Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 27 marzo 2018, n. 7543

nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento della responsabilita’ del danno da fatto illecito imputabile a piu’ persone, il giudice del merito adito dal danneggiato puo’ e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri o, comunque, in vista del regresso abbia chiesto tale accertamento in funzione della ripartizione interna. Da cio’ deriva che, allorche’ il presunto autore di un fatto illecito – convenuto in giudizio unitamente ad altri, perche’ ritenuto responsabile, in solido con questi, dell’evento dannoso lamentato dall’attore – neghi la propria responsabilita’ in ordine al verificarsi dell’evento denunziato, detto convenuto non propone, nei confronti degli altri convenuti, alcuna domanda, ma si limita a svolgere – ancorche’ assuma che, in realta’, gli altri convenuti sono responsabili esclusivi del fatto – delle mere difese, al fine di ottenere il rigetto, nei suoi confronti, della domanda attrice. Affinche’ tali argomentazioni esulino dall’ambito delle mere difese ed integrino, ai sensi degli articoli 99 c.p.c. e segg., delle “domande”, nei riguardi degli altri presunti responsabili, con il conseguente instaurarsi tra costoro di un autonomo rapporto processuale (diverso e distinto rispetto a quello tra il danneggiato e i singoli danneggiati) e’, invece, indispensabile che il suddetto convenuto richieda espressamente, ancorche’ in via gradata e subordinatamente al rigetto delle difese svolte in via principale, l’accertamento della percentuale di responsabilita’ propria e altrui in relazione al verificarsi del fatto dannoso, domanda questa che, non potendosi ritenere implicita nella mera richiesta svolta nei confronti del solo attore di rigetto della sua domanda, non puo’ essere introdotta, all’evidenza, per la prima volta in giudizio in grado di appello, ne’, a maggior ragione, in sede di giudizio di legittimità.

 

 

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 27 marzo 2018, n. 7543

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3172/2016 R.G. proposto da:

(OMISSIS) s.a.s., rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso il suo studio in (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);

– ricorrente incidentale –

e contro

(OMISSIS) S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso il suo studio in (OMISSIS);

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS) S.p.A., rappresentata e difesa dagli Avv.ti (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in (OMISSIS);

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS);

– controricorrente –

e nei confronti di:

(OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) s.n.c. (gia’ (OMISSIS) s.n.c.);

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania, n. 1270/2015,

depositata il 21 luglio 2015;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 28 febbraio 2018

dal Consigliere Emilio Iannello;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS), per delega orale;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi.

FATTI DI CAUSA

1. Il (OMISSIS), (OMISSIS), dipendente della societa’ di trasporti (OMISSIS) s.n.c., decedeva a seguito del sinistro occorso in (OMISSIS) mentre conduceva un carrello elevatore per lo scarico di merci.

Si trattava di scaffalature metalliche acquistate dalla societa’ (OMISSIS) S.r.l., concessionaria della (OMISSIS) S.p.A., del cui trasporto a Roma, presso la sede della stessa, aveva assunto incarico la predetta ditta di autotrasporti, per mezzo di autoarticolato con rimorchio condotto dal (OMISSIS) e da altro dipendente, (OMISSIS).

Giunto a destinazione, non potendo accedere all’interno del cortile della concessionaria per le grandi dimensioni e per l’orario di arrivo (coincidente con l’orario di apertura ai clienti), l’autoarticolato veniva fatto parcheggiare nel piazzale di un distributore sito nei pressi.

Si decideva quindi di procedere allo scarico attraverso un carrello elevatore, reperito dalla (OMISSIS) presso la (OMISSIS) s.a.s. che lo concedeva in “prestito dimostrativo”, previo consenso della proprietaria (OMISSIS) S.p.A.. Quanto al percorso da seguire veniva interpellato (OMISSIS), all’epoca dipendente della (OMISSIS) S.p.A., con mansioni di “organizzatore delle nuove concessionarie (OMISSIS)”.

Il carrello, alla cui guida si poneva inizialmente il Catanese, veniva affidato, in una seconda fase, quando si trattava ormai solo di ultimare le operazioni di scarico, al (OMISSIS), il quale, dopo il primo trasporto, nell’avvicinarsi all’autoarticolato, perdeva il controllo del mezzo e ne rimaneva schiacciato a causa del ribaltamento.

I genitori e la sorella della vittima proponevano, avanti il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Paterno’, azione per il risarcimento dei danni nei confronti delle societa’ coinvolte a vario titolo nella tragica vicenda.

Esteso il contraddittorio, per chiamata in garanzia, nei confronti delle compagnie assicuratrici di due delle convenute, il tribunale, rigettata la domanda nei confronti della societa’ di autotrasporti, condannava le altre convenute ( (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) s.a.s.), in solido, a corrispondere agli attori il complessivo importo di Euro 608.000, oltre rivalutazione monetaria e interessi. Condannava inoltre (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) S.p.A. a tenere indenni le proprie assicurate (rispettivamente (OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS) S.p.A.) da quanto corrisposto agli attori in esecuzione della sentenza.

2. Pronunciando sui contrapposti appelli, la Corte d’appello di Catania, con la sentenza in epigrafe, ha accolto solo quello della (OMISSIS) S.p.A. (conseguentemente rigettando la domanda di risarcimento danni nei suoi confronti proposta dai danneggiati) e ha confermato per il resto la decisione di primo grado.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione, con tre mezzi, (OMISSIS) s.a.s., cui resistono, depositando controricorsi, (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) S.p.A..

Quest’ultima propone ricorso incidentale articolando dieci motivi, cui resistono, con controricorsi, (OMISSIS) s.a.s., (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) e (OMISSIS) S.p.A. (la quale, premesso di non essere stata destinataria del ricorso principale proposto da (OMISSIS) s.a.s., svolge difese anche con riferimento a quest’ultimo).

Restano invece intimati la societa’ (OMISSIS) s.n.c. (gia’ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) s.n.c.), (OMISSIS) S.r.l. (societa’ incorporante (OMISSIS) S.r.l.), (OMISSIS) e (OMISSIS).

(OMISSIS) s.a.s., (OMISSIS) S.p.a. e (OMISSIS) S.p.a. depositano memorie ex articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale (OMISSIS) s.a.s. denuncia falsa applicazione degli articoli 1298 e 2055 c.c., nonche’ dell’articolo 345 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello ritenuto inammissibile il motivo di gravame con cui essa aveva lamentato la mancata graduazione delle colpe, non avendo l’appellante specificato “perche’ le originarie domande avrebbero dovuto essere interpretate, contrariamente all’affermazione del primo giudice, come vere e proprie azioni di regresso interno tra condebitori”.

Premesso che l’obbligo di provvedere alla ripartizione interna della responsabilita’ dei diversi coobbligati sorge per effetto di una domanda di accertamento ritualmente proposta in tal senso dalla parte legittimata, sostiene che: a) l’esistenza nella specie di una domanda di graduazione delle colpe e’ desumibile dal fatto stesso che il giudice di primo grado ha affrontato il tema, sia pure soltanto per affermare di non aver l’obbligo di pronunciarsi sul punto; b) quand’anche in primo grado non fosse stata formulata la domanda, avrebbe dovuto comunque considerarsi consentita la sua proposizione in appello, trattandosi di domanda non nuova ma implicitamente contenuta nella richiesta principale di riconoscere l’assenza di responsabilita’.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’affermazione, comunque contenuta nella sentenza impugnata, di pari responsabilita’ dei danneggianti. Lamenta che sul punto la motivazione offerta (secondo cui tale valutazione e’ “giustificata dalle concrete modalita’ di svolgimento dei fatti”) e’ meramente apparente e tautologica.

3. Con il terzo motivo essa denuncia infine – in subordine -violazione dell’articolo 1292 c.c. e ss., articoli 2043 e 2055 c.c., nonche’ dell’articolo 112 c.p.c. e articolo 113 c.p.c., comma 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello affermato la pari responsabilita’ dei danneggianti, nonostante l’assenza, da essa stessa rilevata, di domanda di graduazione delle colpe.

4. Il primo motivo e’ inammissibile.

4.1. La prima delle censure in cui esso si articola – par. 1 lettera a) – non si confronta infatti con la reale ratio decidendi posta a fondamento della decisione, la quale si concreta nel rilievo della aspecificita’ del motivo d’appello proposto in tema di mancata graduazione delle colpe, avendo la Corte di merito rilevato che la doglianza sul punto si risolve in una generica lamentela che non spiega perche’ le originarie domande avrebbero dovuto essere diversamente interpretate dal primo giudice.

La censura avrebbe dovuto pertanto investire tale valutazione e, nel rispetto anche del canone di autosufficienza, riportare per esteso il motivo d’appello onde verificarne la correttezza in relazione al requisito di cui all’articolo 342 c.p.c..

4.2. Ne discende anche l’inammissibilita’ della seconda delle censure in cui si articola il primo motivo.

Prima ancora che, come si vedra’, infondata, la tesi secondo cui la proposizione in appello di una domanda di graduazione delle colpe avrebbe dovuto ritenersi ammissibile poiche’ implicitamente contenuta nella richiesta di rigetto dell’azione risarcitoria per assenza di responsabilita’, non tiene conto della preclusione che, anche in tale prospettiva, derivava comunque: a) dalla esplicita affermazione nella sentenza di primo grado della impossibilita’ di emettere una siffatta pronuncia in mancanza di esplicita domanda di parte; b) dalla mancanza di uno specifico motivo di gravame.

La tesi, comunque, e’ come detto anche infondata, alla luce del consolidato principio – cui si intende dare in questa sede continuita’ – secondo cui nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento della responsabilita’ del danno da fatto illecito imputabile a piu’ persone, il giudice del merito adito dal danneggiato puo’ e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri o, comunque, in vista del regresso abbia chiesto tale accertamento in funzione della ripartizione interna. Da cio’ deriva che, allorche’ il presunto autore di un fatto illecito – convenuto in giudizio unitamente ad altri, perche’ ritenuto responsabile, in solido con questi, dell’evento dannoso lamentato dall’attore – neghi la propria responsabilita’ in ordine al verificarsi dell’evento denunziato, detto convenuto non propone, nei confronti degli altri convenuti, alcuna domanda, ma si limita a svolgere – ancorche’ assuma che, in realta’, gli altri convenuti sono responsabili esclusivi del fatto – delle mere difese, al fine di ottenere il rigetto, nei suoi confronti, della domanda attrice. Affinche’ tali argomentazioni esulino dall’ambito delle mere difese ed integrino, ai sensi degli articoli 99 c.p.c. e segg., delle “domande”, nei riguardi degli altri presunti responsabili, con il conseguente instaurarsi tra costoro di un autonomo rapporto processuale (diverso e distinto rispetto a quello tra il danneggiato e i singoli danneggiati) e’, invece, indispensabile che il suddetto convenuto richieda espressamente, ancorche’ in via gradata e subordinatamente al rigetto delle difese svolte in via principale, l’accertamento della percentuale di responsabilita’ propria e altrui in relazione al verificarsi del fatto dannoso, domanda questa che, non potendosi ritenere implicita nella mera richiesta svolta nei confronti del solo attore di rigetto della sua domanda, non puo’ essere introdotta, all’evidenza, per la prima volta in giudizio in grado di appello, ne’, a maggior ragione, in sede di giudizio di legittimita’ (Cass. 29/04/2006, n. 10042).

5. Sono anche inammissibili, per difetto di interesse, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, congiuntamente esaminabili in quanto entrambi diretti a censurare, sotto diversi alternativi profili, l’affermazione contenuta in sentenza della pari percentuale di colpa dei soggetti coinvolti.

Trattasi infatti di motivazione espressa ad abundantiam priva di alcuna incidenza nella ricostruzione del contenuto performativo della sentenza, essendo questo rimasto sul punto rappresentato dalla rilevata (gia’ in primo grado) inammissibilita’ di una pronuncia sul punto per effetto della declaratoria di inammissibilita’ del motivo di gravame su tale tema proposto.

Giova rammentare al riguardo che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, qualora il giudice che abbia ritenuto inammissibile una domanda, o un capo di essa, o un singolo motivo di gravame, cosi’ spogliandosi della potestas iudicandi sul relativo merito, proceda poi comunque all’esame di quest’ultimo, e’ inammissibile, per difetto di interesse, il motivo d’impugnazione della sentenza da lui pronunciata che ne contesti solo la motivazione, da considerarsi svolta ad abundantiam, su tale ultimo aspetto (Cass. Sez. U. 30/10/2013, n. 24469).

6. Passando quindi all’esame del ricorso incidentale, si rileva che, con il primo dei dieci motivi che ne sono posti a fondamento, (OMISSIS) S.p.A. denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2043 e 2697 cod. civ., nonche’ degli articoli 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’affermazione di responsabilita’ concorrente in capo alla propria assicurata (OMISSIS) S.p.A., confermata in appello sul presupposto della difettosita’ del carrello elevatore.

Lamenta che i giudici di merito hanno posto a fondamento della loro decisione sul punto gli atti di un procedimento penale al quale sia essa che la propria assicurata erano rimaste estranee e nel corso del quale, peraltro, l’esistenza o meno di sistemi antiribaltamento non era stata neppure oggetto di indagine, rimanendo pertanto apodittica l’affermazione contenuta nella sentenza conclusiva di quel procedimento, secondo cui la pericolosita’ del mezzo poteva desumersi dal fatto stesso che la morte del (OMISSIS) era derivata dal grave politraumatismo corporeo dovuto a schiacciamento.

6.1. Il motivo e’ inammissibile.

Lo stesso infatti introduce questioni prettamente di merito, certamente estranee al dedotto vizio di violazione di legge.

Non si ricava, invero, dalla motivazione, l’applicazione di regole di giudizio in contrasto con le norme indicate.

Il richiamo in sentenza alle risultanze di separato procedimento penale e’ legittimamente operato trattandosi di elementi liberamente valutabili nel giudizio civile (v. ex aliis Cass. 29/10/2010, n. 22200) con esito sindacabile solo sul piano della motivazione, nei limiti in cui un tale sindacato, comunque estraneo al vizio dedotto, e’ consentito in questa sede.

7. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale deduce violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1176, 1710, 2043 e 2049 c.c., nonche’ omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere i giudici d’appello escluso la concorrente responsabilita’ di (OMISSIS) S.p.A., ritenendo che il ruolo assunto nella vicenda dal suo dipendente, (OMISSIS), non avesse avuto alcuna incidenza causale: secondo la Corte di merito il predetto aveva svolto, infatti, una mera attivita’ di coordinamento, tradottasi nella indicazione del luogo di sosta del camion e del percorso alternativo, nonche’ in meri suggerimenti, mentre la scelta finale, in piena autonomia, era rimasta di esclusiva competenza della concessionaria destinataria della merce.

(OMISSIS) S.p.A. lamenta che, nell’operare tale valutazione, la Corte d’appello ha omesso di esaminare circostanze decisive oggetto di discussione tra le parti, quali: il ruolo svolto dal predetto nelle trattative per l’acquisto della merce; i contatti da lui avuti gia’ tre giorni prima con la (OMISSIS) per verificare se fosse disponibile un carrello elevatore; l’avere egli ammesso di avere assistito alla prima operazione di scarico, constatando che era avvenuta in modo corretto, e di essersi assicurato presso la fornitrice della merce che l’autista del camion fosse in grado di guidare il carrello e che non vi era pertanto necessita’ di ingaggiare un altro mulettista.

7.1. Anche tale motivo e’ inammissibile.

Lungi dal far emergere una erronea applicazione delle norme indicate in rubrica, evocative peraltro di eterogenee prospettazioni del titolo di responsabilita’ concorrente in capo alla (OMISSIS), esso impinge esclusivamente nella ricognizione della fattispecie e segnatamente nella valutazione, di merito, della insussistente incidenza causale del comportamento del dipendente di tale societa’, (OMISSIS): valutazione in astratto sindacabile solo sul piano della motivazione, nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

E’ pero’ altresi’ inammissibile la contestuale censura su tale piano dedotta, muovendo essa ben al di la’ dei limiti consentiti dal nuovo testo di detta norma (applicabile nella specie ratione temporis), quale introdotto dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

E’ noto infatti che, a seguito di tale riforma, da’ luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), mentre non integra tale vizio l’omesso esame di elementi istruttori, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cassazione Sezioni Unite n. 8053/2014).

Nel caso di specie in null’altro si risolve la censura di vizio motivazionale se non nella doglianza di mancato esame di risultanze processuali in tesi idonee a condurre a una diversa ricostruzione del ruolo assunto nell’occorso dal predetto dipendente e, correlativamente, della sua incidenza causale sui tragici sviluppi, essendo evidente pero’ che il fatto storico a cui esse si riferiscono e’ esattamente quello esaminato dai giudici di merito, restando irrilevante secondo il nuovo paradigma che a tal fine essi abbiano o meno utilizzato tutti gli elementi istruttori a disposizione e ancor piu’ ovviamente il fatto che essi abbiano attribuito rilievo a taluni di essi in preferenza di altri.

8. Con il terzo motivo la ricorrente incidentale deduce violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2043 e 2055 c.c., nonche’ degli articoli 40 e 41 c.p., con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello implicitamente rigettato anche il motivo di gravame da essa proposto volto a far valere l’esclusiva responsabilita’ di (OMISSIS) e (OMISSIS).

Sostiene che, anche a ritenere che il carrello elevatore non fosse dotato dei dispositivi antiribaltamento e che fu tale carenza a provocare il ribaltamento del mezzo, di cio’ dovrebbero rispondere esclusivamente le suddette societa’: la prima perche’ non poteva non essere a conoscenza di tale circostanza; la seconda per aver scelto il fornitore del mezzo e per averlo messo a disposizione degli autisti.

8.1. Anche tale motivo si espone a rilievo di inammissibilita’ analogo a quello svolto per il precedente.

Esso e’ inidoneo, infatti, a palesare la dedotta violazione delle norme in tema di responsabilita’ aquiliana e nesso causale, risolvendosi piuttosto nella mera inammissibile sollecitazione di una nuova valutazione di merito in punto di incidenza causale delle condotte di altri protagonisti della vicenda.

La Corte d’appello ha ritenuto la sussistenza di una concorrente responsabilita’ di (OMISSIS) S.p.A. per avere questa immesso sul mercato un prodotto che, per la sua difettosita’, ha creato uno specifico rischio di danno, “non emergendo, peraltro, da nessuna parte, che quel mezzo fosse stato consegnato alla (OMISSIS) per la sola riparazione o comunque per fini estranei all’immissione sul mercato o che ne fosse stata addirittura inibita la vendita o il noleggio emergendo, al contrario, che la (OMISSIS) lo deteneva per la vendita (o noleggio) a terzi”.

Cio’ posto, ed evidenziato che tale ultima valutazione non e’ fatta per se’ segno di alcuna specifica censura, la ricostruzione dei fatti non consente in alcun modo di ritenere che la loro qualificazione sul piano giuridico sia stata operata in violazione delle regole dettate in tema di nesso causale.

Giova in proposito rammentare che, anche in tema di responsabilita’ civile, qualora l’evento dannoso si ricolleghi a piu’ azioni o omissioni, il problema del concorso delle cause trova soluzione nell’articolo 41 c.p. – norma di carattere generale, applicabile nei giudizi civili di responsabilita’ – in virtu’ del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalita’ fra dette cause e l’evento, essendo quest’ultimo riconducibile a tutte (Cass. 14/07/2011, n. 15537; Cass. 28/07/2017, n. 18753).

Rettamente la fattispecie e’ stata su tale piano governata secondo il principio di equivalenza causale, ne’ vi e’ in particolare alcuna ragione per ritenere che al contributo causale attribuito alla (OMISSIS) debba assegnarsi, ai sensi dell’articolo 41 c.p., comma 3, rilievo interruttivo del nesso causale che collega lo stesso evento all’antecedente rappresentato dal fatto della ditta proprietaria del mezzo.

Alla stregua della surriferita ed incensurabile valutazione di merito della Corte d’appello, quella condotta (della (OMISSIS)) non puo’ infatti certamente considerarsi “fattore imprevedibile o eccezionale” (secondo la nota teoria della c.d. causalita’ umana) o di causa atipica (secondo la teoria della causalita’ adeguata) o di rischio consentito (secondo la teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento o teoria del rischio).

9. Con il quarto motivo (OMISSIS) S.p.A. deduce poi omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte d’appello escluso la corresponsabilita’ della societa’ datrice di lavoro della vittima, (OMISSIS) s.n.c. (oggi (OMISSIS) s.n c.).

Censura in particolare il rilievo, posto a base della decisione sul punto, secondo cui, nell’occorso, i due dipendenti che si erano alternati alla guida del carrello elevatore avevano identica qualifica di autisti, sicche’ doveva ritenersi che il (OMISSIS) si fosse posto alla guida del mezzo non in forza di direttiva proveniente da soggetto a lui gerarchicamente sovraordinato, bensi’ per una scelta liberamente concordata.

Lamenta al riguardo che la Corte etnea ha omesso di considerare varie circostanze emergenti dalle risultanze acquisite e segnatamente che: (OMISSIS) era l’autista piu’ esperto; egli stesso aveva dichiarato alla polizia giudiziaria che il (OMISSIS) lo aveva accompagnato per amicizia; fu lui a decidere di non attendere l’orario di chiusura della concessionaria e di effettuare lo scarico con il muletto messo a disposizione e poi di dividerne i compiti con il (OMISSIS), per accelerare i tempi; lo stesso supponeva che il collega fosse in grado di manovrare il muletto, anche se non l’aveva mai visto prima alla guida di mezzi del genere.

10. Con il quinto motivo la ricorrente incidentale denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2049 e 2055 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere attribuito rilievo decisivo, ai fini della esclusione di una responsabilita’ concorrente in capo al datore di lavoro, la ritenuta insussistenza di un rapporto di gerarchia tra la vittima e il collega che con lui nell’occorso operava.

Osserva che, in realta’, tale responsabilita’ ricorre anche nell’ipotesi in cui il dipendente agisca autonomamente nell’ambito dell’incarico, e persino se lo stesso ecceda dai limiti concessi o trasgredisca gli ordini ricevuti, attuando una condotta contraria alle direttive non riconducibile agli interessi del datore di lavoro, essendo sufficiente che tra l’illecito e il rapporto di lavoro sussista un nesso di occasionalita’ necessaria che si riscontra ogniqualvolta le mansioni del dipendente abbiano reso possibile o agevolato la sua condotta.

11. Anche tali censure – congiuntamente esaminabili in quanto entrambe dirette a contestare l’esclusione di una concorrente responsabilita’ in capo alla societa’ datrice di lavoro della vittima – sono inammissibili.

Anche in tal caso i motivi di critica, dichiaratamente rivolti a rappresentare l’esistenza di un error iuris, si risolvono nella mera prospettazione di una inammissibile diversa valutazione di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (quanto in particolare alla sussistenza di un rapporto gerarchico fra la vittima e l’altro dipendente che nell’occorso operava con lui, tale da poter ricondurre la scelta del primo di porsi alla guida del mezzo a una direttiva di lavoro del secondo, anziche’ – eccome motivatamente ritenuto dai giudici di merito – a una propria libera scelta).

La censura puoi con la quale (quinto motivo) si assume l’esistenza di una corresponsabilita’ del datore di lavoro in ragione della sussistenza di un nesso di occasionalita’ necessaria tra l’evento e il rapporto di lavoro, ravvisabile anche in presenza di un comportamento c.d. abnorme della stessa vittima, muove da una premessa in fatto – quella cioe’ della occasionalita’ necessaria tra l’evento e rapporto di lavoro – che non risulta in alcun modo acclarata in sentenza, essendo anzi affermato il contrario.

Si evidenzia, infatti, in essa (pag. 14, terzo e quarto capoverso) l’insussistenza dei presupposti della responsabilita’ contrattuale del datore di lavoro ex articolo 2087 c.c., “non emergendo che la ditta trasporti avesse anche il compito dello scarico merci sul quale non abbia vigilato il legale rappresentante o che comunque lo stesso abbia impartito direttive ai propri autisti mettendo a rischio la loro incolumita’ pur di abbreviare i tempi di consegna (cosi’ come del resto accertato dal giudice penale)”.

12. Con il sesto motivo la ricorrente incidentale denuncia poi violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1227, 2043 e 2056 c.c., e articoli 112, 113 e 115 c.p.c., con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di merito ritenuto non doversi pronunciare sulla configurabilita’ di un concorso di colpa della vittima, per il mancato uso delle cinture di sicurezza, per essere tale profilo posto ad oggetto di specifico motivo di gravame solo dalla (OMISSIS) S.p.A. (motivo pero’ rimasto assorbito dall’accoglimento dell’appello per difetto di responsabilita’ del proprio dipendente).

Rileva che, non integrando l’ipotesi del concorso di colpa del danneggiato, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1, eccezione in senso proprio, ma semplice difesa, la questione avrebbe dovuto essere esaminata dal giudice anche d’ufficio, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte; sostiene, in particolare, che anche il giudice d’appello puo’ valutare d’ufficio il concorso di colpa nel caso in cui il danneggiante si limiti a contestare in toto la propria responsabilita’.

13. Con il settimo motivo la ricorrente incidentale deduce sul punto anche omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’affermazione, pure comunque contenuta in sentenza, secondo cui alcun profilo di colpa concorrente della vittima sarebbe emerso nel corso dell’istruttoria, non risultando in particolare se e in che misura, avuto riguardo alle concrete modalita’ del sinistro, l’eventuale uso della cintura di sicurezza avrebbe contribuito ad evitare o ridurne gli effetti dannosi.

Lamenta al riguardo che la Corte territoriale ha omesso di considerare tutta una serie di circostanze emerse nel corso dell’istruttoria e oggetto di discussione tra le parti, quali: l’inesperienza del (OMISSIS); il fatto che in un primo momento alla guida del muletto si fosse posto l’altro autista, persona con maggiore esperienza, il quale effettuo’ numerose corse senza alcun problema; le concrete modalita’ dell’incidente, non causato da fattori esterni ma necessariamente da una manovra errata dello stesso conducente; la tipologia delle lesioni subite; le dichiarazioni rese da un soccorritore che, pur non sapendo dire con certezza se lo stesso indossasse la cintura di sicurezza, noto’ che quando il muletto fu sollevato da terra la vittima rimase a terra.

14. Anche detti motivi (sesto e settimo) – congiuntamente esaminabili in quanto entrambi in punto di esclusione di un concorso di colpa della vittima – sono inammissibili.

La Corte d’appello, sia pure alla stregua di motivazione alternativa, si fa comunque carico della verifica dell’eventuale concorso di colpa della vittima per il mancato uso delle cinture di sicurezza, dando al quesito risposta negativa sulla base del rilievo, evidentemente afferente ad una valutazione in fatto, della inesistenza di emergenze tali da indurre ad attribuire a tale colposa omissione, in alcuna misura, un rilievo concorrente nella causazione dell’evento.

Il settimo motivo attinge tale valutazione, ma si risolve anch’esso nella prospettazione di una mera diversa valutazione di merito, ben al di la’ dei gia’ visti limiti dettati dal nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Rimane conseguentemente assorbito il sesto motivo.

15. Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia poi violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere la Corte d’appello: a) “apparentemente esaminato” il motivo di gravame con il quale si contestava la liquidazione del danno non patrimoniale nella misura massima prevista dalle tabelle del tribunale di Milano, rigettandolo perche’ generico senza dar conto delle ragioni di tale convincimento; b) omesso di esaminare la doglianza concernente la liquidazione del danno patrimoniale.

16. Con il nono motivo essa denuncia poi violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1223, 1226, 2043, 2056, 2059 e 2697 c.c., nonche’ degli articoli 115 e 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello confermato la sentenza di primo grado anche in punto di danno patrimoniale, in assenza degli elementi indispensabili perche’ tale danno possa essere riconosciuto in capo ai genitori della vittima.

Rileva che l’unico elemento a tal fine valorizzato dal primo giudice, a supporto della ritenuta situazione di dipendenza economica dei genitori, e’ la pensione sociale percepita dal padre; osserva che tale elemento denotava semmai una condizione di autosufficienza economica; lamenta l’omessa considerazione del fatto che del nucleo familiare faceva parte anche la sorella della vittima, la cui solida consistenza patrimoniale era dimostrata dal fatto che essa si era accollata un debito bancario della vittima, estinguendolo.

17. Con il decimo motivo la ricorrente incidentale denuncia infine, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1917 e 2043 c.c., per avere la Corte d’appello confermato la statuizione di condanna di essa compagnia assicuratrice a tenere indenne (OMISSIS) S.p.A., “sebbene questo capo della sentenza fosse stato espressamente impugnato nella auspicata ipotesi di accoglimento del gravame concernente l’affermazione di responsabilita’ della societa’ assicurata”.

18. L’ottavo motivo e’ infondato.

18.1. Lo e’ anzitutto nella parte in cui e’ riferita alla statuizione adottata in punto di danno non patrimoniale.

Sul punto la ricorrente incidentale sembra denunciare vizio di motivazione apparente – avuto riguardo al riferimento in rubrica al vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4 e ai rilievi di “esame apparente” del motivo di gravame e di mancato resoconto delle ragioni per cui le doglianze non sono state ritenute meritevoli di accoglimento.

Trattasi pero’ di censura palesemente infondata.

La motivazione sul punto non e’ certo tacciabile di apparenza, essendo ben chiaramente esposte, ancorche’ in modo sintetico, le ragioni della decisione adottata (applicazione dei massimi tabellari giustificata dalla giovane eta’ della vittima, dalla sua convivenza con i genitori e dalle traumatiche modalita’ dell’evento): ragioni diverse e assorbenti rispetto a quelle esposte nella decisione di primo grado (particolare gravita’ del lutto in quanto seguito alla perdita di altro figlio poco tempo prima) cui si appuntavano le disattese critiche dell’appellante e tali dunque da giustificare di per se’, per implicito, anche il rigetto delle stesse.

La mancanza dunque di specifiche considerazioni a queste dedicate, lungi dal rendere la motivazione “apparente”, non la rendeva nemmeno “insufficiente” (vizio comunque non denunciato, ne’ piu’ denunciabile, come detto, ai sensi del nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5): e’ noto infatti che ai fini di una corretta decisione adeguatamente motivata, il giudice del merito non e’ tenuto a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo, invece, sufficiente che egli, dopo aver vagliato nel loro complesso le risultanze processuali, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli morfologicamente incompatibili con la decisione adottata (v. e pluribus Cass. 28/06/2006, n. 14972).

18.2. Il motivo e’ altresi’ infondato nella parte (v. supra § 15, lettera b) in cui denuncia (in sostanza) omessa pronuncia sul motivo di gravame riguardante il riconoscimento in favore dei genitori anche di un danno patrimoniale derivante dalla morte del figlio.

Va al riguardo anzitutto osservato che, benche’ debba in effetti rilevarsi la mancanza in sentenza di uno specifico esame della censura, ad esso puo’ tuttavia procedere questa Corte, trattandosi di questione di mero diritto, nell’esercizio dei poteri di cui all’articolo 384 c.p.c..

Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’articolo 111 Cost., comma 2, nonche’ di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale articolo 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su una questione di mero diritto, che non richiede ulteriori accertamenti di fatto, la Corte di cassazione puo’ infatti omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la questione nel merito, purche’ su di essa si sia svolto il contraddittorio, dovendosi ritenere che l’articolo 384 c.p.c., comma 2, come modificato dalla L. n. 40 del 2006, articolo 12 attribuisca alla Corte di cassazione una funzione non piu’ soltanto rescindente ma anche rescissoria e che la perdita del grado di merito resti compensata con la realizzazione del principio di speditezza (Cass. n. 23740 del 2013; n. 5139 e 24914 del 2011; n. 8622 del 2012).

Cio’ posto, il motivo e’ pero’, come detto, infondato.

La doglianza con riferimento alla quale si denuncia omessa pronuncia era, secondo la testuale trascrizione che ne e’ fatta in ricorso (pag. 31), del seguente testuale tenore: “l’apporto economico del (OMISSIS) in favore della sua famiglia d’origine e’ stato desunto da un indizio labilissimo, e cioe’ che l’unico reddito dei genitori fosse la pensione sociale del padre, non tenendo presente l’unanime giurisprudenza, secondo la quale e’ su colui che allega la perdita di natura patrimoniale che incombe l’onere di provare il pregiudizio relativo”.

In altre parole, secondo l’appellante, riconoscendo tale danno in base al solo rilievo che l’unico reddito percepito dai genitori fosse la pensione sociale del padre, il giudice di primo grado avrebbe violato il principio secondo cui l’onere di provare il pregiudizio patrimoniale incombe a colui che lo allega; in tali termini dunque si deduceva evidentemente la violazione dell’articolo 2697 c.c., in tema di onere della prova e relativi criteri di riparto.

La sussistenza di un tale vizio nella decisione di primo grado e’ pero’ smentita dalla stessa prospettazione del motivo di gravame, in esso dandosi atto che il tribunale aveva deciso nei sensi predetti sulla base di un elemento indiziario, quello appunto della composizione del reddito dei genitori.

Proprio tale rilievo basta infatti di per se’ ad escludere la violazione dell’articolo 2697 c.c. configurabile solo ove il giudice faccia applicazione di una regola di riparto dell’onere probatorio diversa da quella prescritta ovvero ritenga sussistente un fatto senza che la parte gravata dall’onere della prova l’abbia assolto avendola il giudice erroneamente ritenuta esentata (cfr. Cass. 28/06/2012, n. 10853): ipotesi ben diversa da quella di specie nella quale il Tribunale, secondo quanto evidenziato dalla stessa ricorrente, ha in realta’ ritenuto il fatto sussistente non in base ad aprioristica valutazione prescindente dalla necessita’ della prova dello stesso, ma perche’ per l’appunto provato.

18.3. Ove poi il motivo di gravame, nella parte teste’ considerata, dovesse intendersi appuntato proprio sulla valutazione di merito operata dal primo giudice circa l’idoneita’ dell’elemento considerato dal tribunale (ossia della pensione sociale percepita dal padre della vittima) a comprovare il danno patrimoniale – ponendo l’accento sulla locuzione “indizio labilissimo” con il quale l’appellante qualificava tale elemento – in tal caso dovrebbe a monte escludersi la sussistenza del vizio di omessa pronuncia, trattandosi con ogni evidenza di censura del tutto generica e apodittica, sulla quale il giudice d’appello non aveva l’onere di pronunciarsi (Cass. 01/08/1997, n. 7152), in mancanza di illustrazione alcuna per la quale il detto elemento avrebbe dovuto considerarsi “indizio labilissimo”, inidoneo a supportare la decisione sul punto.

19. Palesemente inammissibile e’ poi il nono motivo dedotto in relazione al medesimo tema.

E’ anche in tal caso evidente che le questioni poste, lungi dal prospettare una violazione delle norme richiamate, attengono al merito della valutazione, della quale si sollecita una mera rivisitazione in questa sede, inammissibile tanto piu’ che – come teste’ rilevato -non risulta che nemmeno la stessa fosse stata specificamente contestata in grado d’appello, se non sul diverso piano del rispetto formale dei criteri di riparto dell’onere probatorio.

20. Rimane assorbito l’esame dell’ultimo motivo, il quale, nella prospettazione della stessa ricorrente incidentale, e’ evidentemente dedotto quale corollario strettamente dipendente dall’auspicato accoglimento degli altri motivi di censura.

21. In ragione delle considerazioni che precedono, il ricorso principale va dichiarato inammissibile, mentre va rigettato quello incidentale.

Le spese del presente giudizio vanno conseguentemente compensate tra (OMISSIS) e (OMISSIS) S.p.A..

Quest’ultima va condannata al pagamento delle spese processuali in favore di (OMISSIS) S.p.A. nonche’, in solido con (OMISSIS) s.a.s., in favore degli altri controricorrenti: spese liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale.

Compensa integralmente le spese tra (OMISSIS) s.a.s. e (OMISSIS) S.p.A..

Condanna (OMISSIS) S.p.A. al pagamento delle spese processuali in favore di (OMISSIS) S.p.A. nonche’, in solido con (OMISSIS) s.a.s., in favore degli altri controricorrenti: spese liquidate, per ciascuno, in Euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.