legittimato a domandare il risarcimento del danno non patrimoniale consistente nel costo di riparazione del un autoveicolo, danneggiato in un sinistro stradale, non è necessariamente il proprietario od il titolare di altro diritto reale sul bene mobile, ma anche chi, avendo il possesso o la detenzione del veicolo, risponda nei confronti del proprietario dei danni occorsi allo stesso e abbia provveduto a sue spese, avendovi interesse, alla riparazione del mezzo; con la conseguenza per cui, nell’ambito del giudizio promosso per il risarcimento dei danni riportati da un veicolo in un sinistro stradale, risulta legittimato anche l’utilizzatore dello stesso in forza di un contratto di leasing.

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Tribunale Brescia, Sezione 1 civile Sentenza 13 aprile 2019, n. 1099

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI BRESCIA

SEZIONE PRIMA CIVILE

in persona del giudice monocratico dott.ssa Elisabetta Sampaolesi, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile promossa in grado di appello e iscritta al n. 8763 del ruolo generale affari contenziosi dell’anno 2014

da

(…), rappresentato e difeso dall’avv. e dom. S.Ba. del Foro di Mantova,

PARTE APPELLANTE

contro

(…) PLC, in persona del legale rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. e dom. C.Al. del Foro di Brescia,

PARTE APPELLATA- APPELLANTE INCIDENTALE

nonché

(…) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito,

(…) S.r.l., in persona del suo rappresentante legale pro tempore, non costituito,

PARTI APPELLATE

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Decisione oggetto di impugnazione:

Con atto di citazione ritualmente notificato, (…) conveniva in giudizio (…) e (…) S.r.l. al fine di far accertare e dichiarare che il sinistro a lui occorso in data 16.02.2011 a Brescia ebbe a verificarsi per responsabilità esclusiva di (…), conducente dell’autocarro targato (…), di proprietà della (…) S.r.l.

Previa precisazione della circostanza per cui la compagnia assicurativa (…) aveva provveduto, prima dell’instaurazione del giudizio, a corrispondere all’attore l’importo di Euro 6.242,00, da questo accettato a mero titolo di acconto, quest’ultimo chiedeva la condanna dei convenuti, ciascuno per il proprio titolo, al pagamento in suo favore della somma integrativa di Euro 7.034,00 (di cui Euro 5.810,00 per residuo riparazione, Euro 864,00 per noleggio autovettura ed Euro 360,00 per fermo tecnico forzato).

La (…), intervenuta volontariamente in giudizio, eccepiva, in via preliminare, la carenza di legittimazione attiva dell’attore, essendo quest’ultimo il mero utilizzatore del veicolo e non il proprietario; eccepiva, altresì, ulteriore motivo di carenza di legittimazione attiva per effetto di una “intervenuta cessione del credito a favore della C.L. del 14.03.2011”.

In via subordinata, contestava, poi, la ricostruzione del sinistro così come svolta dall’attore attribuendo, per contro, a quest’ultimo l’integrale responsabilità dell’accaduto e giustificando il versamento di Euro 6.242,00 a favore dell’odierno appellante quale mezzo diretto alla composizione bonaria e stragiudiziale della lite.

Il Giudice di Pace di Brescia, celebrata la prima udienza, fissava per il 21.05.2013 udienza di precisazione delle conclusioni, ritenendo opportuno decidere sulle eccezioni preliminari.

Con sentenza n. 1158/13, depositata in data 13.11.2013 e pubblicata il 20.11.2013, il Giudice di Pace di Brescia rigettava la domanda attorea dando atto che “dalla documentazione in atti, l’azione esercitata da (…) è carente di legittimazione attiva in quanto la proprietà del veicolo è della S.C. S.p.a., unico soggetto legittimato a stare in giudizio e poiché cedeva il suo presunto credito alla A.L. S.n.c. in data 14.03.2011. non è poi chiara l’effettiva responsabilità del convenuto nella causazione del danno e tanto meno la quantificazione dello stesso.

Si ritiene, perciò, che l’esborso da parte di (…) di Euro 6.242,00 sia integralmente satisfattivo dei danni per cui è causa.

Per questo motivo, il Giudice di Pace di Brescia condanna parte attrice al pagamento delle spese di lite a favore della (…), liquidati in Euro 800,00 oltre Iva, epa e rimborso forfettario”.

Avverso la predetta sentenza, proponeva appello (…), al fine di far dichiarare, previo rigetto delle preliminari eccezioni in rito ed assunzione delle prove testimoniali dedotte, l’integrale responsabilità di controparte nella causazione del sinistro.

A tal fine deduceva: che l’odierno appellante, in qualità di utilizzatore di un’autovettura in leasing, era legittimato attivo rispetto alla richiesta di risarcimento dei danni patiti all’autovettura a causa del fatto di terzi, dal momento che legittimato a domandare il risarcimento del danno patrimoniale consistente nel costo di riparazione di un autoveicolo, danneggiato in un sinistro stradale, non era necessariamente il proprietario o il titolare di altro diritto reale sul bene mobile, ma anche chi, avendo il possesso o la detenzione del veicolo, rispondesse nei confronti del proprietario dei danni occorsi allo stesso e procedesse a sue spese, avendovi interesse, alla riparazione del mezzo;

che, parimenti, risultava infondato il capo della sentenza relativo all’accertamento del difetto, in capo all’attore, della legittimazione attiva per effetto di una cessione del credito azionato, nel frattempo intervenuta, a favore della C.L. S.n.c., essendosi tale cessione già risolta e, comunque, a prescindere da tale rilievo, avendo richiesto l’attore, non solo il pagamento del danno, ma, prioritariamente, l’accertamento della responsabilità esclusiva, per la causazione del sinistro, in capo a controparte; che, inoltre, il difetto di prova in ordine all’an ed al quantum debeatur, cui si accennava nell’impugnata sentenza, era in realtà imputabile alla scelta del giudice di primo grado di non assumere le prove prodotte ed indicate dall’attore, del tutto idonee a provare le allegazioni di cui all’atto di citazione; che il capo della sentenza relativo alla condanna alle spese, nella parte in cui condannava l’attore a rifondere le spese di lite sostenute dal convenuto, era illogico, in quanto, essendo stata rigettata la domanda riconvenzionale avanzata in primo grado dal convenuto, analogamente all’istanza attorea, le spese di lite avrebbero dovuto essere integralmente compensate.

L’appellante, per contro, rinunciava all’eccezione di inammissibilità dell’intervento di (…) Plc, in proprio ed in nome e per conto di (…) S.p.a., in forza di mandato irrevocabile di rappresentanza, prestando, quindi, integrale acquiescenza al relativo capo della sentenza.

Si costituiva in giudizio (…) Plc, contestando l’avversario appello, in quanto inammissibile ed infondato.

A tal fine, deduceva: che l’appellante, inizialmente qualificatosi come proprietario dell’autovettura di cui lamentava i danni, affermandosi, poi, nell’atto di appello, quale mero utilizzatore della stessa in forza di un contratto di leasing, svolgeva una deduzione che avrebbe dovuto essere esposta, a pena di decadenza nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, e che, come tale, era tardiva ed inammissibile;

che, essendo stato il credito relativo al risarcimento del danno ceduto dal conducente a favore della C.L. S.n.c., solo quest’ultima, e non, invece, il primo risultava essere attivamente legittimata rispetto all’azione di risarcimento del danno; che la ricostruzione, operata da controparte, in ordine alla dinamica del sinistro ed all’attribuzione della relativa responsabilità in capo esclusivamente a parte appellata, risultava essere contraddetta, non solo dalla perizia effettuata a cura di (…) – la quale ravvisava l’incompatibilità tra la predetta dinamica e i danni riportatati dai veicoli coinvolti, ma, altresì, dall’emersione di taluni elementi suscettibili di minare la credibilità del teste di controparte e l’attendibilità della relativa deposizione; che, infine, la statuizione di condanna al pagamento delle spese di lite era coerente rispetto alle conclusioni della sentenza di primo grado, in relazione alla quale il rigetto delle pretese avanzate dall’attore era dipeso, non da una valutazione di merito, quanto, piuttosto, dall’accoglimento dell’assorbente e preliminare eccezione di carenza di legittimazione attiva in capo all’attore.

L’appellato, poi, avanzando istanza di appello incidentale ed impugnando il capo della sentenza relativo al rigetto della domanda riconvenzionale introdotta in primo grado, ne eccepiva il vizio di motivazione per contraddittorietà logica tra l’accoglimento dell’eccezione preliminare e la frettolosa statuizione di merito, nonché di istruttoria per non avere il giudice esaminato la documentazione prodotta da (…) al fine di dimostrare una ricostruzione della dinamica del sinistro diversa rispetto a quella effettuata da parte attrice.

Il giudice, con ordinanza del 12.02.2016, disponeva l’ammissione delle prove orali richieste da parte attrice e, rilevata la mancata acquisizione del fascicolo relativo al giudizio di primo grado, ne disponeva l’assunzione d’ufficio a cura della cancelleria.

Successivamente il Giudice, terminata la fase istruttoria e ritenuta la causa matura per la decisione, fissava udienza di precisazione delle conclusioni, concedendo i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

L’appello è fondato e va, pertanto, accolto.

Vanno dapprima esaminate, per il loro carattere prioritario, le censure relative al difetto, riscontrato in capo all’attore, della legittimazione attiva all’azione, per essere quest’ultimo mero utilizzatore e non, invece, proprietario del veicolo incidentato e, secondariamente, per avere il medesimo, prima dell’instaurazione del giudizio, ceduto il credito a favore della C.L. S.n.c..

Sotto il primo profilo, occorre, preliminarmente, esaminare le censure, sollevate dall’appellato, relative alla tardività delle deduzioni svolte da controparte, la quale, come prima precisato, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado si è qualificata come proprietaria dell’autovettura, e, successivamente, quale mero utilizzatore della stessa in forza di un contratto di leasing.

L’eccezione va disattesa, in quanto infondata.

Sul punto, basti rilevare che, nell’ottica dello ius poenitendi, le parti possono, nell’ambito del giudizio, ancorché entro determinate scansioni temporali, precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni avanzate negli atti introduttivi.

Mentre la precisazione delle domande e delle eccezioni consiste essenzialmente nell’allegazione dei cc.dd. fatti secondari, si ha, per contro, modificazione della domanda quando la parte allega in giudizio nuovi fatti storici principali, cioè nuovi e diversi elementi (costitutivi) della fattispecie del diritto fatto valere.

Tale modificazione è consentita dall’ordinamento alla condizione che non muti la situazione sostanziale dedotta in giudizio.

Nel caso di specie, l’attore, pur avendo modificato la domanda – chiedendo il risarcimento dei danni, invero, non più in veste di proprietario dell’autovettura, ma di utilizzatore, ha implicitamente dedotto in giudizio il diverso fatto storico “stipulazione del contratto di leasing del veicolo danneggiato” – non ha introdotto una modificazione della situazione giuridica dedotta in giudizio, continuando questi a dichiararsi creditore di una somma a titolo di risarcimento dei danni subiti.

Peraltro, la modificazione della domanda svolta dall’attore è stata introdotta in giudizio all’udienza di trattazione celebrata ai sensi dell’art. 320 c.p.c. e, quindi, entro i termini perentori prescritti dalla legge.

Esclusa, dunque, la ravvisabilità, nella fattispecie de qua, di un’ipotesi di mutatio libelli, non consentita, e, altresì, la tardività delle deduzioni attoree, occorre esaminare, nel merito, la censura sollevata dall’appellante relativa al difetto di legittimazione attiva riscontrato, nella sentenza impugnata, dal giudice di prime cure.

Ritiene questo giudice che la censura sia fondata.

Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, invero, legittimato a domandare il risarcimento del danno non patrimoniale consistente nel costo di riparazione del un autoveicolo, danneggiato in un sinistro stradale, non è necessariamente il proprietario od il titolare di altro diritto reale sul bene mobile, ma anche chi, avendo il possesso o la detenzione del veicolo, risponda nei confronti del proprietario dei danni occorsi allo stesso e abbia provveduto a sue spese, avendovi interesse, alla riparazione del mezzo; con la conseguenza per cui, nell’ambito del giudizio promosso per il risarcimento dei danni riportati da un veicolo in un sinistro stradale, risulta legittimato anche l’utilizzatore dello stesso in forza di un contratto di leasing.

Priva di pregio è, a proposito, la censura, sollevata dall’appellato, relativa alla mancata prova della stipulazione, da parte dell’appellante, del contratto di leasing con la S.C. S.p.a; essendo stata proprio la convenuta, nell’ambito del giudizio di primo grado, ad eccepire la circostanza per cui l’attore non era, in realtà, proprietario del veicolo, ma mero utilizzatore e ad indicare nella S.C. S.p.a. la società di leasing proprietaria del mezzo, tale fatto può considerarsi pacifico e, come tale, provato.

Sempre in via preliminare, occorre, altresì, esaminare la censura dell’appellante relativa al capo della sentenza impugnata che ha ravvisato un difetto di legittimazione attiva dell’attore, per avere questi, prima dell’instaurazione del giudizio di primo grado, ceduto il credito vantato a favore della C.L. S.n.c..

Anche tale doglianza risulta fondata.

Al riguardo, si precisa che le parti del contratto di cessione hanno espressamente pattuito che “nel caso si rendesse necessario per la tutela del credito ceduto ricorrere all’autorità giudiziaria, la cessionaria avrà la facoltà di recedere dal presente contratto con conseguente obbligo per il danneggiato di effettuare l’immediato pagamento dell’intero ammontare dovuto alla cessionaria per i servizi eseguiti”.

La predetta clausola contrattuale contempla espressamente una clausola di recesso; il recesso consente alla parte di svincolarsi dal contratto precedentemente stipulato, a fronte di variazioni delle condizioni originariamente pattuite in corso di rapporto, nei contratti che prevedono, mediante una clausola approvata specificatamente dall’altro contraente, tale ius variandi.

La possibilità per le parti di pattuire la suddetta clausola è espressamente contemplata dall’art. 1373, co. 1, c.c., il quale, nell’ammettere il recesso unilaterale convenzionale, prevede che: “se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione”.

Il recesso è, dunque, il negozio unilaterale con cui la parte di un contratto ne dispone lo scioglimento; trattandosi di atto unilaterale, produce i propri effetti, a norma dell’art. 1334 c.c. nel momento in cui perviene a conoscenza del destinatario, operando la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., e, una volta esercitato, è irrevocabile, al fine di salvaguardare la certezza dei rapporti giuridici.

Ciò posto, occorre interrogarsi in ordine all’ammissibilità del negozio risolutorio – quale è, evidentemente, l’atto con il quale la parte legittimata esercita la facoltà di recesso – con riguardo ai contratti aventi effetti reali.

Ancorché parte della dottrina neghi la configurabilità di tale istituto per i contratti che abbiano prodotto l’effetto reale – perché semplicemente nel nostro ordinamento, il trasferimento di un diritto reale pur nella vigenza del principio consensualistico, necessita di uno strumento idoneo a tale scopo e tale non può essere il mutuo dissenso che ha la sola funzione di porre nel nulla un precedente contratto – ritiene questo giudice di non aderire a siffatto orientamento, stante l’insussistenza, nel nostro ordinamento, del principio del numerus clausus dei negozi traslativi della proprietà e degli altri diritti reali.

Tale principio, invero, non potrebbe desumersi da quello della tipicità dei diritti reali, in quanto la fonte del rapporto è cosa diversa dal rapporto stesso.

Alla stregua di tali rilievi, dunque, deve concludersi che i negozi risolutori rappresentano una figura generale, configurabile, oltre che per i contratti ad effetti obbligatori, anche per quelli ad effetti reali.

Tanto premesso in ordine alla qualificazione della fattispecie, risulta evidente che, avendo il creditore cessionario esercitato la facoltà contemplata dalla clausola risolutiva (questa circostanza è stata solo genericamente contestata dall’appellato che ha, soprattutto, censurato la forma giuridica dell’atto con cui il recesso era stato esercitato e non già la manifestazione dello stesso; peraltro, ciò è evincibile, in via indiretta, dal fatto che l’appellato ha corrisposto l’importo di Euro 6.242,00, a titolo di risarcimento danni, non a favore della C.L., ma, per contro, all’odierno appellante), titolare del diritto di credito in contestazione, al momento della proposizione dell’atto introduttivo del presente giudizio, così come di quello precedentemente incardinato presso il giudice di pace, risulta essere l’odierno attore; con la conseguenza per cui l’eccezione relativa al difetto di legittimazione attiva, in capo a quest’ultimo, va disattesa.

Al riguardo, priva di pregio è la contestazione, sollevata da parte convenuta, secondo cui, essendo stato il contratto di cessione del credito stipulato in forma scritta, anche l’eventuale negozio di secondo grado diretto alla risoluzione del primo avrebbe dovuto rivestire la medesima forma; poiché, per contro, la volontà di risolvere il precedente contratto è stata manifestata, dal creditore cessionario, solo oralmente, il suddetto atto deve ritenersi radicalmente nullo.

Sul punto, occorre sottolineare che, poiché, con riguardo al contratto di cessione del credito non è prescritta l’adozione di forme particolare ad substantiam, né le parti hanno pattiziamente stabilito l’adozione di forme convenzionali, le medesime godono della facoltà di prescegliere, per la stipulazione dell’atto risolutivo, la forma ritenuta più idonea.

Per completezza, occorre, inoltre, precisare che, anche qualora per il contratto di primo grado fosse prescritta una forma particolare, l’adozione della medesima forma, anche per il negozio di secondo grado, non sarebbe affatto scontata.

Parte della giurisprudenza, invero, concependo in modo rigido le norme statuenti forme vincolate, ne escludono l’estensibilità agli atti di secondo grado per i quali non sia richiesta una forma determinata.

Altra parte della giurisprudenza, per contro, ammette tale estensione, salvo poi differenziarsi tra chi fonda l’estensione su un preteso principio di simmetria delle forme e chi sull’identità delle loro rationes.

Sotto il primo profilo, occorre sottolineare che la vigenza, in seno all’ordinamento, del principio di simmetria delle forme è contestata da parte attenta della dottrina, la quale osserva che, oltre a non trovare il suddetto principio appigli normativi, lo stesso contrasta, altresì, con il principio di libertà delle forme, evincibile ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 1425 e 1350 c.c..

Seguendo l’altra tesi, la necessità di adottare, anche per il negozio di secondo grado, la forma prescritta per quello principale, deve essere valutata caso per caso, non essendo sempre riscontrabile una corrispondenza tra l’atto di primo grado e l’atto di secondo grado.

Ravvisata, dunque, la legittimazione attiva in capo all’attore, occorre esaminare il motivo di appello del capo della sentenza impugnata nella parte in cui rigetta la domanda attorea a causa della mancata allegazione delle circostanze atte a dimostrare tanto l’an, quanto il quantum debeatur.

Il suddetto motivo d’appello merita accoglimento, essendo imputabile tale circostanza alla scelta del Giudice di Pace di non assumere in giudizio i mezzi di prova indicati dall’attore, che, laddove, per contro, fossero stati acquisiti, avrebbero consentito di provare le circostanze fattuali dedotte nell’atto introduttivo.

La dichiarazione resa dal teste indicato dall’attore nel corso del presente giudizio, invero, conferma la ricostruzione della dinamica del sinistro offerta da quest’ultimo (cfr. dichiarazioni rese da P.R. all’udienza del 16.9.16); con la conseguenza per cui, in punto di an debeatur, la responsabilità per la causazione del sinistro deve essere imputata, in via esclusiva, in capo al convenuto.

A riguardo, risultano prive di pregio le contestazioni sollevate da parte appellata, secondo la quale la dichiarazione del predetto teste non sarebbe attendibile, e per le incertezze mostrate dallo stesso in corso di testimonianza, e perché contraddetta dalla perizia di (…), la quale evidenzierebbe l’incompatibilità dei punti di contatto tra i veicoli e la ricostruzione della dinamica del sinistro fornita dallo stesso.

Sotto il primo profilo, occorre evidenziare che il testimone non è stato in grado di precisare fatti del tutto secondari e, peraltro, ininfluenti ai fini della presente causa, mostrando, per contro, coerenza e piena sicurezza nella descrizione dei fatti principali utili alla ricostruzione della dinamica del sinistro.

Quanto alla perizia condotta dalla (…), occorre precisare che, per pacifico orientamento giurisprudenziale, la consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, posto che il contenuto tecnico del documento non vale ad alterarne la natura, che resta quella di atto difensivo.

Tanto premesso in ordine alla responsabilità esclusiva dei convenuti nella causazione del sinistro, occorre quantificare il danno patrimoniale patito dall’attore.

Si ritiene che, nel corso del presente giudizio, sia stata fornita piena prova anche in punto di quantificazione del danno.

Il danno patrimoniale subito da parte attrice – il quale ammonta ad Euro 11.620,00 per riparazioni e ad Euro 864,00 per spese noleggio auto, e quindi complessivamente ad Euro 12.484,00 – è stato, invero, provato attraverso la produzione in giudizio delle ricevute fiscali emesse dalla C.L., presso cui l’autovettura incidentata è stata trasportata ai fini della riparazione.

Tale prova è, peraltro, corroborata dalla testimonianza resa dal L., carrozziere presso l’omonima officina, il quale ha dichiarato che “l’ammontare della riparazione ed il periodo di fermo tecnico sono stati concordati con (…), ossia il perito della (…)”.

Sulla somma spettante a parte attrice sono, altresì, dovuti, fino al saldo, gli interessi c.d. compensativi, che, in mancanza di migliori elementi di giudizio sul punto (non offerti dalle parti), possono fissarsi equitativamente nel tasso degli interessi legali (cfr. Cass. Sez. Unite, 17 febbraio 1995, n. 1712), e valgono a compensare il danneggiato del mancato godimento delle somme stesse nel periodo considerato (sul fatto – pacifico – che, ai sensi dell’art. 1219 c.c., gli interessi sulle somme dovute per risarcimento di danni da illecito aquilano decorrono dalla data in cui il danno è stato prodotto, si vedano, fra le tante tutti conformi, Cass. Sez. III, 16 giugno 1987, n. 5287 e Sez. II, 20 ottobre 1984, n. 5307).

Secondo la più puntuale elaborazione giurisprudenziale sul tema (Cass. Sez. I, 20 giugno 1990, n. 6209), tali interessi compensativi non vanno calcolati, né sul valore iniziale del danno (e, cioè, sulle somme non rivalutate), né sulle somme risultanti dalla rivalutazione relativa all’intero periodo di mora del debitore, bensì sul valore che si ricava dalla rivalutazione calcolata anno per anno.

Tanto premesso, dunque, applicando sulla somma spettante al danneggiato – ovvero la somma pari ad Euro 12.484,00 – gli interessi corrispettivi nella misura legale e la rivalutazione monetaria nei termini indicati, a parte attrice dovrebbe essere corrisposta una somma pari ad attuali Euro 14.591,09.

Poiché, tuttavia, alla predetta somma debbono essere detratti gli importi già percepiti dal danneggiato dalla (…) PLC e ad oggi rivalutati pari ad Euro 7.165,23, all’odierno attore deve riconoscersi una somma pari ad Euro 7.425,86.

Per tutti i motivi anzidetti è da rigettarsi l’appello incidentale proposto dalla convenuta in comparsa di costituzione, nella quale la medesima ha richiesto la restituzione della somma di Euro 6.285,00 versata, a favore dell’attore, a titolo di risarcimento dei danni da quest’ultimo subiti.

Tanto premesso in ordine all’addebito della responsabilità per la causazione del sinistro nonché alla quantificazione del danno, occorre esaminare, infine, il motivo di impugnazione del capo della sentenza relativo alla liquidazione delle spese di lite.

Tale motivo merita accoglimento.

Si sottolinea, invero, la manifesta illogicità del capo della sentenza relativo alla condanna alle spese, nella parte in cui condanna l’attore a rifondere le spese di lite sostenute dal convenuto; invero, essendo stata la domanda riconvenzionale avanzata in primo grado dal convenuto rigettata, analogamente all’istanza attorea, le spese di lite avrebbero dovuto essere integralmente compensate.

Tanto premesso, poiché le spese, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., seguono la soccombenza, le medesime – sia quelle relative al giudizio di primo grado, sia quelle relative al presente giudizio – debbono essere integralmente poste a carico dei convenuti.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, domanda ed eccezione reietta:

a) accoglie l’appello principale e, per l’effetto, condanna i convenuti, in solido tra loro, a pagare, a favore dell’attore, a titolo di risarcimento del danno, la somma di Euro 7.425,86 comprensiva di capitale, interessi e rivalutazione monetaria, oltre che gli interessi legali a questo spettanti dalla presente sentenza al saldo;

b) rigetta l’appello incidentale proposto da (…) PLC;

c) condanna i convenuti, in solido, a rifondere all’attore le spese di lite relative ad entrambe le fasi del giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 4.835,00 per compensi professionali, Euro 309,00 per spese, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, i.v.a e c.p.a. come per legge con riferimento a questa fase di giudizio, ed in Euro 1450,00 oltre rimborso forfettario al 15%, iva e cpa con riferimento al giudizio dinanzi al giudice di pace.

Così deciso in Brescia il 4 aprile 2019.

Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.