ai fini della legittimità del recesso di cui all’art. 1385 c.c., come in materia di risoluzione contrattuale, non è sufficiente l’inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza prevista dall’art. 1455 c.c., dovendo il giudice tenere conto dell’effettiva incidenza dell’inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l’utilità del contratto alla stregua dell’economia complessiva del medesimo.

Tribunale Roma, Sezione 10 civile Sentenza 4 gennaio 2019, n. 139

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SEZIONE DECIMA CIVILE

Il Tribunale in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Giovanna Schipani, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 86077/2013 R.G.A.C.C., vertente

TRA

(…)

elettivamente domiciliato in Roma, piazza (…), presso lo studio dell’avv.to Lo.Lu., che lo rappresenta e difende giusta procura in calce all’atto di citazione

ATTORE

E

(…)

elettivamente domiciliata in Roma, via (…), presso lo studio degli avv.ti Lu.St. e Ra.Pa., che la rappresentano e difendono giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta

CONVENUTA

NONCHE’

(…)

elettivamente domiciliato in Roma, via (…), presso lo studio dell’avv.to An.Fa., che lo rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta

TERZO CHIAMATO IN CAUSA

(…) S.P.A.

elettivamente domiciliata in Roma, viale (…), presso lo Studio Legale Associato Be., rappresentata e difesa dall’avv.to Lu.Be. giusta procura generale alle liti a rogito Notaio Gi.Da. di Treviso

TERZA CHIAMATA IN CAUSA

MOTIVI DELLA DECISIONE

(…) ha convenuto in giudizio (…) e ha chiesto al Tribunale, in via principale, che, accertata l’autenticità delle sottoscrizioni del contratto preliminare sottoscritto tra le parti in data 11.11.2011, nonché il diritto dell’attore ad acquistare l’immobile sito in (…), P. B. C. n. 113 int. 3, con cantina, pronunci ai sensi e per gli effetti dell’art. 2932 c.c. sentenza costitutiva di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto di compravendita che tenga luogo dell’inadempimento della signora (…) e che produca gli effetti del contratto non concluso, trasferendo all’attore la proprietà dei citati immobili, ordinando la cancellazione di qualsivoglia gravame, iscrizione e/o trascrizione, peso od onere, con relativo ordine al Conservatore di Roma con esonero da responsabilità; per l’effetto, considerata l’esistenza dei vizi e/o delle difformità per la cui inesistenza era stata data ampia garanzia, ha chiesto di ridurre il prezzo a fronte delle spese da effettuarsi per la regolarizzazione; inoltre, considerata la condotta inadempiente e in mala fede della convenuta e i danni che ne sono derivati, ha chiesto di condannare la predetta al risarcimento dei danni, in misura non inferiore ad Euro 500.000,00, somma da considerarsi in compensazione ai fini del pagamento del residuo prezzo da parte dello (…), in aggiunta alla somma già versata di Euro 350.000,00 a titolo di caparra confirmatoria, con interessi ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002; “In via alternata e/o subordinata”, qualora non risultasse possibile sanare i vizi e/o le difformità dell’immobile ai fini del trasferimento dello stesso e/o “in caso di particolari disagi e/o conseguenze dannose e/o tempi di attesa lunghi”, ha chiesto che il Tribunale “accertato l’inadempimento della promittente venditrice rispetto agli obblighi contrattuali assunti nonché il diritto di recedere del promittente acquirente ex art. 1385 c.c., Voglia dichiarare risolto per effetto del detto recesso il contratto preliminare datato 11.11.2011, comprensivo delle integrazioni successive, con condanna al pagamento da parte della Sig.ra (…) di Euro 700.000,00”, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di restituzione del doppio della caparra confirmatoria.

La convenuta si è costituita in giudizio e ha chiesto (ed ottenuto), in via preliminare, di essere autorizzata a chiamare in causa il geom. (…); nel merito, ha chiesto di rigettare ogni domanda e, in caso di accoglimento della domanda attorea, di condannare il (…) al pagamento di quanto liquidato in favore dell’attore ovvero a rimborsare alla (…) quanto da quest’ultima corrisposto; in via ulteriormente subordinata, ha chiesto di condannare il (…) a rispondere in solido con la convenuta di quanto questa fosse tenuta a versare all’attore.

Il terzo chiamato si è costituito in giudizio e ha chiesto (ed ottenuto), in via preliminare, di essere autorizzato a chiamare in causa la compagnia (…) S.p.A.; nel merito, ha chiesto di dichiarare infondata ogni pretesa della convenuta e, in via subordinata, di rigettare ogni domanda attorea e, conseguentemente, la domanda di manleva proposta dalla (…); in via ulteriormente subordinata, ha chiesto di ordinare alla compagnia di garantire e manlevare il (…) dal pagamento di ogni somma accertata in corso di causa, che la convenuta dovesse versare allo S..

Anche (…) si è costituita in giudizio e ha chiesto di dichiarare l’inoperatività della polizza e, nel merito, di rigettare le domanda formulate dall’attore e dalla convenuta, nonché la domanda di garanzia del (…); in via subordinata, ha chiesto di contenere la condanna entro il limite del massimale di polizza e di applicare le franchigie ivi previste.

La causa è stata istruita mediante deposito documenti, prova per interpello e prova testimoniale.

All’esito dell’espletamento è stata respinta l’istanza di c.t.u.

All’udienza del 12.7.2018, parte attrice ha rinunciato alla domanda ex art. 2932 c.c. e ha insistito per l’accoglimento della domanda subordinata; quindi, sulle conclusioni precisate dalle parti, la causa è stata trattenuta in decisione, riservata al merito ogni decisione sulla ammissibilità e rilevanza della documentazione di cui a verbale.

Orbene, in data 11.11.2011 (…) e (…) hanno sottoscritto un contratto preliminare di compravendita, con cui la seconda si impegnava a vendere al primo, che si impegnava ad acquistare per sé e/o per persona da nominare, gli immobili meglio indicati in atti (appartamento e cantina), per il prezzo di Euro 2.050.000,00, di cui Euro 200.000,00 versati contestualmente, a titolo di caparra confirmatoria, e il residuo da versare al momento del rogito, da stipularsi entro e non oltre il 30.6.2012.

L’art. 5 prevedeva: “La parte promittente venditrice, sotto la propria personale responsabilità, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia urbanistica ed edilizia, dichiara e garantisce la perfetta regolarità e corrispondenza urbanistica e catastale di quanto promesso in vendita”.

Con scrittura del 27.6.2012, in calce al detto contratto preliminare, ad integrazione e modifica di quanto previsto all’art. 3b), le parti hanno convenuto consensualmente di posticipare la data del rogito entro e non oltre il 15.9.2012.

Il 14.9.2012, le parti hanno convenuto consensualmente che lo S. si obbligava a versare, a titolo di integrazione della caparra confirmatoria, l’importo di Euro 150.000,00 entro e non oltre il 30.11.2012 e che il rogito doveva avere luogo entro e non oltre il 31.1.2013.

Il 16.10.2012, lo S. ha versato l’importo di Euro 150.0000,00, come risulta da quietanza in calce alla scrittura privata di cui sopra.

In data 29.1.2013, le parti hanno differito nuovamente la data del rogito, prevedendo che la stipula dovesse avvenire entro e non oltre il 29.3.2013.

Con raccomandata del 4.3.2013, lo S. ha comunicato alla promittente venditrice che, contrariamente a quanto da questa dichiarato all’art. 5 del preliminare, dall’esame tecnico e notarile compiuto era emerso che l’immobile non risultava provvisto del titolo autorizzativo concernente il frazionamento e che detto intervento urbanistico non era consentito dalle Norme Tecniche di Attuazione del N.P.R.G. per il tessuto urbano in cui l’immobile ricadeva, il che costituiva motivo ostativo al buon fine della compravendita.

La missiva è stata riscontrata in data 27.3.2013 dalla (…), la quale ha risposto che la problematica relativa al frazionamento era già emersa in precedenza, nel settembre 2012, e che proprio per tale ragione erano stati concordati i differimenti della data del rogito al 31.1.2013 e poi al 29.3.2013, tanto che i tecnici dello S. e la medesima si stavano ancora adoperando per la definizione della pratica presso gli uffici comunali, ragione per la quale si rendeva necessario concordare una ulteriore proroga a data non anteriore al 30.6.2013.

Ha fatto seguito la raccomandata del 29.3.2013, con cui il promissario acquirente ha rappresentato che erano state fornite, dalla promittente venditrice, ampie rassicurazioni sulla possibile ed imminente regolarizzazione ed erano, a tal fine, state accordate le successive proroghe, ma successivamente, dalla relazione del tecnico da lui nominato, era emersa l’impossibilità di ottenere il frazionamento, necessario per la stipula, “con le ovvie conseguenze previste dall’art. 1385 c.c., per il quale sin d’ora ci si riserva ogni e qualsivoglia diritto, azione e ragione”.

Sin qui la ricostruzione in fatto della vicenda per cui è processo, sulla scorta della documentazione allegata alla citazione.

Il recesso è stato esercitato dallo S. con raccomandata datata 7.11.2013, sub doc. 18 di parte convenuta.

Ciò detto, non è contestato tra le parti il mancato frazionamento urbanistico dell’immobile, come emerge inequivocamente dalla missiva del 27.3.2013, inviata dalla (…), e dalle difese di quest’ultima, la quale ha affermato che nel 2004 aveva dato incarico al geom. (…) “di verificare se sussistesse la possibilità di operare il frazionamento urbanistico e catastale, al fine di realizzare la vendita di uno solo degli interni (int. 3 e 4) che lo componevano” (punto 3, pag. 5 della comparsa) e che il (…) si era limitato a presentare una denuncia di variazione e a chiedere “il ripristino del numero delle unità immobiliari come da licenza n. 1289 dell’11.03.1899”, senza tuttavia procedere preventivamente al frazionamento urbanistico (punto 4), così provocando una difformità tra le risultanze catastali e quelle urbanistiche.

Soltanto nell’aprile 2012, secondo quanto esposto in comparsa di costituzione e risposta, l’odierna convenuta aveva appreso dall’arch. (…), incaricato della ristrutturazione dell’interno 4 (ove la (…) si era trasferita, in vista della vendita dell’interno 3 all’odierno attore), che, non risultando depositata alcuna pratica urbanistica che desse conto del frazionamento dell’immobile, l’interno 3 non poteva essere venduto separatamente (punto 11, pag. 7).

Il (…), interpellato, le aveva comunicato di essersi limitato al ripristino in sede catastale e le aveva suggerito di presentare due SCIA, al fine di risolvere la problematica (punti 12 e 13); presentate le SCIA e pagate le oblazioni indicate dal Comune, si era tenuta, nel settembre 2012, una riunione tra i contraenti e i rispettivi tecnici (presente l’avv.to Ascione), sfociata nella scrittura di differimento del rogito al 31.1.2013 e nella integrazione della caparra, poi versata il 16.10.2012.

Si legge, ancora, nella comparsa di costituzione e risposta, che, stante l’impossibilità di addivenire al frazionamento, il rogito era stato differito al 29.3.2013, termine non rispettato “per il seguitare degli impedimenti urbanistici”, comunicati allo S., il quale tuttavia aveva esercitato il recesso.

Ora, l’irregolarità urbanistica dell’immobile, come visto, incontestata, è documentalmente provata dalla comunicazione di Roma Capitale del 10.12.2013 (doc. 17 di parte convenuta), da cui risulta che le SCIA prot. (…) e (…) per accertamento di conformità di opere di modifica di distribuzione interna, sottoscritte dal geom. (…) (docc. 7 e 8), erano nulle ed inefficaci “in quanto privi del requisito essenziale della conformità alla normativa urbanistico edilizia che è stata attestata dal tecnico incaricato mediante una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi ante operam. Pertanto i lavori già eseguiti sono privi di titolo”, tanto che il provvedimento è stato inoltrato alla Polizia Locale di Roma Capitale per la comunicazione all’Autorità Giudiziaria a carico del tecnico incaricato della asseverazione delle opere.

In particolare, si legge che la planimetria estratta dall’archivio storico capitolino, dichiarata nelle SCIA quale titolo edilizio per la legittimità della preesistenza, rappresentava una unica unità abitativa corrispondente agli attuali interni 3 e 4, mentre negli elaborati grafici allegati alle SCIA, nella planimetria dello “STATO ORIGINARIO”, le unità immobiliari erano rappresentate già frazionate e nella planimetria allegata alla relazione tecnica asseverata a firma del geom. (…) risultava presente una porzione di muratura, non presente nella planimetria estratta dall’archivio storico.

Da quanto sopra, pertanto, emerge pacificamente che l’immobile promesso in vendita, non risultava urbanisticamente frazionato, risultando soltanto il frazionamento catastale.

Prima di affrontare il merito della vicenda, deve rilevarsi che legittima è la rinuncia del difensore di parte attrice alla domanda principale ex art. 2932 c.c.

Infatti, se la rinuncia all’azione, ovvero all’intera pretesa azionata dall’attore nei confronti del convenuto, costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede in capo al difensore, un mandato “ad hoc”, senza che sia a tal fine sufficiente il mandato “ad litem”, diversamente, la rinuncia ad una parte dell’originaria domanda rientra fra i poteri del difensore, in quanto espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate (Cass. n. 28146/2013).

Pertanto, deve essere respinta la domanda ex art. 2932 c.c., proposta in via principale dall’attore, alla quale il medesimo ha rinunciato in corso di causa, atteso che la rinuncia alla domanda è equiparata al suo rigetto nel merito.

Deve ora procedersi all’esame della domanda subordinata.

Come è noto, ai fini della legittimità del recesso di cui all’art. 1385 c.c., come in materia di risoluzione contrattuale, non è sufficiente l’inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza prevista dall’art. 1455 c.c., dovendo il giudice tenere conto dell’effettiva incidenza dell’inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l’utilità del contratto alla stregua dell’economia complessiva del medesimo.

Nessun dubbio residua, ad avviso del giudicante, in ordine alla gravità dell’inadempimento della convenuta, la quale ha promesso in vendita una sola porzione (l’int. 3 e non anche l’interno 4) di un immobile che, dal punto di vista edilizio-urbanistico, era in realtà un immobile unico e non frazionato (se non catastalmente).

Quanto sopra risulta consacrato dalla comunicazione del Comune di Roma del 10.12.2013, intervenuta dunque a due anni di distanza dalla sottoscrizione del preliminare.

Sul punto, si rileva che parte convenuta, all’udienza del 12.4.2018, ha chiesto di essere autorizzata a depositare relazione dell’arch. (…) del 5.4.2018 (sub doc. 22), nella quale si rappresenta l’avvenuto frazionamento dell’immobile in due distinte unità immobiliari, int. 3 e int. 4, in esito ai lavori di manutenzione straordinaria realizzati con C.I.L.A. prot. (…) presentata in data 22.6.2017 (docc. 23, A, B e C), ultimati come da comunicazione di fine lavori e relativo certificato di collaudo del 7.9.2017 (prot. (…): doc. 24).

A seguito di opposizione al deposito da parte del procuratore dell’attore, quest’ultimo, alla successiva udienza del 17.5.2018 ha chiesto di poter depositare relazione del notaio Misurale, diretta a contrastare la detta documentazione e attestante la illegittimità del frazionamento, oltre alla presenza di abusi edilizi.

All’udienza del 12.7.2018, come già detto, questo Giudice ha riservato al merito ogni decisione sulla ammissibilità e rilevanza della detta documentazione.

Sciogliendo tale riserva, va dichiarata la inammissibilità del deposito dei documenti di entrambe le parti.

Il codice di rito, infatti, detta termini perentori per la cristallizzazione delle domande e delle eccezioni e per l’articolazione di mezzi istruttori, ivi compreso il deposito di documentazione.

Fanno eccezione i documenti di formazione successiva allo spirare dei detti termini.

Tale eccezione riguarda tuttavia documenti la cui formazione successiva interviene indipendentemente dalla volontà e dall’opera delle parti.

Diversamente opinando, ove si consentisse, in corso di causa, alle parti di adoperarsi al fine di procurare la formazione di nuova documentazione idonea ad essere utilizzata in giudizio, la natura perentoria dei termini, unitamente al principio di ragionevole durata del processo, risulterebbero sviliti ed elusi, con palese violazione degli stessi.

Nella specie, a fronte di un giudizio instaurato nel 2013, la convenuta ha presentato la CILA nel 2017 e la relazione è datata addirittura 5.4.2018, a pochi giorni dall’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni.

Trattasi di attività volontariamente posta in essere dalla parte, tra l’altro nella consapevolezza che ciò avrebbe richiesto attività istruttoria (tramite c.t.u.), che avrebbe comportato in sostanza la regressione del processo ad una ormai ampiamente decorsa fase iniziale.

Né vale il richiamo al D.L. n. 133 del 2014, convertito in L. n. 164 del 2014, sopravvenuto al preliminare e alla instaurazione del giudizio, considerato che la CILA è stata presentata nel 2017.

Ne consegue la inammissibilità del deposito dei documenti di parte convenuta (nn. 22, 23 e 24) e della relazione del notaio Misurale di parte attrice, dovendosi comunque osservare che, anche qualora si volesse ritenere ammissibile il deposito (e non è questo il caso), la documentazione in esame sarebbe comunque irrilevante ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento, dovendosi avere riguardo, a tale scopo, al lasso di tempo trascorso dal preliminare e dal termine fissato (a seguito di proroghe) per il rogito.

Del tutto tardiva sarebbe, dunque, l’attività posta in essere in corso di causa dalla convenuta, dal momento che, anche in difetto di termine essenziale e di diffida ad adempiere, l’inosservanza del termine può costituire inadempimento di non scarsa importanza, e quindi causa di risoluzione del contratto, quando il ritardo ecceda ogni limite di tollerabilità, non potendo il tempo dell’adempimento essere rimesso all’arbitrio del soggetto obbligato (Cass. n. 10127/2006: “… l’inessenzialità del termine contrattuale di adempimento non equivale a mancanza di termine, e quindi non obbliga il creditore a porre in mora il debitore, ne’, tampoco, implica l’irrilevanza di qualsiasi ritardo ai fini della gravità dell’inadempimento, poiché, al contrario, proprio siffatta non essenzialità impone la valutazione della gravità del ritardo, che, invece, è in re ipsa quando il termine è essenziale”).

Vista l’evoluzione della vicenda, deve ritenersi pacifico che il limite di tollerabilità del ritardo era già ampiamento oltrepassato alla fine del 2013, data in cui si è accertata la non commerciabilità dell’immobile, non potendo certo esigersi che lo S., a fronte di un contratto preliminare concluso nel novembre 2011 e di varie proroghe concesse, attendesse sine die la eventuale regolarizzazione dell’immobile.

Né la circostanza, sostenuta nella memoria di replica dalla (…), che l’attore, avendo accettato ben tre differimenti del rogito (al 15 settembre 2012, al 31 gennaio 2013 ed al 31 marzo 2013), aveva dimostrato una strenua persistenza di interesse, può avere valenza in senso contrario a quello sopra indicato, in quanto non poteva certo pretendersi che le proroghe già reiterate si ripetessero ancora, e a tempo indeterminato, senza alcuna certezza di poter infine stipulare l’atto di compravendita (pag. 4).

In conclusione, deve ritenersi accertato il grave inadempimento della convenuta, sulla quale incombeva l’obbligo di verificare che l’immobile fosse regolare, essendosi la stessa contrattualmente obbligata a vendere un immobile in regola dal punto di vista urbanistico, di cui ha dichiarato e garantito “la perfetta regolarità e corrispondenza urbanistica e catastale” (cfr. art. 5 del preliminare).

Trattandosi di una delle obbligazioni principali, anzi di quella fondamentale (investendo la stessa alienabilità del bene), a carico del proprietario-promittente venditore, che, nella specie, aveva espressamente garantito la regolarità dell’immobile, deve dunque ritenersi la legittimità del recesso esercitato dallo S. con la missiva del 7.11.2013, sub doc. 18 del fascicolo di parte convenuta, con cui è stata confermata la volontà già espressa con la precedente missiva del 29.3.2013.

In virtù del disposto di cui all’art. 1385 c.c., spetta all’attore il doppio della caparra di Euro 200.000,00 versata all’atto della sottoscrizione del contratto preliminare, pari ad Euro 400.000,00.

Quanto all’ulteriore somma versata in data 16.10.2012 ad integrazione della caparra, si osserva che questa è stata versata successivamente alla riunione del settembre 2012, indetta, come emerso dalla prova per interrogatorio e per testi, proprio allo scopo di affrontare le problematiche emerse in relazione al frazionamento.

In sostanza, l’attore, ormai conscio delle difficoltà insorte, si è determinato a versare tale ulteriore ingente somma di danaro, adottando un comportamento negligente ed imprudente, soprattutto ove si tenga conto del fatto che il medesimo, noto imprenditore proprio nel settore immobiliare, era presente alla riunione del settembre 2012 ed era assistito da tecnici di sua fiducia e, segnatamente, dal geom. (…) e dall’avv.to Ad.As.

L’adozione del grado minimo di diligenza e prudenza avrebbe dovuto sconsigliare la dazione di qualsivoglia importo ulteriore rispetto a quello già versato e, ancor di più, di un importo di rilevante entità, quale deve considerarsi quello di Euro 150.000,00, a nulla rilevando che (come affermato da parte attrice nella prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c.) i predetti, nella riunione menzionata, si fossero limitati a richiedere ulteriori informazioni e documenti per approfondire la legittimità della provenienza urbanistica dell’immobile, in quella sede ancora garantita dalla convenuta e dal suo tecnico.

Siffatte argomentazioni difensive, infatti, confermano pacificamente che i problemi erano noti all’attore e ai suoi tecnici e dimostrano, pertanto, inequivocabilmente il grado di imprudenza e negligenza adottato dagli stessi nella vicenda in esame.

Ne discende che la scelta in questione, essendo ascrivibile unicamente alla libera volontà dell’attore, non può dare corso al meccanismo di restituzione del doppio della caparra, previsto dall’art. 1385 c.c., che presuppone la totale ascrivibilità dell’inadempimento all’altro contraente.

Tuttavia, esclusa la fattispecie del dolo incidente e ritenuto che le argomentazioni della convenuta in ordine alla mala fede e all’intento speculativo dell’attore siano rimaste alla stregua di mere asserzioni, non essendo stata fornita alcuna prova al riguardo, stante la ritenuta legittimità del recesso, la ritenzione della somma da parte della convenuta è ormai sine titulo, di talché la (…), ai sensi dell’art. 2033 c.c., deve essere condannata a restituire l’importo di Euro 150.000,00, in favore dell’attore, oltre interessi in misura legale a far data dalla domanda.

Trattandosi di debito non di valore, ma di valuta, nulla spetta a titolo di rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno (Cass. n. 14289/2018), nella specie neppure prospettato.

Deve ora esaminarsi la domanda della convenuta nei confronti del geom. (…).

Quest’ultimo ha dedotto, in estrema sintesi, che l’incarico conferitogli nel 2004 dalla (…) aveva ad oggetto il solo frazionamento catastale, e non quello urbanistico, che gli era stato conferito soltanto dopo l’incontro del 6.9.2012 (pag. 21 della comparsa di costituzione), e che, in ogni caso, egli non poteva prevedere che la relazione asseverata del geom. (…), con annessa copia del progetto edilizio risalente al 1899, da cui si evinceva che l’immobile era costituito originariamente da due unità distinte ed era rispondente allo stato di fatto rilevato dal (…), “sarebbe risultata un falso” (pag. 23 della comparsa).

Si è già detto della nota del Comune di Roma che attesta la non corrispondenza tra le due planimetrie, in quanto in quella allegata alla relazione del geom. (…) risulta la presenza di una porzione di muratura, non presente nella planimetria estratta dall’archivio storico capitolino.

Lo stesso (…), con la comparsa di costituzione risposta, al punto 27, pag. 15, afferma che, nella menzionata riunione del settembre 2012, egli aveva rilevato che la copia del progetto di cui alla licenza del 1899, esibitagli dal tecnico dello (…), non era coincidente con quella allegata alla relazione asseverata del geom. (…), nel senso che nella prima l’immobile era composto da un’unica porzione e non da due.

Al successivo punto 29, afferma che aveva rappresentato, nella stessa occasione, alla (…) che il progetto allegato alla relazione asseverata dalla medesima consegnatogli, “non corrispondeva probabilmente a quello effettivamente depositato nell’archivio capitolino, ipotesi questa supportata dal fatto che la documentazione in possesso del tecnico dello (…) riproduceva la storia dello stabile di via (…) a partire dal 1700, e quindi appariva più esauriente ed attendibile”.

La non corrispondenza tra i due progetti è stata ribadita al punto 34, pag. 16, della comparsa del (…), laddove questi sostiene di aver precisato alla (…) che anche le due S.C.I.A. a sanatoria delle opere interne realizzate non potevano e non dovevano essere utilmente impiegate, in considerazione dell’errato presupposto su cui entrambe si fondavano (punto 35).

Ciò detto, si osserva che la convenuta, al punto 8, pag. 6, della comparsa di costituzione, afferma di essersi determinata a porre in vendita il solo int. 3 “forte delle rassicurazioni fornite dal Geom. (…) in merito all’intervenuta variazione catastale” e, a pag. 27, sostiene di essere stata indotta in errore sin dal 2004 dal predetto, il quale, pur riscontrando “l’impossibilità di addivenire a quanto richiesto”, le aveva lasciato credere di aver correttamente espletato l’incarico, consegnandole una visura catastale aggiornata.

Già da ciò emerge la contraddittorietà delle difese della convenuta, la quale, da un lato sostiene di aver dato incarico al (…), nel 2004, di procedere al frazionamento urbanistico e catastale, mentre dall’altro fa riferimento alle sole rassicurazioni fornite dal (…) circa il profilo catastale dell’incarico e alla consegna della visura catastale aggiornata.

D’altronde, di fronte al dedotto duplice incarico e alla consegna della sola visura catastale, la convenuta avrebbe dovuto contestare al (…) la mancata consegna di documentazione comprovante lo svolgimento completo dell’incarico, circostanza questa mai neppure prospettata dalla convenuta.

Inoltre, dal consuntivo sub doc. 21 di parte convenuta, comprensivo di voci per incarichi per altri immobili, siti in Campagnano, risulta l’indicazione “Rilievo, restituzioni grafiche, frazionamento e voltura Roma”, che appare generica ed è comunque contrastata dalle risultanze di cui appresso.

Invero, nella relazione tecnica asseverata del geom. (…) (doc. 2 del fascicolo del terzo chiamato), si afferma la necessità “che venga fatta aggiornare la posizione catastale delle due unità immobiliari, secondo quanto previsto nel progetto nel 1899 e attualmente in atto”.

Tale relazione è stata consegnata proprio dalla (…) al (…) (la circostanza, affermata dal (…) al punto 2 della comparsa, anche se negata dalla (…) in sede di interrogatorio formale, non è stata contestata con la prima memoria della convenuta, con conseguente operatività del disposto di cui all’art. 115 c.p.c.).

Ciò conforta la tesi del terzo chiamato, in quanto lascia presupporre che, in base alla licenza del 1899, le unità immobiliari fossero già due e, dunque, non era necessario conferire l’incarico di procedere al frazionamento urbanistico.

Si consideri poi che il teste geom. (…) ha dichiarato che, in sua presenza, la (…) aveva conferito al (…) l’incarico di eseguire il frazionamento catastale dell’immobile e di altri immobili siti in (…) e che, all’esito, il (…) si era recato nell’ufficio ove egli e la (…) lavoravano e aveva consegnato a questa la documentazione.

Lo stesso teste (…) ha altresì dichiarato di aver appreso dalla (…) che il (…) le aveva chiesto la consegna della relazione tecnica redatta dal teste nel 2004 e che, successivamente, a fine 2012 o inizio 2013, il (…) e la (…) gli avevano riferito che la planimetria allegata alla relazione suddetta non corrispondeva al progetto approvato dal Comune e il (…) aveva detto che non era possibile procedere al frazionamento edilizio dell’appartamento.

Valutando in un’ottica di insieme le dette risultanze e deduzioni, è evidente come non possa ritenersi raggiunta la prova del conferimento dell’incarico al (…) di procedere al frazionamento urbanistico dell’immobile, oltre che catastale, né, tanto meno, del fatto che il predetto, avendo riscontrato l’impossibilità di addivenire a quanto richiesto, avrebbe indotto in errore la (…), lasciandole credere di aver correttamente espletato l’incarico e consegnando alla stessa copia della visura catastale aggiornata (come ribadito dalla convenuta con la memoria di replica, alla pag. 8).

Del resto, come emerge dalle dichiarazioni rese dal teste (…), la (…), nel corso della riunione, nonostante le problematiche ormai emerse, continuava a sostenere la legittimità e regolarità del frazionamento urbanistico sulla base di un documento in suo possesso, mentre il (…), interpellato dal teste sulla possibilità di procedere al frazionamento, rispondeva che si riservava di verificare la situazione, il che tuttavia non impedì ai contraenti di pattuire un’ulteriore somma a titolo di caparra.

Alla luce di quanto sopra, la domanda di manleva proposta dalla convenuta, in quanto rimasta sfornita di prova, deve essere respinta, essendo palese come la presentazione delle due SCIA nel 2012 da parte del (…), successiva alla conclusione del contratto preliminare, sia del tutto irrilevante, stante la carenza di nesso eziologico tra la conclusione del contratto preliminare e il suddetto successivo incarico.

Ne consegue il rigetto della domanda di garanzia proposta dal (…) nei confronti della compagnia, per difetto dei relativi presupposti.

Le spese tra attore e convenuta e tra quest’ultima e il terzo (…) seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

La convenuta deve essere condannata a rifondere anche le spese processuali sostenute dalla compagnia, terza chiamata in causa dal (…), dal momento che, “Attesa la lata accezione con cui il termine “soccombenza” è assunto nell’art. 91 cod. proc. civ., il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto (nella specie dal terzo chiamato (…)) deve essere posto a carico dell’attore (nella specie la convenuta chiamante in causa (…)), ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria”: Cass. n. 7431/2012).

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:

1) rigetta la domanda ex art. 2932 c.c. proposta da (…) nei confronti di (…) per intervenuta rinuncia;

2) in accoglimento della domanda subordinata, dichiara legittimo il recesso dell’attore dal contratto preliminare concluso in data 11.11.2011, per grave inadempimento della convenuta, e, per l’effetto, condanna quest’ultima al pagamento, in favore del predetto, della somma di Euro 400.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria, nonché al pagamento in favore dell’attore, ex art. 2033 c.c., della somma di Euro 150.000,00, oltre interessi legali sulle suddette somme alla domanda al saldo;

3) rigetta la domanda proposta da (…) nei confronti di (…), nonché la domanda proposta da quest’ultimo nei confronti di (…) S.p.A.;

4) condanna la convenuta a rifondere all’attore, al terzo chiamato (…) e alla terza chiamata (…) S.p.A. le spese di lite, che liquida in Euro 1.466,00 per esborsi quanto all’attore e in Euro 16.481,00 per compensi per ciascuna delle suddette parti, oltre I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali come per legge.

Così deciso in Roma il 29 dicembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.