La domanda ex art. 2901 c.c. nei confronti dell’atto di cessione immobiliare in esecuzione degli accordi di separazione tra coniugi. Quanto, in generale, all’azione revocatoria avverso un atto di cessione immobiliare in sede di separazione, la giurisprudenza di legittimità ha statuito che gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della “donazione”, e – tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all’actio revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. – rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di “separazione consensuale” (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo – in quanto tale – da un lato alle connotazioni classiche dell’atto di “donazione” vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sé, ad un contesto-contesto – quello della separazione personale – caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell’affettività), e dall’altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l’assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua “tipicità” propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della “gratuità”, in ragione dell’eventuale ricorrenza – o meno – nel concreto, dei connotati di una sistemazione “solutorio-compensativa” più ampia e complessiva, di tutta quell’ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale.

Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione revocatoria ordinaria di cui all’ art 2091 cc si consiglia il seguente articolo: Azione revocatoria ordinaria

Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione surrogatoria di cui all’ art 2900 cc si consiglia il seguente articolo: Azione surrogatoria ex art 2900 cc

Tribunale|Milano|Sezione 2|Civile|Sentenza|31 gennaio 2020| n. 879

Data udienza 29 gennaio 2020

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO

SECONDA CIVILE

11 Tribunale, nella persona del Giudice dott. Guendalina Alessandra Virginia Pascale ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 922/2017 promossa da:

FALL.TO n. (…) S.r.l. IN LIQUIDAZIONE (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. PU.MA., elettivamente domiciliato in Milano, Galleria (…) presso il difensore

ATTORE

contro

Er.Da. (C.F. (…)) e SI.GU. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. MA.AN., elettivamente domiciliati in Milano, via (…) presso il difensore

CONVENUTI

FATTO E DIRITTO

La Curatela del fallimento Mi. S.r.l. in liquidazione ha convenuto in giudizio avanti a questo Tribunale i Sigg.ri Ercole Da. e Si.Gu. chiedendo la dichiarazione di inefficacia nei propri confronti ai sensi dell’art. 2901 c.c. dell’atto di cessione immobiliare, stipulato in data 16 ottobre 2015 avanti il Notaio Gi.Ma., rep. 61489 – racc. 5. 985 intervenuto tra i coniugi Da.Er. e Si.Gu., con il quale è stata trasferita a Si.Gu. la quota di 1/2 della proprietà immobiliare A/3, cl. 5 vani 7 ubicata in Milano, Via (…), con ordine di trascrizione della relativa sentenza.

A fondamento della domanda, parte attrice ha esposto:

– di essere creditore dell’importo di Euro 850.000,00, per fatti di mala gestio posti in essere dall’amministratore della società in bonis sig. Da.;

– che l’atto di cessione è stato compiuto in una situazione di dissesto della società e nella consapevolezza di recare pregiudizio alle proprie ragioni creditorie, desumibile dal fatto che il dante causa era amministratore della società e l’avente causa era una dei soci.

Entrambi i convenuti, ritualmente costituiti nel procedimento in esame, hanno chiesto il rigetto della domanda attorea, deducendo:

– il difetto di legittimazione attiva e passiva;

– la mancanza dell’elemento soggettivo;

– la mancanza di qualsivoglia credito in capo all’attore;

– la riconducibilità del trasferimento immobiliare allo scioglimento della comunione legale già intervenuto nel 1991.

In ordine alla questione della sussistenza del credito, e della conseguente sussistenza o meno della legittimazione attiva, ritiene il Tribunale che l’obiezione dei convenuti non colga nel segno. E’, difatti, principio consolidato quello secondo cui l’art. 2901 c.c. accoglie una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o mera aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso (come nella specie), è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore (Cass. Sez. III, 22 marzo 2016, n. 5619).

Nella fattispecie sub iudice, lo stesso ex A.U. sig. Da. ha riconosciuto che la crisi della società doveva datarsi al 2013, anno in cui è stato evitato il dissesto contabile mediante una valorizzazione del magazzino e il versamento da parte dei soci di liquidità a copertura delle perdite, sicché l’an del creditorisulta, addirittura, riconosciuto.

Quanto alla riconducibilità dell’atto di cessione dell’immobile non già agli accordi di separazione, bensì allo scioglimento della comunione legale, ciò è smentito dalla stessa circostanza che, successivamente al 1991, in particolare nel 1996, la società successivamente fallita vedeva come socio accomandatario il sig. Da. e come socia accomandante proprio la sig.ra Gu., sicché vi è stato uno iato non solo temporale, ma anche logico tra la decisione di sciogliere la comunione legale e quella di cedere la quota di 1/2 dell’immobile di proprietà del sig. Da. al di lui coniuge.

Inoltre, lo scioglimento della comunione legale, con conseguente diritto di chiedere la divisione dei beni (come stabilito dall’art. 194 c.c.), non equivale a un atto traslativo. Il mutamento convenzionale del regime patrimoniale della famiglia comporta, unicamente, la “instaurazione, in luogo di tale regime, di quello di separazione; per quanto attiene ai rapporti anteriori già ricadenti nella comunione, lo scioglimento lascia in vita lo stato di contitolarità indivisa dei diritti sui beni comuni, con la sostituzione, in ordine ai poteri di amministrazione e di disposizione, alla disciplina della comunione legale de qua – di cui infondatamente qualche minoritaria opinione dottrinale ha prospettato una sorta di ultrattività – della disciplina della comunione ordinaria e, quindi, con il venire in essere, in capo a ciascuno dei coniugi, di quel diritto potestativo alla divisione che, nella comunione ordinaria, spetta a ciascuno dei compartecipi” (Cass. Sez. I, 11 novembre 1996, n. 9846).

1.La domanda ex art. 2901 c.c. nei confronti dell’atto di cessione immobiliare in esecuzione degli accordi di separazione tra coniugi.

Quanto, in generale, all’azione revocatoria avverso un atto di cessione immobiliare in sede di separazione, la giurisprudenza di legittimità ha statuito che gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della “donazione”, e – tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all’actio revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. – rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di “separazione consensuale” (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo – in quanto tale – da un lato alle connotazioni classiche dell’atto di “donazione” vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sé, ad un contesto-contesto – quello della separazione personale – caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell’affettività), e dall’altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l’assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua “tipicità” propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della “gratuità”, in ragione dell’eventuale ricorrenza – o meno – nel concreto, dei connotati di una sistemazione “solutorio-compensativa” più ampia e complessiva, di tutta quell’ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale (v. Cass. Civ. n. 5473/2006, 8505/2006, 11914/2008 e 1144/2015).

Ciò premesso, la domanda è fondata e va accolta: nel caso in esame sussistono, invero, tutti i presupposti dell’azione revocatoria ordinaria esercitata: la titolarità in capo alla ricorrente di una pretesa creditoria anteriore all’atto per cui è causa, come sopra evidenziato, la circostanza che l’atto di disposizione abbia arrecato un pregiudizio alle ragioni del creditore; la consapevolezza, da parte del debitore disponente, del pregiudizio arrecato al suo creditore, infine la cd. scientia fraudis del coniuge.

Vertendosi quindi in ipotesi di disposizione a titolo oneroso successiva all’insorgere del credito, ai fini dell’accoglimento della domanda occorre verificare, oltre l’attitudine oggettiva dell’atto a pregiudicare le ragioni dell’attrice, la sussistenza della scientia damni, da intendersi quale conoscenza generica (la cui prova può essere fornita anche a mezzo di presunzioni) del pregiudizio che l’atto di disposizione posto in essere dal debitore può arrecare alle ragioni dei creditori, a prescindere dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l’azione, e senza che assumano rilevanza l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore né la partecipazione o la conoscenza da parte del terzo in ordine all’intenzione fraudolenta del debitore.

Per quanto concerne invece l’eventus damni, occorre ricordare che esso può essere integrato da qualsiasi atto che determini l’aggravamento della condizione patrimoniale del debitore, tale da rendere impossibile o solo più difficile la soddisfazione delle ragioni creditorie (“in tema di azione revocatoria ordinaria, non essendo richiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile il soddisfacimento del credito, incombe al convenuto che eccepisca la mancanza dell'”eventus damni” l’onere di provare l’insussistenza del predetto rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali” Cass. Civ. sez. 3, n. 19963 del 14.10.2005; Cass. Civ. 11471/2003, Cass. Civ. 15257/2004). In altri termini, il pregiudizio richiesto ben può consistere anche nella mutazione genetica del patrimonio del debitore, tal da consentire una più facile sottrazione dei beni alla soddisfazione del ceto dei creditori: in tale contesto, spetta poi a chi ha compiuto l’atto dispositivo la dimostrazione della satisfattorietà del suo residuo patrimonio.

Orbene, nel caso in esame ritiene il Tribunale che la cessione impugnata abbia costituito un atto pregiudizievole per il creditore, atteso che con essa il debitore si è spogliato del cespite di valore più elevato: da ciò discende una innegabile variazione qualitativa del patrimonio del convenuto Da., in quanto tale lesiva dell’interesse dell’attore alla inalterata conservazione della garanzia patrimoniale.

Quanto infine all’elemento psicologico, assume inequivoca portata dimostrativa della scientia damni la circostanza della cessione dell’immobile al coniuge, da parte del Da., del proprio più rilevante cespite immobiliare poco prima della messa in liquidazione della società, avvenuta il 16.11.15, e dell’istanza di fallimento in proprio, depositata il 14.12.15. Con riferimento poi alla dimostrazione della consapevolezza da parte del terzo, trattasi del coniuge del disponente, a sua volta socia della società di famiglia, nella quale avevano quote anche le figlie della coppia, sicchè si deve presumere la piena conoscenza in capo alla stessa delle vicende economiche della Mi.

Sulla base delle considerazioni che precedono va dichiarata l’inefficacia ex art. 2901 c.c. nei confronti dell’attrice dell’atto di cessione immobiliare.

La sentenza sarà oggetto di annotazione ex art. 2655 c.c.

2.Le spese di lite.

Le spese seguono la soccombenza. I resistenti vanno condannati in solido al pagamento in favore dell’attrice delle spese di lite, liquidate ai sensi del D.M. 55/2014 – avuto riguardo all’entità economica della ragione di credito alla cui tutela l’azione revocatoria è diretta e tenuto conto, altresì, della non particolare complessità delle questioni trattate – come in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale, in funzione di giudice monocratico, ogni diversa istanza, difesa, deduzione disattesa: dichiara inefficace nei confronti del Fallimento Mi. S.r.l. in liquidazione ai sensi dell’art. 2901 c.c l’atto di trasferimento di immobile in esecuzione degli accordi assunti in sede di separazione personale tra i coniugi, stipulato in data 16 ottobre 2015 avanti il Notaio Gi.Ma., rep. 61489 – racc. 5. 985 intervenuto tra i coniugi Da.Er. e Si.Gu., con il quale è stata trasferita a Si.Gu. la quota di 1/2 della proprietà immobiliare A/3, cl. 5 vani 7 ubicata in Milano, Via (…).

Ordina al conservatore competente di trascrivere la presente sentenza.

Condanna i convenuti al pagamento in solido in favore dell’attrice delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 7.458,00, per compensi ed Euro 1.124,00 per anticipazioni, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Milano il 29 gennaio 2020.

Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.