con riferimento al verbale di accertamento di un incidente stradale redatto da organi di polizia, l’efficacia di piena prova fino a querela di falso, che ad esso deve riconoscersi – ex art. 2700 cod. civ., in dipendenza della sua natura di atto pubblico – oltre che quanto alla provenienza dell’atto ed alle dichiarazioni rese dalle parti, anche relativamente “agli altri fatti che il pubblico ufficiale che lo redige attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti” non sussiste né con riguardo ai giudizi valutativi che esprima il pubblico ufficiale, né con riguardo alta menzione di quelle circostanze relative a fatti, i quali, in ragione delle loro modalità di accadimento repentino, non si siano potuti verificare e controllare secondo un metro sufficientemente obiettivo e pertanto, abbiano potuto dare luogo ad una percezione sensoriale implicante margini di apprezzamento, come nell’ipotesi che quanto attestato dal pubblico ufficiale concerna l’indicazione di un corpo o di un oggetto in movimento, con riguardo allo spazio che cade sotto la percezione visiva del verbalizzante … Il predetto verbale fa invece piena prova fino a querela di falso in ordine ai fatti accertati visivamente dai verbalizzanti e relativi alla fase statica dell’incidente, quale risultava al momento del loro intervento.
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Tribunale Lecce, Sezione 1 civile Sentenza 14 settembre 2018, n. 3037
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Lecce, Prima Sezione Civile, in persona della Dott.ssa Eleonora Guido in funzione di Giudice Unico ha emesso la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al n. 40000791/2012 R.G. (cui è riunita la n. 40000457/2013 R.G.) del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi Civili avente ad oggetto: MORTE
TRA
GR.AN., rappresentato e difeso come da mandato in atti dagli Avv. MA.TO. E MA.FR.;
E
AN.AN., rappresentata e difesa come da mandato in atti dall’Avv. CA.AL.;
ATTORI
CONTRO
AX. S.P.A, in persona del suo procuratore speciale p.t., rappresentata e difesa come da mandato in atti dall’avv. VI.SA.;
CONVENUTA
NONCHÉ CONTRO
BA.LU., BA.MA.;
CONVENUTI CONTUMACI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E CONCLUSIONI DELLE PARTI
Con atto di citazione ritualmente notificato, Gr.An. citava in giudizio la Compagnia As. S.p.A. nonché Ba.Ma. e Ba.Lu. al fine di ottenere il risarcimento dei danni iure hereditatis e iure proprio patiti a seguito del decesso del padre, Gr.Sa., avvenuto a causa del sinistro stradale del 20.07.2011, alle ore 11.00 circa, allorquando si trovava alla guida del proprio (…) tg. (…) in Parabìta alla intersezione tra via (…) e via (…) ed entrava in collisione con l’auto (…) tg (…) di proprietà di Ba.Lu. e condotta da Ba.Ma.
All’udienza del 5.12.2013 veniva riunito al presente fascicolo quello avente n. 40000457/2013 R.G. concernente le medesime richieste risarcitone avanzate dalla coniuge superstite, An.An.
La causa veniva quindi istruita a mezzo di prova orale e CTU dinamica.
Assegnata alla scrivente in data 10.11.2017, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 3.05.2018 con concessione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda degli attori è fondata per quanto di ragione e merita accoglimento nei limiti e per le motivazioni di seguito indicate.
Per motivi di ordine logico giuridico si deve preliminarmente ricostruire, sulla base degli atti di causa e delle emergenze probatorie raccolte nella fase istruttoria, la dinamica del sinistro ed accertare in concreto le responsabilità dei due soggetti coinvolti.
Sul punto, si impone in primo luogo una considerazione di ordine generale.
Dalla documentazione in atti emerge che nell’immediatezza del fatto sono intervenute le Autorità di polizia, le quali hanno redatto apposita relazione descrittiva del luogo del sinistro.
Orbene, le rilevazioni fattuali effettuate dai Carabinieri di Parabita sono confluite in un’annotazione di servizio da qualificarsi, dal punto di vista tecnico giuridico, quale atto pubblico ai sensi del comb. disp. 2699-2700 c.c. in relazione “ai fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”. La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito che “con riferimento al verbale di accertamento di un incidente stradale redatto da organi di polizia, l’efficacia di piena prova fino a querela di falso, che ad esso deve riconoscersi – ex art. 2700 cod. civ., in dipendenza della sua natura di atto pubblico – oltre che quanto alla provenienza dell’atto ed alle dichiarazioni rese dalle parti, anche relativamente “agli altri fatti che il pubblico ufficiale che lo redige attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti” non sussiste né con riguardo ai giudizi valutativi che esprima il pubblico ufficiale, né con riguardo alta menzione di quelle circostanze relative a fatti, i quali, in ragione delle loro modalità di accadimento repentino, non si siano potuti verificare e controllare secondo un metro sufficientemente obiettivo e pertanto, abbiano potuto dare luogo ad una percezione sensoriale implicante margini di apprezzamento, come nell’ipotesi che quanto attestato dal pubblico ufficiale concerna l’indicazione di un corpo o di un oggetto in movimento, con riguardo allo spazio che cade sotto la percezione visiva del verbalizzante … Il predetto verbale fa invece piena prova fino a querela di falso in ordine ai fatti accertati visivamente dai verbalizzanti e relativi alla fase statica dell’incidente, quale risultava al momento del loro intervento” (Cass. 3282/2006).
Per quanto di nostro interesse, hanno quindi efficacia di piena prova le circostanze di fatto relative a:
– Condizioni della strada (strada asfaltata con lievi avvallamenti e fondo asciutto), condizioni meteo (tempo sereno);
– Segnaletica stradale verticale e orizzontale di “dare precedenza” a carico del Motocarro;
– La marcia inserita (la terza) all’Ape;
– L’assenza di tracce di frenata sull’asfalto.
Nel corso del processo, inoltre, la CTU dinamica ha consentito di appurare la velocità a cui sopraggiunsero all’urto i mezzi, rispettivamente non superiore a circa “10-15 km/h” con riferimento all’Ape e a circa “57 km/h” quanto alla (…). Sulla scorta di tali dati l’Ausiliario del Giudice ha chiarito che “gli stessi non avrebbero avuto il tempo di avvistare/percepire reciprocamente la presenza del veicolo concorrente stante anche il limitato campo visivo dovuto olla presenza di un muro di recinzione posto all’angolo tra Via (…) e Via (…). La manovra avventata e imprevedibile del motocarro, che avrebbe impegnato l’intersezione stradale senza arrestarsi al segnale di “Dare la Precedenza” sarebbe pertanto avvenuta all’interno del tempo psicotecnico necessario al conducente della (…) per porre in essere l’azione di frenata, od altra di emergenza, che gli avrebbe consentito di non collidere o di limitare gli effetti della collisione in termini non letali come di fatto accaduto. Il conducente della (…) infatti non sarebbe riuscito a tentore alcuna manovra di emergenza in prossimità della collisione e pertanto senza avere la possibilità di effettuare alcuna azione di frenatura”.
In altri termini, il sinistro è avvenuto sia a causa della manovra gravemente imprudente commessa dal Gr., il quale non ha dato la precedenza alla (…), che aveva tale diritto sulla scorta del segnale stradale e del fatto che proveniva dalla destra rispetto all'(…) sia a causa della velocità tenuta dall’autovettura, assolutamente non consona allo stato dei luoghi, attesa peraltro la conformazione dell’incrocio (come evidenziato da tutte le consulenze svolte in questa sede processuale ed in quella penale).
Orbene, le rilevazioni in ordine allo svolgimento dell’evento lesivo e alla velocità di impatto di entrambi i veicoli sono condivise anche dal Tribunale, considerato che le risultanze sono ancorate a criteri logici ed univoci quali la planimetria e la documentazione fotografica facente parte della “relazione di incidente stradale” redatta dagli organi di P.G. intervenuti nell’immediatezza del sinistro.
Alla luce di quanto sopra, pertanto, il Tribunale ritiene che l’incidenza percentuale delle rispettive responsabilità nella causazione dell’evento è da attestarsi nella misura del 70% in ordine alla condotta di Gr.Sa. e del restante 30% in relazione alla condotta di Ba.Ma.
Il Gr., infatti, ometteva di dare la precedenza all’auto proveniente dalla strada alla sua destra ed effettuava una repentina manovra di svolta a sinistra allo scopo di immettersi su via (…), ponendo in essere una grave violazione alle norme del codice della strada, di cui all’art. 145 c.d.s., ed alle più basilari regole di prudenza. Né può validamente sostenersi – come pure hanno asserito gli attori – che il motocarro si fosse arrestato all’incrocio e poi fosse ripartito perché “tratto in inganno”, quanto all’assenza di veicoli provenienti dalla destra, proprio a causa della conformazione dello stato dei luoghi, atteso che il mezzo è stato trovato con la terza marcia inserita, la quale si palesa logicamente incompatibile con una partenza da fermo di qualunque veicolo (e del resto nella stessa CTP di parte attrice, a p. 10, è precisato che l'(…) ha quale velocità massima in curva quella di 20 km/h, comunque vicina ai 10-15 km/h ipotizzati come plausibili dal CTU Napoli).
Viceversa il Ba. è corresponsabile per il restante 30%, considerata la formulazione dell’art. 141 comma 2 c.d.s. che impone al conducente di mantenere sempre il controllo del proprio veicolo, al fine di essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, “specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile”.
È evidente, infatti, che se costui avesse proceduto più lentamente in corrispondenza dell’intersezione, come pure prescritto dalle generali regole di diligenza che presidiano la circolazione stradale, avrebbe potuto arrestarsi in tempo, evitando l’impatto – considerato che non è impossibile prevedere l’attraversamento improvviso di un mezzo da un incrocio, in dispregio dell’obbligo di dare precedenza – ovvero limitando i danni riportati dai soggetti coinvolti.
Ciò premesso, devono ora esaminarsi le domande risarcitone avanzate dagli attori. Costoro, infatti, hanno chiesto il ristoro dei danni patrimoniali iure proprio, da perdita del rapporto parentale, e iure hereditatis, per la vigile agonia patita dal congiunto.
Principiando dalla prima domanda, la stessa si palesa fondata.
Con riferimento alle somme dovute ai prossimi congiunti superstiti in caso di danno da decesso, occorre fare riferimento alle sentenze a Sezioni Unite della Suprema Corte del 2008 (tra cui Cass. n. 26972/2008; Cass. n. 26973/2008; Cass. n. 26974/2008; Cass. n. 26975/2008), che hanno ribadito principi già introdotti in materia di danno da uccisione di un familiare individuando i familiari quali vittime dirette di un pregiudizio alla serenità familiare in violazione di diritti di tutela costituzionale, quali sono quelli previsti dagli artt. 2 e 29 Costituzione.
Nel procedere alla quantificazione del danno subito iure proprio patito dal figlio e dal coniuge superstite occorre pertanto riferirsi all’ambito delle forcelle minime e massime previste dalle tabelle di Milano, che prevedono in favore dei figli e del coniuge, in caso di morte del genitore – marito, un risarcimento che varia da un minimo di Euro 163.990,00 ad Euro 331.920,00 pacificamente ritenute criterio univoco sul territorio nazionale. Tra le variabili deve considerarsi, in primo luogo l’età del de cuius, non potendosi equiparare, ad esempio, il decesso di persona di 3040 anni che lascia figli in tenera età, con quella di persona ottantenne, come nel caso in esame, con figli già adulti, e correlativamente dell’aspettativa di vita del de cuius comprensibilmente ridotta, essendo evidente che diverso è il risarcimento spettante per decesso di una giovane vita rispetto a quello, pur sempre doloroso, di una persona anziana.
È noto, infatti, che il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, “dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all’Intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare” (così Cass. 4253/2012), danno che dev’essere integralmente risarcito mediante l’applicazione di criteri di valutazione equitativa, rimessi alla prudente discrezionalità del giudice. Tali criteri devono tener conto dell’Irreparabilità della perdita della comunione di vita e di affetti e della integrità della famiglia. La relativa quantificazione va operata considerando tutti gli elementi della fattispecie” (Cass. 10107/2011) mediante ricorso a valori tabellari.
Alla luce di tanto, quindi, i convenuti vanno condannati in solido a corrispondere, a Gr.An. e ad An.An., Euro 49.788,00 ciascuno (somma pari al 30% di Euro 165.960,00) a titolo di risarcimento del danno iure proprio per il decesso del comparente.
Su detta somma, devalutata al momento del fatto e progressivamente rivalutata secondo gli indici ISTAT fino alla decisione, sono dovuti gli interessi fino alla decisone; con la sentenza il debito di valore si trasforma in debito di valuta e sono dovuti gli interessi dalla decisione al saldo.
Viceversa, devono essere rigettate le ulteriori domande avanzate dagli attori, sub specie di risarcimento del danno c.d. terminale e danno morale da sofferenza patita dalla vittima primaria del sinistro, Le. Gr.Sa.
Quanto al danno terminale va rilevato che questo pregiudizio presuppone la coscienza di sé: esso pertanto è risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente. In difetto di tale consapevolezza, pertanto, non è neppure concepibile l’esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni. La giurisprudenza della Suprema Corte ha infatti chiarito che “La paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente; in difetto di tale consapevolezza non è nemmeno concepibile l’esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni” (così Cass. Sez. III, 13-06-2014, n. 13537; coni. Cass. civ. Sez. III, 22-02-2012, n. 2564).
Nel caso in esame, non essendo emersa tale consapevolezza, la domanda deve essere rigettata.
Il mero dato “statico” fotografato in cartella clinica in ordine all’ingresso in ospedale in stato di coscienza non è infatti sufficiente sul punto, atteso che gli attori non hanno fornito la prova della perdurante lucida agonia; a ciò aggiungasi che il consenso informato all’intervento chirurgico risulta sottoscritto nella stessa data del ricovero dal figlio (poiché evidentemente il Gr. non era più vigile).
Parimenti, non merita accoglimento la domanda di risarcimento iure successionis del danno “morale” patito dal congiunto posto che, al di là del nomea iuris a cui sono ricorsi gli attori, tale sofferenza soggettiva e patema d’animo è sostanzialmente sovrapponibile alla posta di danno risarcitoria pocanzi analizzata e rigettata.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate, quanto a Gr.An., in favore dei suoi procuratori, dichiaratisi antistatari.
Le spese di CTU, già liquidate con separato decreto, vanno poste definitivamente in solido a carico dei convenuti.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Gr.An. e An.An., nei confronti di Ba.Lu., Ba.Ma. e Ax. S.p.A. in persona del procuratore speciale p.t., disattesa ogni contraria istanza ed eccezione così provvede:
a) Accoglie per quanto di ragione la domanda e per l’effetto condanna i convenuti in solido a pagare a Gr.An. e An.An. la somma di Euro 49.788,00 ciascuno, oltre accessori come in motivazione, a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali;
b) Rigetta ogni altra domanda;
c) Condanna i convenuti in solido alla rifusione delle spese di lite in favore di An.An. ed in favore dei procuratori di Gr.An., dichiaratosi antistatari, liquidate in Euro 8,000,00 per ciascuna parte oltre spese forfetarie, IVA e CAP come per legge;
d) Pone definitivamente le spese di CTU in capo ai convenuti.
Così deciso in Lecce il 10 settembre 2018.
Depositata in Cancelleria il 14 settembre 2018.