l’inserzione automatica della disciplina delle distanze dettata dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9 nello strumento urbanistico comunale opera non solo quando lo strumento urbanistico stesso, individuando le zone territoriali omogenee, violi le distanze minime prescritte dallo stesso art. 9 D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 per ciascuna zona territoriale, prevedendo una distanza inferiore a quella minima prescritta, ma anche quando lo strumento urbanistico, dopo aver individuato le zone territoriali omogenee, nulla preveda sulle distanze legali relativamente ad esse (o ad una di esse). Invero, poiché il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 impone agli enti locali di prevedere distanze minime per ciascuna zona omogenea, anche la mancata previsione delle distanze tra fabbricati costituisce senza dubbio violazione della previsione dell’art. 9.

 

Tribunale Napoli, Sezione 10 civile Sentenza 18 giugno 2018, n. 6036

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI NAPOLI

X sez., in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Ulisse Forziati, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, promossa con atto notificato in data 18.6.2012

da

(…), nato a P. (N.) il (…), ivi residente alla via (…), cod. fiscale (…), elettivamente domiciliato in Pozzuoli (NA) alla via (…), presso lo studio dell’Avv. Pa.Di. e Fa.In., che lo rappresentano e difendono in virtù di procura a margine dell’atto di citazione

ATTORE

contro

(…), nata a P. (N.) il xxxxxxxx, cod. fisc. xxxxxxxxxx, ivi residente alla via (…), elettivamente domiciliata in Pozzuoli (NA) alla (…), presso lo studio dell’Avv. xxxxxxxx, che la rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta

CONVENUTA

OGGETTO: distanze tra costruzioni

MOTIVAZIONE IN FATTO ED IN DIRITTO

1. (…), premesso di essere proprietario dell’appartamento ubicato al terzo piano, interno n. 7, dell’edificio sito in P., alla via (…), ha agito in giudizio per sentir condannare (…) alla demolizione del manufatto da lei realizzato sul lastrico solare di cui era proprietaria, ubicato sull’edificio sito in P., via (…).

A fondamento della domanda, l’attore ha dedotto che: – nel mese di marzo 2011, la convenuta aveva realizzato, sul suddetto lastrico solare, un manufatto costituito da “tralicci di alluminio tubolare e pannelli metallici prefabbricati, sorretti da una robusta intelaiatura cementata al suolo”, sì da garantire alla struttura nel suo complesso l’assoluta inamovibilità anche in caso di eventi atmosferici avversi; – la detta opera rientrava nel concetto normativo di “costruzione” (così come delineato dalla giurisprudenza) ed era posto ad una distanza di 6,50 metri dall’immobile di sua proprietà, in netto contrasto con l’art. 9, comma 1 n. 2, del D.M. n. 1444 del 1968, impositivo dell’obbligo di rispettare la distanza minima assoluta di metri dieci tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

La (…) si è costituita, negando di aver realizzato le opere che l’attore intendeva invece attribuirle e assumendo di essersi, per contro, limitata “ad installare lungo il perimetro del terrazzo de quo delle griglie in legno tappezzate da teli frangivento a tutela della sua privacy, peraltro in parte rimosse perché rese instabili dalle avverse condizioni meteorologiche”. Ciò dedotto, ha concluso per il rigetto della domanda.

2. In via preliminare, va rilevato che non sono in contestazione né la titolarità attiva, né quella passiva, del rapporto giuridico oggetto di causa.

Peraltro, l’attore ha dimostrato di essere proprietario dell’appartamento sito al terzo piano del fabbricato di via (…) mediante la produzione del relativo titolo di acquisto (cfr. atto rogato dal notaio (…) in data (…) rep. (…), doc. 1).

La convenuta non ha negato di essere proprietaria esclusiva del lastrico solare del fabbricato di via (…), rendendo quindi la suddetta circostanza non bisognosa di riscontro probatorio in forza del principio di non contestazione (cfr. art. 115 c.p.c. come modificato dalla L. n. 69 del 2009).

3. Le unità immobiliari coinvolte nel presente giudizio sono porzioni degli edifici ubicati in P., alla via A. n. xxx (immobile dell’attore) e n. xxx (immobile della convenuta). Quest’ultimi sono separati da un vialetto di accesso privato.

L’unità immobiliare del (…) è sita al terzo piano del fabbricato di Via (…) e, lungo il prospetto prospiciente il corpo di fabbrica in cui è inserita l’unità immobiliare di proprietà della convenuta, è dotata di una finestra e di un balcone.

L’unità immobiliare della (…) è sita al terzo piano del fabbricato di Via (…) ed è dotata di accesso, dal corpo scala, al sovrastante lastrico solare.

Ciò posto, è pacifico che sul lastrico della (…) non è più presente il manufatto di cui l’attore aveva chiesto la rimozione.

In base a quanto accertato dal CTU, ing. (…), nella proprietà della (…), allo stato, l’unico manufatto che può essere considerato una costruzione è una cucina in muratura, costituita dalla porzione in muratura ove sono ubicati il piano cottura e il lavello, dalla porzione in elevazione, realizzata in adiacenza alla muratura del torrino scala e più alta di quest’ultima, ed infine dalla sovrastante struttura metallica, bullonata alla muratura del torrino scala, a sostegno del telone.

Sul lastrico sono presenti anche degli scatolari metallici, sprovvisti delle relative pannellature metalliche (a differenza di quanto riportato nelle fotografie presenti nella produzione dell’attore), che possono catalogarsi come parti residue di una costruzione allo stato non più esistente.

Dunque, alla luce di quanto emerso in sede di CTU, va dichiarata la cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda dell’attore. Quest’ultima aveva ad oggetto il manufatto (non più esistente) rappresentato nelle foto presenti nel fascicolo di parte e non una cucina in muratura; a conferma della cessazione della materia del contendere, vi è che le richieste iniziali del (…) non sono state estese, in modo esplicito e chiaro, alla cucina o agli scatolari negli scritti difensivi successivi al deposito della CTU.

Ciò posto, ai fini della pronunzia sulle spese, occorre comunque verificare se al momento dell’introduzione della lite, sul lastrico solare della convenuta fosse presente un manufatto avente le caratteristiche descritte in citazione e posto a distanza inferiore a quella legale.

Ad avviso del Tribunale, al quesito deve darsi risposta positiva, deponendo in tal senso tanto le risultanze della prova testimoniale, quanto gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio.

Invero, l’ing. (…) ha appurato che sul lastrico solare di proprietà della convenuta vi erano tracce inequivoche di “una costruzione non più esistente”.

A conferma di tale conclusione, il CTU ha rilevato come in loco fosse presente, oltre alla cucina in muratura e agli scatolari metallici a cui si è in precedenza accennato, “un telone ripiegato su se stesso, il cui rullo è risultato essere agganciato ad una struttura costituita da uno scatolare metallico orizzontale poggiante su uno scatolare verticale a sua volta agganciato mediante piattina e bullonatura alla muratura del torrino scala”; inoltre, lungo tale scatolare metallico verticale vi era “un taglio probabilmente destinato ad alloggiare un traverso orizzontale atto a sostenere il telone in fase di apertura”. Tale ipotesi troverebbe un riscontro “nella presenza a pavimento di due tracce di precedenti probabili agganci sulla pavimentazione stessa di scatolari metallici”.

Le considerazioni espresse dall’ing. (…), in relazione alla indubbia preesistenza di una “costruzione” sul lastrico solare della (…), risultano del resto ulteriormente suffragate dalle dichiarazioni rese dai testimoni, (…) e (…), i quali hanno riconosciuto, nei rilievi fotografici prodotti dall’attore, lo stato dei luoghi sino all’ottobre del 2012 e hanno affermato di aver scorto sul lastrico della convenuta – alle spalle dei pannelli metallici – una struttura in mattoni (la presenza dei mattoni si evince in modo chiaro dalla foto n. 9 allegata alla seconda memoria ex art. 183 c.p.c.).

In sintesi il quadro probatorio consente di poter ritenere accertato che le opere realizzate dalla (…) fossero effettivamente connotate da obiettiva stabilità rispetto al suolo, caratteristica che consente di estendere la nozione di “costruzione” – non identificata con quella di edificio – a “qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, ed indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa” (ex pluribus Cass., sez. II, 20.07.2011, n. 15972).

Una volta appurato che la S. aveva realizzato un manufatto riconducibile al concetto normativo di “costruzione”, occorre stabile se lo stesso si trovasse a distanza legale dall’immobile dell’attore.

Il CTU ha chiarito che la costruzione sita sul lastrico della convenuta era posta a distanza di 6,65 metri dalla parete finestrata dell’attore. Tale distanza risulta inferiore a quella legale per i motivi di seguito esposti.

L’art. 873 cod. civ. prevede che “le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”. Nel caso di specie, tuttavia, tanto il regolamento edilizio quanto il piano regolatore del comune di Pozzuoli, pur suddividendo il territorio in zone omogenee (gli immobili per cui è causa si trovano in zona B4, cfr. p. 9 CTU), non prevedono una specifica disciplina in materia di distanze tra costruzioni, limitandosi ad un generico rimando alle disposizioni statuali, ma la lacuna legis si rivela soltanto apparente, trovando immediata applicazione, per inserzione automatica, la disciplina di cui al D.M. n. 1444 del 1968.

Esso, infatti, emanato in forza di quanto previsto dell’art. 41 quinquies della L. n. 1150 del 1942, ha efficacia di legge, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili su densità, altezza e distanze tra fabbricati, cui i Comuni sono tenuti a conformarsi nella redazione degli strumenti urbanistici, prevalgono sui regolamenti locali successivi ed, entrando a far parte dello strumento urbanistico in virtù di inserzione automatica, si applicano direttamente ai rapporti interprivati (cfr. Cass., sez. un., 07/07/2011, n. 14953).

Come di recente rilevato dalla Corte di Cassazione, “l’inserzione automatica della disciplina delle distanze dettata dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9 nello strumento urbanistico comunale opera non solo quando lo strumento urbanistico stesso, individuando le zone territoriali omogenee, violi le distanze minime prescritte dallo stesso art. 9 D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 per ciascuna zona territoriale, prevedendo una distanza inferiore a quella minima prescritta, ma anche quando lo strumento urbanistico, dopo aver individuato le zone territoriali omogenee, nulla preveda sulle distanze legali relativamente ad esse (o ad una di esse). Invero, poiché il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 impone agli enti locali di prevedere distanze minime per ciascuna zona omogenea, anche la mancata previsione delle distanze tra fabbricati costituisce senza dubbio violazione della previsione dell’art. 9” (cfr. Cass., sez. II, 12/03/2018, n. 5934; in senso conforme, Cass., sez. II, 19/01/2018, n. 1360).

Dunque, in base a quanto precede, al caso di specie va applicato l’art. 9, comma 1 n. 2, del richiamato D.M. n. 1444 del 1968, che espressamente prevede la distanza minima inderogabile di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Di conseguenza, il manufatto realizzato dalla (…), essendo posto a circa 6,65 metri dall’immobile dell’attore, era senza dubbio ubicato a distanza inferiore a quella legale, sicché la domanda proposta con l’atto di citazione sarebbe stata accolta ove la (…) non avesse spontaneamente rimosso l’opera da lei realizzata.

Di conseguenza, le spese di lite seguono la soccombenza (virtuale) della (…) e, in mancanza di apposita nota, si liquidano come da dispositivo, tenuto conto dei parametri stabiliti dal Decreto del Ministero della Giustizia n.55 del 10.3.2014, del valore indeterminabile della controversia, dell’attività difensiva in concreto prestata, del numero di udienze celebrate. Le spese di CTU vanno poste in via definitiva a carico della convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:

a) dichiara la cessazione della materia del contendere;

b) condanna la convenuta al pagamento delle spese di lite di (…), liquidate in Euro 470,00 per esborsi ed Euro 6.220,00 per compenso del difensore (Euro 1.500,00 per la fase di studio; Euro 1.000,00 per la fase introduttiva del giudizio; Euro 1.720,00 per la fase di trattazione e istruttoria, Euro 2.000,00 per la fase decisoria), oltre rimborso spese forfetarie nella misura del 15% del compenso, IVA e CPA come per legge, con distrazione, ex art. 93 c.p.c., in favore dei procuratori costituiti;

c) pone le spese di CTU a carico della convenuta.

Così deciso in Napoli il 18 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.