la tutela possessoria delle aperture lucifere è consentita, oltre che nel caso di servitù di luce, nel caso in cui le aperture siano state eseguite e mantenute ” iure proprietatis”, costituendo l’apertura di luce sul confine manifestazione di una facoltà rientrante nel contenuto del diritto di proprietà e del possesso, salvo che il vicino costruisca in aderenza a norma dell’art. 904 c.c., venendo meno nella suddetta ipotesi la tutela della luce, sia in sede petitoria, sia in quella possessoria.

Tribunale Foggia, Sezione 2 civile Ordinanza 10 novembre 2018

Il Giudice,

letti gli atti del procedimento iscritto al n. 9103/2017 R.G., vertente tra:

(…), rappresentata e difesa, in virtù di procura allegata al ricorso introduttivo depositato telematicamente, dagli avv.ti prof. (…), con elezione di domicilio presso lo studio legale del primo sito in Saronno (Va);

– RICORRENTE-

nei confronti di

(…), entrambi rappresentate e difese, giusta procura allegata alla comparsa di costituzione depositata telematicamente, dall’Avv. (…), unitamente al quale elettivamente domiciliano in Trinitapoli, al (…);

– RESISTENTI-

Nonché

(…);

– RESISTENTI CONTUMACI-

sciolta la riserva assunta all’udienza del 6.11.2018 ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

I fatti.

Con ricorso depositato il 5 novembre 2017 (…) ha adito questo tribunale esponendo: – di essere legittima proprietaria e posseditrice, in virtù di atto di donazione dell’11 luglio 1987 disposto in suo favore dal di lei padre, dell’immobile ubicato al primo piano del fabbricato sito in Trinitapoli, alla via (…), ove si reca occasionalmente nei periodi di ferie dal lavoro, che svolge presso l’Ospedale di (…), località in cui risiede; – che in data 12 luglio 2017 in occasione di un sopralluogo conclusivo di lavori di ristrutturazione dell’appartamento, l’Ing. (…) (nipote della ricorrente) e il capocantiere (…), avevano constatato (e riferito telefonicamente alla (…)), la presenza di un manufatto, eretto sul lastrico solare dell’immobile adiacente a quello di proprietà dell’odierna istante, in aderenza alla finestra-luce sita su un muro perimetrale del cespite della ricorrente che si affaccia sul detto lastrico solare;- che la porzione di fabbricato sul cui lastrico solare è stato eretto il manufatto, risulta appartenere ai resistenti (…), in qualità di proprietari nella misura di (…) ciascuno, e a (…), in quanto titolare del diritto di usufrutto per (…); – che la finestra-luce risale ad un ampliamento del fabbricato, avvenuto intorno al 1947-48, e che, in ogni, caso, esisteva già quando la ricorrente era divenuta proprietaria dell’immobile nel 1987; – che nonostante gli inviti a rimuovere il manufatto i resistenti non hanno ripristinato lo stato dei luoghi; – che la realizzazione del manufatto de quo ha impedito il passaggio dell’aria e notevolmente ridotto l’ingresso di luce.

Tanto premesso in fatto, la (…) in diritto ha richiamato la giurisprudenza di legittimità sulla scorta della quale il sacrificio del diritto del vicino di tenere le luci nel muro è subordinato alla effettiva erezione di una costruzione “che deve apportare una concreta utilità a chi l’ha costruita”, utilità che non sarebbe ravvisabile nel caso di specie, essendo patente il carattere meramente emulativo dell’opera, poiché non potrebbe neppure sostenersi che la costruzione del manufatto in contestazione assolva ad una funzione di sicurezza, avendo la controparte riconosciuto – nello scambio di corrispondenza tra di esse intrattenuto – che la finestra-luce della ricorrente fosse provvista di grata e retina come per legge e, dunque, idonea a garantire la sicurezza del vicino. La ricorrente ha quindi esposto che la finestra-luce insistente sul muro di sua proprietà è rispettosa dei dettami di cui all’art. 901 c.p.c., e che, pur a voler ritenere che si tratti di una luce irregolare, tanto non varrebbe a giustificare lo spoglio (o in subordine la molestia) posto in essere in maniera consapevole e clandestina dai vicini, che avrebbero al più potuto chiedere la regolarizzazione della luce ai sensi dell’art. 902, comma 2, c.c.

Sulla scorta di tali premesse, parte attrice ha instato per l’emanazione del provvedimento interdittale di reintegra nel possesso della finestra-luce, ordinando ai resistenti la demolizione totale o parziale del manufatto, in modo da ripristinare lo status quo ante nel passaggio di aria e luce, ovvero adottare ogni altro provvedimento ritenuto più opportuno alla cessazione della turbativa o molestia, vinte le spese di lite.

Regolarmente notificato il ricorso ed il pedissequo decreto di fissazione dell’udienza, si sono costituite in giudizio, a mezzo comparsa di costituzione e risposta depositata in data 3 maggio 2018, soltanto (…).

Le resistenti non hanno contestato il possesso della ricorrente e la propria legittimazione passiva, né hanno negato di aver realizzato il manufatto per cui è causa, precisando che lo stesso ha di fatto impedito il passaggio dell’aria, ma non l’ingresso della luce. Hanno poi rappresentato: – che la realizzazione dell’opera era successiva ad altro muro che la ricorrente aveva eretto, sul medesimo terrazzo dei resistenti, sul preesistente parapetto e/o muretto – dell’originaria altezza di circa 1,20 mt – delimitante il confine tra le proprietà (…), in violazione delle norme di legge, così impedendone la visuale e l’affaccio e arrecando alle stesse gravi danni, per i quali si sono riservate di agire in separata sede; – che a seguito della notifica del ricorso, (…), anche per conto di tutti gli altri resistenti, si era resa più volte disponibile alla rimozione del muro realizzato in aderenza, a condizione che la P provvedesse alla immediata rimozione del muro da essa costruito abusivamente sul parapetto insistente sul terrazzo dei resistenti, a cui poc’anzi si è fatto riferimento.

Nel merito, hanno sostenuto di non aver commesso alcuno spoglio o molestia in danno della ricorrente, avendo esercitato il proprio diritto di costruire in aderenza al muro di proprietà (…) sul quale insisteva una mera luce irregolare, contestandone la qualificazione datane dalla controparte di “finestra-luce”, categoria non contemplata dall’art. 901 c.p.c. Ritenendo, dunque, che l’unico spoglio violento e clandestino fosse quello preventivamente posto in essere dalla (…) mediante la costruzione del descritto muro sul preesistente parapetto dei resistenti – che aveva determinato la decisione di questi ultimi di realizzare il manufatto oggetto della invocata tutela interdittale, hanno insistito per il rigetto della domanda, chiedendo, in via riconvenzionale, la rimozione e/o demolizione del muro eretto sul confine da (…), nonché l’accertamento che la “luce” ubicata sul muro della ricorrente, anche se irregolare e non conforme alle prescrizioni dell’art. 901 c.c., soggiace al regime dettato dall’art. 902 c.c., con conseguente autorizzazione dei resistenti alla chiusura della stessa acquistando la comunione del muro per appoggiarvi la propria fabbrica in aderenza, ai sensi dell’art. 904 c.p.c., il tutto con vittoria delle spese di lite, maggiorate ex art. 96 c.p.c. per la temerarietà dell’azione.

Tentato vanamente il bonario componimento della controversia, ritenuta la causa matura per la decisione sulla scorta del documentale in atti, note conclusive autorizzate, all’udienza del 6 novembre 2018, il Tribunale si è riservato la decisione.

Diritto.

In limine litis, deve essere dichiarata la contumacia dei resistenti (…), non costituitisi in giudizio nonostante la ritualità nei loro confronti della notifica del ricorso introduttivo e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti.

La richiesta di pronuncia di provvedimenti sommari avanzata da P L è fondata e deve essere accolta.

Va preliminarmente qualificata l’azione proposta.

Nel caso di specie, la ricorrente, come precisato anche nelle note depositate, chiede di essere reintegrata nel possesso della finestra- luce dopo che i resistenti hanno provveduto clandestinamente e violentemente alla costruzione di un manufatto in aderenza alla suddetta apertura lucifera insistente sul muro perimetrale dell’appartamento sito in Trinitapoli, alla (…), di sua proprietà, che si apre sull’attiguo terrazzo connesso all’immobile sul quale i resistenti godono di diritti reali, così impedendo l’ingresso di aria e limitando l’afflusso di luce. Si tratta quindi di azione di reintegrazione ai sensi dell’art. 1168 c.c..

Pacifico il possesso in capo alla (…) della luce de qua – il quale in alcun modo contestato dai resistenti, costituisce una univoca esplicazione del suo incontroverso diritto di proprietà sull’appartamento, nel quale saltuariamente risiede, a cui afferisce il muro perimetrale che affaccia sul lastrico solare degli avversari – egualmente, non vi sono dubbi in ordine alla legittimazione passiva degli odierni convenuti, i quali, riconoscendo la natura di “luce” dell’apertura in contestazione e che detta luce “consente di fornire luce ed aria ad una parte dell’immobile di proprietà (…)”, ne hanno evidenziato la scorretta qualificazione datane da controparte di “finestra-luce”, ammettendo di aver realizzato il manufatto in contestazione in epoca infra-annuale rispetto al deposito del ricorso, eccependo tuttavia, che, la costruzione del muro in aderenza, costituiva esercizio di un proprio diritto e risultava, in ogni caso, essere successiva ad altro muro eretto abusivamente dalla ricorrente sul medesimo terrazzo dei resistenti.

Ciò posto, occorre, innanzi tutto, rilevare che nonostante l’utilizzo in ricorso dell’espressione “finestra – luce”, l’apertura per la quale si agisce non può essere definita come veduta (art. 900 c.c.), in quanto non risulta neppure allegato che la stessa consenta l’inspicere ed il prospicere in alienimi, bensì va qualificata – come del resto emerge chiaramente dal tenore del libello introduttivo, laddove la ricorrente esplicitamente si duole di aver risentito della impedita propagazione dell’aria e dell’afflusso in senso riduttivo della luminosità (rispetto alla situazione precedente) all’interno dell’appartamento stesso – come “luce”.

Ed, in particolare, come luce regolare, in quanto rispettosa dei requisiti di cui all’art. 901 c.c.: i requisiti di cui al n. 1 (presenza di inferriata e grata) sono ammessi dall’Ing. (…), incaricato della resistente (…), nella lettera raccomandata a/r del 19.09.2017, rispetto alla quale le resistenti non hanno mosso alcuna contestazione; mentre, la sussistenza dei requisiti di cui al n. 2 (altezza dal piano interno) e n. 3 (locale a livello inferiore al suolo del vicino) emerge ictu oculi dalla mera visione delle fotografie accluse al ricorso e, del pari, incontestate.

E, comunque, pur a volerla ritenere come “luce irregolare”, trattandosi – come a breve si dirà – di luce aperta iure proprietatis, resta sempre salvo il diritto del confinante di immutare lo stato dei luoghi, pretendendo conseguentemente la regolarizzazione – ex art. 902 co. 2 c.c. – della “finestra lucifera” (regolarizzazione che, nel caso di specie, risulta essere richiesta, a mezzo lettera raccomandata del 19.9.2017, solo successivamente alla già avvenuta realizzazione del manufatto in contestazione, pacificamente realizzato verso la fine di giugno – inizio luglio 2017, come dichiarato dalla stessa resistente, (…), all’udienza dell’8 maggio 2018).

Risulta, inoltre, che la luce per la quale si invoca la tutela possessoria risulta aperta già prima che la ricorrente divenisse proprietaria e posseditrice, nel 1987, del fabbricato di via (…) (circostanza incontestata) e che la stessa da affaccio sul terrazzo (aperto) dei vicini.

A tale proposito occorre precisare che “le luci aperte iure servitutis sono regolate, quanto al loro esercizio, dal titolo, sicché si sottraggono, in tutto o in parte, alle norme generali stabilite dagli art. 901 e segg. cod. proc. civ., con l’ulteriore conseguenza che il possesso corrispondente al relativo diritto reale è tutelabile, nei limiti in cui è stato acquistato, con le azioni possessorie. Invece, le luci aperte iure proprietatis, una volta aperte in conformità agli artt. 901 e segg. danno vita a un diritto condizionato, potendo essere chiuse da chi acquisti la comunione del muro in cui si aprono mediante costruzione in appoggio o in aderenza, e potendo essere oscurate anche in altro modo, in quanto la legge non le tutela imponendo il rispetto di determinate distanze da esse, tali luci non possono fruire in possessorio di una tutela maggiore di quella che loro compete in petitorio, e, pertanto, non può essere concessa azione possessoria nel caso che il vicino intenda chiuderle nei modi in cui gli è consentito dall’art. 904 cod.civ. (Cass., sez. II, sent. n. 1421 del 08/07/1965 ; Cass. 2608/63 ; Cass. 1583/62; Cass. 424/57 e Cass. 59/48)”.

In altre parole, la tutela possessoria delle aperture lucifere è consentita, oltre che nel caso di servitù di luce, nel caso in cui le aperture siano state eseguite e mantenute ” iure proprietatis”, costituendo l’apertura di luce sul confine manifestazione di una facoltà rientrante nel contenuto del diritto di proprietà e del possesso, salvo che il vicino costruisca in aderenza a norma dell’art. 904 c.c., venendo meno nella suddetta ipotesi la tutela della luce, sia in sede petitoria, sia in quella possessoria (Cass. n. 1403 del 1968; Cass. n. 2473 del 1973; Cass. n. 6234 del 1993 e Cass. n. 2293 del 1996).

Detto ancora meglio, anche se la luce si ritiene aperta “iure proprietatis” la sua tutela possessoria è sicuramente ammissibile, non come tutela di un inesistente possesso di luce, ma come tutela del possesso della “cosa”, a titolo di proprietà, di cui l’apertura di luce sul confine costituisce manifestazione di una facoltà rientrante nel contenuto del diritto (e del possesso), con una sola limitazione consistente nel fatto che il vicino voglia costruire in aderenza, oppure acquistare la comunione del muro e quindi costruire in aderenza. In questo caso la tutela della luce, intesa come estrinsecazione di una facoltà compresa nel diritto di proprietà, viene meno sia in sede petitoria, sia, posto che dette luci non possono fruire in sede possessoria di una tutela maggiore di quella che loro compete in sede petitoria, nella predetta sede possessoria. Nè può, quindi, essere concessa la tutela possessoria nel caso in cui il vicino le chiuda nei modi consentiti dall’art. 904 c.c. (ma non se la chiusura avviene con altre modalità) (Cassazione civile, sez. II, 30/05/2013, n. 13618).

Tanto premesso, anzitutto occorre, necessariamente verificare, se la luce in contestazione sia stata aperta iure servitutis o iure proprietatis.

Orbene, nel caso di specie, nei limiti della delibazione sommaria propria della presente fase, non essendo stato allegato dalla ricorrente un titolo, e cioè un contratto o un testamento costitutivo di una servitù prediale (art. 1058 c.c.), deve ritenersi che la luce per cui è causa sia stata aperta iure proprietatis.

Dall’esistenza della luce aperta dalla (…) sul confine, discende la conseguenza che i resistenti potevano oscurarla solo costruendo in appoggio o un’aderenza al muro in cui si apre, una costruzione che deve apportare una concreta utilità a chi l’ha costruita, che non sia necessariamente collegata al soddisfacimento di esigenze abitative (Cass. civ. sez. II. n. 12016/2004; conf. Cass. civ. sez. II, n. 8671/2001), e non abbia invece come unica finalità di danneggiare il fondo contiguo attraverso la soppressione delle luci (Cass. civ. sez. II, 18 settembre 2012 n. 15629; Tribunale Bari 4 marzo 2010).

Ebbene, nel caso qui in scrutinio, se è incontestabile che il muro eretto dagli attuali resistenti risulta essere costruito in aderenza al muro perimetrale – di cui solo in sede di note conclusive le resistenti hanno dedotto di essere comproprietarie, così introducendo inammissibilmente un tema di indagine nuovo rispetto a quello cristallizzato con gli atti introduttivi – è altrettanto indubitabile che lo stesso costituisce un mero atto emulativo, in quanto non finalizzato a costruire un manufatto dotato d’una propria ragion d’essere, quindi di un’apprezzabile utilità in funzione della quale quel sacrificio possa trovare giustificazione, non apportando alcun vantaggio all’immobile confinante.

Del resto, le resistenti nulla hanno allegato in proposito salvo poi ad affermare tardivamente, soltanto in sede di deposito delle note conclusive, e in maniera generica che il manufatto in esame sarebbe stato realizzato “per motivazioni sia igieniche che manutentive della loro confinante proprietà”.

Per vero, non può neppure ragionevolmente ritenersi che lo stesso fosse volto a garantire la sicurezza della porzione di fabbricato dei resistenti, poiché come riconosciuto dallo stesso tecnico incaricato da (…) la luce in contestazione è “provvista di grata e retina come per legge”.

Non sarà poi superfluo soggiungere che l’intento meramente emulativo dei resistenti è reso palese dalla affermazione contenuta nella memoria di costituzione e risposta di essersi determinati all’esercizio del proprio diritto di costruire in aderenza in conseguenza della precedente erezione abusiva da parte della P di un muro sul parapetto del medesimo terrazzo di loro proprietà, così privandoli della vista e dell’affaccio precedentemente goduto per oltre cinquanta anni in modo continuato, pacifico ed indisturbato (vedi pag. 6 ultimo capoverso della memoria di costituzione). Ritenuta, quindi, sussistente allo stato degli atti una situazione possessoria tutelabile e sussistendo gli estremi dello spoglio violento (perché i resistenti hanno agito consapevolmente contro la volontà della ricorrente) e clandestino (hanno provveduto a costruire il manufatto in assenza della proprietaria e posseditrice dell’immobile confinante) va ordinato a (…), l’immediata reintegra in favore di (…) della luce del muro perimetrale dell’immobile sito in Trinitapoli, alla via (…), che si apre sul terrazzo di pertinenza dell’appartamento dei resistenti, attraverso la rimozione del manufatto costruito in aderenza.

Deve essere, poi, esaminata la domanda riconvenzionale formulata dalle resistenti costituite alle lettere b) e c) della memoria di costituzione e risposta, volta ad ottenere la reintegra nel possesso del diritto della visuale e dell’affaccio goduto dai resistenti, di cui sarebbero stati spogliati per effetto della realizzazione da parte della (…) della sopraelevazione di un preesistente muro divisorio tra le reciproche unità immobiliari.

La domanda è inammissibile ai sensi dell’art. 36 c.p.c., poiché avente ad oggetto un bene (muro divisorio tra terrazzo e lastrico solare) del tutto diverso rispetto a quello per il quale è stata attivata la tutela cautelare (muretto adiacente alla luce), in tal modo difettando il collegamento oggettivo che giustifichi il simultaneus processus (cfr. Cass. Civ. sez. III, 4 luglio 2006, n. 15271).

La declaratoria di inammissibilità della predetta domanda ne esclude ogni valutazione in merito alla sua fondatezza, con conseguente irrilevanza della documentazione prodotta al fine di dimostrare la regolarità ovvero l’abusività dell’opera in questione.

Non può, del pari, essere declinata l’ammissibilità della domanda riconvenzionale di cui alla lettera d) delle conclusioni di parte resistente (cui sostanzialmente corrisponde quella riportata alla lettera b delle note conclusive depositate) – volta ad ottenere l’accertamento che la “luce” ubicata nel muro della ricorrente, anche se irregolare e non conforme alle prescrizioni dell’art. 901 c.c., soggiace al regime dettato dall’art. 902 c.c., con conseguente riconoscimento in capo ai resistenti dell’autorizzazione alla chiusura della stessa acquistando la comunione del muro per appoggiarvi la propria fabbrica in aderenza, ai sensi dell’art. 904 c.c. – trattandosi all’evidenza di una domanda di natura petitoria, la cui proposizione è espressamente esclusa in sede possessoria dall’art. 705 c.p.c. In ultimo, deve osservarsi che la fondatezza del ricorso assorbe la condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c., pure invocata dalle resistenti.

Le spese di lite sono governate dal principio della soccombenza (art. 91,1° comma, c.p.c.), con conseguente condanna dei resistenti alla rifusione di quelle sostenute dalla ricorrente. Le stesse vengono liquidate come in dispositivo, in base ai parametri di cui al D.M. 55/2014, così come integrato dal successivo D.M. 37/2018, previsti per i procedimenti cautelari di valore indeterminabile di complessità media – poiché pur essendo astrattamente applicabile per la determinazione del valore della controversia l’art. 15 c.p.c., risulta, in concreto, difficilmente identificabile l’esatta porzione dei beni immobili in questione sulla quale viene esercitato il potere di fatto (id est terrazzo di proprietà (…) e terrazzo di proprietà (…))- con la precisazione che si esclude la fase istruttoria di fatto non espletata (cfr. in tal senso Cass., sez. 6-2 Ordinanza n. 24644 del 22.11.2011: “ai fini della liquidazione degli onorari professionali di avvocato, il valore delle cause possessorie, stante la mancanza di criteri legali diretti a tal fine, va determinato attraverso l’applicazione analogica delle regole dettate per la valutazione delle cause relative al diritto, il cui contenuto corrisponde al potere di fatto sulla cosa di cui si controverte, potendo il giudice considerare la causa di valore indeterminabile soltanto laddove non disponga dei relativi dati o dagli atti non emergano elementi per la stima).

P.Q.M.

Letti ed applicati gli artt. 1168 c.c. e 703 c.p.c:

1) accoglie il ricorso e, per l’effetto, ordina ai resistenti (…) di reintegrare la ricorrente (…) nel possesso della luce del muro perimetrale dell’immobile sito in Trinitapoli, alla via (…), che da affaccio sul terrazzo di pertinenza dell’appartamento dei resistenti, attraverso la rimozione del manufatto costruito in aderenza, in modo tale da ripristinare lo status quo ante nel passaggio di aria e luce;

2) dichiara inammissibili le domande riconvenzionali di cui alle lettere b), c), d) (cui corrisponde quella riportata alla lettera b delle note conclusive depositate) della memoria di costituzione di (…).

3) condanna (…), in solido tra loro, alla rifusione, in favore della ricorrente (…), delle spese processuali, che si liquidano in euro 174,83 per esborsi, euro 4.454,00 per compenso, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge. Si comunichi alle parti.

Così deciso in Foggia, il 10 novembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 10 novembre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.