il creditore che iscrive ipoteca giudiziale sui beni del debitore il cui valore sia eccedente la cautela, discostandosi dai parametri normativi mediante l’iscrizione per un valore che supera di un terzo, accresciuto dagli accessori, l’importo dei crediti iscritti ( artt. 2875 e 2876 c.c.), pone in essere un comportamento di abuso dello strumento della cautela rispetto al fine per cui gli è stato conferito. Utilizza lo strumento processuale oltre lo scopo previsto dal legislatore per assicurarsi la maggiore garanzia possibile, ma determinando un effetto deviato in danno del debitore.

Tribunale Rieti, civile Sentenza 31 ottobre 2018, n. 545

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI RIETI

SEZIONE CIVILE

Il Giudice, Dr.ssa Francesca Sbarra, ha emesso la seguente

SENTENZA

Nella causa civile iscritta al n. 1113 del ruolo generale affari contenziosi dell’anno 2014 e rimessa in decisione all’udienza del 03.07.2018, vertente

TRA

(…), in proprio e nella qualità di erede di (…), elettivamente domiciliato in San Benedetto del Tronto (AP), via (…), presso lo studio dell’Avv.to Co.Ma. che lo rappresenta e difende in virtù di delega a margine della citazione.

PARTE ATTRICE

E

(…) S.P.A., quale società incorporante (…) S.P.A., in virtù di Atto di Fusione del (…) Rep. (…) Notaio (…), elettivamente domiciliata in Rieti, via (…), presso lo studio dell’Avv.to Gi.Gr., che la rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente all’Avv.to Lu.St., in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione e di risposta e di procura allegata all’atto di costituzione di ulteriore difensore del 21.09.2018.

PARTE CONVENUTA

OGGETTO: danno da violazione dell’art. 2875 c.c.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 06.06.2014, (…), in proprio e nella qualità di erede di (…), conveniva in giudizio (…) S.p.A., chiedendo a Codesto Tribunale di “condannare la (…) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dall’attore (…), in proprio ed in qualità di erede del sig. (…), per un importo complessivo pari ad Euro 4.725.580,63 o quella diversa somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia e che emergerà in corso di causa. Il tutto con vittoria di spese e competenze di lite”.

Si costituiva in giudizio (…) S.p.A., chiedendo il rigetto delle domande attoree, in quanto infondate in fatto ed in diritto.

Instaurato il contraddittorio, definito il tema della lite ed esaurita l’istruzione, venivano precisate le conclusioni quindi la causa veniva rimessa in decisione. Con successiva ordinanza del 17.10.2017, la causa era rimessa sul ruolo, al fine di consentire l’espletamento della prova per testi richiesta da parte attrice, ad esito della quale il procedimento era rinviato per precisazione delle conclusioni. In data 10.05.2018, la Dott.ssa Sbarra subentrava nel ruolo; le parti precisavano le conclusioni

all’udienza del 03.07.2018, quindi la causa era trattenuta in decisione, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Parte attrice, con il proprio atto di citazione, assumeva quanto segue:

1. Che, con sentenza n. 238/2000 del 03.02.2000, il Tribunale di Rieti, ad esito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da (…), (…) e (…), accertata l’eccessività dell’ipoteca iscritta dalla (…) sui beni degli ingiunti in forza del d.i. n. 124/1996, condannava l’opposto istituto di credito al risarcimento del danno causato agli opponenti conseguentemente alla violazione delle disposizioni di cui all’art. 2875 c.c., rimandando ad altro giudizio per la determinazione del quantum debeatur;

2. Che, con successiva sentenza n. 2697/2004, la Corte di Appello di Roma confermava il capo della impugnata sentenza di primo grado che aveva accertato l’eccessività dell’ipoteca, con conseguente condanna generica al risarcimento del danno;

3. Che la predetta sentenza, non impugnata, era passata in giudicato, risultando quindi incontrovertibilmente accertata la responsabilità della (…) per i danni conseguenti alle iscrizioni ipotecarie eccessive;

4. Che il danno cagionato era ravvisabile sub specie di limite alla commerciabilità dei beni ipotecati, nonché di danni all’azienda di famiglia, la quale avrebbe subìto depauperamenti conseguenti all’impossibilità per l’attore di accedere al credito o di monetizzare il proprio patrimonio immobiliare; infine, come danno all’immagine.

Parte convenuta, costituitasi in giudizio, specificava:

– In via preliminare, l’improcedibilità della domanda per omesso esperimento dell’obbligatorio tentativo di mediazione, trovando la domanda fonte nella asserita lesione di diritti reali;

– Nel merito, la parziale carenza di legittimazione ad agire del (…), il quale, solamente nella qualità di erede di (…) e non anche in proprio, risulterebbe titolato all’azione. Si rappresentava, al riguardo, come, per i beni di esclusiva proprietà dell’attuale attore, la richiamata sentenza della Corte di Appello di Roma avesse ritenuto non sussistenti i presupposti per la riduzione dell’ipoteca;

– Nel merito, ancora, la mancata prova del danno, posto che sugli immobili di proprietà di (…) risultavano iscritte diverse ipoteche, anteriormente a quella in contestazione, da parte di altri istituti bancari. Di guisa che l’evento lesivo – sub specie di limite alla commerciabilità degli immobili – si sarebbe comunque prodotto, in virtù delle ipoteche già iscritte sui medesimi beni.

Ciò premesso occorre osservare quanto segue.

La presente azione ha ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione delle disposizioni di cui all’art. 2875 c.c. da parte di (…) nella iscrizione di ipoteca giudiziale in forza del d.i. n. 124/1996 sui beni degli ingiunti (…), (…) e (…). Tanto la violazione delle norma citata, quanto l’an debeatur a titolo di risarcimento sono stati accertati con sentenza del Tribunale di Rieti n. 238/2000 e successivamente ribaditi con sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2697/2004, che ha espressamente “confermato il capo della pronuncia che ha accertato l’eccessività dell’ipoteca, la quale porta con sé la condanna generica al risarcimento dei danni che tale eccessività ha, secondo il primo giudice, cagionato” (cfr. sentenza Corte d’Appello di Roma n. 2697/2004, pag. 8, all. n. 2 atto di citazione) – con statuizione passata in giudicato, stante la mancata impugnazione della pronuncia indicata (circostanza, questa, mai contestata da parte convenuta).

Ne deriva, dunque, come la controversia in esame non abbia ad oggetto l’accertamento del danno evento derivante dalla violazione dell’art. 2875 c.c. – ormai coperto da giudicato – ma la verifica in ordine al danno conseguenza ed alla sua esatta quantificazione.

Tutto ciò chiarito in ordine al thema decidendum, occorre, in primo luogo, esaminare la questione preliminare di improcedibilità, sollevata da parte convenuta sin dalla sua costituzione, in relazione alla quale il giudice, con ordinanza del 05.05.2015, ha ritenuto di poter decidere unitamente al merito.

Ebbene, la questione deve ritenersi infondata, per le ragioni di seguito brevemente esposte. Parte convenuta sostiene l’improcedibilità della domanda, in quanto la stessa troverebbe causa nella (asserita) lesione di diritti reali, come tale rientrante nel novero di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010. Al riguardo, basti evidenziare come, per consolidata giurisprudenza, tra le cause che riguardano i diritti reali, per le quali la mediazione è obbligatoria, sono ricomprese quelle relative ai contratti di compravendita, laddove l’oggetto della controversia sia il diritto reale trasferito con il contratto stesso; le cause di accertamento dell’intervenuto acquisto di un diritto reale per usucapione; ovvero tutte quelle controversie dove la causa petendi sia rappresentata da un diritto reale, insistente su un bene mobiliare o immobiliare. Al contrario, nella vicenda in esame, come sopra brevemente rilevato, la causa petendi è rappresentata da un diritto al risarcimento del danno, dunque un diritto di credito, per il quale è inoperante il disposto di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010 – traente origine da una condotta scorretta della banca convenuta nel provvedere all’iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni degli ingiunti, in forza dell’emissione a suo favore di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Ne deriva la piena procedibilità della domanda in questa sede avanzata.

Quanto alla seconda eccezione avanzata da parte convenuta, relativa al parziale difetto di legittimazione attiva, la stessa va risolta tenendo a mente l’inquadramento generale della questione giuridica in questa sede posta ed i presupposti del danno di cui si chiede la liquidazione. Al riguardo, si ricorda come, per tradizionale e consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, “il creditore che abbia iscritto ipoteca per una somma esorbitante o su beni eccedenti l’importo del credito vantato non può essere chiamato, per ciò solo, a risponderne a titolo di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 2, restando possibile, peraltro, configurare a carico del medesimo una responsabilità processuale a norma dell’art. 96 c.p.c., comma 1, qualora egli abbia resistito alla domanda di riduzione dell’ipoteca, con dolo o colpa grave”.

Si escludeva, quindi, l’illiceità del comportamento del creditore per il solo fatto dell’iscrizione di ipoteca su beni di valore eccedente l’importo del credito, e, contemporaneamente, si riconosceva la possibilità che, in applicazione della previsione generale, di cui al primo comma dello stesso art. 96, secondo la quale risponde di responsabilità processuale chi agisce o resiste in giudizio con colpa grave o dolo, il creditore fosse responsabile, ricorrendo i suddetti presupposti, nell’ambito del processo per la riduzione dell’ipoteca iniziato dal debitore.

Tale tesi, tuttavia, è stata oggetto di un recente ripensamento da parte della giurisprudenza di legittimità, alla luce della sopravvenienza dei principi costituzionali di cui al novellato art. 111 Cost., che suggeriscono una interpretazione dell’art. 96, comma 2, che tenga conto della nuova prospettiva. L’art. 96 c.p.c., infatti, disciplina una responsabilità per atti e comportamenti processuali, in capo al soccombente che, all’interno del processo, abbia compiuto un’attività qualificabile quale “illecito processuale”, quando il comportamento assume modalità illecite sostanziandosi nell’abuso del diritto di agire o resistere in giudizio.

Trattasi di una responsabilità speciale rispetto alla generale norma di cui all’art. 2043 c.c., devoluta al giudice cui spetta conoscere il merito della controversia (ex plurimis, Cass. n. 17523 del 2011), la cui regolamentazione si è da ultimo arricchita (art. 96 c.p.c., comma 3, come novellato dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 12) con una norma generale per lite temeraria, che ha alla sua base l’abuso del processo. Responsabilità che – si ricorda – presuppone la soccombenza totale nell’azione o nella resistenza in giudizio e la determinazione di un pregiudizio alla controparte.

Responsabilità dove l’elemento psicologico richiesto è differenziato in ragione del diverso è più pregnante impatto che l’agire processuale può determinare negli interessi della controparte. Infatti, è generalmente richiesta la mala fede o la colpa grave (primo comma) ed, invece, con regola più severa, il solo difetto della normale prudenza, e quindi, solo la presenza della colpa lieve, quando – per la tipologia delle ipotesi previste attinenti a processi esecutivi e cautelari – l’atto o il comportamento del creditore si presta ad essere potenzialmente foriero di danni, e sempre che il diritto vantato si sia rivelato inesistente.

In questa logica, a partire dalla decisione delle Sezioni Unite del 2007 (n. 23726), il principio costituzionale del giusto processo ha trovato numerose applicazione nel riconoscimento di un abuso degli strumenti processuali, che l’ordinamento offre alla parte nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale. Di guisa che il principio del giusto processo, espresso dall’art. 111 Cost., comma 1, non consente più di utilizzare, per l’accesso alla tutela giudiziaria, metodi divenuti incompatibili con valori avvertiti come preminenti ai fini di un efficace ed equo funzionamento del servizio della giustizia. Impedisce, perciò, di accordare protezione ad una pretesa priva di meritorietà e caratterizzata per l’uso strumentale del processo (Cass. n. 28286 del 2011; da ultimo, Sez. Un. n. 12310 del 2015).

In questa prospettiva, la Suprema Corte ha di recente ritenuto che “il creditore che iscrive ipoteca giudiziale sui beni del debitore il cui valore sia eccedente la cautela, discostandosi dai parametri normativi mediante l’iscrizione per un valore che supera di un terzo, accresciuto dagli accessori, l’importo dei crediti iscritti ( artt. 2875 e 2876 c.c.), pone in essere un comportamento di abuso dello strumento della cautela rispetto al fine per cui gli è stato conferito. Utilizza lo strumento processuale oltre lo scopo previsto dal legislatore per assicurarsi la maggiore garanzia possibile, ma determinando un effetto deviato in danno del debitore” (cfr. Cass. civ. n. 6533/2016; in senso conforme, Tribunale Siena Sez. Unica, Sent., 11/09/2018).

Pertanto, l’esigenza di valorizzare i principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. consente, attualmente, di sanzionare quale abusiva la condotta del creditore per il solo fatto dell’iscrizione di ipoteca su beni di valore eccedente l’importo del credito – con conseguente inquadramento di tale fattispecie nell’alveo della responsabilità ex art. 96 co. II c.p.c. ed applicazione di un regime probatorio più agile in tema di elemento soggettivo.

Tutto ciò premesso, ai fini della valutazione dell’eccezione di (parziale) difetto di legittimazione attiva in capo all’odierno attore, occorre ricordare come – nella vicenda processuale a monte del presente giudizio – venissero in rilievo tre posizioni: quella dell’ingiunto/debitore principale (…); quella dell’ingiunto/fideiussore (…); quella dell’ingiunto/fideiussore (…) (appunto, l’odierno istante).

Con precipuo riguardo alla posizione di (…), la Corte d’Appello di Roma, con sentenza passata in giudicato (come riferisce il medesimo attore), ha respinto l’appello incidentale promosso dallo stesso, il quale chiedeva, unitamente a (…) e (…), la riduzione dell’ipoteca iscritta sui propri beni – pronuncia, questa, sostanzialmente omessa dal primo giudice. Ebbene, mentre tale domanda incidentale veniva accolta con riguardo alla posizione degli altri due appellati, la Corte d’Appello rilevava come “l’ipoteca gravante sui beni di (…), invece, non deve essere ridotta, non sussistendone i presupposti” (cfr. sentenza n. 2697/2004 Corte D’Appello di Roma, pag. 8 – all. n. 2 atto di citazione), provvedendo, quindi, al rigetto dell’appello incidentale proposto dall’appellato (…) nel dispositivo della decisione.

Contemporaneamente, come rilevato da parte attrice nell’atto di citazione, la Corte ha altresì statuito, nella parte motiva della sentenza, che “come è ovvio resta confermato il capo della pronuncia che ha accertato l’eccessività dell’ipoteca, la quale porta con sé la condanna generica al risarcimento dei danni che tale eccessività ha, secondo il primo giudice, cagionato” – con ciò confermando, secondo la prospettazione attorea, la statuizione di condanna generica per violazione dell’art. 2875 c.c. anche con riguardo a (…), e, dunque, l’accertamento dell’an del danno invocato rispetto a tutti e tre i debitori, senza distinzione.

Ora, ritiene codesto Giudice che l’apparente aporia che si riscontra nella motivazione della predetta sentenza della Corte d’Appello possa essere superata da un lato, tenendo a mente quanto sopra precisato in ordine ai presupposti ed alla ratio della responsabilità del creditore per iscrizione di ipoteca eccedente la cautela; dall’altro, prestando attenzione al disposto degli artt. 2874, 2875 e 2876 c.c., disciplinanti l’istituto della riduzione di ipoteca giudiziale ed i limiti della stessa.

L’art. 2874 c.c. disciplina la riduzione dell’ipoteca, istituto volto a contemperare l’esigenza di una rapida iscrizione della garanzia, con la libera disponibilità dei beni ipotecati.

Il legislatore, al riguardo, stabilisce che è possibile domandare la riduzione qualora i beni compresi nell’iscrizione abbiano un valore che eccede la cautela da somministrarsi (valore che, per essere tale, deve superare di un terzo l’importo dei crediti iscritti accresciuti degli accessori, ex art. 2875 c.c.) ovvero qualora la somma determinata dal creditore nell’iscrizione ecceda di un quinto quella che l’autorità giudiziaria dichiara dovuta.

La lettura della disposizione in esame, dunque, chiarisce come la riduzione sia possibile i due ipotesi, distinte tra loro ovvero (I) nel caso di eccessivo valore dei beni sui quali è stata iscritta la cautela (in base alle coordinate di cui all’art. 2875 c.c.); oppure (II) nel caso di iscrizione dell’ipoteca per una somma eccessiva. Nell’un caso, dunque, la riduzione si opera restringendo l’iscrizione a una parte soltanto dei beni; nel secondo caso, si opera riducendo la somma per la quale è stata presa l’iscrizione.

Tali considerazioni sono condivise dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, la quale ha chiarito che “in tema di riduzione dell’ipoteca giudiziale, si ha diritto alla riduzione se la somma determinata dal creditore nell’iscrizione ecceda di un quinto quella che l’autorità giudiziaria dichiara dovuta, o se i beni compresi nella iscrizione hanno un valore che eccede la cautela da somministrarsi; si ritiene che il valore dei beni ecceda la cautela se, tanto alla data di iscrizione della ipoteca che posteriormente, esso superi di un terzo l’importo dei crediti iscritti comprensivo di accessori” (cfr. Mass. Giur. It., 2002 Arch. Civ., 2003, 691).

Orbene, la ricorrenza della seconda delle ipotesi che danno diritto ad ottenere la riduzione ex art. 2874 c.c. (ovvero l’iscrizione dell’ipoteca per una somma eccessiva) è stata smentita – con sentenza passata in giudicato sul punto – dal Tribunale di Rieti, laddove il giudice di prime cure ha statuito che “il conteggio degli interessi ai sensi del combinato disposto dell’art. 2875 c.c. e 2855 c.c. rende corretta l’iscrizione per Lire 270.000.000”. Con ciò dovendosi escludere – in capo all’istituto di credito convenuto – qualsiasi responsabilità per iscrizione di ipoteca per una somma eccessiva, fattispecie, questa, peraltro, diversa da quella di violazione dei criteri di cui all’art. 2875 c.c., e rientrante, per giurisprudenza consolidata, nel paradigma generale di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.

Quanto alla invocata responsabilità per iscrizione su beni aventi valore eccessivo ai sensi degli artt. 2874 e 2875 c.c. (questa, e solo questa, essendo l’ipotesi riconosciuta con sentenza n. 238/2000 del Tribunale di Rieti – all. n. 1 atto di citazione), deve ritenersi che la censura di parziale difetto di legittimazione attiva sollevata da parte convenuta debba essere accolta. Difatti, come sopra rilevato, la Corte d’Appello, con accertamento passato in giudicato sul punto, ha rigettato la domanda di riduzione dell’ipoteca gravante sui beni di (…), sulla base della carenza dei presupposti di cui all’art. 2874 c.c.. Il che sta a significare – già esclusa in primo grado la ricorrenza della ipotesi sub 2) ovvero di iscrizione per una somma eccessiva – che la Corte d’Appello, per quanto riguarda solamente i beni dell’odierno attore, ha ritenuto non sussistente nemmeno l’altro (ed alternativo) presupposto per la richiesta di riduzione di ipoteca, ovvero l’iscrizione della stessa su beni di valore eccessivo, sulla base delle coordinate di cui all’art. 2875 c.c.

Ciò comporta che, in base ad una interpretazione teleologica del decisum in esame, la Corte d’Appello, laddove ha successivamente confermato il capo della pronuncia che accertava l’eccessività dell’ipoteca ed il conseguente risarcimento danni, si riferisse alla posizione degli appellati (…) e (…) – in relazione ai quali contestualmente accoglieva la domanda incidentale di riduzione di ipoteca. Al contrario, non può ritenersi che tale inciso valga a confermare tali statuizioni anche con riguardo alla posizione di (…), posto che il rigetto della domanda incidentale relativa ad i suoi beni, sulla base della carenza dei presupposti di cui all’art. 2874 c.c., comporta di per sé – come sopra spiegato – l’esclusione della ipotesi di eccedenza del valore dei beni su cui è stata iscritta l’ipoteca, secondo i parametri di cui all’art. 2875 c.c.. Con inevitabile venir meno, con riguardo alla sola posizione dell’appellato (…), del fatto lesivo della violazione dei criteri di cui alla richiamata norma e, quindi, del danno conseguente a tale comportamento illecito.

Ne consegue che la domanda proposta dall’odierno attore per i danni iure proprio vada rigettata, in quanto la sussistenza del fatto lesivo lamentato (e, pertanto, dei danni ad esso conseguenti) in riferimento alle iscrizioni fatte sui beni di sua proprietà sono stati esclusi, con accertamento passato in giudicato, dalla sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2697/2004.

Né diversamente potrebbe opinarsi, ritenendo di poter ravvisare il danno iure proprio lamentato dall’attore in quello derivante dalla illegittima condotta della banca – con riguardo all’iscrizione di ipoteca sugli altri beni immobili, di titolarità di (…) e (…) – che avrebbe, secondo le prospettazioni attoree, cagionato un danno patrimoniale all’azienda di famiglia (limitando le disponibilità finanziarie e la liquidità della famiglia) e, conseguentemente, un danno all’immagine dell’azienda medesima. Tale danno sarebbe un danno iure proprio, in quanto cd. “riflesso”, riverberantesi anche nella sfera giuridica di (…).

Ebbene, innanzitutto risulta evidente la difficoltà di coordinare la richiesta di risarcimento del danno così configurato con le prescrizioni di cui all’art. 1223 c.c. – che limitano tale risarcimento ai danni che siano conseguenza immediata e diretta del fatto illecito.

In secondo luogo, ed in via assorbente rispetto ad ogni altra considerazione, si rileva come non risulti in atti prova alcuna che la predetta azienda di famiglia – di cui si rappresenta la presenza storica sul territorio – sia di proprietà, anche solamente pro quota, dell’odierno attore. Risulta depositata in atti, difatti, solamente una visura storica, dalla quale emerge quale unico titolare (…). Peraltro, come di seguito diffusamente evidenziato, parte attrice non ha fornito documentazione alcuna, nel corso del giudizio, attestante la propria qualità di erede, la tipologia di delazione e la quota ereditaria, sicché non è possibile ricavare aliunde la prova della titolarità della totalità o di parte dell’azienda in capo a (…) – non risultando, dunque, provata la lesione, anche solamente in via riflessa, della sua sfera giuridico – patrimoniale.

Ne consegue, quindi, il rigetto della domanda attorea per danni vantati iure proprio – anche sub specie di perdita del valore dell’azienda e danno all’immagine della stessa.

La domanda va, invece, analizzata con riguardo ai danni lamentati dall’attore iure hereditario, nella qualità di erede di (…), deceduto in data 08.06.2005 – successivamente al passaggio in giudicato della predetta sentenza della Corte d’Appello, con la quale era riconosciuto l’accertamento del fatto lesivo e dell’an del danno con riguardo alle posizioni di (…) e (…).

Al riguardo, deve preliminarmente rilevarsi come parte attrice non abbia fornito documentazione alcuna, nel corso del giudizio, attestante la propria qualità di erede; non risultano, infatti, depositati né una denuncia di successione, né gli atti dello stato civile, dai quali sia dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il “de cuius” che legittima alla successione ai sensi degli artt. 565 e ss. cod. civ., né, tantomeno, un testamento. Se tale difetto di produzione può essere superato, in virtù del principio di cui all’art. 115 c.p.c., dalla mancata contestazione della suddetta qualità da parte convenuta, tuttavia, altrettanto non può dirsi con riguardo alla individuazione della quota ereditaria spettante all’odierno attore ed in riferimento alla quale deve essere parametrato il risarcimento del danno iure ereditario oggetto della presente azione.

Sul punto, in mancanza non solamente di idonea produzione documentale, ma anche di allegazione alcuna da parte dell’attore – né in sede di atto di citazione, né nelle memorie ex art. 183 c.p.c., né in sede di comparsa conclusionale – in ordine alla tipologia di delazione dell’eredità (se sia essa per legge o testamento ed, in caso di successione legittima, se l’attore concorra o meno con altri successibili, ulteriori alla (…)), non è possibile individuare la quota ereditaria in base alla quale determinare il quantum debeatur spettante al (…) nella sua qualità di erede e, dunque, non è possibile procedere alla determinazione della misura risarcimento spettante. Ne consegue il rigetto della domanda attorea, anche con riferimento ai danni vantati iure hereditario per la violazione, da parte della banca convenuta, delle coordinate di cui all’art. 2875 c.c., non sussistendo i presupposti per procedere alla determinazione del quantum debeatur – sub specie di quota ereditaria del danno arrecato a (…).

Per il principio della ragione più liquida, la domanda può essere respinta sulla base della soluzione di una questione assorbente e di più agevole e rapido scrutinio, pur se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre secondo l’ordine previsto dall’art. 276 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. (cfr. Cass. Sez. Un. n. 26242-3/2014).

Alla luce della recente sentenza della Corte Cost. del 19 aprile 2018, n. 77, ritiene codesto Giudice che sussistano le gravi ed eccezionali ragioni ai fini della compensazione delle spese di lite, ex art. 92 c.p.c. A fronte di una lettura della predetta norma, improntata ai canoni della buona fede e del giusto processo ex art. 111 Cost., ritiene, infatti, il Tribunale equo compensare le spese di lite del presente giudizio, atteso come sia stata comunque accertata giudizialmente la condotta illecita e foriera di danni da parte della banca convenuta.

La presente sentenza è provvisoriamente esecutiva tra le parti a norma dell’art. 282 c.p.c.

P.Q.M.

Il Tribunale di Rieti, definitivamente pronunciando sulla causa civile iscritta a R.G. n. 1113/2014, e vertente tra le parti di cui in epigrafe, così provvede:

– Rigetta le domande attoree;

– Dichiara compensate le spese di lite tra le parti.

Sentenza provvisoriamente esecutiva per legge.

Così deciso in Rieti il 30 ottobre 2018.

Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.