La pretesa risarcitoria ex articolo 2051 c.c., nei confronti del condominio non puo’, dunque, ritenersi afferente alle (ovvero rientrante nei limiti delle) attribuzioni dell’amministratore ex articolo 1130 c.c., n. 2, tanto piu’ che quest’ultimo, in proprio, potrebbe trovarsi in posizione di potenziale conflitto di interessi con l’ente di gestione da lui rappresentato in quanto possibile destinatario di azione di rivalsa su fondamento questa volta contrattuale per inadempimento degli obblighi di manutenzione della cosa comune, rilevanti pero’ solo sul piano interno dei rapporti tra condominio e amministratore. La costituzione in giudizio dell’amministratore richiede pertanto effettivamente l’autorizzazione dell’assemblea dei condomini ovvero la sua successiva ratifica; questa, pero’, come detto, e’ nella specie intervenuta, rendendo per tale ragione (ma solo per questa) corretta la valutazione da parte del giudice di merito di infondatezza della doglianza.
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Corte di Cassazione|Sezione 6 3|Civile|Ordinanza|1 febbraio 2023| n. 3018
Data udienza 20 dicembre 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7242/2021 R.G. proposto da:
Avv. (OMISSIS), rappresentato e difeso da se’ stesso;
– ricorrente –
contro
Condominio (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 2212/2020, depositata il 10 agosto 2020;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 20 dicembre 2022 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.
FATTI DI CAUSA
1. L’Avv. (OMISSIS) convenne in giudizio avanti il Tribunale di Bologna il Condominio (OMISSIS), in persona del suo amministratore, chiedendone la condanna, ex articolo 2051, o, in subordine, ex articolo 2043 c.c., al risarcimento dei danni patiti in seguito all’infortunio occorsogli in un’area di proprieta’ condominiale.
Espose a fondamento che il (OMISSIS), tornato a casa verso le ore 20,15-20,30, dopo aver parcheggiato l’auto negli appositi spazi condominiali, sceso dall’auto e fatti pochi passi nello spazio intercorrente tra la propria auto e l’altra affiancata alla propria sinistra, appena arrivato all’altezza delle parti posteriori di entrambe le vetture, era scivolato su una lastra di ghiaccio non visibile, fratturandosi la gamba destra.
Nella resistenza del condominio, che contesto’ nell’an e nel quantum la pretesa risarcitoria, ascrivendo l’evento alla sola disattenzione del danneggiato, il Tribunale, acquisite le produzioni documentali e le prove orali, espletata c.t.u. medico-legale, accolse parzialmente la domanda e, accertata la concorrente responsabilita’ dell’attore nella misura del 50%, condanno’ il condominio al pagamento di complessivi Euro 32.619,85 a titolo di risarcimento del danno oltre accessori, compensando per meta’ le spese processuali tra le parti.
2. Pronunciando sui contrapposti gravami la Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 2212 del 10 agosto 2020, confermata la responsabilita’ del condominio ex articolo 2051 c.c., e confermato altresi’ il concorso, in pari misura, del fatto colposo del danneggiato, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’ (OMISSIS), ha riconosciuto allo stesso il diritto ad un ulteriore importo risarcitorio (liquidato in proporzione alla percentuale di responsabilita’ attribuita al condominio in Euro 3.981,55, oltre interessi legali dalla sentenza di primo grado fino al soddisfo) a titolo di personalizzazione del danno da invalidita’ permanente.
Compensate le spese per due terzi, la Corte ha quindi condannato il condominio alla rifusione, in favore di controparte, della restante parte.
3. Avverso tale sentenza l’Avv. (OMISSIS) propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Il condominio non svolge difese nella presente sede.
Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che e’ stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “nullita’ della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’articolo 1130 c.c., n. 2 e articolo 1131 c.c., per non avere (la Corte d’appello, n.d.r.) dichiarato la carenza di legittimazione passiva dell’amministratore per omessa autorizzazione dell’assemblea condominiale al predetto amministratore di costituirsi in causa, ne’ nel I grado ne’ ovviamente nel II grado; violazione e falsa applicazione dell’articolo 182 c.p.c., comma 2 e dell’articolo 132 c.p.c.” (cosi’ testualmente nell’intestazione).
Sostiene, in sintesi, che: a) non poteva considerarsi valida la costituzione in giudizio dell’amministratore in assenza di preventiva autorizzazione dell’assemblea, vertendosi su comportamento eccedente le attribuzioni dell’amministratore; b) la Delibera di ratifica prodotta in grado di appello non poteva valere a sanare la costituzione nel giudizio di primo grado; c) conseguentemente devono considerarsi tamquam non essent le difese e le eccezioni opposte dal convenuto nel giudizio di primo grado.
2. Con il secondo motivo – che denuncia in rubrica, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “nullita’ della sentenza; erronea applicazione dell’articolo 1130 c.c., n. 2; violazione e falsa applicazione dell’articolo 2051 c.c.” – sono svolte considerazioni circa la non inerenza dei temi di lite alle attribuzioni dell’amministratore e la conseguente necessita’ della preventiva autorizzazione dell’assemblea perche’ lo stesso possa costituirsi in giudizio per resistere alla domanda risarcitoria ex articolo 2051 c.c..
3. I due motivi, congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione, sono inammissibili, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 4, e, comunque, anche infondati.
3.1. Va evidenziato in premessa che la questione posta non attiene alla legittimazione passiva del convenuto – condizione dell’azione che sussiste allorquando (e per il solo fatto che) il convenuto sia affermato come titolare dal lato passivo della situazione giuridica dedotta in giudizio (nella specie, responsabile del danno e tenuto al risarcimento), indipendentemente dalla fondatezza di tale prospettazione, che e’ diversa questione attinente al merito e, dunque, alla fondatezza della domanda (v. Cass. Sez. U. n. 2951 del 2016, in particolare pp. 31 – 33) – ma alla legittimazione ad processum o capacita’ processuale, che e’ il potere di rappresentare la parte in giudizio (presupposto processuale, ossia condizione per un valido svolgimento del processo).
Il riferimento nel primo motivo al primo dei due concetti non impedisce tuttavia di cogliere il contenuto effettivo della censura e le ragioni di critica e non puo’ dunque considerarsi ragione impeditiva del suo esame, cosi’ come non e’ d’ostacolo a tanto l’erronea riconduzione delle censure al vizio di error in iudicando, essendo evidente invece nella sostanza che con esse si intende denunciare un error in procedendo consistito nell’omesso rilievo della nullita’, per difetto di legittimazione ad processum, della costituzione in giudizio dell’amministratore di condominio per resistere alla domanda, in mancanza di autorizzazione dell’assemblea.
Infatti, nel caso in cui il ricorrente incorra nel c.d. “vizio di sussunzione” (e cioe’ erri nell’inquadrare l’errore che si assume commesso dal giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall’articolo 360 c.p.c.), il ricorso non puo’ per cio’ solo dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l’errore di cui si duole, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U., Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).
3.2. Cio’ precisato, l’inammissibilita’ di entrambe le censure va affermata, ai sensi dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 2, per la palese irrilevanza del denunciato errore.
Non e’ spiegato, infatti, ne’ si vede a quale diverso esito decisorio avrebbe dovuto condurre la conclusione alla quale, secondo il ricorrente, il giudice d’appello sarebbe dovuto giungere in punto di legittimazione processuale del condominio, considerato che: a) l’autorizzazione dell’assemblea e’, nei casi in cui debba ritenersi necessaria, condizione della valida costituzione in giudizio dell’amministratore per resistere alla domanda, ma non della legittimazione dello stesso a riceversi, in rappresentanza del condominio, gli atti processuali diretti nei confronti di quest’ultimo (articolo 1131 c.c., comma 2); b) entrambi i giudici di merito hanno riconosciuto la responsabilita’ del condominio; c) il concorso di colpa del danneggiato, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 1227 c.c., comma 1, e’ rilevabile d’ufficio, indipendentemente da eccezione di parte, sulla base degli elementi presenti in atti (nella specie certamente ricavabili e ricavati in sentenza dalla pacifica descrizione delle circostanze e della dinamica del sinistro) (v. e pluribus Cass. n. 19218 del 19/07/2018; n. 12714 del 25/05/2010); d) nemmeno il regolamento delle spese, poste a carico del condominio in entrambi i gradi, ha in alcun modo risentito della partecipazione al processo del suo amministratore, in rappresentanza del condominio convenuto e poi appellato/appellante incidentale, e non sarebbe stato dunque diverso nemmeno se di questa fosse stata rilevata l’inammissibilita’.
L’irrituale costituzione del condominio non avrebbe, dunque, avuto come effetto la nullita’ del giudizio di primo grado e della sentenza che ne segna la conclusione, ma ne avrebbe solo comportato la dichiarazione di contumacia (v., in termini, in motivazione, Cass. n. 27236 del 16/11/2017), senza alcuna incidenza, in concreto, per quanto detto, sulle statuizioni finali.
3.3. Le censure, come detto, sono comunque anche infondate.
Secondo l’insegnamento reso da Cass. Sez. U. 06/08/2010, n. 18331, l’amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni, ed essendo pero’ tenuto a dare senza indugio notizia all’assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell’articolo 1131 c.c., commi 2 e 3, puo’ costituirsi in giudizio ed impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilita’ dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione.
Nel ricostruire la portata dell’articolo 1131 c.c., comma 2, le Sezioni Unite hanno invero affermato che, ferma la possibilita’ dell’immediata costituzione in giudizio dell’amministratore convenuto, ovvero della tempestiva impugnazione dell’amministratore soccombente (e cio’ nel quadro generale di tutela urgente di quell’interesse comune che e’ alla base della sua qualifica e della rappresentanza dell’ente di cui e’ investito), non di meno l’operato dell’amministratore deve poi essere sempre ratificato dall’assemblea, in quanto unica titolare del relativo potere. La ratifica assembleare vale a sanare retroattivamente la costituzione processuale dell’amministratore sprovvisto di autorizzazione dell’assemblea, e percio’ vanifica ogni avversa eccezione di inammissibilita’, ovvero ottempera al rilievo ufficioso del giudice che abbia all’uopo assegnato il termine ex articolo 182 c.p.c., per regolarizzare il difetto di rappresentanza.
La regolarizzazione ai sensi dell’articolo 182 c.p.c., in favore dell’amministratore privo della preventiva autorizzazione assembleare, come della ratifica, puo’ operare in qualsiasi fase e grado del giudizio, con effetti ex tunc (Cass. Sez. 6 – 2, 16/11/2017, n. 27236).
Fermo restando che – come ribadito da Cass. 23/01/2014, n. 1451, Cass. 25/05/2016, n. 10865, Cass. 21/05/2018, n. 12525 – la necessita’ dell’autorizzazione o della ratifica assembleare per la costituzione in giudizio dell’amministratore va riferita soltanto alle cause che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore, ai sensi dell’articolo 1131 c.c., commi 2 e 3.
Orbene, nella specie, e’ espressamente dato atto nella sentenza impugnata del fatto che, a seguito dell’eccezione sollevata dall’appellante in sede di prima udienza dinanzi a questa Corte, parte appellata provvedeva a produrre copia del verbale di assemblea condominiale del 20/05/2013, con cui l’assemblea del Condominio (OMISSIS) ratificava la costituzione in giudizio del proprio amministratore, cosi’ sanando ex tunc, l’operato processuale di questi.
L’affermazione e’ contrastata in ricorso solo con riferimento al ritenuto effetto retroattivo della sanatoria; la tesi al riguardo opposta, pero’, secondo cui la sanatoria non varrebbe anche per la costituzione della parte nel precedente giudizio di primo grado, alla luce dei principi sopra richiamati, si appalesa destituita di fondamento.
3.4. Le superiori considerazioni indirizzano, come detto, in via dirimente verso la declaratoria di inammissibilita’ dei motivi in esame.
Solo per completezza mette conto, tuttavia, evidenziare che non puo’ ritenersi corretta e va emendata, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 4, l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui la controversia riguardante pretesa risarcitoria per i danni provocati dalla omessa custodia di una parte comune dell’edificio, comporta la piena legittimazione passiva dell’Amministratore, senza necessita’ di autorizzazione con Delibera condominiale, dal momento che fra le attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 c.c., per le quali l’Amministratore ha legittimazione ad agire, senza necessita’ di autorizzazione con Delibera assembleare, c’e’ anche l’amministrazione delle cose, degli impianti dei servizi comuni, la conservazione e manutenzione di essi e la disciplina del loro uso, come previsto dal n. 2 del predetto articolo.
Occorre al riguardo in senso contrario rilevare che, come gia’ questa Corte ha avuto modo di evidenziare, “la custodia “giuridica” che fonda la responsabilita’ ex articolo 2051 c.c., e’… altra cosa rispetto al compito di custodire i beni comuni (rientrante negli obblighi contrattuali assunti dall’amministratore nei confronti dei condomini) e sussiste – rispetto ai terzi e sul piano extracontrattuale – in capo al solo condominio, sul quale grava una presunzione di responsabilita’ che ammette una prova liberatoria limitata alla dimostrazione del caso fortuito” (Cass. 14/08/2014, n. 17983). Essa ha fondamento oggettivo e prescinde del tutto dalla verifica del diligente adempimento o meno dei compiti di manutenzione o custodia del bene.
La pretesa risarcitoria ex articolo 2051 c.c., nei confronti del condominio non puo’, dunque, ritenersi afferente alle (ovvero rientrante nei limiti delle) attribuzioni dell’amministratore ex articolo 1130 c.c., n. 2, tanto piu’ che quest’ultimo, in proprio, potrebbe trovarsi in posizione di potenziale conflitto di interessi con l’ente di gestione da lui rappresentato in quanto possibile destinatario di azione di rivalsa su fondamento questa volta contrattuale per inadempimento degli obblighi di manutenzione della cosa comune, rilevanti pero’ solo sul piano interno dei rapporti tra condominio e amministratore (v. ancora, in motivazione, Cass. n. 17983 del 2014, cit.).
La costituzione in giudizio dell’amministratore richiedeva pertanto effettivamente l’autorizzazione dell’assemblea dei condomini ovvero la sua successiva ratifica; questa, pero’, come detto, e’ nella specie intervenuta, rendendo per tale ragione (ma solo per questa) corretta la valutazione da parte del giudice di merito di infondatezza della doglianza.
4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “nullita’ della sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 345, 115, e 132 c.p.c. e dell’articolo 2056 c.c., in relazione alla prodotta denuncia dei redditi in grado di appello, e della mancata liquidazione del danno patrimoniale” (cosi’ nell’intestazione).
4.1. La censura investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il motivo di gravame teso a ottenere anche il riconoscimento di un danno patrimoniale da contrazione dei redditi nel periodo di invalidita’ temporanea.
La Corte d’appello ha confermato il rigetto, per tale parte, della domanda risarcitoria per difetto di prova, sulla base dei seguenti testuali rilievi (v. pagg. 6 – 7 della sentenza):
“La valutazione equitativa e’ subordinata alla dimostrata esistenza di un danno risarcibile certo e non solo meramente eventuale o ipotetico, ed alla circostanza dell’impossibilita’ o estrema difficolta’ di prova nel suo preciso ammontare.
“Nel caso di specie non vi e’ alcuna certezza del danno, sia perche’ il c.t.u. medico legale non ha rilevato un danno alla capacita’ lavorativa specifica di avvocato, sia perche’, seguendo le stesse argomentazioni dell’appellante, la professione forense non e’ soggetta ad un guadagno quotidiano legato all’apertura o meno dello studio, come potrebbe essere nel caso di un esercizio commerciale, ma e’ fatta di ricavi e di lavoro spalmati nel tempo.
“Non e’, quindi, improbabile che un avvocato temporaneamente impossibilitato a muoversi, possa rinviare i propri appuntamenti e le proprie cause per motivi di salute, continuando a lavorare da casa per quanto possibile (redazione degli atti, contatti con i propri collaboratori ecc.) evitando, cosi’, di subire decrementi patrimoniali.
“Non e’, quindi, condivisibile l’assunto dell’appellante per cui il danno sarebbe in re ipsa, essendo, comunque, necessaria la dimostrazione, quantomeno generica, della patita contrazione reddituale….
“Nel caso di specie l’appellante avrebbe avuto la possibilita’, mediante la produzione delle sue dichiarazioni dei redditi prima e dopo il sinistro, di dare prova di un’eventuale contrazione del proprio reddito, tenuto conto che il sinistro si e’ verificato nel (OMISSIS), la causa e’ iniziata alla fine del 2007 ed il termine per le produzioni documentali scadeva nel 2008.
“Viceversa, lo stesso non ha mai depositato un solo documento di tipo contabile da cui fosse evincibile il richiesto danno patrimoniale, limitandosi a produrre, solo nel presente grado, e quindi in modo tardivo ed inammissibile, la propria dichiarazione dei redditi relativa al solo anno 2005, peraltro inidonea a provare il lamentato decremento.
“In tal modo il Tribunale non solo non ha avuto la prova del danno, ma nemmeno un parametro su cui orientarsi, cosi’ che anche una liquidazione in via equitativa risultava impossibile in quanto svincolata da qualsiasi riferimento certo”.
4.2. La censura e’ affidata ai seguenti argomenti, per quanto e’ dato comprendere dalla confusa e spesso anche sintatticamente involuta esposizione:
– e’ applicabile nella specie, ratione temporis, l’articolo 345 c.p.c., nel testo anteriore alla modifica introdotta con il Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera Ob, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, e concretizzatasi nella eliminazione del riferimento, quale motivo di eccezionale ammissibilita’ di nuovi mezzi di prova o nuovi documenti in appello, alla loro “indispensabilita’”;
– nella contabilizzazione dei danni esposta nelle conclusioni del giudizio di primo grado “e’ indicata l’inabilita’ temporanea per una certa somma giornaliera che evidentemente, anche se non lo si dice, era riferita alla denuncia dei redditi piu’ favorevole nell’ambito dei tre anni precedenti e non poteva che essere tale”;
– la Corte d’appello non ha spiegato con chiarezza perche’ la produzione della dichiarazione dei redditi in grado di appello fosse inammissibile;
– ne ha disatteso il “portato probatorio” solo sotto il profilo dell’incidenza di quella documentazione;
– l’assunto al riguardo speso in motivazione, secondo cui il danneggiato avrebbe potuto lavorare da casa, e’ illogico ed ignora le caratteristiche della professione di avvocato;
– la riduzione del reddito non va vista come diminuita percezione in quel periodo di danaro, perche’ i guadagni di un avvocato sono estremamente lontani anche anni dall’espletamento delle mansioni che una causa civile o un processo penale presuppongono;
– tutto questo sfugge al raffronto tra denunce di redditi.
5. Il motivo e’ inammissibile, sotto diversi profili.
Anzitutto per difetto di interesse, dal momento che esso non coglie la prima, e assorbente, delle autonome rationes decidendi che reggono la decisione su tale tema di lite, rappresentata dal rilievo, nascente dalle conclusioni del c.t.u. medico legale, della mancanza di un effettivo pregiudizio alla capacita’ lavorativa specifica di avvocato.
In secondo luogo, per la natura meramente fattuale delle censure svolte che, lungi dall’evidenziare l’affermazione o la regola di giudizio violativa delle norme evocate, si risolvono nella mera generica prospettazione di una diversa ricognizione del fatto, peraltro essenzialmente sulla base delle apodittiche affermazioni della stessa parte attrice e non di fatti storici decisivi, emergenti da elementi di giudizio ritualmente acquisiti e specificamente indicati, il cui esame sia stato omesso.
Infine, e’ certamente inammissibile, ex articolo 360-bis c.p.c., n. 1, l’assunto di fondo secondo cui il danno in questione, trattandosi di danneggiato esercente la professione forense, sarebbe sostanzialmente insuscettibile di dimostrazione attraverso la produzione delle dichiarazioni dei redditi e andrebbe considerato in re ipsa, ossia attraverso la sola prova della riduzione della capacita’ di lavoro specifica.
Ribadito che, nella specie, manca in realta’ anche tale dimostrazione (come evidenziato in sentenza attraverso il richiamo alle conclusioni sul punto negative del c.t.u.), va comunque rilevato che, sul punto, la Corte di merito, ritenendo invece necessaria anche la prova di una effettiva contrazione del reddito, ha deciso conformemente alla giurisprudenza di questa Corte radicata da decenni nel senso che danno risarcibile sia solo il danno conseguenza e non il danno evento (insegnamento di questa Corte, invero, risalente a Cass. nn. 8827-8 del 2003 e come noto ribadito, ex multis, da Cass. Sez. U. nn. 576 del 2008 e poi da Cass. Sez. U. nn. 27972-5 del 2008; da ultimo v. ancora, sia pure con riferimento al peculiare tema del danno da occupazione illegittima di immobile, Cass. Sez. U. 15/11/2022, n. 33659, in particolare p. 8.6).
6. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “nullita’ della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2059 c.c.; violazione e falsa applicazione articolo 132 c.p.c.”.
L’illustrazione del motivo e’ affidata alle seguenti testuali considerazioni:
– “sul danno non patrimoniale la C.T. ha dato una risposta non testuale alla domanda di liquidazione del danno non patrimoniale. Non ha tenuto presente che le tabelle millesimali e’ vero che prevedono la c.d. personalizzazione dei danni. Va pero’ detto che la C.T. non ha motivato circa le critiche svolte nei confronti del GOT, giudice di I grado, ad eccezione di quanto dallo stesso giudicato e cioe’ che il danno morale non e’ una duplicazione del danno biologico e di ogni altro danno”;
– “il danno morale non e’ stato concesso ne’ in I grado ne’ in appello, solo la C.T. ha accennato che il danno morale e’ stato concesso mediante la c.d. personalizzazione del danno conseguente ad un aumento percentuale del conteggio risultante dall’applicazione dei coefficienti delle tabelle Milanesi”;
– “le tabelle, tutte, hanno una valorizzazione decrescente piu’ aumenta l’eta’… piu’ il percipiente ha una eta’ avanzata e meno diventa in concreto il calcolo della personalizzazione. Al contrario il danno non patrimoniale anche se effettuato in via equitativa dovrebbe tenere conto dell’eta’ in senso migliorativo, essendo noto che con la sua avanzata, certamente gli aspetti medici negativi sono per tutte le malattie dello scheletro e dell’apparato osseo molto piu’ incidenti che in una persona giovane”;
– “la personalizzazione quindi porta ad un criterio di valutazione inversamente proporzionale all’eta’ in senso negativo, per il fatto che le tabelle attribuiscono coefficienti sempre piu’ bassi. Il ragionamento della C.T., pur avendo colto l’errore del GOT ristabilendo anche il risarcimento con riferimento alla IPP, non coglie nel segno in base ai criteri anche impliciti contenute nelle tabelle Milanesi attribuendo un danno sul profilo razionale erroneo nella sua espressione metodologica”;
– “la critica che si fa in questo motivo e’ l’omessa ed erronea motivazione per i riferimenti effettuati nella sentenza ai criteri di liquidazione del danno non patrimoniale che trova all’origine della critica non un errore di quantificazione bensi’ un errore metodologico di enucleazione del danno ex articolo 2059 c.c.”.
6.1. Le prime due affermazioni censorie, con le quali il ricorrente sembrerebbe dolersi del rigetto del motivo di gravame con il quale si lamentava la omessa liquidazione del danno morale, sono infondate.
Dalla motivazione della sentenza impugnata, pur poco perspicua sul punto, si ricava comunque chiara indicazione del fatto che il danno non patrimoniale era stato liquidato in primo grado facendo applicazione di tabelle che richiamano quelle predisposte dal Tribunale di Milano nella primavera del 2009 ed aggiornate nell’anno 2011, “alla luce delle c.d. sentenze gemelle delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione in data 11/11/2008” (v. sentenza, pag. 6, quinto cpv.); se ne desume che la liquidazione del danno morale doveva ritenersi gia’ ricompresa nel valore monetario complessivamente indicato nella tabella applicata (cfr. Cass. n. 25164 del 2020, in motivazione, p. 4.1.6, in fine); il rigetto, dunque, del motivo di gravame predetto deve ritenersi in diritto corretto, indipendentemente dalla mancanza di una pertinente motivazione sul punto, la quale – giova rimarcare – non puo’ in realta’ rinvenirsi nel riferimento contenuto in sentenza alla “personalizzazione” del danno in quanto legato, anche nell’ampliamento della sua portata operato in appello, alla componente dinamico-relazionale (danno biologico) del danno da lesione del diritto alla salute.
6.2. Le rimanenti affermazioni sembrano invece investire criticamente la validita’ sul piano logico giuridico della liquidazione del danno biologico secondo il metodo del c.d. calcolo a punto sotteso alle Tabelle del Tribunale di Milano.
In tale parte il motivo e’ inammissibile per almeno tre distinte ragioni:
a) anzitutto perche’ la liquidazione del danno non patrimoniale secondo tali tabelle e’ stata operata in primo grado e il ricorrente avrebbe pertanto dovuto proporre la propria doglianza al riguardo con l’appello, il che non risulta sia stato fatto, ne’ il ricorrente lo dice, in mancanza di che sulla correttezza di tale criterio di liquidazione deve ritenersi formato giudicato interno;
b) in secondo luogo, ex articolo 366 c.p.c., n. 4, perche’ la Corte d’appello si e’ limitata, come detto, a liquidare altro importo aggiuntivo a titolo di personalizzazione del danno, ma cio’ ha fatto secondo un criterio prettamente equitativo, non legato alle tabelle milanesi, ma piuttosto consistito nell’applicare una percentuale di aumento all’importo gia’ liquidato in primo grado;
c) in terzo luogo, ex articolo 360-bis c.p.c., n. 1, perche’ l’adeguatezza del metodo tabellare nella liquidazione del danno, strutturato sulla base del c.d. punto variabile in funzione crescente del grado di invalidita’ e decrescente dell’eta’ del danneggiato, costituisce jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte e le considerazioni svolte non offrono elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.
7. Con il quinto motivo (numerato come “6” in ricorso, pag. 25) il ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 1284 c.c., n. 4.
Sostiene che erroneamente la Corte d’appello ha stabilito che gli interessi debbono essere corrisposti solo dalla sentenza fino al saldo, dal momento che, trattandosi di interessi moratori, ai sensi della norma evocata, questi debbono farsi decorrere dalla data di notifica dell’atto di citazione in primo grado.
8. Il motivo e’ inammissibile, ex articolo 366 c.p.c., n. 4, per la manifesta inconferenza della questione posta rispetto al contenuto e alla ratio decidendi della sentenza impugnata,
L’articolo 1284 c.c. – il quale, rubricato “saggio degli interessi”, riguarda gli interessi corrispettivi nelle obbligazioni pecuniarie (debiti di valuta) – non trova applicazione con riferimento al credito risarcitorio oggetto del giudizio, il quale e’ credito di valore.
E’ appena il caso di rammentare al riguardo che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, richiamato anche nella sentenza impugnata, il risarcimento del danno da fatto illecito costituisce debito di valore e, in caso di ritardato pagamento di esso, gli interessi non costituiscono un autonomo diritto del creditore, ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato, qual era all’epoca del prodursi del danno, e la loro attribuzione costituisce una mera modalita’ o tecnica liquidatoria. Ne consegue che il giudice di merito puo’ procedere alla liquidazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell’ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene piu’ appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore: ad esempio, riconoscendo gli interessi nella misura legale o in misura inferiore, oppure non riconoscendoli affatto, potendo utilizzare parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria o dalla redditivita’ media del denaro nel periodo considerato, oppure applicando, dalla data in cui si e’ verificato il danno fino a quella della liquidazione, un saggio equitativo d’interessi sulla semisomma tra il credito rivalutato alla data della liquidazione e lo stesso credito espresso in moneta all’epoca dell’illecito ovvero sul credito espresso in moneta all’epoca del fatto e poi rivalutato anno per anno (Cass. Sez. U. n. 16990 del 2017; Id. n. 8520 del 2007; Cass. n. 21396 del 2014).
Si e’, inoltre, chiarito che, oltre alla rivalutazione, possono essere si’ liquidati gli interessi compensativi, ma la determinazione non e’ automatica, ne’ presunta iuris et de iure, occorrendo che il danneggiato provi, anche in via presuntiva, il mancato guadagno derivatogli dal ritardato pagamento, analogamente a quanto richiesto, sul piano probatorio, per la dimostrazione del maggior danno nelle obbligazioni di valuta, ma secondo criteri differenti (Cass. n. 22607 del 2016).
Solo successivamente, trasformatosi il credito liquidato in sentenza in ordinario credito di valuta, sull’importo costituito dalla sommatoria di capitale e accessori maturano interessi al saggio legale, ai sensi dell’articolo 1282 c.c., comma 1.
Nella specie i giudici di merito hanno fissato, come detto, la decorrenza deli interessi legali sulle somme complessive risultanti con decorrenza dalla sentenza di primo grado. Il che si pone in coerenza con la pluralita’ e alternativita’ dei criteri liquidativi individuati dalla giurisprudenza di legittimita’, senza che il ricorrente offra alcun ulteriore apporto ermeneutico (Cass. Sez. U., n. 7155 del 2017), tanto meno idoneo a giustificare l’invocata decorrenza dalla data della domanda.
9. La memoria che, come detto, e’ stata depositata dal ricorrente, ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., comma 2, non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi.
10. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Non avendo l’intimato svolto difese nella presente sede non v’e’ luogo a provvedere sul regolamento delle spese.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
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