l’affittuario subentra nei contratti stipulati tra il concedente ed i clienti dello stesso per terminare i lavori in esecuzione”. Peraltro, in tema di affitto d’azienda, l’art. 2558 c.c. considera come effetto naturale dell’affitto, salvo patto contrario, il subingresso dell’affittuario nei contratti inerenti all’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, e tale effetto esclude (con conseguente mancata liberazione del locatore d’azienda e contraente originario) solo in presenza di una specifica manifestazione di opposizione dell’altro contraente. Ne consegue che, in presenza dei detti presupposti (inerenza del contratto all’azienda;, carattere non personale dello stesso), affinché si realizzi la successione dell’affittuario nel contratto, non è necessario dimostrare il consenso del terzo contraente.

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Contratto di Affitto di azienda

Corte d’Appello Milano, Sezione 4 civile Sentenza 3 giugno 2016, n. 2196

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI MILANO

SEZIONE QUARTA CIVILE

La Corte, composta dai signori magistrati:

Dott. Marisa G. Nardo Presidente

Dott. Rossano Taraborrelli Consigliere

Dott. Alessandro Bondì Consigliere relatore – estensore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nelle cause riunite iscritte ai numeri 1597 – 1686/2013 RG, aventi per oggetto “appalto”, promosse in grado d’appello

DA

GI.PU. SPA – ora S.r.l. (…), con il patrocinio dell’avv. BU.NI., domiciliatario in MILANO;

APPELLANTE

CONTRO

IS. S.r.l. UNIPERSONALE (…), con il patrocinio dell’avv. VI.NI., domiciliatario in Milano, e dell’avv. BI.FA.;

APPELLATA ED APPELLANTE

AL.. – AZIENDA LOMBARDA PER L’EDILIZIA RESIDENZIALE DI BUSTO ARSIZIO (…), con il patrocinio dell’avv. LA.MA., domiciliatario in Milano, e dell’avv. BO.PI.;

APPELLATO

FATTO E DIRITTO

Per ragioni di semplificazione espositiva, conviene preliminarmente trascrivere il testo dell’impugnata sentenza n. 929/12 del 10/11.12.2012, emessa dal tribunale di Busto Arsizio.

“Con atto di citazione regolarmente notificato l’AL. di Busto Arsizio – premesso di avere concluso con la Gi.Pu. S.p.A. (di seguito Pu. per brevità) un contratto d’appalto avente a oggetto la costruzione di un complesso immobiliare in Busto Arsizio alla via (…) – ha convenuto in giudizio l’appaltatrice per essere risarcita ex art. 1669 c.c. dei danni da infiltrazioni manifestatisi successivamente all’intervenuta consegna delle opere (consegna avvenuta il 25.8.2000), in misura da accertare e quantificare in corso di causa.

Parte convenuta si è costituita contestando la propria responsabilità per i danni da infiltrazioni in quanto a suo dire imputabili alla non corretta installazione delle tubazioni idriche e alla mancata manutenzione programmata da parte della committente. La convenuta ha altresì evidenziato che “con il collaudo ritardato per la finalizzazione dei lavori e l’accettazione delle opere senza riserve da parte della committente” essa doveva intendersi “pienamente liberata da ogni garanzia e responsabilità per vizi, conosciuti o riconoscibili ai sensi dell’art. 1665 c.c.”. In ogni caso, la Pu. ha chiesto di essere autorizzata a chiamare in causa la Fo. Copertura Impermeabili s.a.s. divenuta di seguito IS. S.r.l. Unipersonale, cui essa aveva subappaltato i lavori d’impermeabilizzazione, e il Condominio di Busto Arsizio via (…) “affinché possano garantire e manlevare la Pu. da ogni conseguenza pregiudizievole che dovesse derivare dall’accoglimento”.

La terza chiamata IS. S.r.l. Un. si è costituita eccependo la propria carenza di legittimazione passiva. In particolare la terza chiamata ha allegato di avere unicamente acquistato in data 19.12.2000 da Fo.Co. S.a.s. – successivamente trasformatasi in Si. S.a.s. – un ramo d’azienda talché “Si. è succeduta a Fo.Co. S.a.s. e non Is. S.r.l.”.

Nel merito la terza chiamata ha poi eccepito la prescrizione del diritto azionato dalla Pu. nei suo confronti e la “decadenza dall’azione” anche ai sensi dell’art. 1670 c.c.

Il Condominio è rimasto contumace.

All’udienza ex art. 183 c.p.c. la IS. S.r.l. ha altresì eccepito la tardiva iscrizione a ruolo dell’atto di citazione per la chiamata in causa del terzo.

Nel corso del giudizio è stata espletata una c.t.u. e si è proceduto all’assunzione delle prove orali; all’esito la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni e quindi trattenuta in decisione.

La domanda risarcitoria proposta dall’Al. nei confronti della Pu. è fondata e va accolta nei termini di seguito illustrati.

Pacifica e documentale è la conclusione tra Al. e Pu. di un contratto d’appalto avente a oggetto la realizzazione, da parte della Pu. e in favore dell’Al., di un fabbricato in Busto Arsizio alla via (…).

In base all’art. 1669 c.c. qualora l’appalto abbia a oggetto edifici o altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta.

L’art. 1669 c.c., benché collocato fra le norme disciplinanti il contratto d’appalto, è diretto alla tutela dell’esigenza di carattere generale della conservazione e funzionalità degli edifici, sicché l’azione di responsabilità ha natura extra – contrattuale e trascende il rapporto negoziale (appalto o vendita) in base al quale l’immobile è pervenuto nella sfera di un soggetto diverso dal costruttore.

L’esito positivo del collaudo di un’opera, peraltro, non esclude la responsabilità dell’appaltatore ai sensi dell’art. 1669 c.c. – norma di garanzia dell’opera nel tempo, mentre il collaudo costituisce prova di tenuta in un unico contesto – e pertanto questi è tenuto a rispondere in caso di gravi difetti nell’esecuzione (Cass. 1290/2000).

Nel caso di specie è emersa dall’espletata c.t.u. la presenza dei gravi fenomeni infiltrativi lamentati dall’attrice (interessanti la facciata dell’edificio, il soffitto dei balconi, le autorimesse etc.) imputabili a vizi costruttivi.

In particolare il c.t.u. arch. Gr. ha riscontrato la “mancanza di sfiati di areazione della guaina indispensabili nelle coperture piane in quanto con l’azione del sole l’aria calda agisce con notevole pressione sulla guaina e provoca la rottura delle parti più deboli, costituite dalle saldature”. A fronte delle contestazioni mosse dal c.t. di parte convenuta (secondo il quale il posizionamento – effettuato da Al. – di alcuni macchinari in copertura, realizzato con tassellature eh hanno forato le membrane impermeabili, sarebbe la prova di esecuzioni effettuate sulla guaina da terzi senza le necessarie cautele) il c.t.u. ha precisato che “in realtà in prossimità dei macchinari non è stata riscontrata alcuna infiltrazione ai piani sottostanti ed il lavoro risulta quindi eseguito a regola d’arte” (cfr. il pag. 5 relazione peritale).

Il c.t.u. arch. Gr. ha inoltre verificato che “in totale su 20 pluviali ben sono stati raccordati con la guaina in modo difettoso e causano infiltrazioni di acqua piovana sulla facciata e all’inferno degli appartamenti. Si tratta evidentemente di un vizio costruttivo nell’esecuzione del raccordo tra guaina e pluviali” (cfr. pag. 6 relazione peritale).

L’arch. Gr. ha poi riscontrato la presenza di numerose macchie e infiltrazioni sul solaio di copertura del piano interrato destinato ad autorimessa portante il giardino pensile. Dalle indagini effettuate è emerso che “le numerose infiltrazioni riscontrate non possono essere attribuite ai soli difetti nei raccordi delle guaine impermeabili nei punti di giunzione” dovendo essere la causa di dette infiltrazioni rinvenuta, più in generale, in “un difetto di posa dell’intera guaina in prossimità di punti ben definiti” (indicati a pag. 11 dell’elaborato peritale cui si rinvia) e nell'”assenza di un funzionante sistema di drenaggio delle acque meteoriche nel giardino a causa della mancata posa dello strato di ghiaia prevista, della errata pendenza del solaio e della mancanza di tubazioni di raccolta e smaltimento dell’acqua drenata (cfr. pag. 11 relazione peritale).

Durante il sopralluogo l’arch. Gr. ha infine verificato “la presenza d’infiltrazioni nei balconi della scala C prospettanti sul lato giardino”, imputabili al sistema d’impermeabilizzazione “a vasca”, cioè realizzato “posando direttamente sul solaio e risvoltandola verso le murature e le soglie” in modo tale che “l’acqua non percola ma rimane nel sottofondo.

In base agli accertamenti effettuati dal c.t.u. è anche emerso che gli interventi di manutenzione previstiti nel “Piano di Manutenzione dell’immobile” sono stati eseguiti e che “non è stato individuato alcun segno indicatore di mancata manutenzione che possa avere concorso al verificarsi del fenomeno infiltrativo” ascrivibile unicamente a vizi di costruzione, con la conseguenza che deve escludersi la responsabilità ex art. 2051 c.c. “del condominio o ne caso di specie dell’ente appaltante” per le infiltrazioni riscontrate.

I costi stimati dal c.t.u. per l’esecuzione delle opere necessarie ad eliminare i vizi e difetti riscontrati (analiticamente indicati nella relazione peritale, cui si rinvia) ammontano a complessivi Euro 209.073,22 IVA inclusa.

Le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u., congruamente motivate e immuni da vizi logici e giuridici, appaiono pienamente condivisibili.

Conseguentemente la convenuta Gi.Pu. S.p.A. va condannata a risarcire all’attrice la complessiva somma di Euro 209.073,22 IVA inclusa ex art. 1669 c.c.

Non è dovuta, ad avviso di giudicante, la somma Euro 38.275,40 stimata dal c.t.u. per le opere necessarie ad adempiere agli impegni del Piano di Manutenzione, trattandosi di voce di danno neanche allegata dall’attrice. In ogni caso non è dato comprendere quale sia il nesso causale tra le spese occorrenti per adempiere il Piano di Manutenzione e i vizi costruttivi imputabili a Pu..

Nulla è dovuto, altresì, a titolo d’interessi sulla somma liquidata, posto che trattasi di debito di valore.

Quanto alla domanda proposta ex art. 1670 c.c. dalla Pu. nei confronti di IS. S.r.l. uni personale, va innanzi tutto disattesa l’eccezione d’improcedibilità della domanda sollevata dalla terza chiamata per avere la convenuta depositato l’atto di chiamata in causa del terzo oltre il termine previsto dall’art. 269, comma 4 c.p.c.

Osserva, infatti, il giudicante che il termine (di dieci giorni dalla notificazione) stabilito dal comma ultimo dell’art. 269 c.p.c. per il deposito dell’atto di citazione del terzo chiamato in causa ha, a differenza di quello previsto per la costituzione dell’attore, natura ordinatoria e, pertanto, la sua inosservanza non incide sulla regolarità del rapporto processuale (Tribunale Napoli, 21.7.2004; Cass. civ. 3441/1980).

Va altresì disattesa l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata da IS.Un. S.r.l.

Dalla documentazione in atti (doc. 8.3 Pu.) si evince che la Pu. subappaltò a Fo.Co. S.a.s. l’esecuzione dei lavori d’impermeabilizzazione del piazzale di copertura sala polifunzionale, del box e piani inferrati, e della copertura del fabbricato di via (…). Con contratto d’affitto d’azienda stipulato in data 19.12.2000 Fo. S.a.s. affittò ad Is. S.r.l. Unipersonale “l’azienda per l’esercizio dell’attività di coperture impermeabili nel settore dell’edilizia in genere con la specializzazione in impermeabilizzazioni di terrazzi, nonché pavimentazione, asfaltatura e manutenzione di fondi stradali” (doc. 11 Pu.).

In base all’art. 5 del contratto in esame “l’affittuario subentra nei contratti stipulati tra il concedente ed i clienti dello stesso per terminare i lavori in esecuzione”. Peraltro, in tema di affitto d’azienda, l’art. 2558 c.c. considera come effetto naturale dell’affitto, salvo patto contrario, il subingresso dell’affittuario nei contratti inerenti all’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, e tale effetto esclude (con conseguente mancata liberazione del locatore d’azienda e contraente originario) solo in presenza di una specifica manifestazione di opposizione dell’altro contraente. Ne consegue che, in presenza dei detti presupposti (inerenza del contratto all’azienda;, carattere non personale dello stesso), affinché si realizzi la successione dell’affittuario nel contratto, non è necessario dimostrare il consenso del terzo contraente (Cass. civ. 11318/2004).

Giova osservare, sul punto, che mentre la cessione del contratto di cui agli art. 1406 c.c. ss. si riferisce a prestazioni non ancora eseguite ed ha l’effetto di sostituire il terzo, col consenso dell’altra parte, nella posizione dell’originario obbligato, la successione nei contratti di cui all’art. 2558 c.c. ha effetti più ampi, potendo intervenire in qualsiasi fase del rapporto contrattuale e quindi anche nella fase contenziosa conseguente ad una domanda di esatto adempimento, di garanzia per vizi e di risoluzione per inadempimento (come nel caso di specie), assumendo, in tal caso, il cessionario dell’azienda la posizione di successore a titolo particolare nel diritto controverso anche agli effetti del disposto dell’art. 111 c.p.c. (Cass. 8219/1990). Per le suesposte considerazioni va pertanto ritenuta la legittimazione passiva della terza chiamata Is. S.r.l. unipersonale.

Nel merito IS. S.r.l. uni personale ha sollevato eccezione di prescrizione del diritto di garanzia e di decadenza dell’azione ex art. 1667 c.c. nonché eccezione di decadenza dall’azione di regresso ex art. 1670 c.c. L’eccezione di decadenza dall’azione di regresso eccepita dalla terza chiamata ai sensi dell’art. 1670 c.c. appare infondata.

Osserva il giudicante che la collocazione sistematica dell’art. 1670 c.c. non lascia dubbi sulla volontà del legislatore che il suo disposto trovi applicazione anche all’ipotesi contemplata dal precedente art. 1669 c.c. (norma applicabile nel caso in esame, vertendo la causa su danni da infiltrazioni cagionate da gravi difetti costruttivi attinenti le opere d’impermeabilizzazione di un fabbricato).

In particolare il subappaltante, chiamato in giudizio ex art. 1669 c.c. dal committente, ha chiamato in causa il subappaltatore ex art. 1670 c.c. al fine di essere da questi “manlevato”.

La terza chiamata IS. S.r.l. uni personale ha affermato che il subappaltante è decaduto dall’azione di regresso ex art. 1670 c.c. (in base al quale l’appaltatore deve portare a conoscenza del subappaltatore la denuncia del committente entro il termine decadenziale di sessanta giorni) poiché “il primo atto di contestazione è…la missiva – inviata a Fo. – del 28.5.2010”.

L’affermazione di IS. S.r.l. uni personale è smentita sia dalla documentazione in atti – dalla quale si evince che la prima contestazione scritta inviata da Al. alla Pu. per il problema delle infiltrazioni è quella dell’11.5.2001 (doc. 14 Pu.) e che in pari data la Pu. significava all’Al. di avere trasmesso la contestazione a Fo. S.a.s. quale “ditta assuntrice in subappalto dei lavori d’impermeabilizzazione nonché diretta responsabile dell’accaduto” (doc. 15 Pu.), sia dalle dichiarazioni rese in h sede d’interpello dal legale rappresentante della terza chiamata Cr.Ma. (già legale rappresentante di Fo. s.a.s.). In particolare il Cr. ha ammesso che dopo l’ultimazione dei lavori d’impermeabilizzazione e prima della lettera di contestazione del 2.4.2001 (doc. 13 Pu.) vennero eseguiti vari sopralluoghi e interventi da parte di Fo. S.a.s. sul manto d’impermeabilizzazione. Quanto all’eccezione di prescrizione sollevata ai sensi dell’art. 1667 c.c. dalla terza chiamata, osserva il giudicante che appare improprio il richiamo alla norma anzidetta, posto che è pacifico il fatto che si verte in tema di responsabilità extracontrattuale dell’appaltatore. Invero, il difetto di costruzione che, ai sensi dell’art. 1669 c.c., legittima il committente (nel caso de quo la Pu. che ha subappaltato i lavori d’impermeabilizzazione a Fo. Coperture Impermeabili S.a.s. nei cui rapporti contrattuali è subentrata IS. S.r.l. Unipersonale) alla relativa azione, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” od il “pericolo di rovina”), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata (quali, ad esempio, le condutture di adduzione idrica, i rivestimenti, l’impianto di riscaldamento, la canna fumaria), incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo (Cass. 11740/2003).

Tanto premesso, l’affermazione di IS. S.r.l. uni personale secondo la quale i lavori d’impermeabilizzazione sarebbero stati ultimati a luglio/agosto 1999 è rimasta priva di supporto probatorio ed è anzi smentita dalla lettera del 23.11.1999 allegata al contratto di subappalto con la quale veniva “ordinata” un’integrazione dell’ordine di esecuzione impermeabilizzazioni al 10.12.1999 (doc. 8.3 Pu.).

In ogni caso, posto che Pu. ha agito in regresso nei confronti del subappaltatore per far valere la garanzia di cui all’art. 1669 c.c., la prescrizione è cominciata a decorrere dal momento in cui essa ha avuto piena conoscenza dei gravi difetti costruttivi a seguito della lettera di AL. ricevuta il 12.3.2010 (doc. 2 Al.). Posto che l’atto di chiamata in causa di IS. S.r.l. uni personale è stato notificato alla Pu. in data 14.7.2010, l’azione esercitata dalla convenuta nei confronti della terza chiamata non si è evidentemente prescritta.

Pertanto la terza chiamata IS. s.r.l. Unipersonale – subentrata in virtù di contratto d’affitto d’azienda a Fo. Copertura Impermeabili S.a.s. nel contratto concluso tra quest’ultima e la Gi.Pu. S.p.A. avente a oggetto l’esecuzione dei lavori d’impermeabilizzazione per cui è causa – va condannata al pagamento, in favore di Gi.Pu. S.p.A. della somma di Euro 209.073,22 IVA inclusa dovuta da quest’ultima ad AL. ex art. 1669 c.c..

La domanda ex art. 2051 c.c. proposta dalla convenuta Pu. nei confronti del Condominio – rimasto contumace – va disattesa in quanto il richiamo all’art. 2051 c.c. appare del tutto inconferente (invero, non si è qui in presenza di un terzo che abbia lamentato di avere subito dei danni a causa di una difettosa costruzione dell’opera, trattandosi piuttosto del committente che agisce nei confronti dell’appaltatore ex art. 1669 c.c.); in ogni caso è rimasta priva di qualsiasi supporto probatorio l’asserita “responsabilità per omessa custodia”.

Stante l’esito del giudizio, la convenuta Gi.Pu. S.p.A. soccombente nei confronti di Al., va condannata alla rifusione delle spese di lite liquidate secondo i criteri e parametri del d.m. 140/2012 in favore di AL.; la terza chiamata IS. S.r.l. uni personale va condannata alla rifusione delle spese processuali nei confronti di Gi.Pu. S.p.A. e al rimborso delle spese da quest’ultima dovute ad AL.; spese irripetibili nei confronti del Condominio rimasto contumace. Le spese della c.t.u. vanno poste a carico solidale della convenuta e della terza chiamata IS. S.r.l. uni personale.

P.Q.M.

il Giudice, definendo il giudizio, ogni contraria istanza, eccezione, deduzione disattesa, così provvede:

a)ln accoglimento della domanda proposta da AL.. – Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale – di Busto Arsizio nei confronti di GI.PU. S.p.A. condanna quest’ultima al pagamento, in favore della prima, della somma di Euro 209.073,22 IVA inclusa ex art. 1669 c.c.;

b) In accoglimento dell’azione di regresso proposta ex art. 1670 c.c. da GI.PU. S.p.A. nei confronti di IS. S.r.l. Unipersonale condanna quest’ultima a manlevare la prima in ordine al pagamento delle somme di cui al precedente punto a) e al successivo punto d);

c) rigetta la domanda proposta da parte convenuta nei confronti del Condominio di via (…) in Busto Arsizio;

d) condanna GI.PU. S.p.A. al pagamento, in favore di da AL.. – Azienda Lombarda per l’Ed.Re. – di Busto Arsizio, delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 6.100,00 per compenso professionale oltre IVA e CPA come per legge ed oltre Euro 348,27 per spese d’iscrizione a ruolo;

e) condanna IS. S.r.l. Unipersonale al pagamento, in favore di GI.PU. S.p.A., delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 8.000,00 per compenso professionale oltre IVA e C.P.A. come per legge;

f) dichiara irripetibili le spese nei confronti del Condominio di via (…) in Busto Arsizio, contumace;

g) pone definitivamente a carico della convenuta e della terza chiamata IS. S.r.l. uni personale, in solido fra loro, le spese della c.t.u. liquidate in corso di causa”.

Avverso tale sentenza hanno proposto separati appelli, poi riuniti, la Gi.Pu. S.p.A. (ora srl) e la IS. srl. L’ALER, costituitasi, ha chiesto respingersi gli appelli e confermare l’appellata sentenza.

La causa è stata rinviata all’udienza collegiale di precisazione delle conclusioni del 14.1.2016, dopodiché, decorsi i termini assegnati per il deposito degli scritti conclusionali, è stata decisa all’odierna camera di consiglio.

Con un primo ordine di argomentazioni, la Pu. censura la relazione di c.t.u. e la sentenza che la recepì, sotto il profilo che, a fronte della contestazione della stessa appellante, circa il fatto che causa delle infiltrazioni sarebbe principalmente la carente manutenzione dell’immobile, ascrivibile all’AL., da un lato affermò che erano stati effettuati gli interventi previsti nel piano di manutenzione dell’immobile, senza specificare quanti, quali e quando, e dall’altro diede atto che la guaina in molti punti presentava rappezzi, così finendo con l’evidenziare la messa in opera non di una corretta manutenzione, ma di rimedi improvvisati ed insufficienti, che avevano in realtà aggravato la situazione.

Col secondo motivo d’appello, la Pu. assume che il primo giudice avrebbe condiviso le erronee conclusioni del c.t.u., il quale aveva riferito dell’assenza di infiltrazioni ai piani sottostanti i macchinari posizionati dall’AL. o da sue imprese terze appaltatrici provocando fori nelle membrane, così ritenendo che i lavori effettuati tramite tali macchinari fossero stati eseguiti a regola d’arte, senza considerare che, “per esperienza e prassi consolidala, l’acqua si infiltra da un foro e fuoriesce in punti spesso anche distanti e diversi”. In tal modo tuttavia si vorrebbe addebitare alla Pu. la conseguenza di opere eseguite da imprese terze, che “potrebbero aver provocato i danni”.

Col terzo motivo di gravame, la Pu. censura la sentenza, nella parte in cui la stessa richiamò quanto affermato dal c.t.u., senza tenere conto del capitolato e delle obiezioni del c.t.p., circa la mancanza degli indispensabili sfiati di aerazione, che invece non costituirebbe un vizio costruttivo, ma piuttosto un vizio del progetto, alle cui indicazioni tecniche e fa appaltatrice aveva prestato rispetto. Criticabile e contraddittoria era inoltre la relazione di c.t.u., quando aveva affermato che lì su 20 pluviali erano stati raccordati con la guaina in modo difettoso, così provocando infiltrazioni di acqua piovana sulla facciata ed all’interno degli appartamenti e rivelando un vizio costruttivo. In realtà il c.t.u. aveva altresì sostenuto che numerose infiltrazioni sul solaio di copertura nell’autorimessa interrata non potevano essere attribuite ai soli difetti nei raccordi, ma erano dovute più in generale ad un difetto di posa dell’intera guaina in prossimità di punti ben definiti ed all’assenza di un funzionante sistema di drenaggio delle acque meteoriche. Senonché, quanto alla guaina d’impermeabilizzazione, era documentato e provato per testi ed interrogatorio formale come la Fo. Coperture, essendo intervenuta più volte nel corso del decennio successivo all’ultimazione dei lavori per tentare di sanare i vizi, si fosse assunta la responsabilità per la non corretta posa in opera della guaina stessa. Mentre, quanto all’assenza del sistema di drenaggio, nulla poteva essere imputato all’esponente, che si era limitata ad eseguire le opere nel rispetto delle indicazioni progettuali. Infine, le soluzioni prospettate dal c.t.u. al riguardo sono più aggiornate e più onerose rispetto alle indicazioni progettuali dell’epoca.

Col quarto motivo d’appello si contesta la quantificazione dei costi stimati dal c.t.u. per rimediare ai riscontrati vizi, sotto il profilo che gli importi liquidati postulano il rifacimento completo della guaina, laddove sarebbe stato sufficiente intervenire solamente sui punti interessati, come suggerito dal c.t.p. e sono condizionati dalla scelta di soluzioni innovative ed in variante rispetto a quelle oggetto dell’appalto, con conseguente aggravamento degli oneri a carico della società appellante.

Conviene trattare congiuntamente i suesposti motivi d’appello, data la loro stretta connessione, e rammentare subito il principio per il quale avverso le indagini peritali hanno diritto di cittadinanza in sede di gravame solo le critiche munite di adeguato spessore scientifico (Cass. 7773/2004).

Ora, l’espletata CTU ha consentito di mettere in luce, come esattamente rilevato in sentenza, una serie di macroscopici vizi e difetti delle opere oggetto dell’appalto, la cui ricorrenza è pacifica, vale a dire: il raccordo difettoso di 11 pluviali su 20; il difetto di posa dell’intera guaina; la mancanza di un efficace sistema di drenaggio delle acque meteoriche; l’erronea pendenza del solaio; la mancanza delle tubazioni di raccolta e smaltimento dell’acqua drenata; la presenza di stagnazione dell’acqua nel sistema d’impermeabilizzazione a vasca; la mancanza degli sfiati di aereazione.

Al cospetto del principio e dei dati fattuali or ora evocati, le censure rivolte dall’appellante alla relazione peritale (e conseguentemente alla sentenza che la fece propria) si rivelano inammissibilmente generiche. Infatti:

– avendo il consulente escluso senza esitazioni ogni nesso causale tra un qualche difetto manutentivo ed i suddetti vizi (“ritengo inoltre che parte attrice abbia effettuato gli interventi di manutenzione indicati dalla convenuta al punto 7 della comparsa di risposta e che quindi non è stato individuato alcun segno indicatore di mancata manutenzione che possa aver concorso al verificarsi di fenomeni infiltrativi”: v. conclusioni c.t.u. e, più in dettaglio, pag. 6 relazione), a nulla serve lamentare la mancata elencazione delle manutenzioni concretamente effettuate (peraltro invece indicate dal CTU, come appena notato), spettando caso mai nel descritto contesto all’appaltatore esplicitare quali fossero stati gli interventi omessi che avevano provocato i danni riscontrati, assunto che avrebbe dovuto poi essere dimostrato in sede peritale;

– se è vero che i rappezzi costituivano interventi limitati, è altrettanto certo che l’iniziativa non può essere utilmente stigmatizzata, in quanto doverosamente volta proprio a fronteggiare nell’immediato i danni e ad evitarne un aggravamento, ricordandosi nuovamente che la causa dei fenomeni infiltrativi lamentati dalla committente non fu per nulla individuata in detti rappezzi;

– nessun argomento utile alla sua prospettazione offre la Pu. quando insorge contro l’accertamento oggettivo della mancanza di infiltrazioni ai piani sottostanti i macchinari installati dall’AL. o da suoi incaricati, affidandosi ad assiomi tanto generici quanto indimostrati circa quel che a suo dire “spesso” accade in punto spostamento dell’infiltrazione rispetto ai fori soprastanti o circa l’astratta possibilità che imprese terze abbiano provocato i danni;

– gli effetti delle eventuali carenze ascrivibili al subappaltatore rilevano ai fini della domanda di manleva, ma non esonerano l’appaltatore dalle proprie responsabilità; d’altro canto, nonu assume lo sperato significato esimente l’avvenuta esecuzione di capitolati e progetti elaborati dal committente, poiché “l’appaltatore, ogni qualvolta non sia un mero esecutore di ordini (“nudus minister”), risponde anche della rovina e del pericolo di rovina della costruzione, che siano conseguenza delle imperfezioni del progetto da altri predisposto, e tale sua responsabilità non viene meno neppure nel caso in cui l’opera sia stata compiuta sotto la vigilanza e il controllo del direttore dei lavori che non abbia ostacolato la libertà di determinazione e di decisione dell’appaltatore medesimo” (Cass. 6202/2009; 8016/2012: ed in questo caso nemmeno viene allegato che la Pu. sia stata relegata al ruolo di nudus minister);

– non merita censura nemmeno la soluzione ripristinatoria indicata dal CTU, consistente nel rifacimento dell’intera guaina coi mezzi disponibili all’epoca della perizia, scartando interventi a macchia di leopardo, posto che l’appellante non ha titolo per rivendicare come doveroso proprio l’approntamento dei rappezzi per altro verso da lei medesima tanto malvisti, né perciò potendosi dire il committente danneggiato tenuto ad accettare tale più approssimativa soluzione.

L’appello della Pu. dev’essere quindi respinto de plano, conclusione che vale anche riguardo alle sue istanze di ammissione delle residue prove orali disattese in primo grado e di rinnovazione della CTU, istanze nel primo caso non sorrette da motivo alcuno e nel secondo miranti ad indagini inammissibili per le ragioni sinora esposte e comunque del tutto irrilevanti ai tini del decidere.

Col primo motivo d’appello (principale ed incidentale) la IS. reitera l’eccezione di proprio difetto di legittimazione passiva, sul rilievo che, essendo state consegnate le opere il 25/8/2000 ed essendo stato stipulato con la subappaltatrice Fo. sas, esecutrice dell’impermeabilizzazione di che trattasi, il 19/12/2000, il contratto di affitto di azienda per terminare i lavori in esecuzione, in realtà non poteva essersi realizzato alcun subentro dell’appellante nei lavori in esecuzione, per la ragione che gli stessi erano già stati ultimati dalla Fo. (peraltro società tuttora esistente sotto la ragione sociale di SI. sas) nel mese di agosto 2000. Il motivo si distingue per la sua totale infondatezza. Da un lato, infatti, l’appellante, nel limitarsi a riproporre tale e L quale l’eccezione motivatamente e fondatamente disattesa dal primo giudice, trascura di confutare il passaggio della sentenza, concorrente nella determinazione della ratio decidendi, nella quale il tribunale chiarì che, mentre la cessione del contratto ex artt. 1406 segg. c.c. postula la presenza di prestazioni ineseguite ed il consenso del contraente nella sostituzione dell’obbligato, la successione nei contratti ex art. 2558 c.c. ha effetti più ampi e prescinde da detto presupposto, potendo intervenire in qualsiasi fase del rapporto contrattuale e quindi anche nella fase contenziosa conseguente ad una domanda di esatto adempimento, di garanzia per vizi e di risoluzione per inadempimento, come si verifica nella specie, assumendo in tal caso il cessionario dell’azienda la posizione di successore a titolo particolare del diritto controverso, anche agli effetti del disposto dell’articolo 111 c.p.c. (Cass. 8219/90).

Ad ogni modo, malgrado la cosa fosse irrilevante per i motivi appena riferiti, al momento della cessione i lavori erano ancora in esecuzione, proprio a causa dell’inadempimento nella realizzazione del manto impermeabile, come dimostrato sia dall’interrogatorio formale reso dal legale rappresentante della IS.Ma.Cr., sia dalla lettera 28/3/2006, di evidente significato ricognitivo, con la quale detta società comunicava alla Pu. (suo doc. 8.4) “abbiamo constatato i vizi del manto impermeabile; intendiamo intervenire” (ed in effetti la IS. avrebbe poi provveduto direttamente alle riparazioni).

Col secondo motivo di gravame la IS. assume l’erroneità del rigetto dell’eccezione di decadenza da lei sollevata ex art. 1670 c.c. Il primo giudice infatti aveva fatto riferimento alla prima contestazione scritta inviata dalla AL. alla Pu. l’11/5/2001 ed alla comunicazione di pari data con la quale quest’ultima significava di avere trasmesso alla prima la contestazione medesima alla Fo., senza considerare che la prova della denuncia inoltrata dall’appaltatrice al subappaltatrice non poteva essere costituita dalla risposta data dalla prima alla committente AL., poiché il documento doveva essere inviato direttamente alla subappaltatrice e cioè ormai alla IS., a quell’epoca già subentrata alla Fo. con contratto del 19/12/2000 (onde il primo atto di contestazione sarebbe stato la missiva tardivamente inviata alla Fo. del 28/5/2010). Neanche tale motivo merita accoglimento. L’appellante nuovamente trascura di considerare che il rigetto della sua eccezione fu fondato dal tribunale non solo sul contenuto della corrispondenza Pu./AL., ma anche sulle dichiarazioni rese nel corso del suo interrogatorio formale da Ma.Cr., il quale aveva “ammesso che dopo l’ultimazione dei lavori di impermeabilizzazione e prima della lettera di contestazione del 2/4/2001 (doc. 13 Pu.) vennero eseguiti vari sopralluoghi e interventi da parte di Fo. sas sul manto di impermeabilizzazione”, così concretandosi un riconoscimento dei vizi per fatti concludenti, idoneo a travolgere, per pacifica giurisprudenza di legittimità, il termine decadenziale. A ciò aggiungasi che, oltre che per il tenore ricognitivo della già rammentata lettera IS. del 28/3/2006, le ragioni dell’appellante trovano smentita, come non manca di notare la Pu. nella sua comparsa conclusionale, nella comunicazione 11/5/2001 ed in quella ancor più risalente del 2/4/2001, entrambe incontroverse ed inviate dalla medesima Pu. alla Fo. (docc. 8.1 e 13).

Il terzo motivo di gravame consiste nella riproposizione dell’eccezione d’improcedibilità della domanda avanzata contro la terza chiamata IS., per violazione del termine di cui all’articolo 165 c.p.c., essendosi l’attore costituito non nel termine di 10 giorni dalla notifica della citazione (perfezionata il 14/7/2010) ma solo successivamente all’udienza del 1712/2010. Il tribunale infatti avrebbe erroneamente fatto applicazione del principio espresso dalla sentenza 3441/80 della S.C., la quale riguardava il caso, non pertinente, della chiamata in sede di impugnazione in fattispecie anteriore alla novella del 1990 del codice di rito. Ciò perché, mentre in appello il terzo chiamato già nel grado precedente ha avuto conoscenza della documentazione agli atti, al contrario ciò non si verifica nel giudizio di primo grado, con conseguente violazione del suo diritto di difesa. Il motivo non merita sorte diversa di quella riservata ai precedenti.

Se infatti la ragione addotta a favore dell’inapplicabilità del principio della natura ordinatoria del termine di costituzione dell’attore chiamante, quale desumibile dal precedente della S.C., consiste nel fatto che nel giudizio di primo grado, diversamente da quello d’appello, si consumerebbe una lesione dei / l diritti difensivi del chiamato per effetto della tardiva costituzione suddetta, allora la doglianza rivela tutta la sua genericità, nel senso che neanche si adombra a quale documento non abbia potuto accedere tempestivamente la IS., con conseguenze pregiudizievoli sulla sua attività difensiva, considerando anche che all’atto di chiamata in causa non era allegato alcun documento e che tutta la documentazione era disponibile nel fascicolo di parte depositato dalla Pu. fin dalla sua costituzione in giudizio, sicché tra la data della chiamata del terzo (12/7/2010) e la prima udienza (1/12/2010) la terza chiamata aveva avuto tutto il tempo necessario per consultare gli scritti processuali, approntando le opportune difese (come poi in effetti verificatosi).

Col quarto motivo la IS. richiama le censure di merito fatte oggetto dell’appello della Pu.

Al proposito la Corte non può che rinviare alla prima parte della presente sentenza.

L’impugnata sentenza dev’essere pertanto confermata. Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, con la precisazione che la IS., per effetto della manleva da cui è gravata, deve tenere indenne la Pu. da quelle dovute all’AL.

P.Q.M.

la Corte, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, disattesa ed assorbita ogni diversa istanza ed eccezione, rigetta gli appelli come sopra proposti avverso la sentenza n. 929/12 del 10/11.12.2012, emessa dai tribunale di Busto Arsizio, che pertanto conferma; condanna la Gi.Pu. S.p.A. (ora srl) al pagamento delle spese del grado a favore dell’AL., liquidate in Euro 9515 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge, importi dal cui pagamento la IS. S.r.l. unipersonale dovrà tenere indenne la Gi.Pu. srl; condanna altresì la IS. S.r.l. al pagamento delle spese del grado a favore della Gi.Pu. srl, liquidate in Euro 9.515 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Milano il 13 aprile 2016.

Depositata in Cancelleria il 3 giugno 2016

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Avv. Umberto Davide

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