prezzo corrisposto, Euro 4.750,00, a titolo di spese notarili, oltre interessi dalla domanda al soddisfo, svalutazione monetaria, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la mancata disponibilità della somma pari a Euro 15.000,00, o a quell’altra somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia.
Si costituivano nel giudizio di primo grado (…) e (…) i quali chiedevano, preliminarmente, la chiamata in causa del Condominio “(…)”; nel merito, chiedevano il rigetto della domanda attorea; in via subordinata, chiedevano la condanna del Condominio “(…)” a tenere gli esponenti indenni dalle conseguenze del giudizio, oltre al risarcimento degli ulteriori danni, da quantificare in via equitativa, derivanti anche dalla perdita di opportunità, nonché di libera commerciabilità dell’immobile de quo, qualora si dovesse ravvisare la fondatezza della domanda di risoluzione del contratto.
Si costituiva il Condominio “(…)” il quale chiedeva di accertare la propria carenza di legittimazione passiva; nel merito, chiedeva il rigetto di ogni domanda.
Si costituiva il Notaio (…) il quale chiedeva il rigetto della domanda nei suoi confronti.
Il Tribunale di Foggia, all’esito dell’attività istruttoria, consistita nell’interrogatorio formale e nell’ascolto di testimoni, dichiarava la risoluzione del contratto di compravendita intervenuto tra le parti in data 14/1/2008, a rogito dottor (…), Notaio in Corato, repertorio n. 45758 raccolta n. 15314, registrato in Trani il 31.1.2008 al n. 700, e condannava (…) e (…) a restituire a (…) la complessiva somma di Euro 72.250,00 oltre interessi legali; rigettava tutte le altre domande; condannava i convenuti (…) e (…) al pagamento delle spese di giudizio; mentre quelle tra l’attrice e il Notaio venivano interamente compensate.
Con atto di appello notificato tramite pec in data 3.05.2019, (…) e (…) hanno impugnato la sentenza del Tribunale di Foggia con diversi motivi di gravame, integrata da una istanza di correzione della sentenza di primo grado. Si sono costituiti gli appellati, (…) e Condomino (…) i quali hanno chiesto l’inammissibilità dell’appello e, nel merito, il rigetto del gravame con condanna degli appellanti ai sensi dell’art. 96 c.p.c..
Mentre, il Notaio (…) ha proposto un proprio appello incidentale trasversale circa l’insussistenza della propria responsabilità professionale, oltre a chiedere il rigetto dell’appello principale dei venditori nei suoi confronti, trattandosi di una domanda nuova proposta per la prima volta in appello.
Motivi della decisione
Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello principale, secondo la quale nell’atto introduttivo del gravame non sarebbero indicati i motivi specifici dell’impugnazione, in violazione del precetto normativo di cui all’art.342, nel testo introdotto dall’art. 54 del D.L. n. 83/12, convertito con modificazioni nella L. n. 134/12.
L’impugnazione è ammissibile, diversamente da quanto eccepiscono gli appellati, perché in coerenza con lo schema generale dell’art. 342 c.p.c., ai fini dell’ammissibilità del gravame, è sufficiente che l’atto di appello indichi i passaggi argomentativi della sentenza che l’appellante intende censurare e formuli, rispetto ad essi, le proprie ragioni di dissenso, sì da esplicitare l’idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione impugnata (cfr., Cass. n.2143/2015; sez. un., n.27199/17; n.13535/18). E nella specie gli appellanti hanno denunciato le anzidette lacune della sentenza impugnata, le argomentazioni non condivise e le ragioni di critica che dovrebbero, nella loro prospettiva, indurre a rivederle per dare fondamento alla domanda che invece il primo giudice in parte ha disatteso.
Con i primi due motivi di gravame, gli appellanti lamentano la decisione del giudice di primo grado nella parte in cui ha rigettato la domanda di manleva nei confronti del Condominio chiamato in causa.
A dire gli appellanti, il Tribunale ha errato stabilendo che gravava ex-lege sul (solo) venditore l’obbligo di rilasciare il certificato di abitabilità in favore dell’acquirente (…) in quanto il Condominio (…) non si era assunto l’onere di procurare il certificato di abitabilità in favore dei proprietari. Inoltre, il certificato di abitabilità/agibilità non è mai stato nella disponibilità dei venditori, in quanto all’epoca della realizzazione dell’immobile de quo, avvenuta negli anni 1979/80, in virtù di regolare concessione edilizia rilasciata dal Comune di Lesina in data 8 ottobre 1979 n. 65, tale documento non era richiesto e, comunque, poiché l’immobile è inserito in un complesso residenziale la certificazione in questione richiamando la seguente disposizione normativa, doveva essere rilasciata all’intero fabbricato: “… “viene rilasciata dalle amministrazioni unitariamente in relazione agli interi fabbricati, e non anche alle singole unità abitative. Sul punto, la normativa di settore, segnatamente, il T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. n. 380/2001, artt. 24-25), subordinava il rilascio del certificato di agibilità alla presentazione di una serie di documenti, che attestino la conformità alle norme vigenti dell’intero stabile, involgendo parti comuni dello stesso”. Quindi, il relativo obbligo di attivazione per conseguire detta certificazione e la responsabilità per i connessi ritardi graverebbe sull’intero Condominio, poiché il venditore, proprietario della singola unità immobiliare non poteva conseguire autonomamente detta certificazione.
Di conseguenza, la mancanza del certificato sarebbe ascrivibile all’inerzia del Condominio che non si sarebbe attivato per ottenere le opportune autorizzazioni sulle parti comune dell’edificio e il rilascio della relativa certificazione.
I motivi sono infondati.
E’ incontroverso tra le parti che (…) ha acquistato con atto pubblico del 31/1/2008, a rogito notaio (…), da (…) e (…) per il prezzo di Euro 65.750,00 un appartamento e posto auto facente parte del fabbricato condominiale denominato “(…)”, sito nel territorio di Lesina alla contrada (…).
L’attrice ha altresì allegato che, successivamente alla stipula dell’atto di compravendita, a seguito di un’ordinanza prefettizia ha richiesto al Comune di Lesina copia del certificato di abitabilità relativa all’immobile in questione “e, in sua mancanza, le ragioni ostative al suo rilascio e l’occorrente per poterlo ottenere”.
Il responsabile dell’Ufficio Tecnico, con nota del 5/1/2010 n. 110, aveva evidenziato come l’immobile fosse “attualmente sprovvisto del certificato di abitabilità”. Quindi, l’attrice nel giudizio ha chiesto di accertare che i venditori (…) e (…) fossero dichiarati responsabili di grave inadempimento a causa del mancato assolvimento dell’obbligo di dotare l’immobile della licenza di agibilità e di consegnarla alla stessa al momento dell’atto di compravendita.
Gli odierni appellanti si sono costituiti nel giudizio di primo grado chiedendo ed ottenendo di chiamare in causa il Condominio “(…)” per essere tenuti indenni dalle conseguenze negative sul presupposto di una responsabilità del Condominio nel non aver fornito il certificato di abitabilità/agibilità. Ciò detto, il Collegio osserva sul punto che, in tema di compravendita immobiliare, il certificato di abitabilità integra un requisito giuridico essenziale ai fini non solo del legittimo godimento, ma anche della normale commerciabilità del bene: pertanto si è in presenza di un inadempimento idoneo alla risoluzione del contratto, siccome conseguente alla vendita di “aliud pro alio”, se detto certificato non sia stato formalmente rilasciato e l’immobile presenti insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche, non essendo il cespite oggettivamente in grado di soddisfare le esigenze concrete di sua utilizzazione, diretta o indiretta, ad opera del compratore (Cassazione civile sez. II, 27/12/2017, n.30950).
Infatti, soltanto nel caso in cui non ricorrano le condizioni per l’ottenimento del certificato in ragione di insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche può ipotizzarsi nella mancata consegna del documento un inadempimento ex se idoneo alla risoluzione della compravendita, mentre nelle altre ipotesi l’omissione del venditore non si sottrae a tale fine ad una verifica dell’importanza e gravità dell’inadempimento in relazione alle concrete esigenze del compratore di utilizzazione dell’immobile (Cass. n. 30950 del 2017, n. 13231 del 2010, n. 6548 del 2010, n. 3851 del 2008, n. 17140 del 2006, n. 24786 del 2006).
Quindi, in questo caso, come correttamente rilevato dal Tribunale di Foggia, deve ritenersi configurabile la vendita di aliud pro alio poiché l’immobile è privo delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente e, dunque, dell’attitudine ad assolvere la sua funzione economico-sociale, al di là del formale rilascio della relativa certificazione.
Tanto si ricava dall’ordinanza n.72 del Comune di Lesina del 10.11.2010, la quale dichiara, conclusivamente, che “il condominio denominato (…) sito in Marina di Lesina alla (…) non è agibile e conseguentemente inibisce l’utilizzo degli alloggi”.
Tale circostanza è stata confermata anche dai testi escussi.
Inoltre, dagli atti non risulta una rinuncia dell’acquirente (né esplicita e neppure implicita) volta ad esonerare i venditori dall’obbligo di consegna del certificato di abitabilità e, quindi, di acquistare un immobile praticamente inutilizzabile. Di tanto non vi è alcun cenno né nel contratto preliminare, che in quello definitivo. Il venditore nel suo interrogatorio formale ha dichiarato di non sapere del dissesto idrogeologico e della mancanza di certificato di agibilità di un immobile sorto in una zona di dissesto e, quindi, certamente tale circostanza non può essere stata portata a conoscenza della compratrice, come sostenuto dalla difesa dei venditori. Orbene, gli appellanti con queste premesse hanno riproposto la domanda di manleva nei confronti del Condominio nonostante abbiamo indicato una normativa che escluda un loro obbligo al rilascio in favore dell’acquirente.
Tuttavia, tali difese sono irrilevanti, in quanto ben prima della entrata in vigore del Testo Unico in materia edilizia del 2001 e del D.P.R. 425/1994 (citati dagli appellanti), la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire che “nella negoziazione di beni immobili con destinazione residenziale, fra i documenti relativi alla proprietà ed all’uso della cosa negoziata che il promittente o l’alienante deve mettere a disposizione del promissario o dell’acquirente, a norma dell’art. 1477, comma 3, cod. civ., è compreso il certificato di abitabilità, in quanto, di massima, il possesso di tale documento è indispensabile ai fini della piena realizzazione della funzione socioeconomica del contratto. L’introduzione nel sistema legislativo della licenza di abitabilità per gli edifici a destinazione residenziale non risale al R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 (artt. 220 e 221), ma, almeno, alla legge 22 dicembre 1888 n. 5849, la quale, nell’art. 39, in seguito trasfuso nell’art. 69 del R.D. 1 agosto 1907 n. 636, prescrisse che “le case di nuova costruzione, od in parte rifatte, non possono essere abitate se non dopo autorizzazione del sindaco” e predeterminò le condizioni per il rilascio di tale provvedimento” (cfr. Cass. n. 953 del 1995).
In altra (risalente) pronuncia si legge ancora che “Il requisito dell’abitabilità legale e non meramente di fatto del bene avente tale destinazione è, infatti, elemento integrante l’identità del bene stesso ai fini dell’intesa contrattuale, di tal che la vendita di immobile destinato ad abitazione privo di licenza di abitabilità integra una ipotesi di alienazione di aliud pro alio….”. Sussiste, pertanto, “…l’obbligo del venditore nei confronti dell’acquirente di dotare il bene venduto, mediante licenza di abitabilità, della normale attitudine a realizzare la funzione sua propria e, quindi, di sopportarne le relative conseguenze economiche (v. sent. 29 gennaio 1983 n. 829; 28 novembre 1986 n. 7022). Mancando, dunque, le unità immobiliari di cui trattasi della licenza di abitabilità, richiesta dall’art. 221 R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 (approvazione del testo unico delle leggi sanitarie), quindi, correttamente il Tribunale di Foggia ha osservato che tale difetto incideva sull’attitudine del bene compravenduto ad assolvere la sua funzione economico-sociale, risolvendosi nella mancanza di un requisito giuridico essenziale ai fini del legittimo godimento del bene stesso e della sua commerciabilità. (cfr. Cass. n. 11521 del 1995) a maggior ragione in questo caso, che risulta non rilasciabile per i problemi di dissesto del terreno sul quale la costruzione è stata edificata.
Pertanto, nessuna responsabilità può essere addebitata al Condominio, terzo chiamato in causa, il quale in primo luogo non ha assunto alcun obbligo nei confronti del venditore e, quand’anche ci fosse stato tale obbligo non avrebbe comunque potuto ottenere l’abitabilità trattandosi di un edificio edificato in una zona di dissesto idrogeologico.
Con il terzo, quarto motivo e sesto motivo di gravame, l’appellante lamenta l’errata decisione del giudice di primo grado, poiché la fattispecie non sarebbe inquadrabile in un’ipotesi di vendita di aliudpro alio, dal momento che l’Ordinanza del Comune di Lesina n. 72 del 10/11/2010, che aveva dichiarato inagibile l’intero condominio, inibendo l’utilizzo degli alloggi, sarebbe successiva alla stipula dell’atto pubblico perfezionatosi in data 31 gennaio 2008.
Inoltre, l’acquirente (…) sarebbe stata consapevole della mancanza del certificato di agibilità, provata dalle dichiarazioni dei testi.
Infine, gli appellanti lamentano l’omesso esame da parte del giudice di primo grado delle eccezioni di inosservanza del termine di cui agli artt. 1495 e 1497 c.c., per mancanza di qualità essenziali, nè denunciato il vizio entro otto giorni dalla scoperta, otre ad aver introdotto il giudizio oltre il termine di un anno dalla scoperta. I motivi sono infondati.
La circostanza che il Comune di Lesina ha emanato l’ordinanza n. 72 del 10/10/2010 di inagibilità dell’intero condominio (…) in Marina di Lesina, successivamente all’atto di vendita del 31.01.2008 è irrilevante. Giova a questo punto sottolineare- in relazione al tema della distribuzione dell’onere della prova nei giudizi (quale quello di specie) di responsabilità contrattuale – che: in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca (come nel presente giudizio) per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 577 del 11/01/2008; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9351 del 19/04/2007; Cass. N. 1743 del 2007; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8615 del 12/04/2006; Cass. N. 20073 del 2004).
Vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, la colpa dell’inadempiente è presunta sino a prova contraria e tale presunzione è superabile solo da risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che, nonostante l’uso della normale diligenza, non è stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2853 del 11/02/2005; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14124 del 26/10/2000).
Nella specie l’attrice ha assolto ai propri oneri di allegazione e di prova, fornendo prove “positive” dei propri assunti, come l’ordinanza del Comune di Lesina, e le prove testimoniali di conferma circa l’impossibilità di ottenere anche in futuro il certificato a causa del dissesto idrogeologico del terreno, con conseguente impedimento all’utilizzo dell’immobile acquistato.
A fronte di siffatto composito corredo di allegazioni e di prove, fornite dagli attori, i venditori si sono difesi eccependo che non c’era alcun obbligo del venditore di procurare detto certificato, che non era ancora in vigore prima del 2001, e che la causa del dissesto non era conosciuta al momento della vendita dell’immobile. I venditori non hanno provato che le cause del dissesto, così come certificate dal Comune di Lesina, non erano tali da determinare il mancato rilascio della certificazione di abitabilità.
Quindi, allo stato, l’immobile in questione non può ottenere il rilascio del certificato di abitabilità in quanto l’immobile sorge su una zona a dissesto idrogeologico, e la tutela dal rischio idrogeologico diventa un parametro cardine per l’approvazione degli interventi edilizi, tant’è che è fatto notorio che in sede di rilascio dell’autorizzazione a costruire, diventa vincolante il parere dell’autorità competente in materia di assetto e vincolo idrogeologico.
Quindi, non vi è dubbio, che in questo caso non sussistono le condizioni minime per il rilascio del certificato di abitabilità (né è stato provato il contrario da parte dei venditori) e, pertanto, ricorre l’ipotesi di vendita di ‘aliudpro alio’, perché v’è difetto assoluto d’abitabilità determinate dall’assenza delle condizioni necessarie per poterlo utilizzare nel rispetto delle condizioni della legge urbanistica.
L’ulteriore questione posta dagli appellanti, circa la conoscenza dell’acquirente della mancanza del certificato di agibilità è infondata.
Le doglianze dell’attrice sollevata nel giudizio di primo grado non integrano una situazione di piena “apparenza” tale da dovere indurre necessariamente a ritenere che l’acquirente “abbia avuto conoscenza” sia del dissesto, che della mancanza assoluta del certificato di abitabilità.
Nel caso di vizi “non apparenti” è contemplata il rimedio della risoluzione del contratto in favore dell’acquirente in buona fede e, per tale ipotesi, si pone a carico del venditore l’obbligo di fornire la prova della consapevolezza da parte dell’acquirente. Le prove testimoniali assunte sono inattendibili per le ragioni già evidenziate dal giudice di primo grado, in quanto la dichiarazione del venditore in sede di interrogatorio formale contraddice la deposizioni dei testi indicati dal Notaio, laddove il venditore ha dichiarato chiaramente: “di non essere a conoscenza della circostanza, già accertata nel 2004, e non riferita alla promittente acquirente, che l’immobile era sprovvisto del certificato di agibilità e che lo stesso sorgeva in una zona di dissesto idrogeologico “; mentre i collaboratori del notaio, Rubini e Guglielmi hanno dichiarato che la mancanza “fosse stato oggetto di discussione anche in sede di istruttoria della pratica, prima del perfezionamento dell’atto di compravendita”, salvo poi il teste Guglielmi riferire di : “trovarsi al momento dell’atto, nella stanza accanto a quella del sig. (…), e da lì avrebbe sentito il collega parlare con la (…) circa la mancanza del certificato di abitabilità”.
Tuttavia, appare logico rilevare, che se ciò che è stato dichiarato dai collaboratori del Notaio fosse vero, quest’ultimo avrebbe sicuramente verbalizzato tale mancanza, circostanza di assoluta rilevanza per una corretta informazione nei confronti della parte acquirente, quella che l’immobile fosse inutilizzabile, anche alla luce di quanto dichiarato dal teste (…): “ricordo che io personalmente, su incarico del Notaio, feci alcune telefonate al Comune di Lesina per richiedere notizie sul rilascio dei certificati di abitabilità e/o agibilità. Mi fu risposto, ricordo letteralmente, che in quella zona ove era ubicato l’immobile in questione, neanche se si sparava si riusciva ad ottenere un certificato di abitabilità, perché la zona era interessata da dissesti idrogeologici. Mentre, si ricava come correttamente motivato dal Tribunale, che le deposizioni di (…) e (…), collaboratori del notaio, tentarono prevalentemente di dare riscontro alla tesi del Notaio, al fine di dimostrare che l’acquirente fosse stata informata verbalmente e così evitare una presunta responsabilità di informazione del Notaio.
Infine, per quanto riguarda il difetto di motivazione in ordine all’eccezione di decadenza e di prescrizione, le stesse sono infondate in quanto nella fattispecie in esame si configura la vendita aliud pro alio, che non soggiace ai termini di prescrizione e decadenza della denuncia come gli altri vizi, ai sensi dell’art.1453 c.c., applicabili solo nelle ipotesi di garanzia ex artt. 1490, 1494 e 1497 c.c..
Con il quarto motivo di gravame, l’appellante chiede la riforma della sentenza nella parte in cui afferma il giudice di primo grado pur affermando la responsabilità del Notaio per non avere adempiuto all’obbligo di informare l’acquirente, rispondendo del suo operato anche nei confronti del venditore per aver fatto affidamento esclusivo alla sua professionalità, non lo ha condannato in solido con i venditori. Il motivo è inammissibile.
Si tratta di domanda nuova dell’appellante, in quanto mai avanzata nel giudizio di primo grado, e, come tale, inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c.. Con l’appello incidentale, il Notaio (…) ha impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui il giudice ha ritenuto la responsabilità professionale del Notaio pur avendo stipulato un contratto perfettamente valido ed efficace tra le parti, non potendosi rifiutare di ricevere un atto di trasferimento di fabbricato pur in assenza del certificato di agibilità, visto che non si tratta di un atto nullo. Il motivo è inammissibile.
A tale riguardo é orientamento pacifico nella giurisprudenza di legittimità che “l’interesse ad impugnare sussiste solo in presenza della soccombenza pratica, intesa come situazione di fatto nella quale la sentenza di primo grado abbia tolto o negato alla parte un bene della vita accordandolo all’avversario, ed abbia quindi concretamente determinato per la stessa una condizione di sfavore, a vantaggio della controparte. Una situazione di soccombenza in primo grado che sia invece soltanto teorica – ravvisabile quando la parte, pur vittoriosa, abbia però visto respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero taluni dei suoi sistemi difensivi, od anche abbia visto accolte le sue conclusioni per ragioni diverse da quelle prospettate – non fa sorgere l’interesse ad appellare, e non legittima un’impugnazione, né principale, né incidentale, ma impone alla parte, vittoriosa nel merito, soltanto l’onere di manifestare in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre le domande ed eccezioni respinte o dichiarate assorbite nel giudizio di primo grado, onde superare la presunzione di rinuncia, e, quindi, la decadenza di cui all’art. 346 c.p.c.” (sul punto si vedano Cass. civ., Sez. un., 24.05.07, n. 12067; Cass. civ., Sez. un., 2.07.04, n. 12138; Cass. civ., Sez. 2, 6.05.05, n. 9400, tutte richiamate in motivazione da Cass., Sez. 2, Ord. n. 20451 del 28.08.2017).
Orbene, poiché nel caso di specie la sentenza di primo grado ha respinto la domanda dell’attrice nei confronti del Notaio, per cui nessun pregiudizio concreto il Notaio ha subito dalla suddetta decisione tale da legittimare il suo interesse ad impugnare la decisione di primo grado, a prescindere dalla motivazione che ha portato il Tribunale a disattendere le domande attoree, mancando in questo caso la “c.d. soccombenza pratica” in relazione al suo specifico motivo di impugnazione. Infine, l’appellante ha chiesto la correzione della sentenza nella parte in cui riporta quale prezzo di vendita la somma di Euro 67.500, anziché quello di Euro 65.750,00 oltre le spese pari ad Euro 4.750,00, con una condanna all’importo complessivo di Euro 72.500,00 anziché Euro.70.500,00.
A tal proposito non si è opposto l’appellata.
Pertanto, si può procedere sull’istanza di correzione nel dispositivo di sentenza. Non sussistono i presupposti per la condanna degli appellanti al risarcimento ai sensi dell’art. 96 c.p.c. in quanto non hanno agito con malafede o colpa grave, non avendo violato il grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate.
In conclusione, l’appello principale e l’appello incidentale non meritano accoglimento. La regolamentazione delle spese processuali del presente grado di giudizio segue la soccombenza, avuto riguardo al valore della causa (Euro 52.000,00 -260.00,00), ma con esclusione della voce n.3 in grado di appello, non essendo stata svolta alcuna attività istruttoria o comportante trattazione.
Mentre possono essere interamente compensate tra il Notaio (…) e le altre parti per la reciproca soccombenza.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Bari – Seconda Sezione Civile -, definitivamente pronunciando sull’appello principale proposto da (…) e (…), nonché sull’appello incidentale proposto da (…), avverso la sentenza del nr. 833/2019 emessa dal Tribunale di Foggia il 25/28.03.2019 e notificata in data 05/04/2019, così provvede:
1) rigetta l’appello principale;
2) dichiara inammissibile l’appello incidentale;
3) condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore degli appellati, (…) e Condominio “(…)”, che liquida in favore di ognuna in Euro 7.000,00 per compensi, oltre Cap ed Iva e spese generali, da distrarsi in favore dei difensori del Condominio “(…)” che ne hanno fatto richiesta.
4) Compensa integralmente le spese del presente grato tra il dott. (…) e le altre parti;
5) Conferma la sentenza di primo grado, disponendo la correzione di errore materiale della stessa laddove “condanna (…) e (…) a restituire a (…) la complessiva somma di Euro 72.250, oltre interessi legali come da motivazione ” anziché la somma corretta di Euro. 70.500,00 oltre interessi legali come da motivazione, mandando alla Cancelleria per la relativa annotazione;
6) Da atto della ricorrenza dei presupposti, ex L.228/2012, per l’imposizione, a carico degli appellanti principali, e di quello incidentale, del pagamento di un importo pari al contributo unificato già versato all’atto dell’iscrizione a ruolo della causa di appello.
Così deciso videoconferenza del 5 aprile 2022.
Depositata in Cancelleria il 9 giugno 2022.
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