nel caso in cui al contratto preliminare, sia seguita la stipula del definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva.

Tribunale Roma, Sezione 10 civile Sentenza 2 luglio 2018, n. 13369

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SEZIONE DECIMA CIVILE

Il Tribunale in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Giovanna Schipani, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 56027/2015 R.G.A.(…), vertente

TRA

(…)

(…)

elettivamente domiciliati in Roma, via (…), presso lo studio dell’avv.to La.Gr., che li rappresenta e difende giusta procura in calce all’atto di appello

APPELLANTI

E

(…)

elettivamente domiciliato in Roma, piazza (…), presso lo studio dell’avv.to Ma.Va., che lo rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in grado di appello

APPELLATO

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza depositata in data 27.5.2015, il Giudice di Pace di Roma condannava (…) e (…) al pagamento in favore di (…) della somma di Euro 5.000,00 per le opere di ripristino della pavimentazione del giardino di pertinenza dell’immobile acquistato dal (…), nonché al pagamento delle spese di lite e delle spese di c.t.u.

Avverso la sentenza hanno proposto appello (…) e (…), lamentando che erroneamente il primo Giudice non aveva tenuto conto della giurisprudenza consolidata secondo cui il contratto definitivo costituisce l’unica fonte delle obbligazioni delle parti e supera il contratto preliminare, qualora un obbligazione contenuta in questo non venga poi riprodotta nel definitivo, dovendosi questa considerare rinunciata; nell’osservare che, in ragione di quanto sopra, il Giudice di Pace non avrebbe dovuto ammettere prove testimoniali inammissibili e irrilevanti, hanno lamentato, ad ogni buon conto, che era stato effettuato un esame assolutamente parziale delle dichiarazioni rese dai testimoni escussi; in subordine, hanno rilevato l’omessa motivazione in ordine all’eccezione di mancanza di vizi occulti e/o di decadenza dalla garanzia per vizi, nonché l’omessa valutazione delle prove testimoniali; con il terzo motivo di appello, infine, hanno dedotto l’erronea interpretazione dell’effettivo contenuto dell’obbligazione di cui al contratto preliminare e la erroneità e superficialità dell’espletata c.t.u.; hanno chiesto pertanto, in riforma dell’impugnata sentenza, il rigetto della domanda, con condanna del (…) alla restituzione dell’importo corrispostogli in esecuzione della gravata sentenza, o, in subordine, in parziale riforma, la condanna al pagamento delle spese connesse alla sola riparazione della spaccatura esistente nella parte posteriore del giardino, con ogni conseguenza in ordine alle spese di entrambi i gradi di giudizio.

L’appellato si è costituito in giudizio e ha eccepito la inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c.; nel merito, ha chiesto il rigetto dell’impugnazione e la conferma della sentenza di primo grado, per i motivi esposti nella comparsa di costituzione e risposta, da intendersi qui trascritta.

L’eccezione di inammissibilità dell’appello deve essere disattesa.

Come affermato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 27199/2017), gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo di cui al D.L. n. 83 del 22 giugno 2012, convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 7 agosto 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, dovendosi escludere, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che il relativo atto debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (cfr. anche Cass. n. 13535 del 30.5.2018).

Alla luce di siffatti principi, deve ritenersi che l’atto di appello non incorra certo nella sanzione di inammissibilità, posto che contiene tre motivi, ognuno dei quali illustra compiutamente e in modo puntuale la censura e indica, al termine, quale sia l’obiettivo della censura stessa, risultando dunque soddisfatti i requisiti di cui all’art. 342 c.p.c..

Con riguardo al merito, il primo motivo di appello è fondato e riveste carattere assorbente.

Giova premettere che la domanda proposta dal (…) ed accolta dal Giudice di Pace all’esito di espletamento di prova testimoniale e c.t.u. aveva ad oggetto la mancata riparazione della pavimentazione del giardino (che presentava, secondo l’attore, una spaccatura con infiltrazioni ai garage sottostanti) da parte dei proprietari (…) e (…), i quali avevano assunto la relativa obbligazione con il contratto preliminare, ma successivamente al contratto definitivo di compravendita, stipulato il 22.3.2010, e all’invio del preventivo (poi ridotto) da parte dell’acquirente in data 1.10.2010, avevano sostenuto di non dovere alcunché.

I convenuti, nel costituirsi in giudizio, avevano rappresentato che, nel contratto preliminare dell’8.6.2009 avevano promesso in vendita l’immobile di via dei (…) P. n. 242 a C.E. o a persona da nominare, assumendo a proprio carico la spesa per la riparazione della spaccatura insistente sul lato posteriore del giardino, riparazione che era stata eseguita nell’estate 2009 dal signor (…), e che nel successivo contratto di compravendita del 22.3.2010 non era previsto alcun obbligo di riparazione da parte dei venditori, ma a distanza di sette mesi il (…) aveva avanzato pretese per oltre Euro 20.000,00.

Orbene, è incontestato, oltre che documentalmente provato, che l’impegno assunto nel preliminare non è stato trasfuso nel contratto definitivo, che non contiene alcun riferimento alla pavimentazione del giardino.

Secondo l’orientamento prevalente della Suprema Corte, nel caso in cui al contratto preliminare, sia seguita la stipula del definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva (cfr., tra le tante, Cass. n. 15585/2007; Cass. n. 30735/2017)

La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l’adempimento di detto distinto accordo (Cass. n. 9063/2012; cfr. anche Cass. n. 7064/2016, che ribadisce che non assume rilievo un eventuale consenso formatosi fuori dell’atto scritto, trattandosi di atti vincolati).

Del resto, come spiegato dal Giudice di legittimità (Cass. n. 22984/2014), il c.d. principio dell’assorbimento è stato ripetutamente affermato dalla Corte con riguardo a controversie aventi ad oggetto compravendite immobiliari per le quali la legge prescrive la forma scritta ad substantiam, mentre sussiste il dovere del giudice di verificare – indagando quale sia stata la comune intenzione delle parti nella conclusione del contratto definitivo, alla stregua dei principi stabiliti a tal fine dall’art. 1362 c.c. e ss. – se quella presunzione possa nella specie ritenersi vinta da elementi di segno opposto, offerti dalle parti o desumibili dagli atti, qualora la legge non richieda per il negozio la forma scritta ne’ ai fini della validità ed efficacia, ne’ ai fini della prova.

A fronte di tale consolidato indirizzo giurisprudenziale, parte attrice ha richiamato, in primo grado, la pronuncia n. 11624/2006 delle Sezioni Unite della Suprema Corte in tema di preliminare di vendita di cosa altrui, nella cui motivazione si afferma incidentalmente che la conclusione del contratto definitivo non assorbe ne’ esaurisce gli effetti del preliminare, il quale continua a regolare i rapporti tra le parti, e, nel presente grado di giudizio, la pronuncia n. 11744/2012 (che richiama Cass. n. 5179/2001 e Cass. 7206/1999).

Tuttavia, prevalente è il diverso orientamento di legittimità, dal quale questo Giudice non ritiene di discostarsi.

Nel caso oggi in esame, essendosi in presenza di compravendita di beni immobili, sarebbe stato necessario fornire la prova, a mezzo di atto scritto (contemporaneamente al rogito), dell’accordo mirante a far sopravvivere l’obbligazione dei venditori di sostenere le spese di riparazione di parte della pavimentazione del giardino, prova che non è stata fornita.

Deve pertanto concludersi che, essendo stato stipulato l’atto definitivo di vendita, che non prevede la specifica obbligazione in parola a carico dei venditori, non può ritenersi l’inadempimento alle obbligazioni previste dal preliminare, non potendosi condividere, sulla scorta dei principi sopra riportati, quanto sinteticamente affermato dal Giudice di Pace in ordine al “più ampio” contenuto del contratto preliminare, che, sembra di comprendere, sopravvivrebbe automaticamente al definitivo in forza della mera previsione della ulteriore obbligazione (principio che non viene affermato neppure dall’orientamento minoritario citato dall’appellato, che rimette la valutazione sulla sopravvivenza al Giudice).

Per i motivi sin qui esposti, l’impugnata sentenza deve essere riformata e la domanda proposta dal (…) deve essere respinta.

Va conseguentemente accolta la domanda di condanna dell’appellato a restituire agli appellanti quanto da questi ultimi versato al predetto in esecuzione della sentenza di primo grado, pari ad Euro 7.585,34 (cfr. docc. 1, 2 e 3 allegati all’atto di appello), oltre interessi legali dal 29.6.2015 (data del pagamento) al saldo.

La fondatezza del primo motivo di gravame, per il carattere assorbente dello stesso, esime il Tribunale dall’affrontare gli ulteriori motivi formulati in via subordinata e le ulteriori connesse questioni prospettate dalle parti.

Le spese seguono la soccombenza e l’appellato deve essere condannato alla rifusione, in favore degli appellanti, delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che si liquidano come da dispositivo (con esclusione dei compensi della fase istruttoria nel secondo grado).

Le spese di c.t.u. devono essere poste definitivamente a carico dell’appellato.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da (…) e (…) nei confronti di (…) avverso la sentenza n. 23802/2015 emessa dal Giudice di Pace di Roma in data 27.5.2015, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

1) in accoglimento dell’appello ed in riforma dell’impugnata sentenza, rigetta la domanda proposta da (…);

2) condanna l’appellato al pagamento, in favore di (…) e (…), della somma di Euro 7.585,34, dai predetti corrisposta in forza della sentenza di primo grado, oltre interessi legali dal 29.6.2015 al saldo;

3) condanna l’appellato al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore degli appellanti, che liquida in Euro 1.205,00 per compensi, per il primo grado, e in complessivi Euro 3.590,50 (di cui Euro 355,50 per esborsi) per il secondo grado, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge;

4) pone le spese di c.t.u., come liquidate in primo grado, definitivamente a carico dell’appellato.

Così deciso in Roma il 23 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 2 luglio 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.