in caso di abuso nel godimento della cosa locata – che non si verifica in tutte le ipotesi di modificazione nello stato di fatto, ma solo di innovazioni che immutino la natura e la destinazione della cosa locata – spetta al giudice di merito apprezzare l’importanza dell’inadempimento ai fini della pronuncia di risoluzione del contratto, avuto riguardo, più che alla entità obiettiva dell’inadempimento, alla sua rilevanza in rapporto all’interesse del locatore alla conservazione dell’immobile nello stato originario, che si sia o meno manifestato attraverso una clausola diretta a vietare qualsiasi modifica, anche migliorativa, senza il consenso dello stesso locatore. L’art. 1587, n. 1, c.c., nel sancire l’obbligo del conduttore di servirsi della cosa locata per l’uso determinato in contratto, implica che il diritto di godimento non è illimitato, ma va esercitato entro l’ambito delle singole e specifiche facoltà che risultano in modo espresso dalle condizioni pattizie o che, comunque, si desumono, anche in modo indiretto, dalle circostanze esistenti al momento della stipula della convenzione contrattuale. Sulla scorta dell’identificazione del suddetto obbligo si evince che la violazione dello stesso, ovvero l’abuso del conduttore nel godimento del bene locato, non postula necessariamente il concreto verificarsi di danni materiali, con conseguente alterazione degli elementi strutturali del bene in modo da renderlo diverso da quello originario, potendo l’abuso in questione sostanziarsi in innovazioni e modifiche strutturali che non incidano direttamente sulla cosa locata in sé, ma si traducano, in ogni caso, in condotte abusive e lesive di concreti interessi del locatore, idonee ad alterare l’equilibrio economico-giuridico del contratto in danno del locatore stesso, con conseguente configurabilità di una gravità dell’inadempimento del conduttore in ordine al predetto obbligo e la correlata legittimità della declaratoria di risoluzione giudiziale del contratto locatizio.

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Per ulteriori approfondimenti in materia di locazioni si consiglia la lettura dei seguenti articoli:

Tribunale Roma, Sezione 6 civile Sentenza 18 aprile 2019, n. 8657

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale Ordinario di Roma

Sezione Sesta Civile

Il Tribunale di Roma, in persona del giudice dott.ssa Manuela Caiffa, all’udienza del 18 aprile 2019, all’esito della discussione orale ha pronunciato la seguente

SENTENZA

(ex art. 429 comma 1 c.p.c.)

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 81910 del Registro Generale Affari Contenziosi dell’anno 2017, avente ad oggetto “risoluzione del contratto di locazione per inadempimento – uso diverso”, pendente

tra

FONDAZIONE (…), (…) E (…) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via (?), presso e nello studio dell’Avv. Fe.Lo. che la rappresenta e difende per procura a margine del ricorso introduttivo

ricorrente

e

(…), elettivamente domiciliato in Roma via Cerveteri nr. 12, presso e nello studio dell’Avv. Gi.Se., che lo rappresenta e difende per procura in calce alla comparsa di costituzione in giudizio

resistente

Fatto e Diritto

1. fatti controversi.

Con il ricorso ex art. 447 bis c.p.c., introduttivo della lite, la Fondazione in epigrafe, convenendo in giudizio il sig. (…), ha chiesto al Tribunale di:

“A) accertare e dichiarare risolto ai sensi dell’art. 1456 c.c., l’avvenuta risoluzione di diritto del contratto di locazione tra le parti, decorrente dal 1 ottobre 1999 … per inadempimenti imputabili al conduttore consistiti in: mutamento non autorizzato della destinazione d’uso dell’immobile(art. 3) e nella realizzazione non autorizzata di manufatti – i primi descritti nella D.D. n. 261 del 4.2.2002 e, i secondi, recentemente realizzati e sanzionati con la nota di Roma Capitale del 22.1.2016….Con accessoria pronuncia di condanna di (…)…all’immediato rilascio dell’immobile oggetto di locazione…;

B) in via di subordine, dichiarare la cessazione per scadenza legale alla data del 30.09.2023 del contratto inter partes..”.

A motivo di tali domande la Fondazione ricorrente ha esposto:

(a) di avere concesso in locazione, al resistente, per uso “deposito materiali ecologicamente compatibili con l’ambiente”, il proprio immobile in R. via A. N. n. 805, con contratto decorrente dal 1 ottobre 1999, debitamente registrato;

(b) che ad onta delle pattuizioni contrattuali, il G. aveva realizzato opere edilizie abusive a totale insaputa della locatrice, dunque, senza autorizzazione della medesima e violato l’obbligo di destinare l’immobile ad uso esclusivo di deposito materiali ecologicamente compatibili con l’ambiente, destinando l’area locata a deposito auto, fatti questi considerati come motivo sufficiente di risoluzione del contratto, nelle clausole risolutive convenute, ex art. 1456 c.c., nel documento negoziale;

(c) che con l’atto introduttivo del giudizio dichiarava la propria volontà di avvalersi delle clausole in questione.

Attivato il contraddittorio, la parte resistente ha eccepito l’inammissibilità della domanda di risoluzione contrattuale attesa la destinazione dell’immobile locato all’attività per cui il G. otteneva autorizzazione sin dal 18 luglio 1994, tant’è che veniva contrattualmente previsto l’utilizzo del terreno da parte dell'(…); per quanto riguarda i lavori eseguiti, che le opere realizzate erano caratterizzate dalla precarietà ed il manufatto di mq. 38 era stato condonato; ha eccepito, altresì, l’assenza dei requisiti ex lege per l’applicabilità della clausola ex art. 1456 c.c..

Tali i fatti controversi, la causa – in difetto di istanze di prova – perveniva all’odierna udienza di discussione e il Giudice dava lettura del dispositivo e della contestuale motivazione.

2. merito della lite.

La domanda di accertamento dell’intervenuta risoluzione, di diritto, del contratto di locazione svolta dalla Fondazione nel ricorso introduttivo della lite, avvalendosi delle clausole risolutive convenute, ai sensi dell’art. 1456 c.c., nell’art. 3 e nell’art. 7 del documento negoziale, è fondata e va dunque accolta, per quanto di seguito considerato.

Come è noto, “in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale deve soltanto provare la fonte del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento” (v. Cass. S. U. n.13533.2001; Cass. n.15659.2011; Cass. n.3373.2010; Cass. n.13674.2006; Cass. n.8615.2006; Cass. n.2387.2004; Cass. n.9351.2007).

La ricorrente ha evaso l’onere probatorio che le incombeva, producendo in atti il contratto intercorso con la parte convenuta, in data 01.10.1999, che risulta debitamente registrato (all. 1 al ricorso introduttivo).

Tale documento dimostra, infatti, da un lato l'”uso esclusivo di deposito materiali ecologicamente compatibili con l’ambiente” (clausola n.3) e il divieto di “qualsiasi tipo di costruzione o di edificazione sul terreno concesso in locazione e qualsiasi altro lavoro che muti lo stato dei luoghi” (clausola n.7),

obbligazioni che la ricorrente ha dedotto violate da parte del conduttore – dall’altro la stipulazione di una valida clausola risolutiva, agli effetti dell’art. 1456 c.c. (v. clausole n.3 e 7),

per il caso di omessa ottemperanza agli obblighi in questione, clausola di cui il locatore ha dichiarato di volersi avvalere, nello stesso atto introduttivo della lite (v. Cass. n.9275.2005: “in tema di clausola risolutiva espressa, la dichiarazione del creditore della prestazione inadempiuta di volersi avvalere dell’effetto risolutivo di diritto di cui all’art.1456 cod. civ. non deve essere necessariamente contenuta in un atto stragiudiziale precedente alla lite, potendo essa per converso manifestarsi, del tutto legittimamente, con lo stesso atto di citazione o con altro atto processuale ad esso equiparato”).

A tenore delle dette clausole, infatti, le parti convenivano:

“L’eventuale inosservanza dell’obbligo di rispettare la destinazione – specie se avvenissero notifiche o diffide da parte delle predette autorità, comporterà la risoluzione di diritto del contratto “(art. 3);

“E’ assolutamente vietato qualsiasi tipo di costruzione o di edificazione sul terreno concesso in locazione….la violazione della presente clausola comporterà la risoluzione di diritto del contratto” (art. 7): le clausole in questione sono connotate da contenuto sufficientemente specifico e determinato, per quanto riferite non genericamente all’inadempimento di tutte le obbligazioni indistintamente assunte dal conduttore, ma a specifiche obbligazioni, distintamente individuate ed alternativamente assunte a ragione sufficiente di risoluzione “di diritto” del titolo contrattuale.

Così assolti dalla parte ricorrente, gli oneri di prova che le spettavano, il resistente ha sollevato eccezioni non meritevoli di accoglimento, da parte del Tribunale, e comunque non preclusive della pronuncia dichiarativa invocata dalla Fondazione.

Il G., infatti, a suo discapito, ha sostenuto che gli interventi operati sul terreno di proprietà della Fondazione consistessero, in realtà, in “semplici adattamenti connessi con lo svolgimento dell’attività per cui l’immobile veniva locato, e facilmente eliminabili”, mentre per quel che concerne il manufatto di 38 mq., questo veniva regolarmente condonato come da domanda n. 10437/98.

Nessuna delle ragioni esposte dal resistente è condivisa dal Tribunale: in particolare, nel documento contrattuale in atti (v. all. 1 al ricorso) risulta previsto che

“Il conduttore è autorizzato ad eseguire sul terreno lavori di adattamento per la destinazione convenuta, previe le autorizzazioni delle competenti autorità eventualmente occorrenti, che dovranno essere precedute dal benestare della locatrice sulla consistenza delle opere da eseguire ad evitare che queste pregiudichino la proprietà residua della locatrice stessa….

E’ assolutamente vietato qualsiasi tipo di costruzione o di edificazione sul terreno concesso in locazione e qualsiasi altro lavoro che muti lo stato dei luoghi salvo che non intervenga la preventiva autorizzazione scritta della locatrice e di tutte le competenti autorità….” (clausola n.7)

e che “Il conduttore dichiara di essere a conoscenza che l’immobile oggetto del contratto è destinato a zona N (soggetta ad esproprio), …con vincolo archeologico, paesistico, monumentale ed è inserito nel Parco Regionale dell’Appia Antica.” (clausola n.2).

Ebbene, è pacifico che il conduttore ha eseguito opere senza autorizzazione della locatrice e delle competenti autorità: in particolare, venivano rilevati due manufatti adibiti a magazzini ed un prefabbricato ad uso ufficio;

una struttura metallica ricoperta con un telo frangisole; un cancello metallico;

una recinzione ed un sistema di illuminazione e telecamere (v. doc. 5 allegato al ricorso), con conseguente ordine di demolizione; non assume, in conseguenza, rilievo il fatto che il resistente abbia dichiarato di aver presentato istanza di condono limitatamente al manufatto di mq. 38, dal momento che si controverte su violazioni di obbligazioni assunte con contratto di locazione stipulato il 20.10.1999 e, comunque, la documentazione depositata, tra l’altro, non attesta il rilascio di concessione in sanatoria per lo specifico manufatto.

Peraltro, non vi è dimostrazione che la locatrice avesse conoscenza né tantomeno acconsentisse alla realizzazione di tutte le opere succitate: detto consenso, importando cognizione dell’entità, anche economica e della convenienza delle opere, non può essere implicito, né può desumersi da atti di tolleranza, ma deve concentrarsi in una chiara e in equivoca manifestazione di volontà, come anche previsto dalla clausola n. 7 del contratto de quo, che prevede, appunto, nel caso, la preventiva autorizzazione scritta della locatrice.

Ciò basta ad acclarare la risoluzione di diritto del contratto inter partes ed a ritenere assorbite le ulteriori violazioni contestate al resistente in ordine alla destinazione d’uso dell’immobile locato.

In ogni modo, l’area in questione è ubicata all’interno del Parco Regionale dell’Appia Antica e veniva concessa in locazione con vincolo di destinazione (art. 3): l’autorizzazione tecnico – sanitaria richiamata dal conduttore non assume rilevanza ai fini della legittimità dell’attività effettivamente svolta, anche in considerazione che non vi sono in atti i nulla osta degli enti preposti alla tutela dei detti vincoli.

Anche in tal caso, poi, non è stato dimostrato che la parte locatrice avesse piena consapevolezza del fatto che il conduttore esercitasse l’attività di autotrasporto per conto terzi.

In proposito: “in caso di abuso nel godimento della cosa locata – che non si verifica in tutte le ipotesi di modificazione nello stato di fatto, ma solo di innovazioni che immutino la natura e la destinazione della cosa locata – spetta al giudice di merito apprezzare l’importanza dell’inadempimento ai fini della pronuncia di risoluzione del contratto, avuto riguardo, più che alla entità obiettiva dell’inadempimento, alla sua rilevanza in rapporto all’interesse del locatore alla conservazione dell’immobile nello stato originario, che si sia o meno manifestato attraverso una clausola diretta a vietare qualsiasi modifica, anche migliorativa, senza il consenso dello stesso locatore” (v. Cass. n.9622.1999);

“L’art. 1587, n. 1, c.c., nel sancire l’obbligo del conduttore di servirsi della cosa locata per l’uso determinato in contratto, implica che il diritto di godimento non è illimitato, ma va esercitato entro l’ambito delle singole e specifiche facoltà che risultano in modo espresso dalle condizioni pattizie o che, comunque, si desumono, anche in modo indiretto, dalle circostanze esistenti al momento della stipula della convenzione contrattuale.

Sulla scorta dell’identificazione del suddetto obbligo si evince che la violazione dello stesso, ovvero l’abuso del conduttore nel godimento del bene locato, non postula necessariamente il concreto verificarsi di danni materiali, con conseguente alterazione degli elementi strutturali del bene in modo da renderlo diverso da quello originario, potendo l’abuso in questione sostanziarsi in innovazioni e modifiche strutturali che non incidano direttamente sulla cosa locata in sé, ma si traducano, in ogni caso, in condotte abusive e lesive di concreti interessi del locatore, idonee ad alterare l’equilibrio economico-giuridico del contratto in danno del locatore stesso, con conseguente configurabilità di una gravità dell’inadempimento del conduttore in ordine al predetto obbligo e la correlata legittimità della declaratoria di risoluzione giudiziale del contratto locatizio” (v. Cass. n.10838.2007).

Va detto, comunque, che, per la stessa struttura e funzione della clausola risolutiva espressa, è precluso al Tribunale di valutare la gravità dell’inadempimento contestato alla parte resistente: infatti, “.. ove il locatore si sia avvalso, ai sensi dell’art. 1456 cod. civ., della clausola risolutiva espressa, il giudice – chiamato ad accertare l’avvenuta risoluzione del contratto per l’inadempimento convenzionalmente sanzionato – non è tenuto ad effettuare alcuna indagine sulla gravità dell’inadempimento stesso, giacché, avendo le parti preventivamente valutato che l’innovazione o la modifica dell’immobile locato comporta alterazione dell’equilibrio giuridico – economico del contratto, non vi è più spazio per il giudice per un diverso apprezzamento”

(v. Cass. n.3343.2001; Cass. n.16993.2007: “la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l’inadempimento di controparte senza doverne provare l’importanza”; Cass. n.167.2005; Cass. n.10935.2003; Cass. n.10818.2006: “la clausola risolutiva espressa .. non fa che .. accelerare la risoluzione, avendo le parti anticipatamente valutato l’importanza di un determinato inadempimento, e quindi eliminato la necessità di un’indagine “ad hoc” avuto riguardo all’interesse dell’altra parte”).

Deve pronunciarsi, pertanto, come in dispositivo, la declaratoria di risoluzione de iure del contratto in essere tra le parti, in forza delle clausole risolutive espresse di cui la ricorrente ha propalato volersi avvalere, nell’atto introduttivo.

Tanto detto, considerate le ragioni della decisione, le condizioni delle parti in comparazione tra loro ed infine il fatto che non è stato contestato il pagamento, ad oggi, dei canoni di locazione nelle more maturati, si stima equo (art. 56 L. n. 392 del 1978) fissare la data del 20.07.2019, per l’inizio dell’esecuzione della presente condanna al rilascio.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate ex D.M. n. 55 del 2014.

Il convenuto va, poi, condannato al versamento, all’entrata del bilancio dello Stato, della somma di Euro 237,00 pari al contributo unificato della presente procedura, dal momento “ai sensi dell’art. 8, comma 5, del D.Lgs. n. 28 del 2010, nel testo modificato dall’articolo 2, comma 35-sexies del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, va pronunciata condanna al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio nei confronti della parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5 del medesimo decreto legislativo, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo” (Trib. Termini Imprese, 09.05.12; Trib. Roma Sez. XIII 10.07.2014).

Per Questi Motivi

il Tribunale di Roma, definitivamente pronunziando nella causa civile di primo grado, indicata in epigrafe, ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:

accoglie per quanto di ragione la domanda proposta dalla Fondazione E.

Istituto M.T., G. E (…) ai danni del sig. (…) e per l’effetto:

accerta e dichiara che il contratto di locazione inerente all’immobile in R. via A. nr. 805, si è risolto di diritto, ex art. 1456 c.c.;

condanna il resistente a rilasciare, in favore della parte attrice, l’immobile sopra indicato, libero da persone e cose;

visto l’art. 56 L. n. 392 del 1978, fissa la data del 20.07.2019 per l’inizio dell’esecuzione della presente condanna al rilascio;

condanna il resistente a rifondere, in favore della parte ricorrente, le spese della lite, che liquida in Euro 355,70 per esborsi ed Euro 2.425,00 per compensi professionali (oltre spese generali al 15%, iva e cpa);

condanna, altresì, il resistente al pagamento di Euro 237,00 in favore dell’entrata del bilancio dello Stato.

Così deciso in Roma il 18 aprile 2019.

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.