La condotta del pedone distratto configura caso fortuito interruttivo del nesso causale ex art. 1227 c.c.

la presenza di una alterazione della pavimentazione, non eccezionale nelle strade cittadine, sono fattori che ponevano in capo al pedone l’onere di incedere con maggiore cura ed attenzione rispetto ad una condizione normale/standard, trattandosi in sostanza di un’irregolarità “tollerabile” e comunque consona al contesto dei luoghi.

 

Per approfondire il tema oggetto della seguente pronuncia si consiglia la lettura del seguente articolo:

La responsabilità della p.a. quale proprietaria delle strade

Tribunale Genova, Sezione 2 civile Sentenza 8 febbraio 2018, n. 438

Data udienza 7 febbraio 2018

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI GENOVA

SEZIONE SECONDA

nella persona del giudice unico ha pronunciato la seguente

Sentenza

nella causa civile iscritta al R.G. n. 3772 /2014 promossa da:

(…) (Cf. (…)) elettivamente domiciliata in Genova presso l’avv. PE.AN. (Cf (…)) che la rappresenta e difende per mandato in atti;

contro

COMUNE DI GENOVA elettivamente domiciliata in Genova elettivamente domiciliato in Genova presso l’avv. CO.SI. (…) (Cf. (…)) che la rappresenta e difende per mandato in atti;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 20 marzo 2014 (…) conveniva in giudizio, nanti l’Ill.mo Tribunale, il Comune di Genova al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti in data 27 agosto 2012, alle ore 16.00 circa, mentre ella si trovava a transitare a piedi in G., Via (…), nei pressi della (…), insieme a (…), cadeva a terra a causa di alcune irregolarità non segnalate al piano di calpestio, in particolare una mattonella sconnessa e in conseguenza della caduta avrebbe riportato lesioni personali

Con comparsa di costituzione e risposta si costituiva in giudizio il Comune di Genova contestando integralmente le domande attoree in quanto infondate in fatto e in diritto e chiedendo che le stesse venissero rigettate.

La causa veniva istruita con l’escussione dei testi indicati da parte attrice sui capitoli di prova dedotti ed ammessi, all’esito, veniva ammessa Consulenza Tecnica d’Ufficio volta alla quantificazione delle lesioni subite dall’attrice e all’esito venivano precisate le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione

MOTIVI DELLA DECISIONE

Secondo la tesi dell’attrice il giorno 27 agosto 2012, alle ore 16.00 circa, mentre ella si trovava a transitare a piedi in G., Via (…), nei pressi della (…), insieme a (…), sarebbe caduta a terra, a causa del piano di calpestio sconnesso, riportando lesioni personali.

Secondo la giurisprudenza costante della Corte di legittimità: “Gli obblighi di manutenzione dell’ente pubblico proprietario di una strada aperta al pubblico transito, al fine di evitare l’esistenza di pericoli occulti, si estendono ai marciapiedi laterali, i quali fanno parte della struttura della strada, essendo destinati al transito dei pedoni. Ne consegue che del danno cagionato da buche sussistenti sul marciapiede non risponde il condominio dell’antistante stabile, il quale non è pertanto passivamente legittimato nel giudizio promosso ai fini del relativo risarcimento (v. Cass. n. 16226 del 03/08/2005).

In altre parole: “In materia di strade pubbliche, per assicurare la sicurezza degli utenti la P.A., quale proprietaria, ha l’obbligo di provvedere alla relativa manutenzione (art. 16 L. n. 2248 del 1865, all. F; art. 14 cod. strada; art. 28 L. n. 2248 del 1865, all. F; per i Comuni, art. 5 R.D. 15 novembre 1923, n. 2506) nonché di prevenire e, se del caso, segnalare qualsiasi situazione di pericolo o di insidia inerente non solo alla sede stradale ma anche alla zona non asfaltata sussistente ai limiti della medesima, posta a livello tra i margini della carreggiata e i limiti della sede stradale (“banchina”), tenuto conto che essa fa parte della struttura della strada, e che la relativa utilizzabilità, anche per sole manovre saltuarie di breve durata, comporta esigenze di sicurezza e prevenzione analoghe a quelle che valgono per la carreggiata, in quanto anch’essa, in assenza di specifica segnalazione contraria, benché non pavimentata per la sua apparenza esteriore suscita negli utenti affidamento di consistenza e sicura transitabilità, sicché non deve presentare insidie o trabocchetti, la cui sussistenza comporta pertanto la responsabilità della P.A. per i danni che ai medesimi ne siano derivati.(v. Cass. n. 5445 del 14/03/2006)

Sulla natura della domanda attorea, in ragione delle allegazioni in fatto e diritto di citazione, la stessa va qualificata a norma degli artt.2043 e 2051 c.c., avendo prospettato parte attrice la responsabilità del comune quale ente territoriale competente e responsabile per la cura e la manutenzione delle strade comunali, ritenendo altresì la natura di insidia e trabocchetto dello stato di manutenzione del manto stradale.

Tanto premesso, chi vuole fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, ai sensi del ben noto principio generale dell’ordinamento in materia di onere della prova di cui all’art.2697 c.c.

Infatti, nella responsabilità ex art. 2051 c.c. è sufficiente all’attore provare che il danno lamentato derivi dalla cosa da altri custodita, senza necessità di provare altresì la condotta – commissiva od omissiva – del custode produttrice del danno, salvo a quest’ultimo l’onere della prova del caso fortuito (cfr.tra le tante: cass. civ. sez. III 4.12.95 n.12500, cass. civ. n. 2861/95, cass. civ. n. 1332/94).

Questo giudice condivide del resto l’orientamento della Suprema Corte, ormai costante, nel senso che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ex art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo e, perché possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire (ad esempio analogo a quello previsto per il depositario) e funzione della norma è, d’altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione.

La Suprema Corte afferma, infatti, che tale tipo di responsabilità è esclusa dalla norma solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa, che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità, dell’eccezionalità e dell’inevitabilità (cfr. tra le tante: cass. civ. sez. III 1.10.97 n. 9568, cass. civ. sez. III 20.5.98 n. 5031, cass. civ. sez. III 10.3.05 n. 5326, cass. civ. sez. III 11.1.05 n. 376, cass. civ. sez. III 10.8.04 n. 15429, cass. civ. sez. III 2.2.06 n. 2284).

Pertanto, parte attrice, agendo per il risarcimento dei danni ex art. 2051 c.c., deve provare il danno, l’esistenza di una relazione causale/eziologia tra la cosa in custodia e l’evento dannoso lamentato ed il potere sulla cosa in custodia da parte del convenuto.

Parte convenuta deve invece offrire la prova contraria alla presunzione “iuris tantum” della sua responsabilità (esclusiva e/o concorrente), mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità riferibile anche alla condotta dello stesso danneggiato.

Non rileva – in sé per sé – la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, infatti la sua responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno (anche di un terzo o dello stesso danneggiato, Cass. civ. sez. III 15.3.2004 n. 5236).

Non ogni situazione di pericolo stradale integra l’insidia, ma solo quella che concretizza un pericolo occulto, vale a dire non visibile e non prevedibile, e la prova della non visibilità ed imprevedibilità di detto pericolo, costituendo elemento essenziale dell’insidia, grava su chi ne sostiene l’esistenza.(v. Cass. n. 10096 del 26/04/2013)

Relativamente alla sussistenza del “nesso di causalità” tra la cosa ed il danno il Supremo Collegio ha confermato anche recentemente il suo costante orientamento per il quale “Per l’applicazione della presunzione di responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. è necessaria la prova da parte del danneggiato del rapporto di causalità tra il bene in custodia e l’evento dannoso” (Cassazione civile, sez. III, 21/11/2014, n. 24845).

In particolare relativamente al comportamento del pedone, la Suprema Corte è tornata sul punto affrontando diversi profili di analisi sempre in punto responsabilità ex art. 2051 c.c., valutando e valorizzando, in particolare, la relazione/interazione tra condotta del danneggiante e del danneggiato, negando, ad esempio in un caso (Corte Cass. n. 1310 del 30.1.2012) la responsabilità dell’Amministrazione Comunale ritenendo che la “distrazione del pedone” potesse rappresentare un caso fortuito in grado di interrompere il nesso causale tra cosa ed evento dannoso.

La Suprema Corte è intervenuta ancora in tema con una pronuncia recente secondo cui “In tema di responsabilità per cose in custodia, la colpa della vittima integra gli estremi dei caso fortuito, e la prova del caso fortuito è sufficiente per vincere la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. (esclusa, nella specie, la responsabilità di un ente comunale per l’infortunio occorso ad un cittadino inciampato in una buca coperta d’acqua presente su un marciapiede; confermata la decisione del giudice del merito, secondo cui la buca era ben visibile ed integrava comportamento colposo la condotta del danneggiato idonea ad interrompere il nesso di causa tra la custodia della cosa e il danno). (Cassazione civile, sez. III, 04/05/2015, n. 8893).

In effetti, in tutte tali recenti decisioni, si pone in evidenza la necessità di approfondire il contenuto della prova liberatoria richiesta al custode, se, cioè, la stessa sia stata fornita e se sia tale da escludere in tutto o in parte la responsabilità di cui si discute.

Bisogna, invece, effettuare un prudente apprezzamento delle circostanze e, in base all’articolo 2051 c.c., il custode si libera, si ribadisce, solo con la prova rigorosa del caso fortuito.

Nel caso di specie va detto che il Comune di Genova – come tutti i comuni d’Italia – per il demanio stradale si avvale di funzionari tra i quali i vigili urbani che percorrono le strade, e, stante la suddivisione del territorio in circoscrizioni amministrative di più piccole dimensioni, era ed è ben possibile la custodia ed il controllo sul tratto di strada in esame in quanto pacificamente ubicato in centro città o nell’immediato circondario.

Il tratto in questione rientra quindi nella piena custodia del Comune di Genova proprio in quanto proprietario che ne disciplina in via esclusiva l’uso da parte della collettività, controllando altresì e sempre in via esclusiva la conformità dello stesso alle norme di sicurezza stradale.

Appurata la custodia in capo al Comune del tratto di strada dove si è verificato il sinistro, ne deriva l’indubbia operatività della disciplina di cui all’art. 2051 c.c. anche alla pubblica amministrazione convenuta, in quanto titolare del rapporto di custodia con la cosa che avrebbe dato luogo all’evento lesivo, rapporto che postula l’effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa con il conseguente potere – dovere di intervento su di essa, che compete al proprietario o anche al possessore o detentore.

Va ricordato che – ormai anche secondo il costante orientamento della suprema corte (cfr. cass. civ. sez. III 20.01.14 n. 999, cass. civ. sez. III 17.10.13 n.23584, cass. civ. sez. III 22.10.13 n. 23919) – l’art. 2051 c.c., stabilendo che “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”, contempla un criterio di imputazione della responsabilità che, per quanto oggettiva in relazione all’irrilevanza del profilo attinente alla condotta del custode, è comunque volto a sollecitare chi ha il potere di intervenire sulla cosa all’adozione di precauzioni tali da evitare che siano arrecati danni a terzi e, d’altra parte, a tale potere/dovere, fa comunque e sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entra in contatto con la cosa.

Pertanto, quando il comportamento del soggetto che interagisce con la cosa è apprezzabile come incauto, occorre allora stabilire se il danno è stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi è stato concorso causale tra i due fattori, compiendo una valutazione sul piano del nesso eziologico che comunque sottende un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela e quando la conclusione è nel senso che, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa, la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, va escluso che il danno è stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento ritenuto integrato il caso fortuito.

Anche tali, ulteriori, principi sono condivisi da questo Giudice e vanno, anche in questa occasione, ribaditi. Nel caso in cui l’evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, si verifica un’ipotesi di caso fortuito che libera il custode dalla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c.: il giudizio sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno ed estraneo deve essere adeguato alla natura ed alla pericolosità della cosa, con la conseguenza che, quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno e ad escludere, pertanto, la responsabilità del custode.

L’imprudenza del danneggiato, che abbia riportato un danno a seguito di siffatta impropria utilizzazione, integra, quindi, un caso fortuito (v. anche Cass. 19.2.2008 n. 4279).

Molteplici le sentenze della Corte di Legittimità in materia hanno precisato ulteriormente tutti i singoli aspetti interpretativi della norma in oggetto, come già sopra richiamati, e ribaditi, anche recentemente: “laddove la vittima possa concretamente accertare o comunque prevedere con l’ordinaria diligenza il pericolo, in modo da potervi ovviare in via preventiva (nel caso di specie prestando la dovuta attenzione o spostando la traiettoria d camminata) il comportamento del danneggiato assume importanza sino a giungere all’interruzione del nesso di causalità (per tutte Cass. N. 287/2015); in relazione al concetto di insidia. Esso non può essere ritenuto un “concetto giuridico” ma deve essere riportato alla realtà fattuale: se lo stato dei luoghi o comunque lo stato generalizzato dell’asfalto presenta delle anomalie, difetti o rotture non può ritenersi che, in applicazione di una ben ordinaria diligenza, parte danneggiata non potesse prevedere l’esistenza di un ulteriore difetto. (Cass. N. 12821/2015); “tra le cause sopravvenute di per sé idonee ad interrompere il nesso di causa può rientrare anche la condotta della vittima del fatto che si assume illecito: ciò si verifica quando tale condotta, pur inserendosi nella serie causale già avviata da altri, ponga in essere un’altra serie casuale eccezionale ed atipica rispetto alla prima, idonea da sola a produrre l’evento dannoso, che sul piano giuridico assorbe ogni diversa serie causale e la riduce al ruolo di semplice occasione” (ex multis Cass. 23 Maggio 2014 n. 11532); “qualsiasi ipotesi di responsabilità (concreta, presunta, oggetti, del custode ecc.) resta esclusa e superata se il danneggiato, pur avvedendosi o potendosi avvedere, con l’uso dell’ordinaria diligenza della situazione di pericolo, vi si esponga volontariamente (c.d. rischio elettivo, che in quanto causa umana cosciente e volontaria spezza il nesso di causa rispetto alla condotta del custode e di qualunque altro responsabile (ex multis Cass. 31 Luglio 2012 n. 13681).

E da ultimo la seguente sentenza della Suprema Corte riassume tutte le argomentazioni e interpretazioni sopra svolte: “è in colpa colui che decida di percorrere un tratto di strada diffusamente dissestato, senza poter vedere dove mette i piedi”. E si tratta di principio corretto. E’ infatti pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che: (a) il custode si libera della presunzione di cui all’art. 2051 c.c. dimostrando il caso fortuito; (b) il caso fortuito può consistere anche nel fatto colposo della vittima; (c) il fatto colposo della vittima può consistere anche nella mancata percezione d’un pericolo evidente e chiaramente percepibile; (d) l’incidenza causale della vittima sulla produzione del danno è direttamente proporzionale all’evidenza del pericolo: più questo era evidente, maggiore sarà la percentuale di responsabilità a carico della vittima, la quale diventerà esclusiva nel caso di pericoli manifestamente percepibili ed agevolmente evitabili. Tutti questi princìpi si trovano sintetizzati, tra gli altri, nel decisum di Sez. 3, Sentenza n. 999 del 20/01/2014, Rv. 629275, ove si legge che “il principio secondo cui, ricorrendo la fattispecie della responsabilità da cosa in custodia, il comportamento colposo del danneggiato può – in base ad un ordine crescente di gravità – o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ.), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilità del custode (integrando gli estremi del caso fortuito rilevante a norma dell’art. 2051 cod. civ.), deve a maggiore ragione valere ove si inquadri la fattispecie del danno da insidia stradale nella previsione di cui all’art. 2043 cod. civ.”. (Cassazione Sez. III 30 Settembre 2016 n. 19392).

Appurata l’operatività della disciplina di cui all’art. 2051 c.c. e la custodia del luogo del sinistro in capo al Comune, parte attrice ha dimostrato la concreta causa del danno eziologicamente connessa alla complessiva situazione di pericolo.

Relativamente all’onere della prova in capo a parte attrice si rileva che la medesima ha prodotto alcuni fotogrammi raffiguranti la zona ove è avvenuto il sinistro, sostenendo che la detta zona è stata oggetto di profondi interventi manutentivi, ad opera proprio del Comune di Genova, successivamente all’evento per cui è causa ed è stata escussa (…) unica la testimone oculare indicata da parte attrice, che ha dichiarato: “mia cognata si teneva al corrimano ed è scivolata; (…) l’ho vista a terra, di certo è scivolata nel tratto finale della scala; al momento del sinistro c’ero solo io assieme a lei; (…) ho visto mia cognata quando era per terra, lì ho sentita dire ahi ahi e poi l’ho vista per terra nel punto della scalinata che ho già indicato sulla foto.” aggiungendo “andavamo regolarmente presso la (…) dove mia cognata è iscritta, per riconsegnare o prendere in prestito libri; ricordo che era estate, era una bella giornata, nel pomeriggio, circa tre anni fa abbiamo percorso la scaletta in discesa di Via del S. ed ad un certo punto l’ho vista scivolare; (…) non c’era alcuna segnalazione della sconnessione”.

È stato sentito anche (…), figlio dell’attrice, che ha dichiarato: “lo stato dei luoghi (…) era brutto brutto. I gradini sono fatti di mattoni e si vedeva il gradino dissestato. Non c’era alcuna segnalazione del dissesto quando io ho fatto il mio sopralluogo ed è tuttora così dissestato all’incirca e senza segnalazioni”.

Se ne può desumere che conformemente a quanto sostenuto dalle difese della parte attrice, l’istruttoria documentale ed orale ha consentito di vedere dimostrata la dinamica del sinistro e l’eziologia della caduta con la manutenzione in quel punto della strada. Applicando i sopra richiamati principi al caso in esame, risulta evidente che parte attrice ha assolto al proprio onere probatorio circa l’effettiva verificazione del fatto storico per cui è causa e la sua riconducibilità eziologica alla presenza sui luoghi di causa dell’asfalto sconnesso, che ha provocato la rovinosa caduta a terra del pedone.

Risulta pacifico ed emerge dalla documentazione agli atti che il sinistro, oggetto di causa, si è verificato il giorno 27 agosto 2012, alle ore 16.00 circa, mentre ella si trovava a transitare a piedi in (…), Via (…), nei pressi della (…), insieme a (…) e l’istruttoria orale e documentale ha visto dimostrato che lo stato dei luoghi poteva rivestire i caratteri di una intrinseca pericolosità, presentando una sconnessione nella pavimentazione.

Invero, è giurisprudenza consolidata della Suprema Corte che il giudizio sulla pericolosità delle cose inerti non può prescindere da un modello relazionale, per cui la cosa deve essere vista nel suo normale interagire col contesto dato talché una cosa inerte può definirsi pericolosa quando determini un alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante.

Pertanto se il contatto con la cosa provoca un danno per l’abnorme comportamento del danneggiato, in tal caso difetta il presupposto per l’operare della presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., atteggiandosi in tal caso la cosa come mera occasione e non come causa del danno.

In particolare si sostiene che, in tema di danno da insidia stradale, la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto vale ad escludere la configurabilità dell’insidia e della conseguente responsabilità della P.A. per difetto di manutenzione della strada pubblica, dato che quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, sino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso (ancora cfr. cass. civ. sez. III 16 maggio 2013, n. 11946).

Facendo applicazione del suddetto criterio relazionale al caso in esame deve rilevarsi come parte attrice, procedendo a piedi in un tratto di strada nel quale era sconnesso l’asfalto, al di là della circostanza che risulta altamente improbabile non potesse non essere a conoscenza delle caratteristiche strutturali della strada da lei percorsa come testimoniato anche dalla cognata “andavamo regolarmente presso la (…), circostanza non contestata, per cui avrebbe dovuto tenere un comportamento idoneo ad evitare l’inciampo/scivolamento.

La presenza del descritto asfalto sconnesso era affrontabile con una normale diligenza ed attenzione superando con cautela lo stesso od evitandolo del tutto spostandosi di lato od ancora con una mero passo allungato, condotte tutte percorribili da un pedone con una normale, seppure specifica per il contesto, attenzione con diligenza e prudenza ordinaria, presentando l’anomalia, secondo quanto emerge dai fotogrammi, misure tollerabili, tali cioè da non richiedere al pedone manovre eccezionali di emergenza (tipo salti) e ciò mantenendo una normale attenzione sulla camminata come è suo onere secondo il principio di salvaguardia della propria incolumità, potendo essere ben colta la presenza da un pedone anche per la ridotta “velocità” di movimento che consente di avere tutti i tempi necessari per l’adozione di manovre alternative. A tutto questo si aggiunga inoltre che parte attrice, di circa 70 anni all’epoca dell’accaduto, doveva tenere particolare attenzione nel suo incedere in considerazione anche della sua età, che probabilmente era distratta in quanto stava camminando insieme alla cognata che “era estate, era una bella giornata”, non solo lo stesso figlio (…) dichiara: “lo stato dei luoghi (…) era brutto brutto. ….si vedeva il gradino dissestato” che d’estate in pieno giorno, la visibilità non poteva che essere ottima, considerato che nessuna parte non ha neppure dedotto che si trattasse di una giornata piovosa o anche solo nuvolosa.

La stessa parte attrice in atto di citazione espone “in corrispondenza delle evidenti sconnessioni”, si aggiunga inoltre che parte attrice, di circa 70 anni all’epoca dell’accaduto, doveva tenere particolare attenzione nel suo incedere in considerazione anche della sua età.

Infine va ribadito che la presenza di una alterazione della pavimentazione, non eccezionale nelle strade cittadine, sono fattori che ponevano in capo al pedone l’onere di incedere con maggiore cura ed attenzione rispetto ad una condizione normale/standard, trattandosi in sostanza di un’irregolarità “tollerabile” e comunque consona al contesto dei luoghi (cfr. cass. civ. sez. III 4.11.03 n. 16527 sul giudizio di pericolosità delle cose condotto alla stregua di un modello relazionale).

Per concludere anche sotto tale aspetto le caratteristiche per fattezza ed ubicazione e lo spazio di manovra alternativo consentito al pedone porta a concludere che la condotta di parte attrice, nella specie ragionevolmente “distratta”, ha costituito fattore esterno imprevedibile, esclusivo ed eccezionale tanto da poter configurare il cd. “caso fortuito” interruttivo il nesso causale ex art. 1227 c.c.. Ne consegue che la domanda deve essere respinta per la mancanza di prova in ordine al fatto costitutivo della pretesa risarcitoria.

Le considerazioni svolte per escludere la sussistenza di una responsabilità di parte convenuta, ai sensi dell’art. 2051 c.c., valgono a maggior ragione per escludere una loro responsabilità anche ai sensi dell’art. 2043 c.c., a prescindere dalla valutazione dell’ulteriore presupposto della colpa e la carenza dell’ an della responsabilità assorbe la necessità di effettuare ogni valutazione sulla quantificazione del danno.

Ai sensi dell’art. 92 c.p.c., precedente formulazione, in quanto ai sensi dell’art. 13 della nuova L. n. 162 del 2014 la relativa modifica si applica solamente ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla sua entrata in vigore, devono essere compensate interamente fra le parti le spese di lite, sussistendo gravi ed eccezionali ragioni, individuabili nell’opinabilità dell’applicazione di principi giurisprudenziali consolidati al caso di specie, in funzione delle sue peculiarità e dell’andamento dell’istruttoria e nell’astratta configurabilità, in relazione alla descrizione dei fatti contenuta in citazione, di una responsabilità della parte convenuta, oltre che nella sicura evenienza lesiva del fatto, nonché nella non raggiunta prova in ordine alla causa dell’evento lesivo, oggetto di incerta ricostruzione probatoria e della imprecisa percezione del fatto percepito dalla parte danneggiata, comunque occasionalmente collegato alla sconnessione e le spese di CTU in conseguenza restano a carico solidale delle parti nella misura liquidata in corso di causa

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando, così provvede:

Il Tribunale di Genova, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra istanza, deduzione ed eccezione, così provvede:

– respinge la domanda della parte attrice nei confronti del Comune di Genova;

– dichiara interamente compensate fra le parti le spese di lite;

– pone definitivamente a carico delle parti le spese di CTU nella misura liquidata in corso di causa.

Così deciso in Genova il 7 febbraio 2018.

Depositata in Cancelleria l’8 febbraio 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.