in tema di contratto di leasing traslativo che il patto c.d. di deduzione, per mezzo del quale deve essere riconosciuto al concedente l’importo complessivo dovuto dall’utilizzatore, a titolo di ratei scaduti e a scadere nonché quale prezzo del riscatto del bene, maggiorato degli interessi moratori convenzionali, anche se decurtato del prezzo di riallocazione del bene oggetto del contratto, è nullo per contrarietà all’ordine pubblico economico ed, in particolare, alla previsione di cui all’art.1526 c.c., applicabile in via analogica a tutti i casi di risoluzione anticipata del contratto.

Per ulteriori approfondimenti, si consiglia:

Il contratto di leasing o locazione finanziaria

Il contratto di franchising o di affiliazione commerciale

Tribunale Catania, Sezione 4 civile Sentenza 5 aprile 2019, n. 1441

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI CATANIA

Sezione Quarta Civile

Il Tribunale di Catania, sezione quarta civile, in composizione monocratica, in persona del dott. Giorgio Marino, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 2865/2013R.G.A.C., posta in decisione, previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., all’udienza di precisazione delle conclusioni del 25 marzo 2019, previa rinuncia i termini ex art. 190 c.p.c.,

promossa da

(…) S.p.A. IN LIQUIDAZIONE,

in persona dei Commissari liquidatori Prof. (…), Dott. (…) e Avv. An.Pa., elettivamente domiciliata in Catania Via (…) presso lo studio dell’Avv. Sa.Pa., da cui è rappresentato e difeso giusta procura margine all’atto di citazione;

e

in persona del curatore speciale, Avv. Gi.Mo., elettivamente domiciliato presso il proprio studio sito in Catania, Via (…), che la rappresenta e difende giusto decreto di nomina reso il 28.09.2018 dal Presidente IV Sez. Civile del Tribunale di Catania;

attore,

contro

(…) S.p.A.,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Acireale, Via (…) presso lo studio dell’Avv. Fr.Me., da cui è rappresentato e difeso giusta procura allegata alla comparsa di costituzione;

convenuto,

e nei confronti di

(…)

nato a (…), il (…) (c.f. (…)), elettivamente domiciliato in Catania, Via (…), presso lo studio dell’Avv. Em.Lu., da cui è rappresentato e difeso giusta procura in calce all’atto di costituzione;

(…),

nato a R., il (…) (c.f. (…)), elettivamente domiciliato in Catania, via (…), presso lo studio dell’Avv. Em.Lu., da cui è rappresentato e difeso, giusta procura in calce all’atto di costituzione;

terzi chiamati in garanzia,

Svolgimento del processo

Con atto di citazione, notificato in data 4.03.2013, i Commissari liquidatori della società (…), in concordato preventivo (procedura aperta con decreto del Tribunale di Catania del 21.10.2009 che ne ha omologato la proposta), convenivano in giudizio il (…) S.p.A.

Parte attrice domandava la condanna dell’Istituto bancario alla restituzione, in favore della (…) S.p.A. Società (…) in liquidazione, dei canoni riscossi in ragione di un contratto di locazione finanziaria (n.76071), stipulato tra le parti in data 2.3.2005, avente ad oggetto due macchinari (Elettroerosione Agie Mod. Agicut Vertex, Elettroerosione Agie Mod. Agicut Progress 3). Stante l’inadempimento della parte attrice e il conseguente recesso dal contratto da parte dell’Istituto Bancario, infatti, i Commissari liquidatori della società chiedevano, all’esito della qualificazione del contratto in termini di locazione finanziaria traslativa, la restituzione dei canoni pagati dalla (…) fino al giorno della risoluzione del contratto (16.01.2009), per un ammontare complessivo di Euro 358.972,40.

Chiedevano, ancora, la condanna del (…) al risarcimento dei danni derivanti dal mancato tempestivo ritiro dei macchinari, in seguito alle richieste formulate dall’odierna ricorrente, rappresentati dai costi sostenuti per la conservazione e custodia degli stessi, ammontanti a Euro 52.061,07.

Con comparsa di costituzione e risposta, tempestivamente depositata, il (…) eccepiva, in via preliminare, l’incompetenza del Tribunale adito indicando quale Tribunale territorialmente competente a conoscere la controversia il Tribunale di Palermo, stante espressa clausola indicata nel contratto di locazione finanziaria.

Contestava, inoltre, nel merito le pretese di controparte alla restituzione dei canoni riscossi fino alla conclusione del contratto, adducendo la natura di godimento della locazione finanziaria e vantando il diritto a trattenere le somme percepite per i canoni a titolo di risarcimento del danno.

Chiedeva, in subordine, la compensazione dell’eventuale credito riconosciuto alla società a titolo di restituzione dei canoni con la somma liquidata a titolo di equo indennizzo per il godimento del bene nella durata del contratto.

Chiedeva, inoltre, di rigettare la richiesta di condanna avanzata da controparte della somma di Euro 52.061,07 a titolo di custodia e conservazione dei macchinari oggetto del contratto di leasing asserendo che l’obbligo di restituzione gravasse sulla ricorrente.

Chiedeva inoltre di essere autorizzato a chiamare in garanzia (…) e (…) per essere dagli stessi manlevato e garantito di quanto eventualmente costretto a pagare alla società attrice per i fatti di cui è causa.

La chiamata si giustificava in ragione dell’obbligazione assunta da entrambi, ex art.1381 c.c., nell’ambito di un contratto di cessione del credito, stipulato in data 9.10.2012, a non far coltivare e/o promuovere da parte di (…) alcuna azione in danno del (…) avente ad oggetto la revocatoria dei pagamenti dei canoni di leasing.

Entrambi i convenuti si costitutivano con comparsa di costituzione depositata rispettivamente in data 30.10.2013 e 13.03.2014, chiedendo, in via pregiudiziale, di dichiarare improcedibile e/o inammissibile la domanda di garanzia svolta dal (…) S.p.A. e, nel merito, accertare e dichiarare l’inestitenza del diritto dell’Istituto bancario ad essere garantito dai soggetti chiamati nel giudizio per cui si procede.

Con ordinanza del 09.08.2018, il giudice istruttore, ravvisando un conflitto di interessi tra la (…) S.p.A. in liquidazione, in persona del liquidatore statutario P.M., nei confronti del quale con Provv. del 13 aprile 2015 veniva ordinata l’integrazione del contraddittorio, e lo stesso signor P., costituitosi in giudizio in proprio quale terzo chiamato in causa, disponeva la rimessione della causa sul ruolo ordinando a parte attrice di avanzare istanza per la nomina di un Curatore speciale, ai sensi degli artt. 78 e 79 c.p.c., al fine di colmare il difetto di rappresentanza ex art. 182 c.p.c. in capo alla medesima parte.

Conseguentemente, con decreto del 28.09.2018, il Presidente della IV Sez. Civile del Tribunale di Catania, sulla scorta del ricorso presentato dalla (…) in concordato preventivo, ha disposto la nomina del curatore speciale nella persona dell’Avv. Gi.Mo.

Il curatore speciale si è costituito regolarmente in giudizio, con comparsa di Cost. dell’8 novembre 2018, richiamandosi, con riguardo alla domanda, a quanto richiesto dalla (…) in persona dei Commissari liquidatori nell’atto di citazione da cui ha preso le mosse il presente giudizio.

Disposta ed espletata ctu, all’udienza del 25 marzo 2019 la causa veniva posta in decisione, con rinuncia ai termini ex art. 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, va rigettata l’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale adito proposta dalla parte convenuta in favore del Tribunale di Palermo, in forza di una clausola inserita nel contratto di locazione finanziaria oggetto del presente giudizio.

A norma dell’art. 13 del contratto stipulato tra parte attrice e convenuta, rubricato foro competente, è disposto che per qualsiasi controversia inerente al contratto sia esclusivamente competente il foro della sede legale del concedente. Nel caso di specie, tale sede è sita in (…).

In proposito viene in rilievo la disciplina prevista dall’art.1341 c.c. relativamente alle condizioni generali del contratto e le applicazioni giurisprudenziali che la riguardano.

Le condizioni generali di contratto sono clausole predisposte unilateralmente da un soggetto, al fine di regolare in modo uniforme una serie indeterminata di rapporti contrattuali di cui diverrà parte. Di regola, il predisponente è un imprenditore fornitore di beni o erogatore di servizi il quale intrattiene rapporti con diversi utenti aventi identico contenuto.

Da qui sorge l’esigenza di garantire l’uniformità dei rapporti che presentano i medesimi tratti costitutivi stante anche la circostanza per cui la realtà economica odierna si fonda su una rapida conclusione degli affari che verrebbe estremamente rallentata dalla stipulazione di contratti con diverso contenuto oggetto di trattativa individuale.

Il legislatore, tuttavia, se, da un lato, sacrifica la fase della trattativa individuale, dall’altro elabora una disciplina che garantisca un’adeguata tutela al contraente aderente alle condizioni contrattuali già predisposte.

L’art.1341 c.c., infatti, subordina l’efficacia delle condizioni contrattuali nei confronti del contraente non predisponente all’effettiva conoscenza o conoscibilità delle stesse secondo canoni di ordinaria diligenza. Sul predisponente grava quindi un onere di pubblicità, ovvero di porre l’aderente nelle condizioni di poter conoscere il contenuto delle suddette clausole curando che il testo delle stesse sia anche intellegibile sotto il profilo linguistico e stilistico.

La norma, al co2, prevede un’ulteriore disciplina a tutela del contraente aderente laddove vengano in rilievo clausole contrattuali considerate vessatorie, ovvero quelle clausole che, derogando a quanto previsto dalla legge in materia contrattuale, producono l’effetto di aggravare la posizione dell’aderente.

Con riguardo a tali clausole si afferma che, affinché le stesse producano effetti nei confronti del contraente aderente, è necessario che siano oggetto di specifica sottoscrizione. La norma intende, quindi, evidenziare la necessità di un’ulteriore sottoscrizione avente ad oggetto una o più clausole vessatorie.

La giurisprudenza di legittimità è conforme nel ritenere che la mancata specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose del contratto indicate nell’art.1341, co2, c.c. ne comporta la nullità, eccepibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (Cass. civ. Sez. III Sent., 14/07/2009, n. 16394).

La disposizione di cui all’art.1341, co 2 c.c. è stata oggetto di diversi interventi giurisprudenziali di merito e di legittimità volti a riempire di contenuto la norma e a chiarire la concreta applicazione della stessa. Si è precisato, in primo luogo, che, affinché le clausole vessatorie possano produrre effetti nei confronti del contraente aderente, è sufficiente che le stesse siano oggetto di un’unica sottoscrizione, a prescindere dal numero di clausole vessatorie che vengano in rilievo.

In secondo luogo, la giurisprudenza si è orientata nel senso di ritenere sufficiente il riferimento al numero d’ordine che contraddistingue ciascuna clausola indicata con la rispettiva rubrica. Non è quindi necessario riportare interamente il contenuto della clausola.

Malgrado quanto finora affermato, la giurisprudenza si è espressa severamente nel ritenere che “in tema di clausole vessatorie, si configura richiamo cumulativo, che non soddisfa il requisito della specificità della sottoscrizione delle clausole vessatorie richiamate, non solo quando esso sia riferito a tutte le condizioni generali di contratto, ma anche quando, prima della sottoscrizione, siano indistintamente richiamate più clausole del contratto per adesione, di cui solo una sia vessatoria. Si ritiene, per identità di “ratio”, che neppure in tal caso è garantita l’attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole compresa fra le altre richiamate, resa non facilmente conoscibile dal predisponente proprio perché confusa tra quelle. Le clausole vessatorie devono, infatti, essere tenute distinte dalle altre condizioni generali di contratto e dalle clausole che tali non sono ed essere indicate specificamente in maniera idonea (quanto meno col numero o la lettera che le contraddistingue o con la riassuntiva enunciazione del loro contenuto) a suscitare l’attenzione del sottoscrittore” (Cass. civ. Sez. II, 28/02/2006, n. 4452, Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 11/06/2012, n. 9492).

Alla luce di quanto affermato, si rileva, in primo luogo, che nel caso di specie viene in rilievo la clausola con cui si deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria, ricompresa tra quelle tassativamente elencate all’art.1341, co2, c.c. per le quali trova applicazione la disciplina sopra esposta.

La giurisprudenza, infatti, ha in più occasioni ribadito che la previsione con cui si deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria secondo le regole ordinarie previste dal codice di procedura “integra una clausola vessatoria, comportando l’alterazione del sinallagma contrattuale, per la previsione di un foro esclusivo a favore del solo predisponente. Di talché la stessa deve essere specificamente approvata per iscritto, con sottoscrizione distinta da quella di approvazione delle condizioni generali di contratto” (Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 22/02/2016, n. 3386).

In secondo luogo, dalla lettura del contratto, allegato tra la documentazione probatoria, emerge che l’ulteriore specifica sottoscrizione che avrebbe dovuto riguardare unicamente le clausole vessatorie si riferisce in blocco a tutte le clausole contrattuali, anche quelle che non rientrano nel novero delle clausole considerate vessatorie. Si fa eccezione solo per le clausole n. 1 e 2 concernenti le premesse e l’oggetto del contratto.

Ciò posto e alla stregua dei principi sopra richiamati, è possibile affermare la competenza del Tribunale adito in ossequio ai criteri di determinazione della competenza previsti dal c.p.c. e, nella specie, dall’art. 20 c.p.c. che, per le cause relative ai diritti di obbligazione, statuisce la competenza facoltativa del luogo in cui l’obbligazione è sorta. Nel caso in esame, il contratto di locazione finanziaria oggetto della controversia è stato sottoscritto in Aci Sant’Antonio, ragion per cui si ritiene radicata la competenza del Tribunale di Catania.

Nel merito, la domanda di parte attrice è fondata e va accolta.

Il contratto di locazione finanziaria è un’operazione negoziale, avente struttura trilaterale, tramite la quale il soggetto utilizzatore si rivolge ad una società di leasing, denominata concedente, affinché questa acquisti da un fornitore la proprietà di un bene individuato dall’utilizzatore, mobile o immobile, per poi concederlo in godimento allo stesso utilizzatore dietro versamento di un corrispettivo periodico.

La locazione finanziaria si traduce in un’operazione negoziale unitaria benché sia superata l’idea per cui si tratti di un contratto unitario plurilaterale.

Tale operazione negoziale si realizza tramite il ricorso al collegamento negoziale tra due distinti contratti bilaterali: il leasing, stipulato tra concedente ed utilizzatore, ed il contratto di fornitura, stipulato tra fornitore e concedente.

Con il contratto di locazione finanziaria si realizza una scissione tra il rischio economico, ovvero il rischio dell’insolvenza dell’utilizzatore, che grava sul concedente e il rischio operativo, relativo ai vizi e al perimento del bene, che grava sull’utilizzatore.

La causa dell’operazione negoziale si individua nel finanziamento dell’utilizzatore per l’acquisto di beni del quale il canone mensile corrisposto rappresenta la modalità di restituzione.

A seconda che la funzione economica del contratto si esaurisca nel godimento del bene fino alla scadenza o si riscontri nel successivo acquisto ad un prezzo inferiore al suo valore economico e di scambio, si distingue tra locazione finanziaria di godimento e locazione finanziaria traslativa.

La locazione finanziaria di godimento si configura quando la durata del contratto è sostanzialmente corrispondente alla vita economica del bene il cui valore residuo alla scadenza è limitato. I canoni tendono essenzialmente a remunerare il concedente del capitale impiegato e l’esercizio dell’opzione di acquisto è meramente eventuale stante la sopravvenuta obsolescenza del bene.

La locazione finanziaria traslativa si configura quando l’intenzione originaria delle parti si individua nell’acquisto del bene alla scadenza del contratto cosicché i canoni corrisposti sono imputabili in parte al godimento del bene e in parte al successivo acquisto. Di regola i beni che formano oggetto del contratto conservano alla sua scadenza un valore residuo apprezzabile, superiore al prezzo di opzione.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha affermato a più riprese che il discrimen tra le due figure di leasing è costituito dalla previsione originaria, ad opera delle parti, di quello che sarà, alla scadenza del contratto, il rapporto tra valore residuo del bene e prezzo di opzione.

Infatti, mentre la previsione di un’apprezzabile eccedenza di valore è rivelatrice di un’originaria volontà delle parti volta essenzialmente al trasferimento della proprietà del bene inizialmente concesso in godimento, in presenza invece di una previsione opposta deve pervenirsi all’individuazione di una volontà negoziale volta essenzialmente alla sola concessione in godimento del bene.

La differenza tra le due tipologie di locazione finanziaria rileva, sotto un profilo pratico, essenzialmente nell’ipotesi di inadempimento dell’utilizzatore al pagamento dei canoni pattuiti.

Nell’ipotesi di leasing di godimento, stante la considerazione per cui, le rate corrisposte sono funzionali al godimento del bene, il concedente ha diritto a trattenere le somme già pagate dall’utilizzatore fino alla risoluzione del contratto.

Diversamente, nel leasing traslativo, atteso che il canone pattuito comprende anche le somme da imputare al successivo acquisto del bene, si ritiene che il concedente non possa trattenere le rate già corrisposte nonché ottenere la restituzione del bene in quanto ne deriverebbe un ingiustificato arricchimento.

La giurisprudenza si è orientata nel senso di ritenere applicabile analogicamente al contratto di leasing traslativo l’art.1526c.c. che disciplina la vendita a rate con riserva di proprietà. Ne consegue che l’utilizzatore ha diritto alla restituzione delle rate riscosse ed il concedente ha diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa oltre al risarcimento del danno.

Il contratto di locazione finanziaria, considerato a lungo un contratto atipico o, per meglio dire, socialmente tipico in quanto, stante l’assenza di una disciplina legislativa che trovasse applicazione in via generale, nella prassi contrattuale si è ricorsi con assidua frequenza a tale schema negoziale, è oggi oggetto di una recente riforma normativa, L. n. 124 del 2017.

Tale norma, nel definire il contratto di locazione finanziaria, si sofferma in particolare sulla disciplina applicabile in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore. Nello specifico, la norma prevede che in caso di risoluzione del contratto per grave inadempimento (i cui presupposti vengono puntualmente precisati) il concedente, da un lato, avrà il diritto alla restituzione del bene oggetto del contratto di locazione finanziaria, mentre, dall’altro, dovrà versare all’utilizzatore quanto ricavato dalla ricollocazione del bene, al netto alla somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere (ma solo in linea capitale) e del valore dell’opzione finale d’acquisto, oltre delle spese anticipate per il recupero, per la stima e per la conservazione (per il tempo necessario alla ricollocazione) del bene.

La stessa disposizione, però, precisa che, là ove il ricavato della vendita non sia tale da soddisfare interamente il credito del concedente, quest’ultimo potrà allora far valere le proprie residue pretese verso l’utilizzatore inadempiente. La ricollocazione del bene nel mercato deve avvenire secondo le seguenti modalità.

Il bene può essere venduto, o comunque ricollocato (attraverso, ad esempio, la stipula di un nuovo contratto di locazione finanziaria), sulla base di valori indicati in pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati. In mancanza di tali valori, entro 20 giorni dalla risoluzione del contratto, i contraenti devono nominare di comune accordo un perito che individui il valore del bene.

Il legislatore, regolando nello specifico la disciplina applicabile in caso di eventuale inadempimento dell’utilizzatore e conseguente risoluzione del contratto, sembra aver inteso escludere l’applicazione della disciplina di cui all’art.1526 c.c. al contratto di locazione finanziaria. Non può tuttavia non tenersi conto della circostanza per cui, le predette disposizioni, in difetto di una norma transitoria ed attesa la natura eminentemente sostanziale non possano trovare applicazione con riguardo alle pregresse fattispecie, specie laddove il contratto di leasing sia stato oggetto di risoluzione prima dell’entrata in vigore della novella, residuando unicamente le determinazioni sui reciproci rapporti di debito-credito.

Stante le considerazioni finora svolte, alla luce della lettura degli atti oggetto della causa ed in forza delle risultanze dei mezzi istruttori esperiti, si ritiene di dover qualificare il contratto di locazione finanziaria, stipulato in data 2.03.2005 tra la (…) S.p.A. e il (…) S.p.A., in termini di locazione finanziaria traslativa.

Emerge, infatti, in primo luogo, quale indice determinante ai fini della qualificazione del contratto in termini di leasing traslativo, la circostanza per cui i macchinari oggetto del contratto, al momento della scadenza, hanno conservato un valore economico di utilizzo e di scambio, nettamente superiore rispetto al prezzo indicato per l’esercizio del riscatto.

La somma per l’esercizio del diritto di opzione d’acquisto viene, infatti, determinato in Euro 4.000,00. Il valore dei macchinari risulta di gran lunga superiore sia dalle risultanze della consulenza tecnica disposta d’ufficio (indicato in euro149.000,00), sia dalla perizia di parte (indicato in Euro 115.000,00) ma soprattutto dalla circostanza per cui i macchinari sono stati rivenduti dal (…) ad una somma pari a Euro 60.000,00, come emerge dalle fatture allegate in atti. Inoltre, stante il primo versamento al momento della stipulazione del contratto per un ammontare di Euro 40.000,00, emerge dalla verifica dell’importo delle singole rate corrisposte all’istituto bancario che le stesse ricomprendono non solo la somma volta a remunerare il godimento dei macchinari (il cui valore mensile è stato determinato nella c.t.u. in misura inferiore rispetto alla rata) ma anche quella imputata al futuro acquisto al momento della scadenza del contratto.

Quanto appena esposto appare già sufficiente al fine di riconoscere al contratto di leasing la natura traslativa.

Tuttavia, in ossequio al disposto di cui all’art. 1363 c. che, nel dettare le regole in tema di interpretazione del contratto, statuisce che le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto, si rileva quanto segue.

Dalla lettura del testo contrattuale è possibile individuare una serie di clausole che, lette sistematicamente in un’ottica complessiva e alla luce delle precedenti considerazioni, rafforzano le argomentazioni volte a sostenere la natura traslativa del contratto.

In primo luogo, infatti, rileva la clausola di cui all’art.8 del contratto in forza della quale alla scadenza del contratto l’utilizzatore vanta la possibilità di richiedere la proroga di un anno al termine del quale esercitare l’opzione d’acquisto.

Contemplare la possibilità di prorogare il contratto assume implicitamente che alla scadenza dello stesso il contraente abbia ancora l’interesse alla sua prosecuzione.

Si desume, quindi, che il ciclo economico dei macchinari non si esaurisce, come accade con riguardo al leasing di godimento, al momento della scadenza del contratto ma prosegue oltre la scadenza. E, ancora, dalla previsione per cui sull’utilizzatore grava l’obbligo di riconsegnare il bene in buono stato di funzionamento, si evince la volontà della società concedente di rivendere il bene sul mercato laddove l’utilizzatore non eserciti l’opzione d’acquisto nonché la consapevolezza che il valore economico dei macchinari è di gran lunga più elevato rispetto al prezzo di riscatto pattuito.

O, ancora, la previsione della durata del contratto, individuata in cinque anni, inferiore rispetto al ciclo economico del bene, come risulta dalle considerazioni sopra svolte, è indice della volontà delle parti di stipulare un contratto qualificabile in termini di locazione finanziaria traslativa.

Ciò posto alla fattispecie per cui è causa deve trovare applicazione il disposto dell’art.1526 c.c., in tema di vendita con riserva della proprietà, in forza del quale, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, è prevista la restituzione dei canoni già corrisposti e il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni, tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi.

Soffermandosi sulla clausola contrattuale (art. 9) in forza della quale si prevede, in deroga alla disposizione di cui all’art.1526 c.c., che, “per effetto dell’anticipata risoluzione del contratto, l’utilizzatore dovrà senza indugio provvedere alla restituzione del bene e al pagamento dei corrispettivi periodici scaduti alla data della risoluzione oltre ai relativi interessi di mora nonché al pagamento di un importo a titolo di penale pari all’ammontare dei corrispettivi periodici non ancora maturati, attualizzati al tasso dell’Euribor 360-3 mesi media precedente, maggiorata del prezzo stabilito per l’opzione di acquisto”, si ritiene che la medesima sia invalida sotto diversi profili.

In primo luogo giova rilevare come di recente la Suprema Corte, nel ribadire l’orientamento tradizionale, abbia affermato in tema di contratto di leasing traslativo che il patto c.d. di deduzione, per mezzo del quale deve essere riconosciuto al concedente l’importo complessivo dovuto dall’utilizzatore, a titolo di ratei scaduti e a scadere nonché quale prezzo del riscatto del bene, maggiorato degli interessi moratori convenzionali, anche se decurtato del prezzo di riallocazione del bene oggetto del contratto, è nullo per contrarietà all’ordine pubblico economico ed, in particolare, alla previsione di cui all’art.1526 c.c., applicabile in via analogica a tutti i casi di risoluzione anticipata del contratto.(Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 21476 del 15/09/2017; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19732 del 27/09/2011).

A ciò si aggiunga come anche volendo dare seguito al diverso orientamento giurisprudenziale, secondo cui la clausola contrattuale sopra descritta è qualificabile alla stregua di una penale contrattuale, oggetto di eventuale potere di riduzione del giudice (1384 c.c.), la medesima, nel caso in esame, non appare conforme ai principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità.

La giurisprudenza, pur ammettendo, in ossequio al principio dell’autonomia delle parti, che il risarcimento del danno a favore del concedente possa essere determinato anticipatamente e forfettariamente, a norma dell’art. 1382 c.c., tramite l’inserimento nel contratto di una penale che può comprendere la trattenuta delle rate versate, ha individuato i limiti all’autonomia delle parti superati i quali la penale si considera manifestamente eccessiva.

La giurisprudenza più recente ha ritenuto che, “in tema di leasing, al fine di accertare se sia manifestamente eccessiva, agli effetti dell’art. 1382 c.c., la clausola penale che attribuisca al concedente, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, l’intero importo del finanziamento ed in più la proprietà del bene, occorre considerare se detta pattuizione attribuisca allo stesso concedente vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto” (Cass. civ. Sez. III, 17/01/2014, n. 888).

E, per ciò che rileva nel caso in esame, la giurisprudenza, pronunciandosi su una clausola di contenuto analogo a quella di cui si discute inserita in un contratto di locazione finanziaria traslativa, ha osservato come “le clausole contrattuali che attribuiscano alla società concedente il diritto di recuperare, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, l’intero importo del finanziamento ed in più la proprietà e il possesso dell’immobile, attribuiscono alla società stessa vantaggi maggiori di quelli che essa aveva il diritto di attendersi dalla regolare esecuzione del contratto, venendo a configurare gli estremi della penale manifestamente eccessiva rispetto all’interesse del creditore all’adempimento, di cui all’art. 1384 c.c.” (Cass. civ. Sez. III, 17/01/2014, n. 888).

La Suprema Corte ha, dunque, osservato come al fine di evitare che clausole penali del tipo di quella in oggetto attribuiscano al concedente vantaggi eccessivi, occorre che sia specificamente attribuito all’utilizzatore, una volta restituito l’intero importo del finanziamento, il diritto di recuperare proprietà e disponibilità del bene oggetto del leasing, in termini prestabiliti e precisi (non mere e generiche facoltà, indeterminate nei tempi e nei modi e rimesse alla discrezione altrui);

oppure il diritto di imputare il valore dell’immobile alla somma dovuta in restituzione delle rate a scadere, ove così le parti così preferiscano, purché le relative decisioni e scelte siano concordate e non rimesse all’arbitrio dell’una o dell’altra di esse.

Viceversa, non risulta conforme ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità una clausola contrattuale che prevede genericamente l’accredito della somma ricavata dalla vendita del bene, senza prevederne modalità e condizioni.

Ne consegue che, la disposizione nel contratto oggetto di causa, in forza della quale si prevede genericamente ed in modo indeterminato la deduzione del concedente dal proprio credito del ricavato imponibile della vendita del bene, al netto delle spese di recupero dello stesso, non sia sufficiente a ritenere integrato il presupposto richiesto dalla giurisprudenza di legittimità.

Si rileva, infatti, che le modalità di vendita dei macchinari al momento della risoluzione del contratto e della conseguente restituzione sono rimesse alla piena discrezionalità del concedente senza alcuna previsione in ordine alla concreta determinazione del prezzo di stima.

A fortiori, si osservi come il Legislatore, con la novella sopra richiamata, se da un lato ha sostanzialmente riconosciuto per i futuri contratti al concedente il diritto di trattenere i canoni già ricevuti e di ricevere il pagamento dei “canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto”, ha al contempo previsto una specifica disciplina per la determinazione del valore del bene, mediante richiamo ai “valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati” ovvero in difetto mediante nomina di un perito “scelto dalle parte di comune accordo”.

Ciò posto, a fronte della invalidità della clausola contrattuale richiamata, al concedente deve essere riconosciuto il diritto ad un equo compenso per l’uso dei beni oggetto del contratto.

L’equo compenso deve ricomprendere la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo, il logoramento per l’uso (escluso, pertanto, il mancato guadagno), il risarcimento del danno derivando, a sua volta, da un (eventuale) deterioramento anormale della cosa dovuto all’utilizzatore (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 574 del 13/01/2005).

Nel caso di specie, il C.T.U., l’Ing. Ca.Lo., nel rispondere alle osservazioni delle parti, ha stimato l’ammontare dell’indennità per il godimento del bene complessivamente in Euro 6.750,00 mensili, pari alla somma per l’intero periodo di durata del contratto di Euro 317.250,00.

Stante la nullità della clausola di cui all’art.9 del contratto oggetto di causa e la conseguente applicazione della disciplina regolata dall’art. 1526 c.c., si dispone la restituzione dei canoni corrisposti dalla società (…) al (…) fino al momento della risoluzione del contratto, salvo il diritto dell’istituto bancario al pagamento di una somma a titolo di equo indennizzo per il godimento del bene.

Si ritiene, inoltre, di non poter accogliere la richiesta di risarcimento del danno proposta dal (…) il quale eccepisce in modo estremamente generico danni e usure dei macchinari e contesta la circostanza per cui i beni siano rimasti indebitamente nella disponibilità della (…) la quale avrebbe avuto l’obbligo di consegna di tali beni.

Attese le risultanze probatorie delle perizie e valutazioni di stima in ordine al valore e alle condizioni dei macchinari, operate tanto dal consulente nominato d’ufficio quanto dai consulenti di parte, si rileva che i macchinari non abbiano subito alcun danneggiamento e si trovino in buone condizioni.

Con riguardo all’indebita disponibilità dei macchinari contestata alla (…), si osserva quanto segue.

I liquidatori della società parte attrice, all’esito della risoluzione del contratto, hanno tentato un bonario componimento della vertenza, come si evince dagli atti di causa (lettera raccomandata datata 12.03.2010), mostrandosi disponibili alla consegna dei macchinari oggetto della locazione finanziaria ormai risolta.

La richiesta proposta dalla (…) non ha avuto seguito. L’istituto bancario, infatti, non solo non ha mostrato altrettanta disponibilità al recupero dei macchinari ma non ha neanche disposto indicazioni alla società utilizzatrice in ordine alle modalità e al luogo in cui la consegna dovesse essere effettuata.

Atteso il mancato riscontro da parte dell’istituto di credito, i liquidatori della società, con due successive raccomandate del 13.04.2011 e del 3.11.2011, lo diffidavano all’immediato ritiro dei beni oggetto del contratto di leasing.

Gli stessi evidenziavano la particolare urgenza derivante dagli eccessi costi di vigilanza e custodia dei beni e dalla necessità di liberare l’immobile in cui si trovavano, che nelle more era stato aggiudicato, al fine di consegnarlo libero al momento dell’emissione del decreto di trasferimento.

Come si rileva dagli atti di causa, solo nel febbraio del 2012, il (…) provvedeva al ritiro dei macchinari dall’immobile.

Rilevato il comportamento tenuto da entrambe le parti, si afferma che, a fronte della manifestata intenzione della società in liquidazione di consegnare i macchinari oggetto del contratto si evince l’inerzia della controparte a provvedere al recupero.

Né può asserirsi quale giustificazione al comportamento tenuto dall’istituto di credito che l’obbligo di consegna dei beni gravi sull’utilizzatore atteso che, in ogni caso, le modalità di consegna e il luogo in cui effettuarla avrebbe dovuto determinarle la società concedente. Si denota, quindi, che parte convenuta non ha in alcun modo cooperato al fine di consentire l’adempimento della prestazione da parte della (…) S.p.A.

Alla luce di quanto affermato, si ritiene che il comportamento tenuto dall’Istituto di Credito si ponga in contrasto con i doveri di buona fede e correttezza che governano l’esecuzione del contratto eterointegrandolo, a norma dell’art. 1375 c.c.

La buona fede e la correttezza, infatti, operano sin dalla nascita del rapporto negoziale imponendo alle parti il rispetto di ulteriori obblighi e regole, assistite da autonome azioni di adempimento e risarcitorie, che prescindono da quelle espressamente programmate e assunte con il negozio giuridico posto in essere.

Per tale ragione, si ritiene di dover accogliere la richiesta di risarcimento del danno avanzata dalla (…), S.p.A. derivante dal mancato tempestivo ritiro dei macchinari, in seguito alle richieste formulate. Al riguardo è stata documentalmente offerta in giudizio la prova dell’ammontare dei costi sostenuti dalla società utilizzatrice per il mantenimento e la custodia del plesso immobiliare in cui erano locati i macchinari e dei macchinari stessi nel periodo intercorrente dalla risoluzione del contratto al ritiro dei macchinari per una somma pari a Euro 52.061,07.

Si ritiene, tuttavia, che la somma da liquidare a titolo di risarcimento del danno vada calcolata a partire dal mese di marzo del 2010, momento a cui risale la prima lettera raccomandata inviata dai commissari liquidatori della (…) al (…), per un ammontare ricalcolato pari ad Euro 38.265,53.

Infine, si ritiene di dover respingere la domanda di garanzia del credito proposta dal (…) nei confronti di (…) e (…) dichiarando l’inesistenza del diritto di garanzia con riguardo alle somme oggetto del giudizio.

Il diritto ad essere garantito, vantato dalla parte convenuta, sorgerebbe da un contratto di cessione del credito con cui i chiamati in garanzia “si impegnano, anche ai sensi e per gli effetti dell’art.1381 c.c., a non far coltivare e/o promuovere, alla chiusura del concordato (…), alcuna azione della società in danno del (…) avente ad oggetto la revocatoria dei pagamenti dei canoni di leasing ammontanti ad Euro 358.972,40”.

In primo luogo si rileva che la garanzia assunta dai terzi chiamati, a norma della clausola del contratto di cessione del credito fatta valere, va contestualizzata sia temporalmente che con riguardo alla tipologia di azione a cui l’impegno assunto si riferisce. L’impegno assunto, infatti, riguarda il mancato esperimento dell’azione revocatoria dei pagamenti dei canoni di leasing già riscossi dalla società concedente alla data della chiusura del concordato.

L’azione esperita, pur avendo ad oggetto i canoni del contratto di locazione finanziaria corrisposti dalla società utilizzatrice a quella concedente, non può qualificarsi come azione revocatoria. La (…) S.p.A., infatti, agisce in giudizio al fine di ottenere la condanna alla restituzione delle rate corrisposte al momento della risoluzione del contratto.

La finalità e i presupposti dell’azione, quindi, si differenziano diametralmente rispetto a quelli previsti per l’esperimento dell’azione revocatoria. L’azione revocatoria, infatti, rientra tra gli strumenti di tutela delle garanzie del credito finalizzata a fronteggiare il pregiudizio delle ragioni creditorie in seguito al compimento da parte del debitore di atti modificativi della consistenza del suo patrimonio. Ove il loro compimento renda incerta, o quantomeno difficoltosa, la realizzazione coattiva del credito, al creditore è accordato il rimedio dell’azione revocatoria.

L’azione revocatoria assume, quindi, una funzione cautelare e conservativa del diritto di credito determinando l’inefficacia dell’atto di disposizione nei confronti del creditore che l’abbia esperita (inefficacia relativa).

È finalizzata a consentire al creditore di esercitare sul bene oggetto dell’atto revocato l’azione esecutiva per la realizzazione del credito.

Né può ritenersi, come affermato dalla parte convenuta, che l’espresso richiamo all’art.1381 c.c. determini il diritto della Banca di vedersi manlevata dai P. rispetto agli esiti del procedimento.

L’art. 1381 c.c. disciplina la promessa dell’obbligazione del fatto del terzo.

Si ha promessa dell’obbligazione del terzo quando il promittente si impegna a far si che il terzo assuma una determinata obbligazione; si ha invece promessa del fatto del terzo quando l’impegno consiste nell’adoperarsi per far compiere al terzo una determinata attività.

Coerentemente con il principio di relatività degli effetti del contratto, la promessa ha effetto solo tra le parti e non vincola in alcun modo il terzo.

Tuttavia, se quest’ultimo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso il promittente è tenuto ad indennizzare l’altro contraente, laddove diligentemente si sia adoperato al fine di adempiere alla sua obbligazione. Diversamente sarà tenuto a corrispondere una somma a titolo di risarcimento del danno.

Ciò che emerge in modo evidente è che il promittente non si obbliga a garantire il contraente all’adempimento di un’obbligazione principale che fa capo al terzo bensì assume un’obbligazione di facere consistente nell’adoperarsi affinché il terzo tenga il comportamento promesso e un’obbligazione di dare, ovvero corrispondere un indennizzo nel caso in cui, nonostante si sia adoperato, il terzo rifiuti di impegnarsi o non compia il fatto promesso.

L’obbligazione che sorge in capo al promittente a norma dell’art. 1381 c.c. non rientra nel novero delle obbligazioni di garanzia in quanto presenta diversi aspetti di divergenza.

A tacer d’altro, basti rilevare che i contratti di garanzia presuppongono sempre l’esistenza di un’obbligazione principale, la promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo non solo è improduttiva di effetti nella sfera giuridica di quest’ultimo ma generalmente non è né accompagnata né preceduta da un vincolo giuridico da parte del terzo medesimo.

Inoltre, l’esistenza di un rapporto principale, cui il contratto di garanzia si collega, comporta come corollario che, a differenza del promittente, il garante ha diritto di regresso nei confronti di un soggetto determinato, ovvero il debitore principale.

Ma quel che più rileva è la circostanza per cui ove il terzo rifiuti di obbligarsi o non compia il fatto promesso, il promittente è tenuto solo al pagamento di un indennizzo. Il garante, invece, in caso di inadempimento del debitore deve eseguire la medesima prestazione oggetto dell’obbligazione principale.

Ne consegue che fondare il diritto di un soggetto di essere garantito da un altro e, quindi, di essere manlevato dall’adempimento della propria prestazione sul disposto di cui all’art. 1381 c.c. appare erroneo e non conforme alla natura dell’obbligazione assunta tramite la promessa del fatto del terzo.

Difetta, quindi, alla luce di quanto finora affermato, il diritto del (…) di agire in garanzia nei confronti di (…) e (…) al fine di essere manlevato dall’obbligo di restituzione delle rate e risarcimento del danno nel rispetto delle somme determinate nel giudizio.

In ordine alle spese del giudizio, queste avuto riguardo alla soccombenza di parte convenuta vanno poste a carico della stessa e liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Catania, sezione quarta civile, in persona del sottoscritto giudice istruttore in funzione di giudice unico, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (…) S.p.A. contro (…) spa, nonché nei confronti di (…) e (…), con citazione notificata in data 4.03.2013, disattesa ogni diversa istanza, eccezione o difesa, così provvede:

1) accoglie la domanda di parte attrice e condanna il convenuto al pagamento della somma di Euro 41.722,40, pari alla differenza tra l’ammontare dei canoni versati e l’equo compenso spettante a parte convenuta;

2) condanna il convenuto al pagamento di Euro 38.265,53 a titolo di risarcimento del danno;

3) condanna il convenuto al rimborso delle spese processuali in favore dell’attrice, liquidate in complessivi Euro 6056.00, di cui Euro 5000.00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa come per legge.

4) respinge le domande svolte dal convenuto nei confronti dei terzi chiamati in garanzia per insussistenza del diritto di credito;

5) condanna il convenuto al rimborso delle spese processuali in favore dei terzi chiamati in garanzia, liquidate – per ciascuno – in complessivi Euro 3000.00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa come per legge.

Così deciso in Catania il 2 aprile 2019.

Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2019.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.