per stabilire se un’unita’ immobiliare e’ comune, ai sensi dell’articolo 1117 c.c., n. 2, perche’ destinata ad alloggio del portiere, il giudice del merito deve accertare se, all’atto della costituzione del condominio, come conseguenza dell’alienazione dei singoli appartamenti da parte dell’originario proprietario dell’intero fabbricato, vi e’ stata tale destinazione, espressamente o di fatto, dovendosi altrimenti escludere la proprieta’ comune dei condomini su di essa. Invero, a differenza delle cose necessarie all’uso comune, contemplate nel numero 1) dell’articolo 1117 c.c., i locali dell’edificio contemplati dall’articolo 1117, n. 2), raffigurano beni ontologicamente suscettibili di utilizzazioni diverse, anche autonome: per diventare beni comuni, essi abbisognano di una specifica destinazione al servizio in comune. Cio’ significa che, in difetto di espressa disciplina negoziale, affinche’ un locale sito nell’edificio – che, per la sua collocazione, puo’ essere adibito ad alloggio del portiere, oppure utilizzato come qualsiasi unita’ abitativa – diventi una parte comune ai sensi dell’articolo 1117 n. 2 cit., occorre che, all’atto della costituzione del condominio, al detto locale sia di fatto assegnata la specifica destinazione al servizio comune. Mancando una apposita convenzione espressione di autonomia privata, accertare se, al momento della costituzione del condominio, il locale sia o no destinato al servizio comune, nella specie di alloggio del portiere, raffigura un giudizio di fatto, riguardante le concrete vicende dell’utilizzo dell’unita’ immobiliare. Nell’ipotesi in cui una parte dell’immobile, quale l’alloggio del portiere, oggetto di proprieta’ comune al momento della nascita del condominio, non sia piu’ destinata a uso condominiale, si applica ad essa la disciplina della comunione in generale, occorrendo comunque il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione.
Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|22 giugno 2022| n. 20145
Data udienza 15 febbraio 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18961/2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentate e difese dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 2017/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 09/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/02/2022 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 2017/2017 della Corte d’appello di Napoli, pubblicata il 17 maggio 2017.
2. Resistono con unico controricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
3. Sono stati altresi’ intimati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che non hanno svolto attivita’ difensive.
4. La lite ebbe inizio col promovimento dapprima di un ricorso ex articolo 700 c.p.c. e poi di una denunzia di danno temuto, entrambi nel gennaio 1984, da parte di (OMISSIS) (morta in corsa di causa, cui sono succeduti (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS)), proprietaria di un appartamento a (OMISSIS), costituente il quarto ed ultimo piano di un edificio i cui piani inferiori risultano accessibili dal parallelo viale (OMISSIS). (OMISSIS) domando’ che venisse ordinato ai proprietari degli appartamenti sottostanti al suo di partecipare alle spese necessarie per l’eliminazione di gravi dissesti strutturali che avevano interessato l’edificio. Le domande cautelari vennero rigettate.
Con citazione del 21 novembre 1984 (OMISSIS) adi’ quindi il Tribunale di Napoli, chiedendo che venissero accertate l’inclusione del suo appartamento e quelli sottostanti in un unico edificio in condominio, nonche’ la natura condominiale della casa gia’ adibita ad abitazione del portiere e del muro di contenimento del terreno sulla cui sommita’ sorge il giardino di proprieta’ esclusiva (OMISSIS), per l’effetto condannando i proprietari delle altre unita’ immobiliari a contribuire nelle spese necessarie per la conservazione della struttura.
Il Tribunale accolse le domande attoree, affermando: che l’appartamento dell’attrice con accesso da (OMISSIS) e gli altri appartamenti con accesso da (OMISSIS) erano parti di un unico complesso condominiale; che, dall’esame dei rogiti prodotti (in particolare, l’atto a rogito notaio (OMISSIS), del 21 maggio 1936, con cui (OMISSIS) originaria unica proprietaria dell’intero edificio – alieno’ la proprieta’ dell’appartamento dell’ultimo piano a (OMISSIS) e l’atto a rogito notaio (OMISSIS) del 5 marzo 1973 con cui gli eredi di (OMISSIS) – che aveva acquistato la proprieta’ del medesimo appartamento da (OMISSIS) – alienarono il bene a (OMISSIS)), alla casa gia’ adibita ad abitazione del portiere doveva riconoscersi natura di bene condominiale; che, parimenti, anche il muro di contenimento suddetto doveva considerarsi bene condominiale, sicche’ incombeva su tutti i condomini l’obbligo di curarne la manutenzione.
Avverso detta pronuncia, con citazione del 22 settembre 2001 proposero appello (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendo – sul presupposto della assoluta indipendenza tra le unita’ abitative dei primi tre piani e quella del quarto ed ultimo piano di proprieta’ (OMISSIS) – la riforma della pronuncia di primo grado ed eccependo altresi’ l’intervenuto acquisto per usucapione dei locali adibiti ad alloggio del portiere. Il processo d’appello venne interrotto e riassunto, ma la Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 3509/2007, in accoglimento dell’eccezione sollevata dall’appellata (OMISSIS), dichiaro’ l’estinzione del processo in ragione della tardivita’ della riassunzione.
Proposero ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS), ricorso accolto da questa Corte con sentenza n. 10969/2014, affermandosi la tempestivita’ della eseguita riassunzione.
La Corte d’appello di Napoli, nuovamente investita quale giudice di rinvio da (OMISSIS) e (OMISSIS), con la sentenza n. 2017/2017, impugnata con il presente ricorso, ha respinto il gravame.
I giudici di rinvio, condividendo le conclusioni della pronuncia di primo grado, hanno osservato come tanto dalla indagine peritale espletata dall’ingegnere (OMISSIS), quanto da quella espletata dall’ingegnere (OMISSIS) fosse emerso che l’edificio in cui sono compresi gli appartamenti in contesa consta di una struttura unitaria, articolata in tre corpi connessi: un corpo a pianta rettangolare prospiciente su (OMISSIS), un corpo scala retrostante, che col primo forma una struttura a T, ed un terzo corpo costituito dalle opere di sostegno del terrapieno di basamento del giardino antistante l’appartamento del quarto piano.
E’ stato accertato altresi’ che il muro di contenimento oggetto di lite assolve ad una funzione di contrafforte e su di esso scarica il proprio peso l’intero fabbricato. Stante l’operativita’ della presunzione di cui all’articolo 1117 c.c., non vinta dalle difese delle appellanti, e’ stata respinta la deduzione circa l’occorrenza di fornire la probatio diabolica da parte di (OMISSIS) e dei suoi eredi. A conforto della unitarieta’ del fabbricato, la Corte d’appello ha tratto elementi dalla produzione documentale, ed in particolare dai rogiti notarili attinenti al trasferimento della proprieta’ dell’appartamento dell’ultimo piano, ove si parlava di edificio composto da “terranei e quattro piani superiori con giardinetto di pertinenza del solo ultimo piano e diversi accessori e dipendenze”.
Tale conclusione sarebbe stata altresi’ suffragata dalla polizza globale fabbricati stipulata il 6 luglio 1977 da (OMISSIS) (dante causa di (OMISSIS) e (OMISSIS)) per conto dell’amministrazione del condominio. Con specifico riferimento all’alloggio adibito a casa del portiere, la Corte d’appello ha rimarcato la mancata produzione di titolo contrario idoneo a vincere la presunzione di condominialita’ ex articolo 1117 c.c., ed ha rilevato, anzi, che l’atto a rogito (OMISSIS), dava atto della compravendita di un appartamento (quello al quarto piano), comprensivo di “ogni accessione, dipendenza e servitu’, ivi compresa la terrazza di copertura e quote casa del portiere”; allo stesso modo, il piu’ risalente atto a rogito (OMISSIS), con cui la originaria unica proprietaria del bene aveva alienato la proprieta’ dell’appartamento del quarto piano, prendeva in considerazione un’unita’ abitativa comprensiva “della soprastante terrazza, annesso giardino ed accessori dello stesso, annesso garage con vani sottostanti nonche’ quota sulla casa del portiere”.
A identiche conclusioni inducevano l’atto di compravendita, a rogito notaio (OMISSIS), da (OMISSIS) ad (OMISSIS) e l’atto a rogito notaio (OMISSIS) del 26 giugno 1940, con cui (OMISSIS) cedette il caseggiato con ingresso sia dalla (OMISSIS) che dalla (OMISSIS) a (OMISSIS). Ne’ il titolo contrario avrebbe potuto ricavarsi dagli atti della vendita in lotti separati nell’ambito del procedimento di espropriazione immobiliare che aveva precedentemente interessato l’edificio, dai quali sarebbe emerso che del servizio di portierato non avrebbe beneficiato l’appartamento del quarto piano.
Quanto all’eccezione di usucapione della proprieta’ esclusiva dell’alloggio del portiere, sollevata dalle appellanti, la Corte d’appello, premessane la ammissibilita’ in ragione dell’applicabilita’ dell’articolo 345 c.p.c., nella vecchia formulazione, ha valutato la stessa sfornita di prova. In particolare, la Corte di Napoli ha osservato che nessuna prova del possesso uti dominus era stata dedotta con l’atto di appello, essendo invece da respingere le deduzioni istruttorie svolte al riguardo davanti al giudice istruttore, non avendo la difesa delle (OMISSIS) insistito per la loro ammissione nelle conclusioni all’udienza del 24 novembre 2016, ed essendo comunque necessaria la formulazione delle istanze di prova coeva alla proposizione dell’eccezione di usucapione. Veniva altresi’ confermata la natura di bene condominiale del muro di contenimento.
5. La trattazione del ricorso e’ stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’articolo 375 c.p.c., comma 2, e articolo 380 bis.1 c.p.c.. Ricorrenti e controricorrenti hanno depositato memorie.
6. Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1117 c.c., nn. 1, 2 e 3, articoli 1118, 1123, 1140, 1362, 1363, 1368, 2727 c.c., articolo 2728 c.c., comma 1 e articolo 2729 c.c. e degli articoli 61 e 62 disp. att. c.c., nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Le ricorrenti criticano le conclusioni della sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto l’unitarieta’ dello stabile per cui si discute, che sarebbe invece smentita da una piu’ attenta lettura delle risultanze peritali. Si deduce che dalle consulenze tecniche sarebbero emersi elementi che avrebbero dovuto condurre all’esclusione della condominialita’ per molteplici parti dell’edificio. Con specifico riferimento alla casa del portiere, la presunzione di condominialita’ sarebbe risultata smentita sia dai decreti di trasferimento del Tribunale di Napoli emessi nell’ambito del procedimento di espropriazione immobiliare (promosso dalla Banca di Calabria nei confronti di (OMISSIS), originaria proprietaria dell’intero fabbricato), che davano atto di una divisione in cinque lotti, di cui solo i primi quattro corrispondenti ai primi tre piani dell’edificio – comprendevano anche una quota sull’alloggio del portiere, mentre per il quinto – avente ad oggetto il quarto piano con giardino – veniva espressamente esclusa la quota sull’alloggio del portiere; sia dall’atto di trasferimento a rogito (OMISSIS), con cui (OMISSIS) aveva acquistato da (OMISSIS). Viene sottolineato altresi’ il fatto che l’immobile costituente il quarto piano ha un diverso censimento rispetto all’intero “casamento” acquistato da (OMISSIS).
Il secondo motivo di ricorso allega la violazione e falsa applicazione degli articoli 840, 887, 984, articolo 1117 c.c., nn. 1, 2 e 3 e articolo 1118 c.c., nonche’ l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Le ricorrenti reiterano la censura della pronuncia della Corte d’appello nella parte in cui ha riconosciuto la natura di beni condominiali ad una serie di elementi quali le scale, l’atrio, la casa del portiere ed il terreno retrostante. La censura deduce che il servizio di portineria risultava venuto meno sin dal 1936, quando l’edificio nel suo complesso era stato assoggettato ad espropriazione immobiliare, senza che vi fosse prova che tale servizio fosse stato riattivato. Le ricorrenti affermano, dunque, che (OMISSIS) consegui’ il possesso pieno ed esclusivo del bene; cio’, nella tesi delle ricorrenti, avrebbe determinato il venir meno della presunzione di cui all’articolo 1117 c.c.. Il medesimo secondo motivo di ricorso sottopone a censura la sentenza del giudizio di rinvio nella parte in cui ha riconosciuto natura di bene condominiale al muro di contenimento.
6.1. Deve superarsi l’eccezione pregiudiziale dei controricorrenti in ordine alla generale “inammissibilita’ del ricorso”: il ricorso, invero, contiene una sufficiente esposizione dei fatti di causa, dalla quale risultano le posizioni processuali delle parti, nonche’ gli argomenti dei giudici dei singoli gradi.
Ne’ la circostanza che i motivi contengano censure “miste”, tali, cioe’, da intingere contemporaneamente in piu’ numeri tra quelli elencati dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, costituisce, di per se’, ragione d’inammissibilita’ dell’impugnazione, giacche’ la loro formulazione permette comunque di cogliere le doglianze prospettate (Cass. Sez. U, 06/05/2015, n. 9100).
Peraltro, la verifica dell’osservanza di quanto prescritto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 6), va compiuta con riferimento a ciascun singolo motivo di impugnazione, verificandone in modo distinto specificita’, completezza e riferibilita’ alla decisione impugnata, nonche’ l’analitica indicazione dei documenti sui quali ognuno si fondi, il che esclude che il ricorso possa essere dichiarato per intero inammissibile, ove tale situazione sia propria solo di uno o di alcuno dei motivi proposti (cfr. Cass. Sez. U., 05/07/2013, n. 16887).
6.2. Le due prime censure, da esaminare congiuntamente in quanto connesse, sono prioritariamente articolate come violazione e falsa applicazione di molteplici norme di diritto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; esse rivelano diffusi profili di inammissibilita’ e sono comunque infondate, adducendo rilievi sprovvisti di evidente decisivita’ ai fini della cassazione della sentenza impugnata.
In realta’, il primo ed il secondo motivo di ricorso sono volti dichiaratamente a sostenere l’erroneita’ dell’accertamento di fatto operato dalla Corte d’appello, approdato a tali esiti:
1) l’edificio in cui sono compresi gli appartamenti dei contendenti e’ costituito da una struttura unitaria, articolata in tre corpi connessi: un corpo a pianta rettangolare prospiciente su (OMISSIS), un corpo scala retrostante, che forma col primo una struttura a T, ed un terzo corpo costituito dalle opere di sostegno del terrapieno di basamento del giardino antistante l’appartamento del quarto piano. Anche i documenti prodotti in giudizio depongono per una considerazione unitaria del complesso immobiliare;
2) il muro di contenimento oggetto di lite assolve ad una funzione di contrafforte e su di esso scarica il proprio peso l’intero fabbricato, sicche’ rientra tra le parti comuni;
3) l’alloggio adibito a casa del portiere e’ parimenti avvinto dalla presunzione ex articolo 1117 c.c., non essendo stato allegato titolo contrario ad essa; anzi, alcuni rogiti notarili, relativi alla alienazione di unita’ immobiliari di proprieta’ esclusiva, richiamavano espressamente la Comproprieta’ della casa del portiere. Non valevano quale titolo contrario alla condominialita’ gli atti della vendita effettuata nel procedimento di espropriazione immobiliare.
6.3. E’ noto come il nesso di condominialita’, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all’articolo 1117 c.c., e’ ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purche’ le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell’articolo 1117 c.c., con la riserva “se il contrario non risulta dal titolo”. Anzi, la “condominialita’” si reputa non di meno sussistente pur ove sia verificabile un insieme di edifici “indipendenti”, e cioe’ manchi cosi’ stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, cio’ ricavandosi dagli articoli 61 e 62 disp. att. c.c., che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui “un gruppo di edifici… si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi”, sempre che “restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dell’articolo 1117 del codice”.
Le ricorrenti, contestando la ritenuta unitarieta’ dello stabile ed assumendo che esso sia suddiviso in molteplici ed autonome parti, invocano da questa Corte una nuova valutazione in fatto difforme da quella operata nei gradi di merito, valutazione che rimane sottratta al giudizio di legittimita’. Spetta, infatti, all’accertamento del giudice di merito, non sindacabile dalla Corte di Cassazione ove, come nella specie, congruamente motivato, verificare l’esistenza di un unico condominio nell’ipotesi di fabbricati adiacenti orizzontalmente, in quanto dotati di strutture portanti o impianti comuni tra quelli indicati dal citato articolo 1117 c.c..
Non sono altrimenti indicati, nel rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, “fatti storici” di cui sia stato omesso l’esame, agli effetti dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risultanti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, oggetto di discussione tra le parti e aventi carattere decisivo ai fini di un esito diverso della controversia, ma solo menzionate emergenze probatorie, attinenti a fatti comunque esaminati, per ottenerne una nuova e piu’ favorevole valutazione da questa Corte.
6.4. Si ha poi riguardo:
1) all’immobile destinato ad alloggio del portiere;
2) ad un muro di contenimento.
Sono entrambi beni riconducibili all’elenco delle parti comuni soggetti alla disciplina dell’articolo 1117 c.c..
E’ bene dire che le vicende dominicali esposte negli atti del giudizio lasciano pensare che il Condominio (OMISSIS) – viale (OMISSIS) sia sorto nella vigenza del Codice civile del 1865. Ad esso torna applicabile comunque l’articolo 1117 c.c. del 1942, secondo quanto affermato da Cass. Sez. 2, 09/10/1972, n. 2964; Cass. Sez. 2, 30/01/1969, n. 267; Cass. Sez. 2, 15/06/1998, n. 5948; Cass. Sez. 2, 08/09/2021, n. 24189.
6.4.1. Secondo l’interpretazione consolidata di questa Corte, per stabilire se un’unita’ immobiliare e’ comune, ai sensi dell’articolo 1117 c.c., n. 2, perche’ destinata ad alloggio del portiere, il giudice del merito deve accertare se, all’atto della costituzione del condominio, come conseguenza dell’alienazione dei singoli appartamenti da parte dell’originario proprietario dell’intero fabbricato, vi e’ stata tale destinazione, espressamente o di fatto, dovendosi altrimenti escludere la proprieta’ comune dei condomini su di essa (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14796; del Cass. Sez. 2, 07/05/2010, n. 11195; Cass. Sez. 2, 25/03/2005, n. 6474; Cass. Sez. 2, 26/11/1998, n. 11996; Cass. Sez. 2, 23/08/1986, n. 5154). Invero, a differenza delle cose necessarie all’uso comune, contemplate nel numero 1) dell’articolo 1117 c.c., i locali dell’edificio contemplati dall’articolo 1117, n. 2), raffigurano beni ontologicamente suscettibili di utilizzazioni diverse, anche autonome: per diventare beni comuni, essi abbisognano di una specifica destinazione al servizio in comune. Cio’ significa che, in difetto di espressa disciplina negoziale, affinche’ un locale sito nell’edificio – che, per la sua collocazione, puo’ essere adibito ad alloggio del portiere, oppure utilizzato come qualsiasi unita’ abitativa – diventi una parte comune ai sensi dell’articolo 1117 n. 2 cit., occorre che, all’atto della costituzione del condominio, al detto locale sia di fatto assegnata la specifica destinazione al servizio comune. Mancando una apposita convenzione espressione di autonomia privata, accertare se, al momento della costituzione del condominio, il locale sia o no destinato al servizio comune, nella specie di alloggio del portiere, raffigura un giudizio di fatto, riguardante le concrete vicende dell’utilizzo dell’unita’ immobiliare.
I primi due motivi del ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) intendono negare la condominialita’ della casa del portiere sulla base degli atti di un procedimento di espropriazione immobiliare, di titoli traslativi sopravvenuti e risultanze catastali, per inferirne che il servizio di portineria era venuto meno gia’ nel 1936.
Ed invece, come gia’ detto, era piuttosto decisivo verificare se la modifica della destinazione dell’alloggio del portiere fosse intervenuta prima della vendita delle unita’ immobiliari, per inferirne che al momento della costituzione del condominio non esisteva la destinazione del locale ad alloggio del portiere. Una volta insorta la comproprieta’ delle parti comuni dell’edificio indicate nell’articolo 1117 c.c., i successivi atti di acquisto di proprieta’ esclusiva comprendono la stessa “pro quota”, senza bisogno di specifica indicazione, mentre nessuno dei singoli condomini puo’ validamente disporre della loro proprieta’.
Nell’ipotesi in cui una parte dell’immobile, quale l’alloggio del portiere, oggetto di proprieta’ comune al momento della nascita del condominio, non sia piu’ destinata a uso condominiale, si applica ad essa la disciplina della comunione in generale, occorrendo comunque il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione (cfr. Cass. Sez. 3, 29/06/1979, n. 3690; Cass. Sez. 6 – 2, 22/11/2021, n. 35957).
6.4.2. Analogamente, un muro di contenimento che, come accertato dai giudici del merito, ancorche’ sottostante un giardino di proprieta’ esclusiva, svolge una funzione di contrafforte e di sostegno per la struttura dell’intero fabbricato, va incluso fra le parti comuni, ai sensi dell’articolo 1117 c.c., n. 1), con le relative conseguenze in ordine all’onere delle spese di riparazione.
Le ricorrenti, ancora nella memoria depositata ai sensi dell’articolo 380 bis.1 c.p.c., invocano la presunzione di proprieta’ del muro in capo al titolare del fondo superiore che e’ a fondamento dell’articolo 887 c.c., norma che pero’ suppone due fondi confinanti, l’uno superiore e l’altro inferiore, di diversa proprieta’, e che percio’ non opera quando il muro sia incluso in un condominio edilizio e costituisca una parte dello stesso necessaria all’uso comune.
6.5. Tanto la destinazione dell’alloggio del portiere quanto la funzione del muro di contenimento andavano, quindi, preliminarmente verificati ponendo attenzione al momento della formazione del condominio stesso. Una volta confermata, in ragione della relazione di accessorieta’ tra i beni, l’applicabilita’ dell’articolo 1117 c.c., occorreva individuare, per superare eventualmente la presunzione di condominialita’, quel determinato titolo che aveva dato luogo alla formazione del condominio per effetto del primo frazionamento del complesso in proprieta’ individuali. Non e’ percio’ dirimente il riferimento ai vari titoli di acquisto ed alle varie vicende circolatorie fatto in ricorso.
6.6. Quando opera la presunzione legale di proprieta’ comune di parti del complesso immobiliare in condominio ex articolo 1117 c.c., e’ comunque onere del condomino che pretenda l’appartenenza esclusiva di uno di tali beni dare la prova della sua asserita proprieta’, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio (Cass. Sez. 2, 17/02/2020, n. 3852).
7. Il terzo motivo ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione degli articoli 1142, 1143, 1146, 1158, 1147 e 2697 c.c., del Decreto Legge n. 483 del 1948, articolo 36 e degli articoli 184, 345, 350 e 352 c.p.c., quest’ultimo nella vecchia formulazione, nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La pronuncia della Corte d’appello viene sottoposta a critica nella parte in cui ha ritenuto indimostrata l’avvenuta usucapione ed inammissibili i mezzi di prova articolati dalle appellanti, per essere stati formulati non nell’atto di appello, ma solo dinanzi al Consigliere Istruttore all’udienza del 27 giugno 2002 (interrogatorio formale e prova testimoniale). Le ricorrenti rilevano come gia’ nella relazione del CTU (OMISSIS) del 1984 l’alloggio del portiere veniva individuato con diversa destinazione, ivi parlandosi di “ex abitazione del portiere”. La ritenuta inammissibilita’ dei mezzi di prova non terrebbe conto dell’applicabilita’ dell’articolo 345 c.p.c., nella vecchia formulazione.
7.1 Il terzo motivo di ricorso e’ inammissibile.
E’ vero che, nella vigenza dell’articolo 345 c.p.c., comma 2, secondo la formulazione, qui applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, articolo 52, era consentito alle parti di proporre nuove eccezioni e nuove prove nel giudizio di appello, purche’ tali nuove deduzioni istruttorie riguardassero profili della lite oggetto di specifico motivo di gravame ai sensi dell’articolo 342 c.p.c., senza peraltro che venissero dettate regole sul tempo dell’esercizio della relativa facolta’, di modo che le richieste istruttorie potevano essere consentite, in base all’articolo 184 c.p.c., sino alla rimessione della causa al collegio (arg. da Cass. Sez. 1, 19/09/2006, n. 20261; Cass. Sez. 1, 15/06/2005. n. 12856: Cass. Sez. 2, 12/09/2002, n. 13301; Cass. Sez. 3, 20/04/2007, n. 9491).
Tuttavia, la Corte d’appello di Napoli ha negato l’ammissione delle richieste di prova di (OMISSIS) e (OMISSIS) argomentando innanzitutto che nel verbale di conclusioni all’udienza del 24 novembre 2016 e negli scritti conclusionali il difensore delle appellanti non aveva insistito per le ammissioni delle prove articolate nel corso del giudizio di gravame.
In tal modo, la sentenza impugnata ha sostenuto che le richieste istruttorie, giacche’ non reiterate in modo specifico al momento della precisazione delle conclusioni, dovessero ritenersi abbandonate, operando una valutazione complessiva della condotta processuale delle parti (cfr. Cass. Sez. 2, 10/11/2021, n. 33103). Questa ragione di decisione e’ stata impugnata dalle ricorrenti sul finire della terza censura con l’argomento che “riconosciuta… la tempestivita’ dell’articolazione dei mezzi di prova”, la “(pretesa) omessa riformulazione nel corso del giudizio dell’istanza di ammissione” non potrebbe comunque far ritenere “una rinuncia da parte del deducente”. Questa allegazione e’ fallace, in quanto proprio e soltanto rispetto a richieste istruttorie tempestivamente formulate, e percio’ ammissibili, puo’ poi porsi la questione della presunzione di rinuncia ove le stesse non siano reiterate dalla parte in sede di precisazione delle conclusioni (arg. anche da Cass. Sez. 2, 27/02/2019, n. 5741).
Peraltro, il terzo motivo neppure adempie all’ulteriore onere, ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente il contenuto dei capitoli delle prove costituende negate dai giudici del merito, in tal modo precludendo a queste Corte di svolgere altresi’ una verifica preliminare del carattere decisivo di tali mezzi istruttori in ordine alla risoluzione della controversia.
8. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c. e del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 5, lettera a, b, c e d, “L. n. 247 del 2012, ex articolo 13, comma 6”, nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Le ricorrenti lamentano che la Corte d’appello abbia posto a loro carico le spese del giudizio di cassazione, nonostante esse fossero ivi risultate vittoriose, e sostengono anche l’unicita’ del giudizio di appello.
8.1. Il quarto motivo di ricorso e’ inammissibile perche’ non supera lo scrutinio ex articolo 360 bis c.p.c., n. 1.
La sentenza impugnata ha regolato le spese di lite in conformita’ al costante orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimita’, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicche’ non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, e, in relazione all’esito finale della lite, puo’ legittimamente condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – ma complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte. Il giudice del giudizio di rinvio deve percio’ provvedere, anche d’ufficio, alla regolamentazione delle spese relative a tutte le fasi del giudizio di merito, secondo il principio della soccombenza; in particolare, se riforma la sentenza di primo grado, egli ha il potere di rinnovare totalmente la regolamentazione delle spese, mentre, se rigetta l’appello, e’ tenuto a provvedere alle sole spese della fase di impugnazione (ex multis, Cass. Sez. 1, 09/10/2015, n. 20289; Cass. Sez. 2, 12/09/2014, n. 19345; Cass. Sez. 3, 18/06/2003, n. 9690).
9. Il ricorso va percio’ rigettato, con condanna in solido delle ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) le spese del giudizio di cassazione, mentre non deve provvedersi al riguardo per gli altri intimati che non hanno svolto attivita’ difensive.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido le ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
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